La domenica della nonviolenza. 105



==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 105 del primo aprile 2007

In questo numero:
1. "Chiama l'Africa" e Cipsi ricordano Joseph Ki-Zerbo
2. Joseph Ki-Zerbo: Appunti sulla storia dell'Africa e dell'umanita'
3. Joseph Ki-Zerbo: Ci hanno rubato l'indpendenza
4. Joseph Ki-Zerbo: Il problema alimentare nel continente africano

1. MEMORIA. "CHIAMA L'AFRICA" E CIPSI RICORDANO JOSEPH KI-ZERBO
[Dal sito www.cipsi.it riprendiamo il seguente ricordo.
Joseph Ki-Zerbo (Toma, Alto Volta, 1922 - Ouagadougou, Burkina Faso, 2006)
e' stato uno dei piu' grandi intellettuali africani del Novecento; impegnato
nella lotta anticoloniale, storico, docente, militante politico,
organizzatore di esperienze di cultura e democrazia; strenuo lottatore per
la pace e i diritti umani di tutti gli esseri umani. Opere di Joseph
Ki-Zerbo: Storia dell'Africa nera, Einaudi, Torino 1977; A quando l'Africa?
Conversazioni con Rene' Holenstein, Emi, Bologna 2005]

Roma, 5 dicembre 2006 - "Insegnandoci la storia dell'Africa ci ha insegnato
a scoprirne la dignita' e a vedere in una dimensione diversa i problemi
africani. Ci ha fatto capire che l'Europa della colonizzazione ha il dovere
di restituire all'Africa cio' che per secoli le ha rubato, soprattutto la
sua cultura, le sue tradizioni, la sua storia, oltre che le sue risorse. Con
Ki-Zerbo, in definitiva, abbiamo imparato ad amare l'Africa, e amandola a
cercare insieme con gli africani forme nuove di cooperazione. Ki-Zerbo
lascia un archivio ricchissimo con migliaia di documenti inediti. Nella
nostra ultima visita in Burkina Faso abbiamo preso l'impegno di non
disperdere questo tesoro: stiamo valutando l'ipotesi di creare una
fondazione a suo nome a livello internazionale". Questa la dichiarazione
congiunta di Chiama l'Africa e del Cipsi - coordinamento di 37 Ong e
associazioni di solidarieta' e cooperazione internazionale - per onorare la
memoria di Joseph Ki-Zerbo, scomparso ieri a Ouagadougou.
Lo scrittore e storico Joseph Ki-Zerbo (nato a Toma, Alto Volta, 21 giugno
1922), esponente dell'opposizione, considerato uno dei principali
intellettuali africani, e' morto ieri a Ouagadougou, Burkina Faso. Lo ha
annunciato Etienne Traore', docente di filosofia all'Universita' della
capitale, che ad agosto scorso prese il suo posto come deputato in
Parlamento, dove era stato rieletto nel 2001. Joseph Ki-Zerbo fu uno storico
e politico di fama internazionale, uomo d'azione del Burkina Faso e
fondatore del maggiore partito di opposizione del suo Paese.
Chiama l'Africa e Cipsi erano a lui legati da un rapporto intenso di stima,
amicizia e stretta collaborazione. Ki-Zerbo ha inaugurato a Firenze la prima
campagna di Chiama l'Africa - un tour attraverso l'Italia per far conoscere
il continente africano -, ha partecipato a due convegni, "L'Africa in
piedi", oltre che a nostre altre iniziative.
Chiama l'Africa lo incontro' nel novembre 2005 nella sua casa di
Ouagadougou, in Burkina Faso, dove Ki-Zerbo pur gia' malato accetto' di
tenere un corso di studi sul tema "Le parole che l'Africa dice all'Europa" a
venticinque membri dell'associazione.
*
Il professore burkinabe' dava lezioni di approfondimento e dava voce
all'Africa. "L'unita' africana e' la vera priorita', senza la quale non ci
sara' mai democrazia, perche' senza un mercato interno africano non ci puo'
essere il valore aggiunto che viene dalla lavorazione delle merci; e cosi'
non ci puo' essere la classe media che e' alla base della democrazia. Ora
abbiamo solo pochi ricchi che si arricchiscono sempre piu', mentre le masse
sono sempre piu' povere; in questo modo rimarremo sempre solo produttori di
materie prime per gli altri; non 'soggetti della nostra storia', ma 'oggetti
della storia degli altri'. Un proverbio burkinabe' dice che 'I legni
bruciano solo quando stanno vicini'. Noi ora siamo divisi, e nessun paese da
solo puo' farcela ad uscire dalla crisi. Dobbiamo riunirci per accendere il
fuoco, solo allora potremo donare un colore nuovo all'arcobaleno della
storia umana, il colore dell'Africa. Solo uniti potremo avere una
personalita' ed e' in questo che abbiamo bisogno non tanto di aiuti
economici, ma di ricostruire il tessuto delle relazioni.
"'Meglio perdere il cappello che la testa" recita un proverbio, oggi
l'Africa sembra piu' preoccupata del suo cappello che della sua testa e il
rischio e' quello dell'omologazione culturale. Senza unita' africana avremo
non solo poverta' ma un continuo impoverimento e questo sta portando ad una
urbanizzazione sempre piu' rapida che ha un duplice effetto negativo:
spopola le campagne che invece avrebbero tanto bisogno dei loro giovani, e
ingrossa le file dei disperati nelle citta'".
"Un'Africa unita fa paura a molti. Ma noi non chiediamo piu' potere per
dominare, ma solo per poter essere liberi e indipendenti davvero. Quanto ci
vorra'? Nessuno puo' saperlo. Credo pero' che dobbiamo cercare di
realizzarla nel medio periodo, in decenni, perche' se ci adagiamo a
ragionare sui tempi lunghi, sui secoli, forse non ci arriveremo mai".
*
Joseph Ki-Zerbo crebbe nel contesto rurale del suo villaggio natale, nella
parte settentrionale del paese, figlio di Alfred Ki-Zerbo (da alcuni
considerato il primo cristiano dell'Alto Volta) e Therese Folo Ki. Lo stesso
Joseph affermo' che l'ambiente contadino, nel quale trascorse i primi undici
anni della sua infanzia, influenzo' profondamente la sua personalita'. La
sua radice africana, la sua concezione di grande famiglia ed il suo rapporto
con la natura affondano le origini proprio in quel periodo.
Ki-Zerbo pubblica diversi scritti inerenti la cultura e la storia africana;
in tali pubblicazioni espone il suo pensiero e le sue idee sociali. Nel 1963
redige un manuale didattico di storia e nel 1972 pubblica la celebre
Histoire de l'Afrique noire, des origines a' nos jours, opera di riferimento
sulla storia africana in cui espone concetti rinnovati ed in antitesi con la
descrizione riduttiva, discriminante e razzista in auge al tempo nella
cultura europea.
Ki-Zerbo sostiene e comprova, nella sua opera, che l'Africa aveva raggiunto
un elevato sviluppo sociale, politico e culturale prima del declino del
continente determinato in buona parte anche dalla tratta degli schiavi
prima, dal colonialismo poi.
Tra il 1972 ed il 1978 Ki-Zerbo e' membro del consiglio dell'Unesco e
lavora, per conto della stessa organizzazione, alla storia dell'Africa in
otto volumi intitolata Histoire generale de l'Afrique. Nel 1980 fonda il
Centro studi per lo sviluppo africano (Ceda) e sulla base di una attenta
analisi critica dell'imperialismo conia il concetto di sviluppo endogeno.
Con l'avvento di Thomas Sankara alla presidenza (1983-'87), Ki-Zerbo fu
costretto a lasciare il paese e condannato poi in contumacia essenzialmente
per motivi politici, mentre la sua biblioteca di oltre 11.000 volumi venne
saccheggiata. Nonostante i successivi ripetuti inviti di Sankara a rientrare
in Burkina, vi ritornera' solo dopo la morte del giovane presidente.
*
Ki-Zerbo, storico e politico, ma soprattutto intellettuale africano che ha
coniugato scienza e azione politica, non si e' limitato a proseguire la
carriera scientifica ma, attento osservatore degli avvenimenti, ha preso
posizione per mutare l'ordine delle cose in Africa associando la dottrina
con l'impegno quotidiano, impegnandosi per l'affermazione della democrazia
in Burkina Faso e nell'Africa intera. I suoi libri costituiscono punti di
riferimento imprescindibili per la conoscenza della storia africana.
Qualcuno ha scritto che il solo nome Ki-Zerbo e' per molti africani e
l'Africa un modo di andare alle fonti della propria identita'. Oggi si
terra' una veglia in sua memoria e giovedi' dovrebbe essere seppellito nel
suo villaggio natale a Toma, nella provincia occidentale di Nayala.

2. RIFLESSIONE. JOSEPH KI-ZERBO: APPUNTI SULLA STORIA DELL'AFRICA E
DELL'UMANITA'
[Riproponiamo questo testo gia' apparso nel n. 358 de "La nonviolenza e' in
cammino": apparsi su "Chiama l'Africa news" del 13 settembre 2002 questi
"Appunti sulla storia dell'Africa e dell'umanita'" sono ricavati
dall'incontro con Joseph Ki-Zerbo svoltosi a Roma l'11 settembre 2002]

Spero che dopo che avro' parlato non saro' piu' uno straniero e avro' dato e
ricevuto qualche cosa.
Mi piace considerare l'Africa come un discorso, perche' questo mi ricorda la
forza, l'energia, la ricchezza che sono nella parola creatrice, nel verbo. E
se l'Africa e' come un discorso che e' stato scritto dai nostri antenati,
dobbiamo sapere che la storia non e' terminata, che il discorso va
proseguito.
Ho avuto la fortuna di studiare il latino: Cicerone, Sallustio, Tacito.
Eppure mi rendo conto che cio' che e' importante non e' quello che abbiamo
imparato in latino, ma cio' che abbiamo dimenticato in africano. Dobbiamo
considerare la storia autoctona, non quella che ci hanno imposto da fuori.
Cio' che contraddistingue l'uomo dagli altri animali non e' tanto il
presente, quanto le altre due dimensioni della storia, cioe' il passato e il
futuro. La storia, infatti, non e' soltanto il passato; essa e' come un
motore a tre tempi: il tempo del presente non e' abbastanza significativo,
qualificante, indicatore dell'umanita'. Gli animali sono molto concentrati
sul presente. Per esempio il fatto che alcuni quadrupedi abbiano la testa
rivolta verso il suolo indica l'importanza che ha per loro il presente del
qui ed ora.
Un momento decisivo nella storia dell'umanita' fu quello in cui l'uomo
assunse la posizione eretta, e cio' e' avvenuto in Africa. Questa tappa
dell'evoluzione e' considerata come un inizio di liberazione dell'uomo.
Infatti prima di allora l'uomo era costretto a dedicarsi completamente al
presente. Ma dal momento in cui ha assunto la posizione eretta ha potuto
finalmente utilizzare le sue mani, e attraverso di esse iniziare la sua
civilizzazione. Nel frattempo la parte inferiore del cranio ha assunto
dimensioni piu' piccole dando spazio all'encefalo, che si e' accresciuto, ed
egli ha imparato a guardare altrettanto bene davanti e dietro di se', cioe'
a contemplare il suo passato e a prevedere il suo avvenire.
Gli avvenimenti che conosciamo, confermati dalla recente scoperta in Ciad di
un cranio risalente a 7 milioni di anni fa, ci dicono che la storia e'
iniziata in Africa ben prima che in altri continenti.
Non dobbiamo studiare la storia per contemplare il passato, bensi' per
incontrare noi stessi. Il processo evolutivo e' una parte essenziale della
nostra identita' e se recuperiamo la storia lo facciamo anche per i nostri
posteri, per i nostri discendenti, per i nostri nipoti.
Questa storia non e' di nostra proprieta', e' di proprieta' del mondo. Essa
e' in accordo con la concezione africana della proprieta', che non e'
fondata soltanto sulla dimensione del presente, ma evoca gli antenati - per
esempio con la concezione della terra che appartiene agli avi - e contempla
ancora di piu' i discendenti, i figli, ai quali viene trasmessa.
Io penso che cio' che ci interessa oggi della storia e' proprio questa
capacita' di reinvestire il passato nel presente e nell'avvenire. Non per
riprodurre la storia in maniera meccanica e robotica, non per dare vita a
dei cloni delle societa' africane di un tempo, ma per fondarci credibilmente
sulle nostre proprie radici, senza esserne schiavi.
Ho appena terminato di scrivere un saggio dal titolo "Storia critica
dell'Africa nera" - inserito nell'opera piu' vasta "Storia critica
dell'umanita'" - il cui scopo e' quello di determinare i periodi di rottura
e i periodi di ascesa della storia africana.
Non vogliamo coltivare la recriminazione e l'odio, ma rifondarci e ritrovare
la nostra identita'.
*
Nella storia africana - come in quella europea - ci sono stati dei periodi
di ascesa e di sviluppo, cosi' come periodi di decadenza, a volte infernale.
Ma questi periodi di rottura erano i nostri.
Per centinaia di migliaia di anni, fino al XV secolo, l'Africa - anche
quella sahariana - si e' evoluta, tanto da essere alla pari con le civilta'
di altri continenti, o addirittura alla loro testa.
Il termine "preistoria", inventato dai miei colleghi europei, non e' esatto.
Io non lo accetto. Esso si basa sul presupposto che fino a che un fatto non
e' riportato per iscritto esso non puo' essere considerato come un fatto
storico, ma preistorico. Io preferisco definirlo protostorico. Dal momento
in cui c'e' l'uomo c'e' storia. Non c'e' motivo per considerare preistoria
il momento in cui l'umanita' ha inventato la parola, l'arte, la religione,
l'agricoltura. E' ridicolo. Dovremmo dire che tutti i popoli che ancora oggi
sono analfabeti e che non hanno una cultura scritta sono dei popoli
preistorici, e questo non ha senso.
In Africa ha dunque avuto inizio la storia dell'umanita', che e' poi
proseguita nell'antico Egitto, nella cui civilta' ritroviamo molti elementi
religiosi e della struttura sociale propri dell'Africa nera. L'Africa ha
continuato a svilupparsi fino al XIV-XV secolo. In questo periodo alcuni
grandi imperi africani potevano rivaleggiare con l'Europa.
Le statistiche dimostrano che le capitali dell'impero del Mali e del Ghana
erano piu' popolate di quanto lo fosse Londra nello stesso periodo. Ho
condotto personalmente una ricerca sulla densita' della popolazione
scolastica in quei tempi nella regione: tra i cittadini liberi
l'insegnamento primario era piu' diffuso di quanto non lo fosse in Europa
nello stesso periodo. Vi invito di approfondire questo argomento nella mia
"Storia dell'Africa nera".
Non e' per non parlare degli orrori, ma in Africa esistevano molti fattori
positivi di sviluppo in ogni campo, anche in quello del diritto. Possiamo
per esempio citare un motto che esprime uno dei fondamenti del diritto
pubblico di quel tempo: non e' il re che ha la sovranita', ma e' la
sovranita' che ha il re. Cio' significa che ci sono delle norme superiori
che si impongono a tutta la comunita', a cominciare dal principale
responsabile, che e' appunto il sovrano.
C'erano inoltre dei sistemi di riproduzione sociale, per la formazione e la
trasformazione delle societa' ed esistevano dei veri e propri istituti per
la formazione specifica,  per esempio dei griot, coloro i quali avevano
l'incarico di tramandare la memoria storica.
I miei ascoltatori si stupiscono sempre quando racconto che l'inno nazionale
del Mali di oggi e' un antico canto del XIII secolo intonato dalla madre di
Sundiata, un ragazzo handicappato. Per riscattare l'onore della madre,
derisa dalle altre donne del villaggio, Sundiata si ripropose di drizzarsi e
di camminare correttamente e quando riusci' a farlo, sorreggendosi al
bastone che la madre gli aveva donato, ella intono' un canto, che oggi, dopo
sette secoli, e' ancora importantissimo, tanto da essere l'inno nazionale
del Mali. Si tratta di una narrazione in cui il mito si unisce alla storia.
Anche l'Africa dunque ha avuto l'idea di reinvestire il passato nel presente
per il futuro.
Personalmente ho la sensazione che una delle cause interne del rallentamento
dello sviluppo in Africa sia da ricercarsi nella disponibilita' di spazi
immensi; quando all'interno delle societa' nascevano dei contrasti essi
venivano risolti con la partenza di coloro che erano in minoranza. Questa
soluzione era favorita dalla certezza che dovunque fossero andati avrebbero
trovato una terra e che avrebbero avuto diritto al territorio su cui si
fossero insediati. Tutti gli "stranieri" che arrivavano avevano diritto al
suolo, poiche' non esisteva il concetto di "proprieta' privata". La terra
era una proprieta' collettiva a disposizione degli autoctoni e degli
stranieri. Dunque i conflitti non venivano risolti con la guerra, ma in
maniera "orizzontale", attraverso l'allontanamento di una parte della
comunita' e delle ragioni del contrasto.
Al contrario, nella Valle del Nilo e nell'antico Egitto lo spazio era
limitato; qui le contraddizioni non potevano essere risolte sfruttando le
terre circostanti, ma solo attraverso la guerra, o attraverso le innovazioni
tecnologiche, o ancora attraverso la riorganizzazione sociale. Si e' cosi'
passati ad un livello di societa' superiore a causa dei conflitti e
attraverso i conflitti.
I conflitti africani interni all'Africa sono sempre stati risolti dagli
africani stessi e hanno portato alla configurazione di grandi realta'
sociali e politiche come l'Impero del Mali o l'Impero del Ghana, cosi' come
sono descritti dagli scrittori arabi o dagli stessi scrittori africani del
XV, XVI e XVII secolo.
Alcune carte geografiche europee del tempo mostrano l'imperatore del Mali
seduto su un trono, con la dicitura "Re del Mali", a testimonianza del fatto
che esso veniva considerato alla pari di un qualsiasi altro sovrano.
L'imperatore del Mali e in seguito quello del Ghana andando in
pellegrinaggio alla Mecca portavano con se' tonnellate di oro, tanto da
influenzare il prezzo del prezioso metallo in tutta la regione. Il re del
Ghana era considerato il "re dell'oro". Si trattava dunque di una regione
molto sviluppata dal punto di vista economico, dove si producevano anche
merci con valore aggiunto, come tessuti, oggetti metallici, vetro. In alcune
importanti citta', ad esempio della Nigeria, si produceva cosi' tanto che
l'intera regione fu soprannominata la "Bisanzio nera".
Quando i primi portoghesi arrivarono in Congo, essi rimasero talmente
impressionati al cospetto del re che lo salutarono e gli resero omaggio come
se si trattasse del proprio re.
*
Sono solito dire che l'incontro tra Africa ed Europa fu un incontro
storicamente mancato, perche' le cose potevano andare ben diversamente.
Quando il re congolese Alfonso chiese dei tecnici europei per l'educazione,
le infrastrutture, le costruzioni, ci si e' rifiutati di inviarglieli. Lui
desiderava importare dall'Europa cio' che avrebbe potuto migliorare la
situazione del suo regno, ma gli e' stato rifiutato qualsiasi aiuto, perche'
in quel periodo iniziava la tratta degli schiavi.
Re Alfonso si era convertito al Cristianesimo ed era molto rispettoso dei
principi della religione cattolica, che faceva osservare anche con la forza;
aveva favorito la distruzione degli oggetti di culto e delle scritture
legate alle tradizioni degli antenati. Ma malgrado tutto egli non si e'
meritato la fiducia di coloro che lo avevano convertito, al punto che essi
tentarono di ucciderlo durante la celebrazione di una messa pasquale,
perche' i negrieri lo volevano.
Lo stesso Vasco De Gama commise molte atrocita', organizzo' e diresse non
pochi massacri, alla pari dei conquistatori del continente americano,
perche' voleva a tutti i costi impedire agli arabi di dominare l'Oceano
Indiano.
L'Africa non ha potuto costruire la sua storia beneficiando di un dialogo
autentico con l'Europa, un dialogo che favorisse una vera civilizzazione.
I progressi civili tecnici e materiali dell'Europa erano nettamente
superiori, e l'Europa ne ha approfittato per molto tempo, al pari di quanto
ha fatto con altri continenti.
L'Europa ha ricevuto molto da ogni parte del mondo: dall'Africa; dal Medio
Oriente, che ha rappresentato l'anello di congiunzione tra la cultura
greco-romana e l'Europa occidentale (molti testi greci arrivarono infatti in
occidente proprio grazie agli arabi); dall'Estremo Oriente, con i cinesi,
dai quali hanno preso la polvere da sparo. Questa e  altre invenzioni sono
state portate in Europa, dove gli europei vi hanno aggiunto la loro
creativita'. Cosi' si e' arrivati all'invenzione delle armi da fuoco, che in
Africa hanno fatto la differenza, anche se il continente era gia ridotto
alla sottomissione a causa della schiavitu'.
*
I quattro secoli di tratta degli schiavi hanno letteralmente bloccato
l'Africa, ma hanno fatto meno danni di quanti ne ha fatti un secolo di
colonizzazione, sia perche' a quel punto gli europei disponevano di mezzi
tecnicamente troppo superiori, sia perche' si tratto' di una vera e propria
sostituzione della civilizzazione africana da parte di quella europea, in
tutti i campi, religioso, politico, culturale.
La tratta degli schiavi rappresento' una profonda ferita nel corpo
dell'Africa, ma il condizionamento fu piu' marginale, e il sistema africano
resto' strutturato secondo la propria tradizione.
Durante la colonizzazione invece l'Africa smise di vivere e di produrre per
se stessa, e il concetto di sviluppo endogeno fu completamente abolito. Ha
servito gli altri invece di servire se stessa, in vista di un cambiamento o
di un'evoluzione, che avrebbero potuto compiersi, nel bene o nel male, e che
le furono impediti, almeno fino alle lotte di liberazione, negli anni
Sessanta. Le indipendenze furono in buona parte delle false "liberazioni";
il neocolonialismo ha infatti sostituito il colonialismo, e ancora oggi non
possiamo dire che il colonialismo e' stato sradicato in Africa.
*
Non voglio terminare in un'ottica afropessimista.
L'Europa ha portato molti elementi positivi: la scienza, la religione, la
coscientizzazione, le lingue, attraverso le quali possiamo attingere
all'enorme ricchezza culturale e intellettuale a livello mondiale. Tutto
questo pesa in modo positivo sul piatto della bilancia. Ma quello che noi
avvertiamo ancora oggi e' che per la massa della popolazione - non per i
privilegiati che hanno potuto emergere, per gli intellettuali, come me, che
hanno potuto beneficiare di questa eredita' positiva - ma per la stragrande
maggioranza della gente, la bilancia continua a pendere dalla parte
negativa.

3. RIFLESSIONE: JOSEPH KI-ZERBO: CI HANNO RUBATO L'INDIPENDENZA
[Dal sito www.cipsi.it riprendiamo la seguente intervista a Joseph Ki-Zerbo
a cura di Eugenio Melandri e Alessandro Cerreoni apparsa nella rivista del
Cipsi "Solidarieta' internazionale" (mancano ulteriori indicazioni).
Eugenio Melandri, religioso saveriano, giornalista, gia' parlamentare
europeo, impegnato nei movimenti di pace, di solidarieta', contro il
razzismo, per la nonviolenza; e' tra i principali animatori di "Chiama
l'Africa". Opere di Eugenio Melandri: segnaliamo almeno I protagonisti, Emi,
Bologna 1984. Un ricordo di Ki-Zerbo scritto da Eugenio Melandri e' nel n.
45 di queste "Minime".
Alessandro Cerreoni, giornalista d'impegno civile, si occupa di difesa
dell'ambiente, diritti umani e dei popoli, solidarieta' internazionale]

E' l'Africa della fame. Delle guerre infinite. Del debito. Dei bambini
soldato. Dello sfruttamento dei minori. Della maledizione dei diamanti e
dell'oro. Di multinazionali senza scrupoli. Delle medicine che mancano. Dei
dirigenti politici legati solo al potere. Dell'informazione negata. Ma e'
anche l'Africa della speranza, del sogno per un domani migliore.
E' l'Africa per cui, oggi, tanti intellettuali, politici e missionari
continuano a sostenere che l'unica soluzione al problema sia una nuova
colonizzazione. Joseph Ki-Zerbo, storico del Burkina Faso, sposta il tiro e
dice senza mezzi termini: "Altro che nuova colonizzazione, qui ci hanno
rubato l'indipendenza".
Per parlare dell'Africa bisogna conoscerla. Bisogna esserci nati. Bisogna
conoscerne a fondo i problemi e la loro origine.
Ecco che, allora, quando si incontrano persone come Ki-Zerbo, non si puo'
rimanere insensibili al suo modo di raccontare i problemi dell'Africa. Un
continente senza segreti. Almeno per uno come lui.
*
- "Solidarieta' internazionale": Tutti dicono che l'Africa ha grandi
problemi. soprattutto di convivenza; c'e' stata la guerra dei Grandi Laghi,
quella tra Etiopia ed Eritrea, c'e' la situazione del Sudan, c'e' la guerra
civile in Sierra Leone; perche' succedono tutte queste cose?
- Joseph Ki-Zerbo: Ritengo che in primo luogo sia per via di una situazione
che e' stata gestita male sin dall'inizio. Tutto cio' che accade oggi era
prevedibile. Si puo' dire che la decolonizzazione e' stata fatta male o per
niente. Il peccato originale risale al momento dell'indipendenza africana.
Ci si e' accontentati delle apparenze dell'indipendenza, ovvero dei segni
esterni come lo sviluppo macroeconomico, la democrazia tramite le
istituzioni, le assemblee, le elezioni e i partiti multipli. I problemi
dell'Africa non sono stati posti in profondita' in modo sostanziale. E non
e' sorprendente raccogliere questi frutto oggi. Dunque, non bisogna credere
che tutto cio' accade per caso e, soprattutto, non bisogna trasferire le
colpe attuali alle presunte incapacita' congenite degli africani, della
"razza" e di non so quali inattitudini fondamentali. Penso ai conflitti e
penso alla pace. La pace e' qualcosa di fondamentale che ha un ruolo su
tutti gli altri aspetti, dallo sviluppo alla democrazia.
*
- "Solidarieta' internazionale": Quando ci fu l'indipendenza negli anni '60,
c'erano in Africa grandi uomini come Lumumba, Kenyatta, Nyerere; cosa e'
successo? Perche' la presenza di questi personaggi non ha significato
un'evoluzione positiva della democrazia?
- Joseph Ki-Zerbo: Molto spesso gli uomini piu' grandi sono stati
contrastati. Non li hanno lasciati agire nella loro ricerca dell'unita', che
ritengo sia un'altra condizione fondamentale per lo sviluppo africano.
*
- "Solidarieta' internazionale": Perche' l'unita' non e' riuscita?
- Joseph Ki-Zerbo: Faccio un riferimento storico. Prima del referendum del
settembre 1958 che doveva sancire, in Guinea, la scelta tra l'indipendenza
immediata e la nascita di una comunita' franco-africana, De Gaulle disse ai
cittadini queste precise parole: "se volete l'indipendenza prendetevela, la
Francia non fara' nessuna opposizione". Ebbene, quando gli abitanti della
Guinea hanno scelto l'indipendenza, la Francia ha reagito e li ha puniti.
Come? Togliendo tutta l'assistenza tecnica francese da un giorno all'altro.
Tutti gli insegnanti, tutti gli ingegneri, i medici, gli amministratori.
Tutto.
*
- "Solidarieta' internazionale": Cosa significava?
- Joseph Ki-Zerbo: Che si voleva uccidere l'indipendenza. Cio' ci fa capire
che non c'era sincerita' ma ipocrisia. E, come oggi, c'e' l'ipocrisia
nell'aiuto, anche umanitario. Io stesso, insieme ad altri tecnici africani,
siamo andati in Guinea per sostituire le persone tolte. Per fare questo ho
dovuto abbandonare la mia carriera di insegnante a Dakar. Ci avevano chiesto
aiuto per dimostrare che l'Africa poteva camminare con le proprie gambe e si
meritava l'indipendenza. Ma dietro c'era una grande inganno. Al momento di
lasciare le nostre terre - lasciare per rimanere - gli europei avevano
smantellato le strutture federali che avevano installato durante la
colonizzazione. Erano le uniche strutture che avrebbero permesso ai Paesi
africani di essere vivibili, validi e credibili.
*
- "Solidarieta' internazionale": Perche' gli europei hanno distrutto cio'
che ritenevano necessario mentre loro stessi stavano li'?
- Joseph Ki-Zerbo: Porto ad esempio un fatto che ho vissuto in prima
persona. Ho assistito, nel 1964, alla distruzione del muro che simboleggiava
la frontiera tra il Ghana e l'Alto Volta. Distruggere questo muro
significava abolire le barriere. Per tutta risposta, i francesi hanno
minacciato che non volevano questa unione tra due stati africani. Era loro
interesse dividere i popoli. Se prendiamo la mappa dell'Africa, vediamo che
ci sono tanti popoli cosi' tanto mescolati e senza barriere. Perche'? I
popoli sono sempre vissuti cosi' gli uni con gli altri. Con molti matrimoni
misti, con molte guerre e conflitti ma c'era un equilibrio permanente che ha
consentito di attraversare i secoli. Ci sono state guerre, ovviamente, ma
non erano distruttive come quelle di oggi con le armi che ci sono adesso.
Non solo i kalashnikov ma armi piu' terribili, comprese le bombe
anti-persona. Oggi mancano sia l'equilibrio che l'unita'.
*
- "Solidarieta' internazionale": Che senso ha lo Stato in Africa?
- Joseph Ki-Zerbo: No, non ci sono ancora dei veri e propri stati. In
qualche posto ci sono degli inizi, delle approssimazioni di stato. Per stato
va inteso un bene comune superiore. Lo stato ha bisogno di un certo spazio,
di una certa capacita' di sostenersi materialmente e fisicamente. Si parla
sempre di stato nazionale; lo stato non e' una struttura puramente fisica
che si puo' impiantare con tranquillita' dall'Europa all'Africa come un
organo. C'erano degli stati tradizionali in Africa che hanno attraversato i
secoli. Ad esempio, lo stato Moussi nel Burkina Faso, che e' presente dal XV
secolo con continuita'. E se oggi lo stato nel Burkina Faso dovesse sparire,
posso garantire che lo stato Moussi continuera' a vivere. Il grosso problema
in Africa e' la presenza dello stato illegittimo, dello stato che non e'
bene comune. Un bene comune che e' diventato rapidamente il bene dei poteri
forti. Ci sono delle direzioni di stati africani che sono delle vere e
proprie organizzazioni mafiose: vendono armi per raccogliere diamanti, oro e
droga. Lo stato legittimo e' il bene del popolo. Chi e' il popolo? E'
l'etnia, e' la nazione, la micronazione.
*
- "Solidarieta' internazionale": Qual e' il concetto di etnia in Africa?
- Joseph Ki-Zerbo: E' un concetto manipolato dagli europei. I colonizzatori
hanno costruito delle etnie per i loro interessi laddove non esistevano
etnie. Basta pensare che il Ruanda e il Burundi, prima della colonizzazione,
erano due stati-nazione in preparazione. Quando c'era una guerra tra il
Burundi e il Ruanda, i tutsi e gli hutu ruandesi lottavano insieme contro i
tutsi e gli hutu burundesi. Quindi, questi due stati-nazione in preparazione
trascendevano dal riferimento alle etnie. Invece, gli europei hanno seminato
il seme per aizzare gli hutu contro i tutsi che avevano convissuto per ben
quattro secoli, dimostrando di poter essere stabili tra loro. Nel loro
equilibrio e' stato trapiantato il paradigma della gerarchia delle razze. I
belgi sono venuti con questo concetto: prima ci sono i bianchi, dopo i
tutsi, poi gli hutu e i batwa. Cio' ha fatto prendere una coscienza infelice
tra gli hutu e un complesso di superiorita' tra i tutsi, i quali erano gli
unici scelti per ricoprire incarichi di vescovi, ufficiali nell'esercito e
amministratori. Ecco il punto. Penso che le realizzazioni pre-coloniali, che
avevano i loro difetti, sono state distrutte o messe da parte. I
colonizzatori hanno voluto ricostruire da zero facendo tabula rasa, come se
l'Africa non avesse realizzato nulla prima. Adesso e' tardi. Perche' a un
capo di stato che ha imparato ad essere onorato come un dio e' difficile
fargli cambiare idea.
*
- "Solidarieta' internazionale": Qualcuno dice che tutte le ricchezze, i
diamanti, l'oro, ecc., siano una maledizione per l'Africa...
- Joseph Ki-Zerbo: Si', tutto dipende dall'uso che se ne fa. Le risorse
naturali sono delle risorse ma non delle ricchezze. La ricchezza e' gia' un
riferimento all'essere umano. Non ci sono ricchezze di per se'. Il problema
si pone quando tutte le risorse naturali vengono accaparrate da un'unica
persona e vanno considerate quindi delle ricchezze personali. Ho sempre
detto che bisogna trasformare le risorse naturali in ricchezza nazionale.
*
- "Solidarieta' internazionale": Allora il problema e' trasformare la
risorsa in ricchezza?
- Joseph Ki-Zerbo: Si'. Ma vede, ad esempio, e' cio' che diciamo spesso
durante le conferenze: e' il Consiglio di sicurezza che ha nominato un
comitato per fare un rapporto sulle armi nella Sierra Leone, nella Liberia,
e abbiamo trovato tracce delle azioni di Compaore'. Quando si vedono cose
del genere bisogna fare qualcosa ma l'Unione Europea continua ad agire
inosenso contrario. Appena un militare prende il potere non si riconosce lo
stato, ma non appena ci sono alcuni mesi di stabilita' lo  stesso stato
viene riconosciuto. E' una commedia. Non si dovrebbero accettare queste
cose, ma oggi Compaore' viene messo quasi sullo stesso piano di Nelson
Mandela. E' assurdo. Si parla di risorse e di ricchezze quando Compaore'
riceve armi provenienti dall'Europa centrale e da trafficanti francesi o
americani. Armi che poi vengono convogliate in Liberia e in Sierra Leone e
in cambio si ricevono diamanti. Cittadini del Burkina Faso, mandati a
combattere in Liberia a fianco di Charles Taylor, hanno scritto in un
volantino diffuso a Ougadougou: abbiamo lottato la' e ci hanno promesso
denaro in cambio ma non abbiamo riscosso il nostro stipendio; abbiamo
incontrato Taylor e ci ha detto di aver rispettato il contratto dando i
diamanti a Compaore'. Ebbene, non posso garantire che sia la verita' totale
ma, come si dice, non c'e' fumo senza arrosto. Purtoppo, e' la
trasformazione delle risorse in armi per la distruzione del popolo, della
nazione e dello stato. Prima va definito lo sviluppo. E prima ancora bisogna
porre il problema dell'identita'. Chi siamo? Non abbiamo risposta a questa
domanda. Se fosse stata posta all'inizio, forse si poteva fare qualcosa. Se
lo sviluppo e' endogeno si vedrebbe bene che non si puo' sviluppare senza un
minimo di spazio. Nel mondo, oggi, non si puo' fare un'economia industriale
senza un minimo di spazio, di popolazione. Dieci milioni di cittadini del
Burkina Faso corrispondono a 100.000 italiani in termini di potere di
acquisto. Con 100.000 persone e' conveniente edificare un'industria? Per
questo le nostre industrie funzionano al venti per cento. In piu' va detto
che una grande multinazionale produce piu' di dieci-quindici paesi africani.
Le multinazionali, in Africa, stanno rappresentando il potere. Ad esempio,
il direttore generale della Elf a Brazaville conta piu' di un console.
*
- "Solidarieta' internazionale": Quindi il minimo di spazio significa che
bisogna superare gli stati che ci sono adesso...
- Joseph Ki-Zerbo: Non distruggere gli stati ma federarli. Aiutarli a capire
che bisogna negoziare insieme, ossia avere un piano federale di sviluppo e
comprendere che occorre una divisione intra-africana del lavoro industriale,
agricolo e di ricerca scientifica. Su quest'ultimo aspetto gli africani non
possono inventare nulla. E' sulla divisione del lavoro che si puo' fare
molto nel rapporto con l'esterno, L'Africa deve essere in grado di
individuare quale spazio potra' prendere sul mercato mondiale, ma dopo aver
fatto una divisione interna del lavoro economico, seguendo i vantaggi
comparativi di ogni singolo paese. C'e' lavoro per tutti in Africa ma
occorre dividerlo per essere efficaci e competitivi.
*
- "Solidarieta' internazionale": Quindi per prima cosa c'e' il minimo di
spazio come condizione per lo sviluppo?
- Joseph Ki-Zerbo: Si'. Poi c'e' il minimo di conoscenza e di sapere. Cito
un dato allarmante: in Burkina Faso c'e' il settanta per cento di
analfabeti. Si dice che la vera risorsa e' la conoscenza. Tanto per capire,
quelli che usufruiscono dei diamanti sono coloro che detengono la
conoscenza. Quando si parla di minimo di conoscenza, bisogna spiegare questo
concetto e spiegarlo nei particolari. Il minimo di conoscenza e' usare la
lingua africana per l'alfabetizzazione.
*
- "Solidarieta' internazionale": Ma le lingue africane sono numerose...
- Joseph Ki-Zerbo: Non e' una questione di numero, l'importante e'
l'apprendimento. Prendete ogni lingua a parte. In questa specifica lingua
c'e' abbastanza gente che puo' insegnare agli altri a leggere e scrivere.
Perche' si usa il francese? Con quale diritto nel mio paese si usa il
francese per insegnare a leggere e scrivere?
*
- "Solidarieta' internazionale": Si', ma in uno stesso paese ci sono piu'
lingue e quindi e' difficile esprimersi gli uni con gli altri...
- Joseph Ki-Zerbo: Anche in Europa ci sono paesi con piu' lingue. Comunque,
voglio sottolineare che non sono contro il francese. Racconto una mia
esperienza. Dirigevo l'educazione nazionale nel mio paese e abbiamo voluto
introdurre le lingue africane all'inizio di un programma di educazione. Due,
tre anni, come fanno gli anglofoni nel Ghana e nella Nigeria. In questi
paesi c'e' piu' alfabetizzazione rispetto a quelli francofoni perche' la
gente comunica con le lingue africane. Nella lettura e nella scrittura ci
sono tre elementi: suono, segno e senso. Se venite con il francese nel mio
paese, dove nessuno parla questa lingua, e volete insegnare alla gente a
leggere e scrivere, bisogna affrontare tre difficolta', appunto. Ad esempio,
per la parola "padre", la gente non conosce ne' il suono, ne' il segno, ne'
il senso. Nella lingua locale padre si dice "di"; si conosce il suono e il
senso, rimane da imparare solo il segno. E' tutto piu' rapido. Apprendere le
cose in questo modo non esclude lo studio del francese. I bambini riescono
ad imparare due-tre lingue in fretta ma cosi' vengono costretti a una lingua
estranea. Risultato: poca gente apprende il francese e tutti gli altri non
sanno ne' leggere ne' scrivere. Anche nella mia famiglia ci sono persone
analfabete. Non e' possibile. Se avessimo usato la lingua africana la
situazione sarebbe diversa. I nostri fratelli del Ghana stanno meglio di noi
e si svilupperanno piu' in fretta.
*
- "Solidarieta' internazionale": Qual e' la sua lingua?
- Joseph Ki-Zerbo: Si chiama il San ma a me hanno vietato di impararla.
Cosi' parlo bene il francese ma quando parlo nella mia regione mi vergogno
del mio livello di conoscenza, elementare, della lingua materna.
*
- "Solidarieta' internazionale": Ha parlato di Compaore' e di tutte quelle
attivita' legate alle armi e ai dimanti, e ha detto che l'Unione Europea fa
come se niente fosse. Allora, a partire dai nostri politici, cosa deve fare
l'Unione?
- Joseph Ki-Zerbo: C'e' un approccio repressivo e uno positivo. Il primo e'
quello di essere inflessibili sulla questione dei diritti umani. Quando le
tv dicono che ci sono popoli interi che vengono presi in ostaggio dai
signori della guerra, bisogna essere categorici e dire che il diritto di
ingerenza e' stato applicato male. Bisogna studiare un po' meglio questo
diritto di ingerenza, cioe' la controparte della non assistenza ai popoli.
Spesso, quando si danno sanzioni non si e' giusti e non si punisce allo
stesso modo. E' certo che gli Stati Uniti applicano le sanzioni in modo
iniquo e unilaterale. Con Israele, ad esempio, non si agisce come si e'
fatto con l'Iraq.

4. RIFLESSIONE. JOSEPH KI-ZERBO: IL PROBLEMA ALIMENTARE NEL CONTINENTE
AFRICANO
[Dal sito www.cipsi.it riprendiamo la seguente intervista a Joseph Ki-Zerbo
apparsa nella rivista del Cipsi "Solidarieta' internazionale" (mancano
ulteriori indicazioni)]

E' da tutti riconosciuto come il piu' grande storico africano. Si puo' dire
che intere generazioni di studenti africani si sono formati sui suoi testi.
Curatore della grande storia dell'Africa dell'Unesco, Joseph Ki-Zerbo, con
l'esperienza e la pacatezza che gli derivano dall'eta' e dalla saggezza, e'
una delle grandi personalita' che l'Africa, pur con tutti i drammi che sta
vivendo, sa esprimere e valorizzare.
*
- "Solidarieta' internazionale": La fame e la poverta' in Africa hanno una
caratteristica particolare? Quali sono le radici storiche che spiegano
l'attuale situazione del continente?
- Joseph Ki-Zerbo: Innanzitutto quello che viene definito "patto coloniale".
E' stata imposta all'Africa l'agricoltura per la rendita e l'esportazione, a
scapito di quella per la sopravvivenza. Ci hanno impedito di piantare
fagioli, legumi, sementi per il nutrimento, e ci hanno obbligati a piantare
caffa', cacao, cotone. E ancora: le monoculture, per esempio quella delle
arachidi in Senegal, e la concentrazione della ricerca sulle colture per
l'esportazione. Ci sono poi la deforestazione e la desertificazione. La
deforestazione e' dovuta alla mancanza di energia. Le energie non
rinnovabili sono care. In piu' le foreste tropicali sono sfruttate per il
grande mercato internazionale senza tener conto delle conseguenze. Anche la
disintegrazione familiare contribuisce alla fame. Prima c'erano maggiori
possibilita' perche' c'erano grandi distese di campi. Ma la famiglia
mononucleare non ha il terreno sufficiente per questo. La grande famiglia
patriarcale africana era un modalita' che aiutava a sconfiggere la fame. Non
credo invece che sia causa della fame la crescita demografica. Io sostengo
il contrario: e' la poverta' che spinge alla crescita demografica. Infine va
fatta una nota sugli aiuti alimentari che spesso hanno destabilizzato le
culture tradizionali africane e creato una mentalita' da elemosina.
*
- "Solidarieta' internazionale": Che ruolo ha l'economia informale per
venire incontro alle necessita' di sopravvivere di coloro che vanno a vivere
nelle grandi periferie urbane?
- Joseph Ki-Zerbo: Gioca un ruolo ambiguo. L'informale si trova a monte e a
valle del formale. A monte perche' mette insieme i materiali per
l'industria. A valle perche' tutti gli avanzi del commercio e dell'economia
formale sono recuperati dall'economia informale. Sparisce in questo modo
l'economia tradizionale. L'economia informale rende sopportabile l'economia
globalizzata. Succede cosi' che un po' alla volta la cultura si trasforma e
viene ferita dall'economia informale per adattarla alla situazione
particolare in cui la gente si trova, e per permetterle di subire il dominio
dell'economia globalizzata. Quelli che, ad esempio, qui chiamiamo "Les
Restaurants par terre": ristoranti di strada che sono nello stesso tempo
causa ed effetto del fatto che sta sparendo la tradizione. Prima, quando
qualcuno veniva dalla campagna alla citta', andava a mangiare sempre a casa
di parenti e non al ristorante. Ora invece un gran numero di questi
ristoranti dell'economia informale, gestiti da donne, sono divenuti una
sorta di catena che spinge la gente a mangiare fuori casa. Lo stesso vale
per le "librerie di strada", dove tutte le riviste recuperate dal formale
sono vendute per strada. Cosi' pure le "farmacie di strada" che sono
portatrici di medicine di scarto, e che rischiano di far perdere la grande
tradizione farmacopeica africana. Certo, l'economia informale permette a
tanta gente di sopravvivere. Permette a tanti di mangiare a basso costo
senza dover spendere in trasporti per tornare a casa a mangiare, ma
trasforma di fatto la cultura africana. Ha anche degli aspetti negativi. La
qualita' del cibo, ad esempio, non e' buona. Poi le donne non hanno piu' il
tempo di preparare i condimenti tradizionali e rimediano dall'economia
globalizzata i prodotti per i condimenti. Un po' alla volta la tradizione
africana viene definitivamente intaccata.
*
- "Solidarieta' internazionale": Le donne africane hanno un ruolo
particolare nella lotta contro la fame e per l'alimentazione?
- Joseph Ki-Zerbo: Le donne occupano un ruolo fondamentale nelle produzione
del cibo, sia in campagna che in citta'. Si puo' anzi dire che in Africa la
produzione di cibo e' al femminile. Le donne hanno anche un ruolo nel
trasporto del cibo. La logistica alimentare e' anch'essa lavoro delle donne.
Ma le donne hanno soprattutto un ruolo nella preparazione del cibo. Sono le
donne che danno "valore aggiunto" al cibo con la sua preparazione e la sua
trasformazione per conservarlo. Ad esempio, attraverso l'energia solare e'
possibile seccare il mango, per poterlo conservare. Cio' da' valore aggiunto
al prodotto. Tutte queste cose, compreso il trasporto dell'acqua che in
Africa e' importantissimo, sono compito delle donne. Si puo' dire che
giocano un ruolo fondamentale nell'alimentazione, anche se la loro
collocazione sociale le limita, soprattutto per quanto riguarda la
proprieta'.
*
- "Solidarieta' internazionale": Esiste un nesso tra alfabetizzazione, fatta
in lingua locale, e capacita' di reazione alla fame?
- Joseph Ki-Zerbo: Va fatta un'alfabetizzazione che chiamerei "funzionale".
Bisogna partire dai temi che aiutano a conoscere bene l'economia quotidiana.
Si puo' prendere come argomento per apprendere a leggere e a scrivere la
cultura di sopravvivenza, oppure l'acqua, ecc., da cui partire per insegnare
ai contadini a leggere e scrivere. L'alfabetizzazione aiuta poi la
produzione. Se il contadino sa leggere, allora sa anche usare i concimi e i
fertilizzanti, senza dover ricorrere ad altri. E cio' e' molto importante
per valorizzare il lavoro dei contadini. In piu' la cultura scritta permette
di tramandare i saperi tradizionali, e quindi procedere all'accumulazione
delle conoscenze dei contadini: altrimenti, con la sola tradizione orale, ci
sono perdite considerevoli. Cio' vale anche per la diffusione dei saperi
che, solo con la tradizione orale, rischiano di disperdersi.
*
- "Solidarieta' internazionale": Signor Ki-Zerbo, lei parla di unita'
africana come unica via per risolvere i problemi africani. C'e' un legame
tra questa necessita' di unita' e il diritto all'alimentazione?
- Joseph Ki-Zerbo: Il fatto di avere un grande mercato interno africano
valorizza la produzione dei contadini. Se si forma un mercato libero piu'
grande e' possibile distribuire meglio la produzione. Cio' porta allo
scambio di saperi e di tecnologie e a una divisione piu' scientifica del
lavoro, senza dover sempre produrre tutto dappertutto. Per esempio si
potrebbe dividere in maniera scientifica il lavoro tra le zone del Sahel e
le zone delle foreste. In questi giorni, ad esempio, la Costa d'Avorio ha
dovuto importare carne dall'Argentina. Ci fosse stato un mercato libero e
una maggior collaborazione nella produzione, si sarebbe potuto pianificare
meglio la produzione senza dover ricorrere spesso a importazioni da altri
continenti.

==============================
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 105 del primo aprile 2007

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html
e anche alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it