Nonviolenza. Femminile plurale. 97



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 97 del 12 aprile 2007

In questo numero:
1. La convitata. Di pietra
2. Pina Nuzzo: Crescere insieme alle altre
3. Milena Carone e Stefania Guglielmi: Una proposta di legge per la
democrazia paritaria
4. Laura Piretti: La difficolta' e l'entusiasmo
5. Annalisa Marino: Un mondo piu' giusto e abitabile per tutte e tutti

1. EDITORIALE. LA CONVITATA. DI PIETRA

Nel dibattito sulla riforma elettorale che si svolge nel Palazzo (e che
dagli acquari televisivi vien riversato, ridotto a infantilismo ed
astrusita', nelle case dei sudditi) vi e' flagrante una rimozione, una
censura, che pretende di occultare ed invece rivela un tratto
segregazionista, una caratteristica totalitaria: la tronfia violenza
dell'oppressione di genere, la violenza maschilista che pretende
disconoscere che l'umanita' e' di due sessi, e che meta' dell'umanita', la
meta' fatta di donne, ancora non e' adeguatamente riconosciuta, presente e
rappresentata neppure nelle istituzioni democratiche elettive; e non lo e'
perche' e' di fatto esclusa dal protrarsi di un'oppressione, di una
violenza, di un potere che ha un nome preciso: patriarcato - cultura dello
stupro e del possesso di esseri umani -, una sopraffazione che si prolunga
da cosi' lungo tempo che talora si ha l'impressione, giusta una celebre
formula, che l'umanita' ancora non sia uscita dalla sua preistoria e che la
storia, la storia civile, la storia della liberta', debba ancora
incominciare, ovvero sia appena incominciata nelle lotte di tante e tanti
che ad ogni segregazione, ad ogni sfruttamento, ad ogni oppressione, ad ogni
devastazione e ad ogni uccisione resistono, per costruire una societa' di
persone finalmente tutte responsabili e solidali, libere ed eguali.
Nel dibattito sulla riforma elettorale che si svolge nel Palazzo, e dagli
acquari sgocciola nelle nostre case, c'e' un convitato di pietra, anzi, una
convitata: la proposta di legge "50 e 50 ovunque si decide" per una
democrazia che finalmente faccia cessare la dittatura patriarcale almeno
nelle istituzioni elettive in cui vale il principio "una persona, un voto".
La proposta, che nel disegno di legge dell'"Unione donne in Italia" ha
trovato una prima emersione in forma di indicazione giuridica (certo
perfettibile), che almeno finche' non cessi la furia totalitaria della
violenza di genere, ebbene, almeno nelle istituzioni pubbliche elettive
degli ordinamenti giuridici democratici, siano parimenti rappresentati, in
egual misura, donne ed uomini.
Se ancora una volta il Palazzo eludera' questo tema, ancora una volta la
nostra democrazia restera' dimidiata, ancora una volta fin l'ultimo fascista
machista si sentira' sostenuto dalla complicita' finanche del ceto politico
ed istituzionale pressoche' tutto.
Ma il Palazzo, la Corte, il Castello, questo tema certo eludera'. A meno
che.
A meno che un movimento di massa, e per cosi' dire un'insurrezione
intellettuale e morale delle intelligenze e delle coscienze, non lo imponga.
A meno che, intendiamo dire, la partecipazione democratica di tante e tanti,
quella partecipazione che della democrazia e' il sale, non ne faccia una
bandiera, una speranza, una prospettiva, un fatto politico nuovo e grande
tale che discutere ed accogliere questa ragionevole proposta divenga
ineludibile anche per chi risiede nel Palazzo (o nella Corte, o nel
Castello) ove si deliberano le leggi.
"50 e 50 ovunque si decide": una democrazia paritaria, una democrazia di
esseri umani: donne ed uomini.

2. RIFLESSIONE. PINA NUZZO: CRESCERE INSIEME ALLE ALTRE
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo l'intervento introduttivo di Pina Nuzzo
al seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide", svoltosi a Roma
il 22 febbraio 2007.
Pina Nuzzo, apprezzata pittrice, e' una delle figure piu' prestigiose
dell'Unione delle donne in Italia (Udi)]

L'idea di una campagna "50e50" ha preso consistenza in diversi momenti,
alcuni relativi alla rilettura del nostro modo di essere Udi, altri
riguardano invece la lettura che diamo del mondo e della politica.
Ci siamo rese conto, ad un certo punto che ha coinciso con il XIV congresso
2002-2003, che si era conclusa l'era delle assemblee perche', se molto
avevamo imparato da quella forma politica, alla scioltezza con cui tutte
prendevamo la parola, non sempre corrispondeva l'assunzione di una
responsabilita'.
Con cio' abbiamo messo alle nostre spalle una fase della politica delle
donne che consideriamo conclusa e una pratica che produce solo marginalita'.
Per farlo, ci siamo dovute liberare da antiche paure e resistenze di fronte
a parole come dirigenza politica sapendo che dirigere in politica, per noi,
vuol dire assumersi delle responsabilita', sottoporsi a giudizio: cosi' ci
prepariamo ad un ricambio.
Se non si fa politica con questo respiro e' difficile che altre donne, come
quelle piu' giovani, possano imparare come si fa politica. Ho conosciuto, in
questi ultimi anni, giovani donne che hanno un'idea mitica o libresca del
femminismo.
La politica, invece, quella che cambia le cose, nasce dalla pratica e dal
confronto tra le diverse esperienze e richiede il collegamento costante tra
donne per costruire una dimensione collettiva.
Oggi decidiamo cosa e' meglio per noi, e proprio perche' lo facciamo in
liberta', decidiamo anche cosa e' meglio per le donne.
Questo ci obbliga a renderci visibili e riconoscibili alle altre, ci
sollecita a progettare una politica che consenta a tutte di partecipare.
Questo e' la campagna "50e50": crescere insieme alle altre.
*
Per quello che accade invece nella societa' italiana, c'e' l'imbarazzo della
scelta, ma ci sono dei momenti che hanno segnato il passaggio, per me e per
tante, e forse tanti, dal fastidio all'indignazione.
Non si puo' dimenticare lo spettacolo indegno al quale assistemmo
nell'ottobre del 2005 quando la quasi totalita' del Parlamento respinse ogni
tentativo di incrementare - dico solo incrementare - la presenza delle
donne. Colpiva il linguaggio volgare, colpiva il rinnovarsi - sotto i nostri
occhi e grazie alle telecamere - della complicita' tra maschi, ma piu'
ancora colpiva l'indifferenza verso una parte del paese.
Tenere fuori le donne dalle decisioni che  riguardano tutti in quanto umani,
immiserisce il tempo che viviamo e la modernita' che abbiamo la pretesa di
rappresentare.
Basta guardarsi attorno per vedere che le donne non ci sono, non riescono ad
esserci, in tutti quegli ambiti e in tutti quei settori in cui si decide. E
non basta piu' arrabbiarsi in solitudine o lamentarsi con l'amica, questa
particolare  azione politica richiede la denuncia, l'esposizione personale
affrontando, se occorre, il rischio di essere ridicolizzate. Cosa che accade
spesso ad una donna quando la si vuol "tenere al suo posto" e "moderarla".
Dobbiamo stare dentro il nostro tempo in modo spregiudicato e prendere le
distanze da quello che si puo' definire il "nuovo neutro", da quel modo
"politicamente corretto" di leggere la realta' che appiattisce le differenze
e azzera i conflitti, come se riconoscere le diverse esperienze, diverse
anche per i sessi, non facesse crescere tutti.
La lingua e' la spia evidente  di come si vuole rappresentare la realta',
per esempio  sembra piu' moderno (e di sinistra) parlare di "coniugi"
perche' rimanda a una idea di condivisione che, in caso di conflitto,
risulta falsa, basti pensare alle guerre scatenate in nome dei figli.
Dicendo "marito e moglie" si nomina una istituzione, il matrimonio, con cui
la societa' regola un certo tipo di rapporto tra due persone di sesso
diverso. Tanto che  noi a suo tempo ci siamo pure battute perche' le donne
non fossero la parte debole e succube.
Nelle trappole della lingua si cade anche quando si parla di famiglie e non
di famiglia, eppure e' proprio l'uso di quel termine a tradire un pensiero,
dove quel modello istituzionale resta l'unico a cui tutti e tutte, etero e
no, dovrebbero ambire per sentirsi in regola, nella socialita' dei rapporti
umani.
Se si fanno sparire i generi da questa istituzione - non parlo del
sacramento che e' altra cosa e qui non ci riguarda - non eliminiamo
automaticamente la divisione dei ruoli, piuttosto si espelle dal rapporto a
due, di un uomo e di una  donna, la  titolarita' del generare che e',
ancora, delle donne.
La capacita' di generare e' cosa ben diversa rispetto all'essere genitori.
Di questa titolarita' non ci siamo fatte carico pienamente. Noi ci occupiamo
di gravidanza e di bambini ma non siamo ancora in grado di assumere la
responsabilita' verso il nostro corpo fertile, che concepisca o no, che
partorisca o no, perche' se lo vedessimo in tutta la sua potenza sapremmo
che non ci si puo' chiamare fuori dall'esercizio del potere.
Neanche con il femminismo siamo state capaci di scendere nelle viscere di
questo problema, anzi esso ha rafforzato la naturale diffidenza delle donne
verso il potere in tutte le sue forme.
La liberta' di decidere quando e se fare figli, che ci siamo duramente
conquistate, ci viene  spesso rinfacciata perche' chi ha consuetudine con il
potere sa che poter decidere di se' e' il primo passo per stare nel mondo
alla pari e ovunque si decide.
Se ragioniamo a fondo su tutto questo sapremo perche' abbiamo perso
l'occasione di avere titolo nel dibattito sulla Procreazione medicamente
assistita (Pma) e perche' e come, nel giro di pochissimo, e' potuta passare
una legge come quella sull'affido congiunto.
*
Abbiamo esperienza della liberta' in un mondo che ce la fa pagare a caro
prezzo. Dovremmo saperlo anche dalla nostra storia, perche' non siamo libere
per caso e perche' non siamo libere per concessione, ma solo grazie alle
nostre lotte: ci siamo dovute ribellare al padre, al sacerdote, al controllo
sociale e lottare per una democrazia che ci comprendesse, almeno in parte.
Per conquistarci uno spazio pubblico abbiamo dovuto faticare e tanto, quelle
che hanno oggi la mia eta' e quelle che sono venute prima di noi e che hanno
dovuto fare i conti con lo "specifico femminile" e il "ruolo della donna".
Anche nella prima Repubblica la partecipazione delle  donne e' stata
contenuta e circoscritta, ma almeno i limiti imposti dai partiti e dalle
istituzioni erano chiari ed espliciti. Erano di competenza delle donne la
tutela dell'infanzia e della maternita', erano cosa loro le commissioni
femminili e tutto quello che riguardava lo specifico.
E' in un mondo cosi' regolato che le donne dell'Udi hanno imparato quanto e'
difficile non perdere di vista le ragioni delle donne. Quello stesso mondo
ha visto emergere grandi madri che hanno saputo fronteggiare il maschilismo
dei grandi padri. Quel sistema politico e culturale  ha formato donne, sia
di destra che di sinistra, che sono state grandi donne.
*
Sia chiaro che non rimpiango nulla, ma non posso non vedere che l'attuale
sistema politico e' sempre meno credibile e sempre piu' autoreferenziale.
I vecchi sono ai vertici delle istituzioni di questo Paese, ma cio' e'
possibile solo con l'appoggio dei partiti ai quali garantiscono lo stato
delle cose e delle leadership.
Nei partiti, come nell'informazione, contano quelli che potrebbero essere i
nostri fratelli in termini di generazione, quelli che hanno vissuto il '68,
quelli che hanno patito il femminismo.
Questa classe dirigente ha egemonizzato la rappresentanza politica occupando
tutti gli spazi possibili.
Cosi' assistiamo ad un nuovo evento: uomini che parlano per conto delle
donne, anzi come se fossero anche delle donne e quando un uomo rappresenta
il femminile, quella rappresentazione prevale sui corpi veri.
Intanto la politica e' diventata il fare un progetto, per accedere alle
risorse bisogna diventare altro, non basta piu' essere una associazione di
donne, anzi una associazione cosi' discrimina gli uomini... ci siamo
imbrogliate come le tarante, avrebbe detto mia madre.
Tutta la politica delle pari opportunita', nata per dare alle donne almeno
le stesse opportunita' degli uomini, e' diventata il pretesto per far
entrare gli uomini anche negli spazi delle donne.
50e50 si colloca dentro questo scenario.
*
E ci e' sembrato ovvio chiamarla campagna.
Perche' questa parola e' nella nostra tradizione politica e perche' evoca la
lotta politica che dovremo sostenere per portarla avanti.
Perche' per ogni donna che vorra' la parola, un uomo dovra' tacere, per ogni
posto che una donna vorra' occupare, un uomo dovra' farsi da parte. Non
conosco uomini disposti a farsi da parte. Perche' ogni uomo parte sempre dal
presupposto che il potere e' gia' un pieno, un pieno di uomini, in pratica e
in teoria. Le donne ce la fanno solo quelle rare volte che si accede ad una
carica per concorso!
*
Siamo una  associazione di donne che vuole veramente che il "50 e 50" si
realizzi, non stiamo lavorando per avere il 20 o il 30. Noi non vogliamo le
quote, neanche un momentaneo... 50%! Noi vogliamo esserci in modo paritario.
E non ci interessa che le donne rappresentino le donne, questo e' stato
anche un equivoco della nostra politica, non crediamo alla rappresentanza di
genere e sarebbe contro il principio della  Costituzione che vuole gli
eletti senza vincolo di mandato.
In democrazia ogni eletto e' chiamato a rappresentare uomini e donne, il
problema e' che un numero cospicuo di uomini e' legittimato, di fatto, ad
esercitare tale rappresentanza a fronte di un ridottissimo numero di donne.
Ma questa e' solo la discriminazione piu' eclatante, perche' sono tanti i
settori in cui alle donne viene impedito di accedere ai livelli piu' alti,
pensiamo alle universita', pensiamo agli ospedali, pensiamo alla scuola e
non dimentichiamo la pubblica  amministrazione. Altro che soffitto di
cristallo!
Per combattere questa prevaricazione, dobbiamo avere la pretesa di esserci,
sapendo che questo aprira' necessariamente un conflitto, perche' mostrera'
lo scarto che c'e' nella nostra societa' tra la reale presenza delle donne,
la loro rappresentazione e la rappresentanza politica.

3. RIFLESSIONE. MILENA CARONE E STEFANIA GUGLIELMI: UNA PROPOSTA DI LEGGE
PER LA DEMOCRAZIA PARITARIA
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo la relazione di Milena Carone e Stefania
Guglielmi al seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide",
svoltosi a Roma il 22 febbraio 2007.
Milena Carone, giurista, fa parte del coordinamento nazionale dell'Udi.
Opere di Milena Carone: Alludi, Milella, 2003.
Stefania Guglielmi, giurista, fa parte del coordinamento dell'Udi di Ferrara
e del "Centro Donna Giustizia"]

Tutte le donne che sono qui oggi - a partire da noi che parliamo - sono
protagoniste a vario titolo di un percorso di emancipazione. Siamo anche
variamente reduci da un 2006 nel quale tutte abbiamo celebrato un
sessantesimo anniversario. Celebrazioni rispetto alle quali nessuna
istituzione si e' tirata indietro.
Siamo qui a dirvi come siamo arrivate alla determinazione di formulare un
testo di Proposta di legge, dove anche il contenuto e' frutto di una
modalita' peculiare dell'Udi.
Diamo per conosciuta e nota a tutte l'ultima fase che in parlamento e fuori
ha visto tentativi vari di porre l'accento su quello che va sotto la
locuzione "riequilibrio della rappresentanza".
*
Facciamo un passo indietro: l'Udi nel 1978 e' stata tra le promotrici di una
raccolta di firme su di una Proposta di legge di iniziativa popolare contro
la violenza sessuale.
Si e' trattato di un percorso travagliato che, pure nel porre l'accento sul
concetto giuridico di "persona", ci ha viste poi sempre piu' interrogarci
sulla soggettivita' sessuata, in rapporto al diritto. Non si chiedeva
maggiore tutela. Non si chiedevano piu' diritti. Non si chiedeva piu'
uguaglianza e parita'. Si affermava il valore della donna come persona a
partire dalla violazione del suo corpo e della sua integrita'.
Siamo entrate in rapporto con la norma a partire da fatti gravissimi di cui
le donne erano vittime, ma abbiamo voluto rimarcare la necessita' di
prendere parola come testimoni. Tanto che, ancora oggi, questo resta per noi
molto piu' che uno slogan, anche nella iniziativa Udi contro il
femminicidio. A partire da quella scelta, dalle parole che sono intercorse
in quel tempo, e' iniziato un cambiamento del nostro sguardo rispetto alla
norma.
Certo, la decisione di entrare in parlamento con una proposta, e' stata
travagliata e ci ha viste discutere molto - anche al nostro interno - su
aspetti fondamentali, con confronti durati tutto l'arco di tempo fino e
oltre l'approvazione, poi, nel 1996 di quello che e' stato approvato.
Quello che vogliamo qui sottolineare e' che contemporanea e consequenziale
e' stata una fase di riflessione su concetti quali universalita',
uguaglianza, cittadinanza, democrazia. Su tutto, sentivamo la necessita' di
smascherare la pretesa neutralita' del diritto e di dare finalmente titolo
alla dualita' che a partire dal genere e' condizione di base essenziale per
una autentica universalita'.
*
Cosa e' accaduto in questi anni, anche a noi che parliamo: abbiamo
continuato a lottare perche' nei fatti, nella nostra vita, nel lavoro, nelle
famiglie ci sentivamo discriminate a partire dal fatto di essere donne;
abbiamo chiesto parita' (nel diritto di famiglia, nel lavoro, nello status)
e abbiamo vissuto tutto questo - oltre noi stesse - come un processo che in
qualche modo ci avrebbe portate all'uguaglianza rispetto agli uomini.
Eppure, quelle stesse nostre vite, la materia vivente delle nostre vite, la
realta' dei nostri corpi, i conflitti privati e pubblici con il maschile,
infine tutto quello che per noi autenticamente conteneva e tuttora contiene
la parola separatismo, ci dicevano dell'esistenza di un Altrove.
Prima ancora di una acquisizione di livello teorico-giuridico, e anche
indipendentemente dalla dirompenza di un pensiero pure affascinante come la
Differenza, abbiamo sentito in noi l'essenzialita' primaria di questo ancora
magmatico Altrove, anche rispetto alla norma.
Si trattava di qualcosa a cui le affermazioni di uguaglianza e i divieti di
non discriminazione non riuscivano a dare risposta, perche' non potevano
dare risposta a quello che oggi chiamiamo cittadinanza duale.
*
Essere due nel mondo e nel diritto e' qualcosa di fondamentale che va
inscritta nella norma per rifondare l'uguaglianza e che va praticata, per
realizzare la democrazia.
Uguaglianza - lo diciamo sempre sul piano giuridico - non e' qualcosa cui si
puo' giungere per "annessione", ne' per "approssimazione", neanche nella
piu' rosea e illuministica delle previsioni. La differenza tra i generi e'
pre-condizione di uguaglianza, va contenuta e compresa nell'uguaglianza, fa
l'uguaglianza.
Le donne non sono solo un certo numero del genere umano.
Sono la base della vita, condizione, possibilita' di esistenza della vita,
di qualcosa che viene prima e contiene ogni altro diritto. Questo e' l'unico
concetto di diritto naturale che noi possiamo concedere di usare.
Fino a un centinaio di anni fa, nella migliore delle situazioni - e ancora
oggi nella maggior parte del mondo - le donne sono state e sono considerate
ne' piu' ne' meno che "portatrici insane" di cittadinanza altrui.
Eppure le donne non sono "altro", rispetto a tutte le minoranze, le donne
sono presenti in tutte le societa', in tutte le categorie, in tutte le
maggioranze, in tutte le minoranze.
*
Pensare le donne come una categoria in "odor di cittadinanza", o peggio come
una "minoranza" che chiede di non essere discriminata, e' l'equivoco piu'
assurdo posto alla base del principio formale di uguaglianza, al quale si
lega, in un gioco altrettanto perverso, il divieto di discriminazione, cosi'
come tuttora e' conosciuto e contenuto nelle Costituzioni delle democrazie
moderne e nella stessa Dichiarazione universale dei diritti umani.
E' importante soffermarci su questo, perche' e' questo divieto che viene
utilizzato, a favore delle donne - in maniera ambigua e contraddittoria -
come leva sia per le azioni positive sia per le norme "antidiscriminatorie".
Nell'un caso e nell'altro si parla sempre di quote, anche quando si
rivendica la costituzionalita' del 50% delle candidature, alla luce della
recente modifica dell'art. 51 della Costituzione.
L'impressione che ne abbiamo ricavato e' che - pure a fronte di premesse
parapolitiche molto avanzate - l'ansia preponderante sia quella di
pacificare gli animi, sul piano della costituzionalita'. Ovvero, ci si
costringe ai salti mortali sul piano delle soluzioni, pur di far ricadere il
tutto nell'ambito della "non discriminazione".
Occorre essere molto decise, anche sul piano costituzionale: noi, che
viviamo e patiamo la cittadinanza in una democrazia moderna, pensiamo che
donne e uomini debbano affrontare anche tutti gli altri nodi al pettine
dell'uguaglianza, cosi' come vengono snocciolati in tanti primissimi
articoli. Sul piano formale, cio' che vale per le donne, vale per tutti.
Occorre affrontare quei nodi nelle Costituzioni, nelle varie Dichiarazioni
programmatiche, a partire da quella Universale, senza pero' confonderli con
il "gioco" della democrazia.
Ogni democrazia, vissuta sia come "male minore" sia come "migliore dei
possibili mondi", vive del gioco dell'alternanza, della maggioranza e della
minoranza, e, con le strategie possibili a sua disposizione, deve tutelare
ogni minoranza dalla discriminazione.
Ma una Costituzione, specie se universale, non puo', anche solo formalmente,
anche fosse per vietare una discriminazione, adombrare "uguaglianze di serie
a".
Non si puo' lasciare che un'uguaglianza di illuministica memoria venga
ancora ipotizzata in capo a soggetti unici cittadini detentori per storia o
anche solo momentanea maggioranza, quasi che possa esserci (si vedano i vari
passaggi preceduti dalla locuzione "senza distinzione") - pur
nell'uguaglianza e a fronte della cittadinanza - un sesso piu' sessuale di
un altro, una razza con un incarnato migliore, una religione piu' religiosa,
lingue meglio articolate, etnie con radici geneticamente piu' solide. A
seconda.
Certo, l'assurdita' formale di quel divieto nei confronti del genere
femminile e' palese oltre ogni confronto.
*
In questi anni e' accaduto anche altro.
Alcune istituzioni (pensiamo ad alcuni organismi europei, soprattutto grazie
a donne in carne ed ossa che ci sono dentro) si sono rese conto, nei fatti,
che la presenza paritaria di cittadine e cittadini nei contesti decisionali
non solo consente di dare voce a istanze altrimenti sconosciute, ma rende
quella democrazia una vera democrazia, proprio per i motivi che dicevamo
prima, posti a base della vita e dell'esistenza umana.
Basta tenere presenti alcuni passaggi dei documenti europei per comprendere
che a determinate acquisizioni si e' giunti non certo perche' una
maggioranza democratica si e' accorta che la voce delle donne andava presa
in considerazione.
*
Democrazia paritaria e' locuzione variamente usata, anche per sostenere le
azioni positive, anche le quote, il tutto impostato sul principio di non
discriminazione rispetto all'uguaglianza tra cittadini.
Noi siamo giunte a questa determinazione, attraverso le nostre vite e infine
attraverso i nostri studi, perche' una volta svelatoci l'equivoco di
partenza del divieto di discriminazione, non possiamo che vedere
strettamente congiunta, sul piano giuridico, la democrazia paritaria alla
cittadinanza duale. E' necessario usare questi due aggettivi "paritaria" e
"duale", perche' se non esistesse il "problema" (e le donne non sono il
"problema", le donne si limitano a porlo), esisterebbe solo democrazia e
cittadinanza.
Sappiamo che affermare un diritto in una norma ha una forza propositiva che
va a incidere anche su assetti sociali ed economici.
Certo, da sola questa affermazione non basta, e tutto cio' che ruota intorno
a democrazia paritaria e' anche o soprattutto un fatto culturale.
Ma non possiamo fingere con noi stesse, ne' in nome di approssimazioni
temporali, ne' di affidamenti illuministici alle luminose sorti e
progressive, ne' ancor meno in considerazione di pratiche di piccolo
cabotaggio istituzionale.
La democrazia paritaria o e' affermazione del "50 e 50 ovunque si decide"
oppure non e'.
*
Ci viene detto che la societa' non e' pronta e che ci saranno tavoli di
contrattazione.
Ma questo non e' il compito dell'Udi, anche quando decidiamo di entrare in
rapporto con la norma. Senza peccare di presunzione agli occhi di nessuna,
questo non e' il compito che ci assegna la nostra storia. Una storia che ha
sessant'anni, con una genealogia, con dentro - come tutte le genealogie - il
femminile e il maschile. Noi non lo rinneghiamo, perche' non lo nascondiamo
e solo grazie al fatto che non ce lo siamo mai nascosto, oggi possiamo
guardarlo, giudicarlo, superarlo. Lo diciamo con serenita', anche a fronte
di tanti attuali revisionismi, da parte di molte e molti.
Oggi l'Udi non e' ne' quella degli anni Sessanta, ne' quella della svolta
femminista: ribadisce la sua autonomia, o ancor meglio la sua propria
signoria, sa riconoscere l'autorita' e nominarla, assume le responsabilita',
sapendo bene cosa e' una organizzazione.
Il rapporto tra le donne nell'Udi e' differente da una amicizia tra donne,
dalla raccolta di opinioni in ordine sparso, travestita da gruppi di
pressione politico-culturale. L'Udi non e' nulla di tutto questo. Siamo
tutte figlie della nostra storia e siamo anche altro da essa.
E' possibile che alcune di noi - e noi ci auguriamo molte - siano
protagoniste di contrattazione in quello che tutte e tutti ormai definiscono
"riequilibrio della rappresentanza". Ma questo non e' affare dell'Udi. L'Udi
non fiancheggera' una formazione politica piuttosto che un'altra, gia'
esistente o in fase di gestazione che sia.
*
Riequilibrio della rappresentanza.
Ancora due accenni su questi due termini, su questa apparentemente innocua
locuzione:
1. intanto, ri-equilibrio di cosa, se un equilibrio non c'e' mai stato?
Occorre un sano e mirato "squilibrio", uno scossone, uno scuotimento,
occorre "squotare" la politica. Dopo averla "squotata" e scossa, per chi ci
sta, occorre rimboccarsi le maniche per farla, perche' questo e' solo
l'inizio, e' solo la condizione minima di una democrazia. Occorre fare
politica, ciascuna dove e come crede, possibilmente in tempo prima della
fine del pianeta.
2. sul termine rappresentanza, occorre essere ancora piu' decise e precise:
rappresentanza intesa come "chi rappresenta chi" o cosa?
Proprio per sgombrare il campo da possibili equivoci sull'attuale posizione
dell'Udi rispetto alla rappresentanza, preferiamo parlare di presenza
paritaria.
Per l'Udi la presenza paritaria non e' un obiettivo da raggiungere affinche'
le donne vadano meglio e piu' "rappresentate", per tutto quello che si e'
detto a proposito del genere femminile non assimilabile a "categoria":
debole, sottomessa, potente o inascoltata che venga immaginata questa
categoria.
Per l'Udi la presenza paritaria nei contesti decisionali e' condizione di
democrazia ed e' altro dalla qualita', dalla stessa competenza o bravura,
dall'appartenenza politica. Tale e quale come oggi e' la "presenza" per gli
uomini, non solo nei contesti non democratici, ma ovunque, in ogni contesto
nel quale si ha la pretesa di dettare legge da soli, e di chiamare questa
legge "universale".
"50e50 ovunque si decide" e' una campagna complessiva, che non contiene solo
una proposta di legge, e che non si propone di restare confinata nei soli
ambiti nazionali.
*
Per quanto riguarda, nello specifico, la proposta che andremo a presentare,
"50e50" significa affermare intanto un principio fondamentale e cioe' che la
Repubblica Italiana riconosce a fondamento della democrazia la compresenza
paritaria dei due sessi in ogni contesto nel quale si decide, dettando
quindi norme che vanno ad incidere sui meccanismi che regolano le
candidature per le assemblee elettive.
Sappiamo che in Parlamento giacciono diverse proposte di legge, alcune
riguardano l'assetto dei partiti e prevedono misure di pressione, nel
rispetto dell'autonomia costituzionale, ma a partire dalla considerazione
elementare che i partiti vivono grazie a risorse erogate dalla Repubblica e
che quindi sono tenuti, non fosse altro per questo, a rispettare alcuni
principi fondamentali della stessa Repubblica.
Sappiamo che la democrazia paritaria e' un fatto culturale, ma proprio
perche' e' un fatto culturale, sara' democrazia paritaria e non "quote".
Sul piano tecnico dell'articolato, le norme riguarderanno le assemblee
elettive, cioe' i contesti ai quali si accede con una candidatura sul
territorio nazionale.
Pensiamo una norma che valga per tutto, per tutte, per tutti, a prescindere
dai sistemi elettorali in vigore, cioe' una norma che vada rispettata sia
quando le formazioni politiche presentano le proprie candidature in un
sistema maggioritario con collegi uninominali, sia in elezioni con sistema
proporzionale, sia quando si prevedono liste bloccate, sia con voto di
preferenza.
La sanzione per il mancato rispetto delle norme sara' la irricevibilita'
delle liste, o - a seconda - delle candidature complessive.
*
Sgombriamo il campo da alcune cose che agitano le menti di alcune di noi.
Sappiamo, dopo cio' che e' accaduto nelle varie realta' a partire
dall'introduzione delle quote ad oggi, che gli escamotages, gli ostacoli, le
cose da prendere in considerazione sono tante. Infine, su tutto, cio' che a
noi interessa e' affermare un principio.
Ci potranno essere cittadine candidate in collegi "deboli". E ancora, essere
candidate e' condizione necessaria ma certo non sufficiente per essere
elette. Ma la democrazia paritaria non puo' prescindere dai punti di
partenza, anzi, li deve contenere in se', nella norma.
Le quote, sia che siano pensate come azioni positive, come forzature sul
principio di uguaglianza, di natura transitoria, sia che vengano qualificate
come norme antidiscriminatorie, non hanno nulla a che spartire con la
democrazia paritaria.
Chiedere quote di elette e' costituzionalmente inammissibile, e non solo
perche' inciderebbe oltre ogni misura sull'autonomia dei partiti.
Chiedere quote antidiscriminatorie (anche del 50%) di candidate a tempo
determinato, significa perdere in partenza, significa relegare una pur
pregevole buona intenzione nell'ambito vecchio e da superare del principio
di non discriminazione.
Sappiamo che occorre anche altro, sul piano delle risorse, sul piano
culturale, sul piano dei rapporti tra gli individui.
Possiamo solo concludere con una affermazione secca, che ha dentro almeno
due cose proprie dell'Udi, la passione e il realismo: la democrazia
paritaria, come la liberta', costa e costera'.

4. RIFLESSIONE. LAURA PIRETTI: LA DIFFICOLTA' E L'ENTUSIASMO
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo l'intervento di Laura Piretti al
seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide", svoltosi a Roma il
22 febbraio 2007.
Laura Piretti, del coordinamento nazionale dell'Udi, e' presidente
dell'Associazione Differenza Maternita']

Sento la necessita', giunte a questo punto del dibattito che stiamo portando
avanti, di ricollegarmi ad alcuni interventi che mi hanno preceduto.
Mi ha fatto ovviamente grande piacere sentire la disponibilita' espressa da
"Usciamo dal silenzio", per mobilitarsi con noi e con quante raccoglieranno
questa sfida. E' importante "fare numero", non essere da sole.
Mi ha colpito anche la sincerita' con la quale sono emersi dubbi, distinguo,
richiami non solo alla difficolta' dell'impresa in se', ma anche alle nostre
diversita' e a qualche dubbio che il concetto di democrazia paritaria, di
rappresentanza numerica, quantitativa piu' e prima che qualitativa, puo'
portare fra noi, e fra noi e le nostre storie in questi anni.
Mi e' parso di cogliere in un intervento che mi ha preceduta,
l'osservazione, giusta e condivisibile, di quanto il tema del "50 e 50" sia
un forte allargamento rispetto ai temi sui quali, come ci siamo dette nella
poderosa manifestazione di Milano in difesa della 194, sappiamo resistere e
attestarci; cosi' come nell'intervento di Lidia Campagnano e' stata rilevata
tutta la complessita' del compito che ci siamo prefissate e dell'ampiezza di
un tema quale il "50 e 50". Vorrei ragionare su questa ampiezza e ritengo
anzi sia proprio cio' da cui partire.
*
Ricordo, per aver partecipato all'ultima assemblea preparatoria, a Milano,
della grande manifestazione in difesa della 194, che vi erano ragazze che
volevano, gia' nel testo  del volantino "promotore", che si stava
preparando, parlare di rappresentanza, di quote, di precarieta' del lavoro.
Non furono accontentate, perche' la concisione necessaria per un volantino
non consentiva l'accoglimento di tante istanze, ma al momento della
manifestazione, dai vari volantini distribuiti, dalle scritte sui cartelli
venivano fuori esattamente tutti questi temi. E fu proprio osservando
cartelli e striscioni, portati soprattutto da donne giovani e ragazze, che
a noi dell'Udi venne in mente lo slogan dell'8 marzo 2006 "la precarieta'
rende sterili", dove si coniugava il tema della "piazza" (corpo della donna,
legge 194, fecondazione medicalmente assistita ed altro) con quello delle
scelte o non scelte obbligate dalla precarieta' di vita e di lavoro.
A proposito della violenza contro le donne, tema sul quale abbiamo tanto
lavorato in questo ultimo anno e stiamo ancora lavorando, come influisce
questo impegno che ora ci prendiamo sul "50 e 50"?
A me sembra tutti i temi siano fortemente collegati e che la questione della
rappresentanza delle donne ovunque si decide, sia il tema di fondo, per
eccellenza.
Quante volte, ragionando sulla violenza contro le donne, ci siamo dette che
una societa' dove le donne sono piu' rappresentate, ha comunque piu'
strumenti per isolare i violenti.  Cosi' come, a proposito dell'"abominevole
legge 40", quella sulla fecondazione medicalmente assistita, tutti sanno che
un parlamento composto da piu' donne, avrebbe votato una legge comunque
migliore di quella che e' passata. Non perche' tutte le donne votino meglio
o votino a favore delle donne, ma proprio per una questione di numeri che
diventano una forza misurabile; dunque ragionando sui numeri del nostro
parlamento possiamo ritenere che la legge approvata e' proprio la peggiore
possibile.
Voglio dire che il tema del "50 e 50" e' proprio di fondo o di sfondo
rispetto a tutte le nostre battaglie, le quali non debbano dunque
scomparire, ma ricevere da questo impegno ancora piu' forza. E la forza
delle nostre iniziative politiche, compresa questa che ci accingiamo a fare,
e' proprio nel tenere insieme i nostri temi. Il tema del "50 e 50" non si
aggiunge semplicemente agli altri temi, vi sta dentro e nello stesso tempo
li comprende e determina con essi il nostro stare sulla scena delle
politica.
*
Non e' una battaglia staccata dalle altre e noi non siamo isolate nel
proporla.
Non faremo questa raccolta di firme da sole, stiamo cercando alleanze,
sinergie, perche' il compito che abbiamo di fronte e' davvero arduo e cio'
che stiamo facendo e' dirompente.
Non credo nemmeno che il contenuto della nostra battaglia sia di facile
comprensione. Non credo che sia facile spiegarne le ragioni, quando dovremo
farlo a tutti, donne e uomini a cui chiederemo le firme. Le battaglie sulla
194, sul divorzio sono state difficili, ma il contenuto era piu' immediato.
Qui, subito dopo l'immediatezza dello slogan che parla davvero chiaro,
dovremo spiegare perche' l'uguaglianza non basta, perche' ci vogliono le
pari opportunita', perche' poniamo una questione di quantita' e non di
qualita', perche' la parola democrazia non basta piu' da sola e dobbiamo
aggiungere "duale", "paritaria" ecc. Non sono concetti facili.
Ricordiamoci che ci proponiamo nientemeno che cambiare le regole del gioco,
o meglio ridare regole a un gioco dove qualcuno barava. Questo, che dovrebbe
essere molto normale, nello scenario che abbiamo di fronte diventa
provocatorio, incendiario. Su questa complessita' noi andiamo a promuovere
una legge di iniziativa popolare, a chiedere firme per le strade, a
coinvolgere e a farci coinvolgere in modo cosi' diretto.
Sento la difficolta', ma vivo fino in fondo anche l'entusiasmo per questa
nostra iniziativa.

5. RIFLESSIONE. ANNALISA MARINO: UN MONDO PIU' GIUST0 E ABITABILE PER TUTTE
E TUTTI
[Dal sito www.50e50.it riprendiamo l'intervento conclusivo di Annalisa
Marino al seminario dell'Udi sul tema "50 e 50 ovunque si decide", svoltosi
a Roma il 22 febbraio 2007.
Annalisa Marino, docente e saggista, e' responsabile dell'archivio centrale
dell'Udi]

Degli interventi cosi' stimolanti di questa giornata vorrei evidenziare
alcune parole che mi sono sembrate espresse in un'accezione nuova ed altre
che, a mio avviso, non rispecchiano del tutto il senso di questo "50e50" che
non e', infatti, l'ennesima iniziativa spiegabile con termini come accesso e
luogo, poiche' non mira semplicemente ad aprire un accesso ai luoghi della
politica, come ad esempio il Parlamento. A questa provvedono le
mobilitazioni sulle quote e le analisi sulla scarsa partecipazione delle
donne in partiti ed istituzioni politiche: in questa ottica, infatti, le
donne del presente sembrano essere valutate solo in termini di assenza o
insufficienza, essendo l'accesso un'opportunita' da conquistare e il luogo
un altrove da raggiungere.
Occorre viceversa, come d'altronde e' stato fatto oggi a piu' riprese,
partire dalla constatazione della presenza delle donne in tutti i gangli
della vita e della societa' civile e del posto che occupano nella vita
quotidiana, nel lavoro, nella famiglia, nel sociale ecc., dove si tentano
faticosamente quelle forme di correzione della deriva in atto che sono gia'
un'azione politica.
Il problema oggi non e' meta' delle donne nei partiti o nelle istituzioni,
ma meta' delle donne nella politica intesa come orizzonte e linguaggio
comune, affinche' meta' del paese si veda garantita la possibilita' di
riconoscersi nelle donne che elegge e di farsi riconoscere da loro.
*
Il nostro progetto, come si e' visto, presuppone il superamento (ma non la
cancellazione) di due criteri regolativi della politica delle donne, parita'
e differenza, in quanto non prevede tanto un adeguamento numerico o una
riformulazione strutturale quanto una modificazione della relazione politica
tra i sessi, che comprende la gestione dei modelli di sviluppo della
societa' in campo culturale, civile ed economico.
Allo stesso tempo esso implica un superamento di quel "neutro" che per le
donne e' la taglia 38 della politica, in quanto le obbliga a stringersi nei
suoi schemi, a tagliare quanto ne deborda e per di piu' ad accondiscendere a
quella requisizione del femminile che la cultura maschile va talora
opportunisticamente facendo.
Questo progetto comporta tuttavia anche per noi donne la necessita' di
superare quella tolleranza non solidale che negli ultimi anni abbiamo spesso
esercitato nei confronti di donne le cui scelte ideologiche (non certo
private!) non erano rispondenti alla liberta' e alla dignita' femminile:
riguardo a queste, in questo nuovo scenario, c'e' la possibilita', se non
addirittura la responsabilita', di esercitare uno sguardo critico, senza
passare per misogine o sessiste.
Il fare politica, ovvero costruire un'etica collettiva attraverso un
decidere collettivo non e' dunque un'opportunita', ma un diritto delle
donne, qualcosa che richiama l'autodeterminazione, sulla cui valenza
simbolica siamo state capaci di produrre in passato grandi trasformazioni,
con la differenza che oggi non si tratta solo di determinare liberamente la
nostra dimensione personale, ma di sviluppare l'intreccio io/noi, che e'
stato alla base dell'azione dell'Udi degli ultimi anni ed e' diventato,
anche grazie ad occasioni come questa, uno spazio espansibile, in cui si fa
politica anche della relazione che ciascuna intrattiene con essa.
Una nuova autodeterminazione femminile, politica e collettiva, rappresenta
l'inaugurazione di un atto nello stesso tempo simbolico e strutturale che
non sfonda solo tetti di cristallo ma apre scenari inediti in cui praticare
una nuova frontalita' tra donne, nel senso di possibilita' di confrontarsi,
affrontarsi e fronteggiarsi con la sicurezza di non delegittimarsi
reciprocamente nel diritto ad esercitare un potere.
*
Tutto questo richiede quella pratica dell'attenzione in cui, secondo Simone
Weil, si deve identificare la politica, laddove il politico, ovvero la
persona che fa politica, e' chi esercita uno stile di esistenza che promuove
questa attenzione.
Nel nostro caso questo stile non deve essere "seduto" e dunque condizionato
dal proprio immaginario, cosi' come non all'insegna del monopolio dei
diritti, ma attento al posto in cui ci si trova, si opera e si riflette, e
nello stesso tempo capace di sguardo verso l'altro ed in special modo verso
le altre donne ed il posto nel mondo in cui vivono, operano e pensano:
vedere l'altro/a e farsi vedere dall'altro/a e dunque non ritenersi le
uniche detentrici di una coscienza critica, ed accettare l'eventualita' che
altre donne del mondo ci accusino di eurocentrismo o occidentalismo o, in
nome di una maggiore giustizia, ci mettano "a posto".
Uno sguardo capace di vedere le oppresse del mondo che hanno bisogno di piu'
stato e di uno stato con piu' donne e piu' democrazia paritaria, cosi' come
di vedere in casa nostra quella speciale, dissimulata oppressione che e' la
precarieta', in seguito alla quale - e' stato oggi ricordato - le donne
spesso o mostrano vincoli di parentela, amicizia, sesso con uomini o non
sfondano: tutt'al piu' vincono i concorsi - quando questi vengono svolti
correttamente - anche in quanto anonime e invisibili.
Si dice che la politica sia la capacita' di vedere gli invisibili, ovvero di
rivelarne l'esistenza, le potenzialita', le istanze: una pluralita'
espansibile di fisionomie femminili capaci di attenzione, sguardo, parola
pubblica e presa sul mondo per (ovvero a vantaggio di) chi ancora non ce
l'ha e' oggi una condizione indispensabile perche' questo diventi per tutti
piu' giusto ed abitabile.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 97 del 12 aprile 2007

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