Nonviolenza. Femminile plurale. 92



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 92 dell'8 marzo 2007

In questo numero:
1. Maria Grazia Campari: Una democrazia per due
2. Un dialogo tra Lea Melandri e Stefano Ciccone
3. Barbara Mapelli presenta "Hannah Arendt. Pensare il presente" di
Donatella Bassanesi

1. RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: UNA DEMOCRAZIA PER DUE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento del primo
marzo 2007.
Maria Grazia Campari e' una prestigiosa giurista e intellettuale femminista,
impegnata nei movimenti per la pace e i diritti]

Intervengo riprendendo alcuni concetti che sono ampiamente dibattuti fra i
giuristi, cercando di allargare lo sguardo, secondo una prospettiva
femminista.
Mi riferisco al concetto di democrazia costituzionale come democrazia
limitata, conscia del limite, mai statica, che non nega il conflitto
(Dogliani).
Un'auspicabile democrazia costituzionale, quindi, autorizza il conflitto,
non soffoca e sterilizza i soggetti, e' capace di dare forma a contenuti
vari. Rappresenta un incentivo alla partecipazione, costituisce utile freno
allo slittamento verso forme oligarchiche di democrazia (Azzariti).
Occorre, allora, praticare in radice la scienza del limite; non e' piu'
ammissibile, e da tempo, relazionarsi ai problemi dell'assetto democratico,
parlando per e di tutti gli uomini ("i diritti dell'uomo" espressione
comprensiva di tutte le donne), occorre scomporre l'umanita' nei due
soggetti sessuati e registrare come essi parlino e agiscano un'esperienza
che e' comune e, contemporaneamente, anche diversa.
Questi temi appartengono ad un dibattito femminista, rimasto per anni
alquanto offuscato.
Abbiamo spesso dovuto constatare la grande distanza che separa le donne dai
luoghi della decisione politica ed economica, la loro assenza dalle
istituzioni definite rappresentative, con il risultato che la irrilevanza
della loro presenza le esclude, di fatto, dalla elaborazione delle regole
che costituiscono l'ordine giuridico condiviso, perno della democrazia.
E' come se la costituzione materiale di questo Stato fosse governata da una
discriminazione nei confronti delle cittadine, impedite nell'esercizio
dell'elettorato passivo (possono votare chi le rappresenti, scarseggiano le
opportunita' di essere a loro volta rappresentanti).
Si e' venuta determinando una forma particolare di "democrazia" basata
esclusivamente sul sesso maschile, una democrazia monosessuata e
discriminatoria per il soggetto femminile, una democrazia sostanzialmente
a-partecipata, una oligarchia a-democratica. La situazione e' penalizzante
per tutti, come risulta evidente dall'attuale, infelice stato di cose,
rispetto al quale occorre cercare una modificazione possibile.
Secondo me, la ricerca di piste in uscita da questa situazione, pesantemente
costrittiva per molte vite singole e associate, rende necessario un
dibattito che favorisca il confronto con i soggetti portatori di prospettive
critiche sulle politiche in atto e sulla cultura sottesa. Cio' significa in
primo luogo desistere dalla "conventio ad excludendum" delle donne dalla
sfera pubblica.
Mi riferisco, quando parlo di soggetti portatori di una visione critica
dell'esistente, in particolare ad alcune (sperabilmente numerose) donne che
hanno elaborato culture antagoniste rispetto al conformismo alla tradizione
patriarcale.
Come ormai dovrebbe essere chiaro, la loro esclusione ha il senso preciso di
amputare il tessuto democratico partecipativo in favore di una visione
egemonica della democrazia, quella stessa che produce i notevoli guasti
attuali.
Con questa precisazione: la limitazione di cio' che sara' ammesso a far
parte della sfera pubblica, la frattura dicotomica fra eletti ed esclusi non
e' certo meno grave allorche' gli eletti si presentano sulla scena,
arrogandosi il diritto di parlare in nome e per conto degli esclusi,
assimilandoli e dettando in loro vece un programma, elaborato principalmente
mettendoli a tacere.
Non e' lecito pensare alla democrazia come ad una mensa imbandita di
sostanze precotte, pronte per il consumo.
Il concetto di democrazia ha, invece, il senso del dialogo: un esporsi
all'altro per un confronto incessante che apre al conflitto per la
modificazione, anche e prioritariamente la modificazione di se', nel legame
sociale che riconosce a se' e all'altro responsabilita' per la vita
collettiva.
Vediamo un aspetto sbagliato di assimilazione, una palese mancanza del senso
del limite, nel comportamento attuale del soggetto maschile che monopolizza
la sfera decisionale nella polis.
*
Questo approccio critico trova un riscontro non occasionale nel dibattito
sui temi della rappresentanza e delle unioni di fatto (Pacs o Dico) in corso
a Milano nelle assemblee di "Usciamo dal silenzio".
I due temi sono interconnessi.
Come si e' detto, le unioni civili, di mutuo aiuto o patti civili di
solidarieta', si inseriscono in un contesto giuridico ancora di stampo
patriarcale, la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.), connotata
per la donna in senso illiberale, nella quale e' auspicabile che un nuovo
istituto svolga una funzione diversificante, che apra per tutti spazi di
liberta', dando effettivita' ai valori progressivi dei principi fondamentali
della Costituzione repubblicana (artt. 2 e 3 Cost.).
Come conseguenza auspicata, il privato dovrebbe cessare di costituire per le
donne uno spazio obbligato di illiberta', di assoggettamento alle necessita'
del nucleo famigliare.
La sfera domestica dovrebbe cessare di essere contrassegnata dalla
privazione che vede la donna servente; il privato non piu' sfera della
privazione, consentira' una ridefinizione dell'entrare in politica
attraverso la ridefinizione del gioco reciproco delle due sfere (privato e
pubblico) e del ruolo reciproco di donne e uomini.
Questa ridefinizione dell'entrare in politica potra' avvenire ad opera di
donne per le quali il privato cessera' di essere sfera della privazione.
Se le donne non servono la necessita' del privato, l'assoluta liberta'
maschile rispetto ai vincoli materiali viene meno, con ricadute positive
sulla regola costitutiva e organizzativa della politica (Gianformaggio).
Le fila del ragionamento risultano strettamente collegate: la fine della
irresponsabilita' maschile rispetto al privato puo' concorrere a determinare
la fine del monopolio maschile rispetto alla cosa pubblica.
*
Per questo fine penso si dovra' dare avvio anche ad un'opera di attuazione
costituzionale, con particolare riferimento agli artt. 49 e 51, varando
provvedimenti capaci di ricollocare nel quadro della rappresentanza le
questioni della partecipazione democratica delle minoranze e della
"democrazia per due".
L'art. 49 Cost. assegna ai partiti il compito di determinare, con metodo
democratico, la politica nazionale. Per il principio di non contraddizione,
la realizzazione del programma costituzionale esige che la vita interna e la
struttura di tali partiti sia disciplinata da regole democratiche
legislativamente determinate, ostensibili e pubblicamente verificabili: e'
quindi necessaria una legge ad hoc (che manca da sessanta anni).
L'art. 51 determina la possibilita' di accesso a tutte le cariche pubbliche
per tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso, impegnando la Repubblica
a promuovere con appositi provvedimenti le pari opportunita' fra donne e
uomini.
Questi provvedimenti mancano totalmente, non sono all'ordine del giorno ne'
in programmi di partito, ne' in alcun dodecalogo governativo.
L'ipotesi che mi sembra piu' ragionevole e' quella formulata anche nelle
assemblee di "Usciamo dal silenzio": le liste di candidatura per le cariche
elettive dovranno prevedere una presenza numericamente paritaria in
posizione alternata secondo l'ordine alfabetico, di donne e di uomini (50 e
50).
Analogamente, la designazione di donne a tutte le cariche in strutture
politiche, economiche, giurisdizionali (Governo, Consiglio nazionale
dell'economia, Consiglio superiore della sanita', Banca d'Italia, Consiglio
superiore della magistratura, Corte costituzionale, etc.) dovra' essere tale
da conseguire in prospettiva ravvicinata nel tempo la presenza paritaria di
persone dei due sessi.
Non e' questione di quote, evidentemente, ma di presenze che costituiscano
proiezione proporzionale al numero delle donne presenti nella societa'.
Per l'effettivita' delle previsioni, sara' necessario determinare precise
azioni a tutela e sanzioni da infliggere nei casi di violazione
dell'obbligo.
Del resto, l'adozione di misure speciali temporanee e l'approvazione di una
legge attuativa dell'art. 51 Cost per aumentare immediatamente il numero di
donne aventi cariche politiche e pubbliche, e' quanto sollecita il Comitato
europeo per l'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, in base
alla Convenzione omonima, ratificata da ultimo nel settembre 2000. Le
raccomandazioni del gennaio/febbraio 2005 sono  rimaste puntualmente
inattuate.
Una presenza organizzata di donne sulla scena politica, mi pare, allora,
necessaria per conseguire situazioni che ci pongano finalmente al livello
della decenza europea.
Non a caso il Trattato istitutivo di una Costituzione per l'Europa prevede
agli articoli 45 e 46 principi di democrazia rappresentativa in uno con
principi di democrazia partecipativa.
A queste previsioni spetta anche a noi di dare corso, nei fatti.
Democrazia e' un concetto che implica una pratica, quella di liberta' di
partecipazione per tutte/i, cio' che significa prendere parte ai processi
decisionali che governano la vita di ognuno. E' quindi necessario che alla
valutazione delle priorita' partecipino diversi portatori di istanze
differenziate.
E' possibile, in tal modo, contribuire alla ridefinizione della cittadinanza
come plurisoggettiva, cosmopolita, condivisa con l'altra/o, diversa/o
rispetto al cittadino della tradizione borghese patriarcale.

2. RIFLESSIONE. UN DIALOGO TRA LEA MELANDRI E STEFANO CICCONE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente colloquio pubblicato
sul supplemento "D" del quotidiano "La Repubblica" il 24 febbraio 2007 col
titolo "Maschi violenti addio?".
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, Manifestolibri, Roma 1997;
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa
del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby
Dick 1996; Una visceralita' indicibile, Franco Angeli, Milano 2000; Le
passioni del corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2001. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'".
Stefano Ciccone, coordinatore del Parco scientifico dell'Universita' degli
studi di Roma "Tor Vergata", intellettuale e militante della sinistra
critica, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una
profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita'
sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e
delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei
movimenti delle donne; e' uno dei promotori dell'appello "La violenza contro
le donne ci riguarda"]

Nonostante che la violenza contro le donne appartenga da sempre alla cronaca
quotidiana, e che da anni sia ampiamente documentata dai rapporti di
autorevoli organizzazioni internazionali, come l'Onu, il rapporto tra i
sessi stenta in Italia a prendere la rilevanza che merita. Non mancano
tuttavia uomini che singolarmente, in gruppi o associazioni, hanno
cominciato a chiedersi che cosa ha significato finora "essere virili", da
dove nasce l'aggressivita' maschile che investe sia la sfera privata che
pubblica, quali costi comporta per l'uomo costruirsi quella maschera di
forza, sicurezza, dominio, che dovrebbe renderlo ben accetto alla comunita'
dei suoi simili. L'ho chiesto a Stefano Ciccone, coordinatore del Parco
scientifico dell'Universita' degli studi di Roma "Tor Vergata", autore,
insieme ad altri, di un "Appello di uomini contro la violenza".
*
- Lea: Tu sei uno dei promotori del gruppo "Maschile plurale", che esiste
gia' da diversi anni e di cui fanno parte uomini di diversa eta', cultura,
orientamento sessuale. Lo scopo del gruppo e' interrogare la maschilita', a
partire dalla propria esperienza, e vedere se si puo' cominciare a costruire
un maschile diverso. Nel tuo caso, quali sono state le motivazioni piu'
forti, che ti hanno spinto a intraprendere questa riflessione critica?
- Stefano: La molla iniziale e' stata certamente una spinta etica: di fronte
a forme evidenti di violenza, di oppressione, non si puo' fare a meno di
chiedersi quale sia la propria idea di civilta', di rapporti tra persone
diverse, e assumersene la responsabilita'. Ma il valore e il senso della
nostra esperienza e' stato proprio nell'andare oltre e scoprire che dietro
il "dovere" della denuncia c'era il mio desiderio di liberta' verso un
modello maschile imposto socialmente. Altre ragioni vengono dalla mia
esperienza familiare: non riuscire a trovare negli altri uomini, nel loro
modo di essere, di comportarsi, una fonte di senso per me. Ho visto in mia
madre un modello di donna molto forte, autorevole, che negava pero' per
questo la sua femminilita', e un uomo, mio padre, che viveva questo in parte
come una frustrazione. Si interrompeva una genealogia maschile: veniva da
una famiglia contadina abruzzese, lui, il primogenito di dieci figli. La sua
voce che si alzava durante la cena di Natale non era che una parvenza di
autorita'. D'altra parte, per il mio impegno politico, mi sono trovato a
rivestire comunque ruoli maschili molto forti: ero il leader della mia
classe, quello che parlava in assemblea. Cio' nonostante, ho vissuto una
condizione di solitudine fin dalle elementari, rispetto ai comportamenti
competitivi tra maschi, e rispetto alle donne, che mi sembrava avessero tra
loro una qualita' di relazione piu' autentica.
*
- Lea: In un tuo articolo, uscito sulla rivista "Pedagogika" (gennaio 2003),
parlavi della "miseria" della sessualita' maschile, di un disagio dell'uomo
nel rapporto col corpo, e li collegavi in particolare alla marginalita'
maschile nel processo riproduttivo. Il potere che gli uomini hanno riservato
al proprio sesso nella vita pubblica andrebbe a coprire un vuoto, un senso
di precarieta' e insicurezza legate alla vicenda della nascita. Mi chiedo
pero' se, insieme all'invidia per la potenza generativa femminile, a
spingere l'uomo a differenziarsi, a esercitare un dominio sulla donna, non
sia anche il tentativo di cancellare quella originaria appartenenza intima
al corpo materno.
- Stefano: Quando parlo della precarieta' della virilita', intendo proprio
questo: il fatto che mi venga detto che, rimanendo troppo attaccato alle
gonne della madre, in un rapporto fusionale con lei, non diventero' mai un
uomo, un maschio. Vuol dire che la virilita' non e' mai fondata sul tuo
corpo, ma e' qualcosa che devi costruire socialmente, anche negando il tuo
corpo, e la corporeita' in generale. Questo immiserisce l'esperienza che
posso farne.
*
- Lea: Non credi che questo rapporto dell'uomo col proprio corpo non sia
legato anche al fatto che esso resta, nell'immaginario maschile, il corpo da
cui si nasce e con cui si e' stati tutt'uno? L'identificazione della donna
con la natura, l'animalita', non puo' essere anche l'elemento che ha spinto
l'uomo a differenziarsi, a pensare di essere "altro" dal corpo?
- Stefano: Il corpo femminile non e' solo corpo materno, luogo di cura e di
accoglienza. Per me e' importante scoprire che e' anche corpo desiderante.
Posso costruirmi come uomo proprio riconoscendo che esiste un altro
desiderio. Se quella che ho davanti e' una persona, con propri desideri,
anch'io sono costretto a guardarmi, a vedere il mio corpo come un territorio
che viene esplorato, a entrare in una relazione con l'altra. La paura della
fusionalita' e' certamente uno degli elementi fondamentali del maschile,
soprattutto perche' e' un'esperienza preclusa alla mia umanita'. Io non
saro' mai il corpo che accoglie, contiene: posso essere solo il corpo che si
emancipa da quel legame. Una delle difficolta', che sta nell'esperienza di
un uomo, e' tenere insieme tenerezza e desiderio, intimita' e passione. Le
due cose spesso si confondono. Ma tenere insieme amicizia, tenerezza,
attenzione reciproca e passione erotica non e' facile. Questa scissione che
gli uomini vivono dentro di se', che li porta a pensare la sessualita' come
sfogo lontano dalle relazioni o a non riuscire a vivere il desiderio in una
relazione stabile produce una miseria nella nostra esperienza sessuale ed
affettiva. Il mio percorso e' per me un tentativo di uscire da questa
miseria.
*
- Lea: Non c'e' dubbio che oggi la crisi del maschile e' in parte dovuta
alla maggiore liberta', autonomia e autorevolezza delle donne: molti omicidi
sono legati alla decisione della donna di separarsi. E' come se, nel momento
in cui la donna non e' piu' a sua disposizione, obbediente e remissiva,
l'uomo realizzasse la sua dipendenza, la sua fragilita' e incompletezza. Ma
mi chiedo se non sia ugualmente intollerabile la posizione di figlio, che si
protrae nella vita amorosa adulta, nel momento in cui una moglie, un'amante,
si trasforma in madre. Non e' questa forse la causa della litigiosita',
dell'insoddisfazione, dei tradimenti che attraversano la vita coniugale?
- Stefano: Soprattutto favorisce la tendenza a dimenticarci di noi come
uomini. La ricerca di una donna che diventa tua madre, che si prende cura di
te, e' legata al tuo modo di proiettarti nel mondo, fare carriera, far
politica, scrivere, e quindi dimenticare la cura di te stesso, dal momento
che la deleghi a un altro, a qualcuno che ti lavera', stirera' le camicie.
Gli uomini si pensano liberi, finche' non scoprono questa dipendenza. Ma e'
vero che c'e' anche l'insopportabilita' per una donna che ti abbandona, che
non significa solo perdere la persona che ti lava le camicie, e neanche solo
una relazione. E' un'esperienza che incrina la tua identita', la tua
autorevolezza. Andare al bar del paese e dire che tua moglie ti ha lasciato,
ti fa diventare un mezzo uomo, intacca la tua dimensione sociale. Io sono
colpito dal fatto che tutti i fenomeni legati alla dipendenza siano molto
maschili. Penso all'alcolismo, alla droga. Ho visto, in molti casi anche a
me vicini, la fragilita' tramutarsi in arroganza verso la persona da cui
dipendi e contro cui puoi fare tutto: insultarla, trattarla male. Quella
violenza che ha una parvenza di forza e' paradossalmente misura della tua
dipendenza, come con la propria madre.
*
- Lea: La crisi del maschile ha avuto, nel corso della storia, per esempio
all'inizio del '900, dei riflessi tragici sul piano della vita sociale:
trionfo di una virilita' guerriera, bisogno di appartenenza a una
collettivita' maschile coesa, come la razza, la nazione, l'esercito,
richiesta di ordine e dell'autorita' di un capo, contrapposizione di una
civilta' all'altra. Non ti sembra che oggi stia succedendo qualcosa di
simile?
- Stefano: Assolutamente si'. Penso che questa sia una chiave per capire
quanto i diversi nazionalismi e integralismi, anziche' essere tra loro
irriducibili, siano in realta' declinazioni diverse di una stessa matrice,
patriarcale, maschile. Tu prima parlavi della unione originaria col corpo
materno. Nella mia esperienza, diversa da chi e' andato in trincea durante
la prima guerra mondiale, ho comunque vissuto l'attrazione del potersi
fondere col corpo degli altri maschi, un corpo collettivo di simili. Ricordo
l'esperienza, che facevo alle elementari, di uscire da scuola e gettarmi nel
mucchio dei compagni, dove si perdono i propri confini e ci si sente forti
di qualcosa a cui hai affidato la tua identita'. Se questo e' vero, allora
non ha senso dire che questi fenomeni non ci riguardano, che sono cascami
del passato, retaggio di culture arcaiche.
*
- Lea: Virginia Woolf, che pure ha criticato a fondo e con tanta lucidita'
il dominio di un sesso sull'altro, ha riconosciuto anche quanto sia
fastidioso "pensare un sesso indipendentemente dall'altro", quanto questa
consapevolezza ormai inevitabile interrompa un bisogno di armonia, quello
che io chiamo il "sogno d'amore", o, come dice la Woolf, il "matrimonio dei
contrari". Se l'attrazione reciproca, la seduzione, sono cosi' legate alle
figure complementari del maschile e del femminile, che fine fa l'amore
quando lo si guarda con tale disincanto? Agli uomini che si interrogano
sulla loro identita' sessuale succede, come a molte donne che oggi hanno
piu' coscienza di se', piu' autonomia da modelli tradizionali, di essere
sentimentalmente sole?
- Stefano: A me e' successo spesso di non riuscire a costruire relazioni, o
di vivere relazioni che entravano in crisi perche' tendevo a fare confusione
tra il linguaggio dell'intimita' e quello dell'amore, dell'erotismo. Per me,
come per molti uomini, e' difficile tenere insieme l'immaginario su cui si
costruisce il desiderio e i rapporti che vivo. Mi puo' capitare di vivere
come contraddittorie le fantasie per cui mi piace una particolare donna, che
puo' corrispondere allo stereotipo della donna bella, e che in quel modo di
essere bella evoca l'"essere oggetto", la mancanza di autorevolezza. La
pressione degli stereotipi, maschili e femminili, e' fortissima. L'omofobia
e' prima di tutto un avvertimento del baratro in cui come uomo puoi
precipitare, se non ti attieni a certi canoni. Molti ci dicono: "Voi siete
quelli che hanno scoperto la loro parte femminile", come se esistesse
un'essenza femminile, che e' la cura, la sensibilita', e una maschile, che
e' la forza, la disciplina, il coraggio. Non condivido questa logica, ma
ritengo altrettanto illusorio pensarsi come individui astratti, senza un
corpo, una storia legata all'identita' di generi precostituiti. Nel mio
immaginario io sento ancora una forte subalternita' a modelli acquisiti, e
quindi il bisogno di uno scavo dentro di se', nelle formazioni inconsce. Il
percorso che faccio con gli altri uomini si basa proprio su questo scavo
comune su questo sguardo reciproco.

3. LIBRI. BARBARA MAPELLI PRESENTA "HANNAH ARENDT. PENSARE IL PRESENTE" DI
DONATELLA BASSANESI
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione del libro
di Donatella Bassanesi, Hannah Arendt. Pensare il presente, Edizioni della
Libera universita' delle donne, Milano 2006 (per richieste:
universitadelledonne at tin.it).
Barbara Mapelli e' nata a Milano l'8 settembre 1947, sposata e madre di un
figlio, svolge da anni attivita' di progettazione formativa e ricerca
sociopedagogica, con particolare attenzione alle tematiche di genere; in
questo ambito ha partecipato e diretto la progettazione e realizzazione di
ricerche e iniziative di formazione italiane ed europee. Insegna Pedagogia
della differenza di genere presso la seconda Universita' di Milano-Bicocca.
Ha collaborato con il Ministero pari opportunita', divisione scuola e
cultura, ha fatto parte per dieci anni del Comitato pari opportunita' del
Ministero pubblica istruzione e ha diretto, dal 1987 al 2000, l'area di
ricerca Genere e educazione presso il Cisem (Istituto di ricerca della
Provincia di Milano). Fa parte della redazione della rivista "Adultita'" e
su questa ed altre riviste specializzate ha pubblicato articoli e saggi;
collabora a numerose riviste di pedagogia e ha diretto la progettazione e
realizzazione di video didattici sulle tematiche oggetto delle sue ricerche.
Tra le pubblicazioni di Barbara Mapelli: Immagini di cristallo. Desideri
femminili e immaginario scientifico, Milano, 1991; Un futuro per le ragazze.
Manuale di orientamento al femminile, Firenze,1991; Sentimenti, gesti,
parole, Milano, 1992; I modelli e le virtu', Milano, 1994; Desideri e
immagini di futuro, Milano, 1994; Care, carissime donne, Roma, 1995; Tra
donne e uomini, Milano, 1997; Educare alla sessualita', Firenze, 1998; Il
libro della cura, Torino, 1999; Scuola di relazioni, Milano, 1999; Cuore di
mamma, Milano, 2000; Orientamento e identita' di genere, Firenze-Milano,
2001.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
’anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell’edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004, e la recente Antologia, Feltrinelli,
Milano 2006. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di
Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra
gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995;
Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?,
Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma
1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli,
Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto
Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt,
Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina,
Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi le
gge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco
apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek
bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen
2000.
Donatella Bassanesi, docente, saggista, pittrice, vive tra Milano e Venezia,
laureata in design a Venezia, studi di filosofia a Milano; ha insegnato
grafica presso la Scuola del Libro della Societa' Umanitaria di Milano; ha
insegnato nei corsi monografici delle 150 ore a Milano, e nella Libera
universita' delle donne di Milano, conducendo analisi sulla citta', a
partire dall'esperienza e dal pensiero delle donne; insegna oggi nei corsi
della Libera universita' delle donne, intorno alle questioni dell'arte. Tra
le opere di Donatella Bassanesi: Donne di Picche, Salamandra; Mie belle
signore, Regione Lombardia; Spazio-tempo, Lud; Le porte della citta', Lud;
Rosso - la terra, l'ombra, Lud; Foto di gruppo in un quartiere, Comune di
Milano; Hannah Arendt. Pensare il presente, Lud, Milano 2006]

Mi colpiscono, subito, appena inizio a leggere, le scelte di linguaggio,
ritmo, equilibri tra commenti e citazioni. Spesso periodi brevi, con
passaggi da una proposizione all'altra talvolta temerari, seguendo fili
logici esistenti, ma anche osati come i fili su cui camminano gli acrobati.
Parlo innanzitutto della forma di questo testo perche' per prima si e'
imposta alla mia attenzione, ma mi sono trovata molto rapidamente a mio
agio, se pure a contatto con una scrittura cosi' differente dalla mia. L'ho
apprezzata per tanti motivi, e non solo formali: ho imparato ben presto, ad
esempio - e il merito penso non sia solo mio evidentemente, visto che non mi
accade con tutti i libri - pur seguendo il motivo interpretativo che
Donatella propone, a consentirmi letture a lato, scarti e sospensioni,
riprese e ritorni, una e piu' ricerche personali, lasciandomi affondare "in
quella fessura del tempo che e' non-tempo - il luogo temporale piu'
appropriato per il pensiero". E, riprendendo ancora le parole di Arendt, ho
potuto nella lettura - e sono grata alle scelte di Donatella - ritrovarmi
spesso nel discorso che da tempo, ma non da sempre, ho imparato a tessere
con me stessa. "Dal momento che il pensiero e' il silenzioso dialogo tra me
e me stessa, devo preoccuparmi di preservare l'integrita' di questo partner,
poiche' altrimenti perderei sicuramente del tutto la capacita' di pensare".
Insomma ho potuto, e questa e' per me la piu' grande qualita' che si possa
attribuire a un testo, tradire l'autrice, abbandonarla, pur seguendo le sue
parole, con la certezza rassicurante che l'avrei, quando avessi voluto,
ritrovata.
D'altronde questo mio percorso nel percorso del libro corrisponde, credo,
alle intenzioni stesse di Donatella, quando scrive: "Il passaggio che ci ha
colpito, il frammento non l'abbiamo scelto perche' e' il migliore.
Semplicemente si e' fatto notare, si e' imposto all'attenzione, ci riguarda
piu' direttamente e ci colpisce". O ancora, quando parla della
provvisorieta' dell'interpretazione, dello "scarto che ogni interpretazione
compie distanziandosi da ogni altra, per il quale c'e' una parte del
pensiero che rimane nascosta, una parte che non e' ancora stata pensata (ma
potrebbe essere pensata)...". Provvisorieta' che appartiene anche alla
persona che legge: se un testo sa generare pensiero non cessa di suggerire
dopo le prime letture, da' molto ancora, qualcosa che puo' essere differente
nel tempo, secondo quanto si cerca e, soprattutto, si e' disposte a trovare.
*
E allora, brevemente, in forme necessariamente spezzate, voglio raccontare
qualcosa tra quanto ho trovato, qualcosa che evidentemente c'era gia' in me
e la lettura ha fatto emergere, ha espanso, approfondito, offrendo altre
direzioni o la possibilita' di inventarle.
Innanzitutto la scelta delle tre grandi scansioni del libro: la biografia, i
percorsi nel pensiero attraverso ampie citazioni dalle opere, le relazioni
di Hannah Arendt narrate con un breve racconto e scelte dalle lettere.
Inizio da queste ultime per sottolinearne, almeno, due qualita', piu' una
generale che e' anche una scelta di fedelta' al pensiero della filosofa: "la
presenza di altri, che vedono cio' che vediamo e odono cio' che udiamo ci
assicura della realta' del mondo e di noi stessi". Le relazioni sono questa
realta', di noi, del mondo, sono la garanzia dell'azione nel mondo, della
trasformazione, del senso della novita' di ogni nuova nascita, garanzia, o
piu' semplicemente, possibilita' del discorso su noi, su me, su me nel
mondo, poiche', cosi' interpreto cio' che scrive Donatella, "quando si
riduce la capacita' di discorso (che e' con altri) si riduce il nostro
mondo".
Ma le relazioni della filosofa presentate dall'autrice hanno, dicevo, due
qualita'. Sono assolutamente eterogenee, in modo quasi scandaloso,
spiazzanti e generative: prima l'amica, poi i due grandi pensatori/maestri,
cosi' diversi anche nel rapporto con Arendt. E poi l'incontro con Rahel
Varnhagen, la donna ebrea del XVIII secolo, la cui biografia diviene
esemplare poiche' esplicita la possibilita' del valore filosofico di
un'analisi dell'esperienza, per "dimostrare che sul terreno dell'ebraicita'
puo' crescere una determinata possibilita' di esistenza, da me indicata, in
via del tutto provvisoria e approssimativa, come adesione al destino (...).
Tutto questo (...) il destino, il trovarsi in una posizione esposta, o
quanto altro si puo' dire della vita non posso dirlo in astratto (...) ma
tutt'al piu' suggerirlo attraverso esempi. Proprio per questo voglio
scrivere anche una biografia".
E poi ancora Eichmannn, incontro reale con il male o la "banalita' del
male", che avvia la filosofa a uno dei percorsi piu' originali, ancora oggi
"luogo da cui pensare". "La vera scoperta, sono parole di Donatella, sta
nell'aver capito che il male e' devastante ma non c'e' genio del male
perche' il male e' indifferenza alle profondita' del pensiero, e'
superficialita' in quanto indifferenza al pensiero (alla riflessione e al
giudizio). Del male ci si considera irresponsabili". Eichmann e' definito
"stupido" da Arendt, egli afferma "il linguaggio burocratico e' la mia unica
lingua".
La seconda qualita' appartiene ai primi tre incontri ed e' la capacita' e la
scelta, nella mole immensa delle lettere e degli scambi, di alternare, in
ritmi equilibrati, le emozioni e la tenerezza di questi affetti profondi -
amicizia, amore, nel caso di Heidegger - con le riflessioni sulla propria e
altrui opera, sul mondo e sul pensiero del mondo, soprattutto l'angoscia per
la Germania nelle lettere con Jaspers.
Cosi' nello scambio con la grande amica, Mary McCarthy, che dice di lei,
dopo la sua morte: "A occhi chiusi, parlo con un fantasma quanto mai
vivente, che ha fatto di me la sua dimora". McCarthy e' la giovane amica con
cui discute dei suoi libri, delle prese di posizione politiche e spesso
scomode, colei che curera' l'edizione dell'ultimo libro La vita della mente,
dopo la scomparsa della filosofa. Eppure si cita dalle lettere un passaggio
tra donne che situa il rapporto in quella particolare competenza femminile a
modulare, contemporaneamente, diversi registri di relazione e comunicazione.
Hannah vive a un certo momento la sensazione che Mary si presentera' alla
sua porta, poiche' da tempo sono lontane, arriva pero' un dono e lei scrive:
"ho cambiato diversi vestiti per provarlo. E' semplicemente meraviglioso,
quasi troppo bello per farne un oggetto d'uso. Ma, sarebbe stato meglio che
tu fossi davvero apparsa davanti alla porta".
*
Ancora solo poche righe, per nominare, soltanto nominare, alcuni altri
(miei) percorsi nel testo, scelti tra quei frammenti "che si impongono, ci
riguardano".
Soprattutto ritrovo nella proposta del pensiero politico la necessita' e
l'urgenza, nel contemporaneo, della crescita del soggetto morale, nei
tragitti tra verita' non assolute, "Arendt non tramanda fondamenti,
evidenzia passaggi", nel formarsi del giudizio che "affronta il mondo
concretamente, senza criteri stabiliti, e senza giustificazioni", nel
pensiero della nascita e nell'azione, "dato che tutti noi veniamo al mondo
in virtu' della nascita, in quanto nuovi nati e principianti siamo in grado
di dare inizio a qualcosa di nuovo (...). Agire e cominciare non sono la
stessa cosa, ma sono strettamente connesse". L'attivita' politica per
eccellenza, commenta Donatella, "corrisponde al modificare e percio'
all'iniziare".
Per arrivare, infine, a una definizione di filosofia, con le domande che, da
sempre, l'attraversano: chi e' l'uomo in quanto essere politico? cos'e' la
liberta'? E l'autrice sceglie tra le parole della filosofa e io scelgo tra
le sue, "ogni individuo nella sua irripetibile unicita', appare e conquista
la sua identita' nel discorso e nell'azione", occorre dunque che si consumi
"l'abbandono da parte del filosofo della posizione di sapiente".
Ho percorso, cosi', a frammenti, tutto il testo, in realta' ho reso evidenti
solo alcuni dei fili che si sono tesi dentro di me. Di altri, probabilmente,
non so ancora.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 92 dell'8 marzo 2007

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