La nonviolenza e' in cammino. 1172



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1172 dell'11 gennaio 2006

Sommario di questo numero:
1. Il 14 gennaio a Milano e a Roma
2. Adriano Moratto: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. La rivista del Movimento Nonviolento
4. Maurizio Passerin d'Entreves: La teoria della cittadinanza nella
filosofia politica di Hannah Arendt (parte terza)
5. Cindy Sheehan in Italia
6. Nando dalla Chiesa: L'ultima della destra: la mafia non controlla voti
7. Enzo Collotti: Le pensioni di Salo'
8. Letture: Wislawa Szymborska, Discorso all'Ufficio oggetti smarriti
9. Riletture: Ingeborg Bachmann, Letteratura come utopia
10. Riletture: Cristina Campo, La Tigre Assenza
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL 14 GENNAIO A MILANO E A ROMA

Il 14 gennaio a Milano e a Roma si terranno due manifestazioni di impegno
civile tra esse intimamente ed esplicitamente solidali: l'una ("Usciamo dal
silenzio", a Milano) per la liberta' femminile e in difesa della legge 22
maggio 1978, n. 194, che reca "norme per la tutela sociale della maternita'
e sull'interruzione volontaria della gravidanza"; e l'altra ("Tutti in
pacs", a Roma) a sostegno dei "Pacs", ovvero per l'adeguato riconoscimento
giuridico delle unioni tra tutte le persone che si amano e quel
riconoscimento desiderano avere. Ed entrambe altresi' per il diritto a
vivere in un paese il cui ordinamento giuridico sia rispettoso dei diritti
delle persone, di tutte le persone. Ci sembra sia cosa buona. E necessaria.

2. STRUMENTI DI LAVORO. ADRIANO MORATTO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Adriano Moratto (per contatti: mir.brescia at libero.it) per
questo intervento. Adriano Moratto e' impegnato nel Centro per la
nonviolenza di Brescia, nella Rete di Lilliput, in molte iniziative di pace
e di solidarieta', ed e' una delle figure piu' note e autorevoli
dell'impegno nonviolento in Italia]

Sono anni che mi abbono ad "Azione Nonviolenta".
Mi sono sempre abbonato ad "Azione nonviolenta", perche' tutti ne parlano un
gran bene.
Qualche amico mi ha fatto vedere anche degli interessanti articoli. Ho visto
anche l'ultima intervista, in esclusiva, ad Alberto Perino sulla Tav in Val
di Susa. Bella!
Ma io non sono mai riuscito a leggere "Azione Nonviolenta" nel tepore della
mia cameretta: non mi arriva. Lettere, cartoline, avvisi vari e multe: tutto
viene consegnato con assoluta puntualita'. Ma "Azione nonviolenta", no!
Non capisco: non c'e' pubblicita', non ci sono messaggi subliminali, gli
articoli e le rubriche cosi' interessanti sono all'interno. Sono i disegni?
I disegni in copertina! Troppo carini!
Non so se dietro c'e' una strategia di vendite del duo "Mao-Marchiano"
veronese. Beh, io quest'anno abbono anche il portalettere! Morale: paghi
due, leggi uno.

3. STRUMENTI DI LAVORO. LA RIVISTA DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

4. RIFLESSIONE. MAURIZIO PASSERIN D'ENTREVES: LA TEORIA DELLA CITTADINANZA
NELLA FILOSOFIA POLITICA DI HANNAH ARENDT (PARTE TERZA)
[Dal sito http://utenti.lycos.it/arendt1976/ riprendiamo il seguente testo,
di cui li' si segnala che fu presentato come working paper n. 102 a
Barcellona nel 1995 (non abbiamo avuto modo di verificare se sia - come e'
ragionevole supporre - lo stesso testo apparso col medesimo titolo nella
rivista "Teoria politica", 11 (2), 1995, alle pp. 83-107).
Maurizio Passerin d'Entreves, acuto studioso di filosofia politica, insegna
all'Universita' di Manchester ed e' autore di rilevanti saggi. Tra le opere
di Maurizio Passerin d'Entreves: The Political Philosophy of Hannah Arendt,
Routledge, London - New York 1994.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

3. Cittadinanza, "agency" politica e identita' collettiva
Alla luce della precedente discussione, vorrei ora esaminare il rapporto tra
la concezione della cittadinanza della Arendt e le questioni inerenti alla
"agency" politica e all'identita' collettiva. Lo scopo della mia discussione
e' di mostrare che la concezione partecipatoria della cittadinanza della
Arendt e la sua teoria dell'azione forniscono il miglior schema per
affrontare sia la questione della formazione dell'identita' collettiva sia
quella riguardante le condizioni per l'esercizio di una "agency" politica
efficace.
*
3.1. Cittadinanza e identita' collettiva
Esaminiamo in primo luogo la questione dell'identita' collettiva. Nel suo
libro Wittgenstein and Justice Hanna Pitkin sostiene che uno dei problemi
cruciali del discorso politico e' la creazione di una identita' collettiva,
ovvero di un "noi" a cui poter fare appello quando ci troviamo a dover
affrontare il problema di decidere tra corsi d'azione alternativi. Nel
rispondere alla domanda "che cosa dobbiamo fare?" il "noi" non e' un dato
gia' acquisito, bensi' e' oggetto di continue discussioni. Invero, dal
momento che nel dibattito politico esiste sempre un disaccordo rispetto ai
possibili corsi d'azione, l'identita' del "noi" che verra' a crearsi a
seguito di una decisione riguardo al tipo o forma di azione collettiva da
intraprendere diventa il problema centrale. Come scrive la Pitkin:
"Nell'affrontare il problema centrale di ogni discorso politico - 'cosa
dobbiamo fare?' - il 'noi' e' sempre oggetto di contesa. Una parte della
questione diventa, se perseguiamo questo o quel possibile corso d'azione,
chi potrebbe affermarlo, chi potrebbe vederlo come qualcosa fatto a suo
nome? Chi sarebbe ancora con 'noi' se 'noi' intraprendiamo questo corso
d'azione? (57).
In questo senso, osserva la Pitkin, "Parte del sapere esplicitato nel
discorso politico risiede nell'ampiezza e validita' della pretesa avanzata
nel dire 'noi': id est, chi alla fine si rivela disponibile ad affermare e
convalidare quella pretesa (58).
Pertanto, ogni qualvolta ci impegniamo nell'azione e nel discorso politico
siamo coinvolti al contempo nella costruzione della nostra identita'
collettiva, nella creazione di un "noi" con cui siamo in grado di
identificare noi stessi e le nostre azioni. Questo processo di costruzione
dell'identita' non e' mai acquisito una volta per tutte, e rimane sempre
problematico. Esso e' infatti un processo di continua rinegoziazione e
lotta, un processo nel quale i soggetti formulano e difendono differenti
concezioni dell'identita' collettiva e differenti concezioni della
legittimita' politica. Come ha osservato Habermas, "se in societa' complesse
si formasse una identita' collettiva, essa avrebbe la forma di una
identita', non pregiudicata nei contenuti e indipendente da organizzazioni
determinate, propria della comunita' di coloro che formano discorsivamente e
sperimentalmente il loro sapere collegato all'identita' attraverso
proiezioni di identita' fra di loro concorrenti, cioe' nella memoria critica
della tradizione, oppure stimolati dalla scienza, dalla filosofia e
dall'arte" (59). Da un punto di vista politico, cio' significa che una
identita' collettiva nelle societa' moderne puo' emergere da un processo di
discussione e argomentazione pubblica in cui ideali concorrenti di identita'
e legittimita' politica vengono articolati, contestati e riformulati (60).
In questo contesto, la concezione partecipatoria della cittadinanza della
Arendt assume una particolare rilevanza, poiche' formula le condizioni per
la formazione democratica di identita' collettive. Se la cittadinanza viene
concepita come il processo di deliberazione attiva riguardo proiezioni di
identita' fra di loro concorrenti, il suo valore risiederebbe nella
possibilita' di stabilire forme di identita' collettiva che possono essere
riconosciute, convalidate e trasformate mediante un dialogo democratico e
razionale.
*
Tale concezione della cittadinanza sarebbe anche in grado di articolare
quello che Nancy Fraser ha definito "il punto di vista dell'altro collettivo
e concreto". Con questo termine Fraser si riferisce al punto di vista da cui
specifiche identita' collettive sono costruite sulla base delle particolari
risorse narrative e vocabolari di determinati gruppi, come le donne, i neri,
o i membri di classi oppresse. Il punto di vista dell'altro collettivo e
concreto, scrive la Fraser, esprime "la specificita' dei vocabolari a
disposizione di individui e gruppi per l'interpretazione dei loro bisogni e
la definizione delle situazioni nelle quali vengono a incontrarsi". Esso
esprime anche "la specificita' delle risorse narrative a disposizione di
individui e gruppi per la costruzione di biografie personali e di identita'
e solidarieta' collettive" (61).
Da questo punto di vista "collettivo e concreto" le persone si incontrano
"non tanto come singoli individui quanto come membri di gruppi o
collettivita' dotate di identita', solidarieta' e forme di vita
culturalmente specifiche... qui uno astrae tanto dalla singola
individualita' quanto dalla universale umanita' per focalizzare la zona
intermedia dell'identita' collettiva" (62). Le norme che governerebbero
l'interazione tra questi gruppi o collettivita' "non sarebbero norme di
intimita' come l'amore e la cura, e nemmeno quelle di istituzioni formali
come i diritti e le garanzie. Esse sarebbero piuttosto norme di solidarieta'
collettiva che sono espresse in pratiche sociali condivise ma non
universali" (63).
L'importanza dell'autonomia potrebbe quindi essere formulata in termini che
non la oppongono alla solidarieta'; piuttosto, essere autonomi
significherebbe "essere un membro di un gruppo o gruppi che hanno raggiunto
un grado di controllo collettivo sui mezzi di interpretazione e
comunicazione sufficiente a permettere a ciascuno di partecipare alla pari
coi membri di altri gruppi nella deliberazione morale e politica" (64). La
realizzazione dell'autonomia potrebbe quindi essere considerata come una
delle condizioni necessarie allo stabilirsi di rapporti basati
sull'eguaglianza, la mutualita' e la solidarieta'.
Questa formulazione delle norme e dei valori della cittadinanza dal punto di
vista dell'altro "collettivo e concreto" puo' essere interpretata a mio
avviso come una feconda estensione di alcune tematiche che caratterizzano la
concezione partecipatoria della cittadinanza della Arendt. L'accento posto
sulla solidarieta' piuttosto che sulla cura o la compassione, sul rispetto
piuttosto che sull'amore o la simpatia, e sull'autonomia come una
precondizione della solidarieta', sembra esprimere le stesse preoccupazioni
che animavano la concezione della cittadinanza della Arendt.
Come nota la Fraser, un'etica della solidarieta' elaborata dal punto di
vista dell'altro collettivo e concreto "e' superiore a un'etica della cura
come etica politica. E' il tipo di etica che si accorda con le attivita'
contestatorie di movimenti sociali che lottano per forgiare risorse
narrative e vocabolari adatti ad esprimere i loro bisogni. Si accorda anche
con le lotte collettive per decostruire le forme narrative e i vocabolari di
gruppi e collettivita' dominanti, cosi' da mostrare che essi sono
parzialmente e non universalmente condivisi e sono incapaci di dare voce ai
bisogni e alle speranze dei gruppi subordinati. In breve, un'etica della
solidarieta' elaborata dal punto di vista dell'altro collettivo e concreto
e' piu' appropriata di un'etica della cura per un'etica femminista, se
concepiamo un'etica femminista come l'etica di un movimento sociale e
politico" (65). Pertanto, conclude la Fraser, un'etica della solidariete'
"e' adatta in eguale misura come etica politica per i movimenti lesbici,
gay, neri, ispanici, di altre persone di colore e di classi subordinate"
(66). Un'etica della solidarieta' non e' pertanto la prerogativa di un
gruppo specifico; e' infatti un'etica che puo' emergere dalle lotte di tutti
quei gruppi che sono stati oppressi o marginalizzati nel passato, e che ora
cercano di articolare nuove concezioni della propria identita' culturale e
politica (67).
*
3.2. Cittadinanza e "agency" politica
La precedente discussione ha posto l'accento sull'importanza che l'azione e
il discorso politico hanno per la costituzione dell'identita' collettiva. In
questa sezione mi concentrero' su una tematica affine, ovvero la connessione
tra l'azione politica, intesa come impegno attivo dei cittadini nella sfera
pubblica, e l'esercizio di una effettiva ed efficace "agency" politica.
Questa connessione rappresenta a mio parere uno dei contributi centrali
della teoria dell'azione della Arendt, e sta alla base di cio' che ho
chiamato la sua concezione partecipatoria della cittadinanza. Secondo la
Arendt, l'impegno attivo dei cittadini nella determinazione degli obiettivi
della comunita' non offre loro solo l'esperienza della liberta' politica e
le gioie della felicita' pubblica, ma anche il senso di una effettiva ed
efficace "agency" politica, il senso, nelle parole di Jefferson, di essere
dei "partecipanti al governo". L'importanza della partecipazione per una
effettiva ed efficace "agency" politica viene delineata in maniera molto
chiara nel seguente passo del libro Sulla rivoluzione.
Commentando la proposta di Jefferson di istituire un sistema di consigli
locali nei quali i cittadini sarebbero stati in grado di avere una parte
effettiva del potere politico, la Arendt osserva che "Jefferson chiamava
degenerato ogni governo in cui tutti i poteri fossero concentrati 'nelle
mani di un solo uomo, dei pochi, dei nobili o dei molti'. Percio' il sistema
delle circoscrizioni non era destinato a rafforzare il potere dei molti ma
il potere di 'ognuno', nei limiti della sua competenza; e solo suddividendo
'i molti' in tante singole assemblee, dove ognuno potesse contare e si
potesse contare su ognuno, 'noi saremo repubblicani quanto puo' esserlo una
vasta societa''. Dal punto di vista della sicurezza dei cittadini della
repubblica, il problema era di far sentire a ognuno 'che e' partecipe del
governo degli affari pubblici, non solo una volta all'anno nel giorno delle
elezioni, ma ogni giorno dell'anno'" (68).
Secondo la Arendt solo la condivisione del potere che deriva dall'impegno
civico e dalla deliberazione collettiva puo' dare a ogni cittadino il senso
di una effettiva "agency" politica. Le critiche della Arendt nei confronti
della rappresentanza politica devono essere comprese in questa luce. Ella
vedeva la rappresentanza come un sostituto al coinvolgimento diretto dei
cittadini, come un mezzo tramite il quale la distinzione tra governanti e
governati poteva riasserirsi. Quando la rappresentanza diviene il sostituto
della democrazia diretta, i cittadini possono esercitare il loro potere di
"agency" politica solo il giorno delle elezioni, e le loro capacita' di
deliberazione e giudizio politico sono di conseguenza indebolite. Inoltre,
incoraggiando la formazione di una elite politica, la rappresentanza
significa che "si riafferma ancora la vecchia distinzione fra governante e
governati... ancora una volta i cittadini non sono ammessi sulla scena
pubblica, ancora una volta gli affari di governo sono divenuti privilegio di
pochi, che soli possono 'esercitare le loro virtuose disposizioni'... Il
risultato e' che i cittadini devono o sprofondare in 'letargo, prodromo di
morte della liberta' pubblica', oppure 'conservare lo spirito di resistenza'
a qualunque governo abbiano eletto, poiche' l'unico potere che conservano e'
'il potere estremo della rivoluzione'" (69).
*
Come alternativa a un sistema di rappresentanza basato su partiti e
strutture statali burocratizzate, la Arendt propose un sistema federale di
consigli dove i cittadini potevano essere attivamente impegnati a vari
livelli nella determinazione degli affari della comunita' politica.
L'importanza della proposta della Arendt a favore della democrazia diretta
risiede nel legame che stabilisce tra la cittadinanza attiva e una efficace
ed effettiva "agency" politica. La cittadinanza puo' riaffermarsi e la
"agency" politica diventare realmente efficace solo tramite la
partecipazione politica diretta, ovvero tramite l'impegno nell'azione
collettiva e nella deliberazione pubblica. Come scrivono la Pitkin e la
Shumer, "perfino le persone piu' oppresse riscoprono talvolta in se stesse
la capacita' di agire. Le persone di fede democratica devono oggi
identificare e promuovere ogni opportunita' per la gente di esercitare la
loro 'agency' effettiva... la dipendenza e l'apatia devono essere combattute
in ogni ambito di esperienza rilevante per la gente. Tuttavia tale lotta
rimane parziale se non riesce a collegare i problemi personali a questioni
pubbliche, a estendere l'iniziativa individuale nella direzione dell'azione
politica comune" (70).
Con toni assai simili, Sara Evans e Harry Boyte hanno sottolineato come "i
diseredati e i senza potere hanno, da un lato, ripetutamente cercato di
riattivare e ricordare al contempo antiche nozioni di partecipazione
democratica, e dall'altro, son riusciti a darle nuovi e piu' profondi
significati e applicazioni. La democrazia, in questa ottica, si identifica
con qualcosa di piu' che cambiare le strutture in modo da rendere la
democrazia possibile. Significa anche educare i cittadini alla
cittadinanza - ovvero ai valori e allo sviluppo delle varie competenze che
sono essenziali per sostenere la partecipazione effettiva" (71).
Esaminata in questa ottica, la concezione di democrazia partecipatoria della
Arendt rappresenta uno dei piu' interessanti tentativi di riattivare
l'esperienza della cittadinanza e di articolare le condizioni per
l'esercizio di una effettiva ed efficace "agency" politica. Val la pena di
sottolineare, inoltre, che tale concezione non implica omogeneita' di valori
o un consenso unanime su essi, ne' richiede una dedifferenziazione delle
varie sfere sociali. Nella misura in cui la concezione partecipatoria della
Arendt e' basata sul principio della pluralita', essa non mira a recuperare
o ripristinare uno schema coerente di valori, ne' a reintegrare le
differenti sfere sociali. Come nota la Benhabib, nella concezione
partecipatoria della democrazia della Arendt "il sentimento pubblico che
viene incoraggiato non e' la riconciliazione o l'armonia, ma piuttosto la
'agency' politica e il senso di efficacia, vale a dire, il senso che uno ha
un ruolo effettivo nella determinazione degli obiettivi economici, politici
e civici che definiscono la nostra vita associata nella comunita' politica,
e che cio' che uno fa crea una differenza. Tutto cio' puo' essere ottenuto
senza omogeneita' di valori tra gli individui, e senza eliminare la
distinzione tra le varie sfere" (72).
La concezione della democrazia partecipatoria della Arendt non mira, dunque,
alla reintegrazione dei valori o alla dedifferenziazione delle sfere
sociali; essa mira piuttosto a ripristinare le condizioni per la
cittadinanza attiva e l'autodeterminazione democratica. Come ella stessa
scrive in un passo del suo libro Sulla Rivoluzione: "Se lo scopo ultimo
della rivoluzione era la liberta' e la costituzione di uno spazio pubblico
dove la liberta' potesse presentarsi, la constitutio libertatis, allora le
repubbliche elementari delle circoscrizioni, l'unica sede tangibile in cui
ciascuno poteva essere libero, erano in realta' il fine della grande
repubblica... Il principio basilare del sistema delle circoscrizioni, che
Jefferson lo sapesse o meno, era che nessuno si poteva dire felice senza
possedere la sua parte di felicita' pubblica, che nessuno si poteva dire
libero senza avere la sua esperienza di liberta' pubblica, e che nessuno
poteva essere considerato ne' felice ne' libero senza partecipare, avendone
una parte, al pubblico potere (73).
*
Note
57. Pitkin, H.: Wittgenstein and Justice. Berkeley, University of California
Press, 1972, p. 208.
58. Ibid., p. 208.
59. Habermas, J.: "Possono le societa' complesse formarsi un'identita'
razionale?" in Per la ricostruzione del materialismo storico, Milano, Etas
Libri, 1979, pp. 98-99.
60. Mouffe, C.: "Rawls: Political Philosophy without Politics", Philosophy
and Social Criticism, vol. 13, n. 2, Summer 1988, pp. 116-117.
61. Fraser, N.: "Toward a Discourse Ethic of Solidarity", Praxis
International, vol. 5, n. 4, January 1986, p. 428.
62. Ibid., p. 428.
63. Ibid., p. 428.
64. Ibid., p. 428.
65. Ibid., pp. 428-429. Per una serie di recenti tentativi di formulare una
teoria femminista della cittadinanza, si veda Dietz, Mary G.: "Citizenship
with a Feminist Face: The Problem with Maternal Thinking", Political Theory,
vol. 13, n. 1, February 1985, pp. 19-37; idem, "Context is All: Feminism and
Theories of Citizenship", Daedalus, vol. 116, n. 4, Fall 1987, pp. 1-24,
ristampato in Mouffe, C. (a cura di): Dimensions of Radical Democracy.
London, Verso, 1992, pp. 63-85; Pateman, Carole: The Disorder of Women,
Cambridge, Polity Press, 1989; Young, Iris M.: Justice and the Politics of
Difference. Princeton, Princeton University Press, 1990; Phillips, Anne:
Engendering Democracy. Cambridge, Polity Press, 1991.
66. Fraser, N.: "Toward a Discourse Ethic of Solidarity", op. cit., p. 429.
67. Per una discussione dell'atteggiamento della Arendt nei confronti delle
questioni sollevate dal movimento femminista, si veda Markus, Maria: "The
'Anti-Feminism' of Hannah Arendt", op. cit. In questo saggio l'autrice
sostiene che sia la Luxemburg che la Arendt condividevano la convinzione che
"le questioni delle donne non potevano e non dovevano essere separate da una
serie di obiettivi politici piu' ampi, e dalla piu' ampia battaglia
politica. Nessuna delle due, e certamente non la Arendt, si aspettava che
questi problemi molto reali potessero essere risolti automaticamente come
risultato di altre trasformazioni socio-politiche. Entrambe, tuttavia,
insistevano sul fatto che queste questioni dovevano diventare parte di una
attivita' esplicitamente politica collegata e coordinata con gli obiettivi
di altri gruppi politici". (p. 82). Per una ancor piu' recente e assai
stimolante discussione della posizione della Arendt rispetto alle tematiche
femministe, si veda Dietz, Mary G.: "Hannah Arendt and Feminist Politics",
in Shanley, M. L. e Pateman, C.: (a cura di): Feminist Interpretations and
Political Theory, Cambridge, Polity Press, 1991, pp. 232-252.
68. Arendt, H.: On Revolution, op. cit., p. 254; trad. it.: Sulla
rivoluzione, op. cit., p. 293.
69. Ibid., pp. 237-238; trad. it., pp. 274-275. Nel saggio "La concezione
comunicativa del potere in Hannah Arendt", Comunita', n. 183, Novembre 1981,
pp. 56-73, a p. 62, Juergen Habermas sostiene che fu la paura dell'apatia di
massa nelle moderne democrazie rappresentative che spinse la Arendt a
difendere la democrazia diretta dei consigli: "Mentre i teorici di una
democrazia elitaria (sulle orme di Schumpeter) raccomandano il governo
rappresentativo e il sistema partitico come canali per la partecipazione
politica di una massa depoliticizzata, la Arendt vede il pericolo proprio in
questa situazione. L'integrazione della popolazione attraverso
amministrazioni, partiti e organizzazioni altamente burocratizzate non fa
che estendere e rafforzare quelle forme di vita tendenti all'isolamento nel
privato, che forniscono la base psicologica per mobilitare l'impolitico,
cioe' per istituire un governo totalitario".
70. Pitkin, H. e Shumer, S.: "On Participation", op. cit., p. 52.
71. Evans, S. e Boyte, H.: Free Spaces: The Sources of Democratic Change in
America. New York, Harper & Row, 1986, p. 17.
72. Benhabib, S.: "Autonomy, Modernity and Community: Communitarianism and
Critical Social Theory in Dialogue", in Situating the Self. Cambridge,
Polity Press, 1992, p. 81.
73. Arendt, H.: On Revolution, op. cit., p. 255; trad. it.: Sulla
rivoluzione, op. cit., p. 294 (traduzione leggermente modificata).
(Parte terza - Segue)

5. INCONTRI. CINDY SHEEHAN IN ITALIA
[Dalla Tavola della pace (per contatti: tel. 3479117177 o anche 3389849315,
e-mail: segreteria at perlapace.it o anche stampa at perlapace.it, sito:
www.tavoladellapace.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Cindy Sheehan ha
perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e'
stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava
trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto
della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza
si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e'
stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non
un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com]

Cindy Sheehan arrivera' ad Assisi per partecipare al seminario nazionale
della Tavola della pace "Non c'e' pace senza una politica di pace" che si
terra' il 13 e 14 gennaio ad Assisi, presso il Sacro Convento di San
Francesco (lo stesso luogo dove la Tavola della pace ha avuto inizio il 13
gennaio 1996).
E' stata definita dalla stampa americana "la mamma della pace". Suo figlio
Casey, soldato delle truppe americane impegnato nella missione "Iraqi
freedom", e' morto in Iraq il 4 aprile 2004. Da allora Cindy Sheehan non ha
mai smesso di denunciare l'illegalita' e l'immoralita' della guerra in Iraq,
e nell'estate del 2005 le immagini  del suo accampamento davanti alla tenuta
estiva di Bush, in Texas, hanno fatto il giro del mondo. Ha aspettato e
ancora attende un incontro con il presidente degli Stati Uniti.
A settembre, mentre in Italia oltre 200.000 persone marciavano da Perugia ad
Assisi per la pace e la giustizia, Cindy Sheehan partecipava alla grande
manifestazione pacifista di Washington, la piu' grande dalla guerra in
Vietnam.
Nel gennaio 2005 ha fondato "Gold Star Families for Peace",
un'organizzazione composta dalle famiglie che hanno perso persone care in
guerra il cui obiettivo principale e' il ritiro delle truppe per evitare che
altre famiglie debbano soffrire come loro.
"La partecipazione di Cindy al seminario di Assisi - hanno dichiarato Flavio
Lotti e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della pace -
segna un ulteriore passo nello sviluppo della collaborazione della Tavola
della pace con il movimento per la pace degli Stati Uniti. Italia e Stati
Uniti condividono grandi responsabilita' in Iraq, ma anche nei confronti del
resto del mondo. Per questo ci sentiamo costantemente impegnati a
moltiplicare le occasioni di incontro, di confronto e di collaborazione con
tutte quelle organizzazioni che negli Stati Uniti lavorano per dare
all'occidente un volto e una politica nuova improntata alla pace e alla
cooperazione tra i popoli".

6. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: L'ULTIMA DELLA DESTRA: LA MAFIA NON
CONTROLLA VOTI
[Dagli amici di "Italia Democratica" (per contatti:
italiademocratica at tiscali.it) riceviamo e diffondiamo il seguente articolo
di Nando dalla Chiesa apparso sul quotidiano "L'Unita'" dell'8 gennaio 2006.
Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente
universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di
riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di
straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa
segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto,
Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie,
Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza
(a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini &
Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini
perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema; La guerra e la pace spiegate da
mio figlio, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in forma di
autobiografia e raccordandoli con note di grande interesse) una raccolta di
scritti del padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, In nome del popolo italiano,
Rizzoli. Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di
carattere giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista
contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli]

Uno spasso. Un autentico spasso. Ma si', credeteci. La relazione di
maggioranza della Commissione antimafia non e' solo una vergogna, come
avevamo detto un po' precipitosamente dopo averne consultato l'impianto e
afferrato il senso generale. Non e' solo il certificato di innocenza
politica di Andreotti, non e' solo una coltellata alle spalle della procura
di Palermo o la beatificazione di Toto' Cuffaro, questo vispo erede di Maria
Teresa d'Austria e Leopoldo di Toscana. Ma e' anche una spumeggiante, comica
sintesi di tic professionali, di amene teorie "scientifiche", di
argomentazioni che vorrebbero essere euclidee e sono al tatto friabili come
meringhe. Basta avere la pazienza di navigare tra le cinquecento pagine
dedicate ai rapporti tra mafia e politica (ossia, in definitiva, al processo
Andreotti) per imbattersi in perle strepitose. Perle che illuminano -
partendo dai dettagli - cultura e intenti, psiche e manie dell'estensore. Il
quale puo' essere uno o bino o trino. Ma una cosa e' con scandalosa
certezza: un signore estraneo alla commissione antimafia. Che, investito da
un altro estraneo del compito supremo di scrivere sui rapporti tra mafia e
politica, ha dato libero sfogo a tutto cio' che gli passava per la testa,
come quei maestri un po' frustrati a cui per una botta di fortuna sia messa
in mano, senza controlli, la terza pagina di un quotidiano di provincia.
Volete sapere qual e' la perla piu' grossa, la "sparata" da capodanno del
nostro misterioso estensore (magistrato o forse avvocato, non si scappa)?
Che la mafia non ha mai avuto alcuna rilevanza nell'orientare il voto, e
nemmeno le elezioni. Avete letto bene. Testuale: "ne deriva finalmente una
lettura dei fatti storici che affranca uno dei miti piu' a lungo e
pervicacemente sostenuti sul preponderante potere mafioso nel decidere gli
esiti elettorali siciliani". E ancora: "La sostanziale incapacita' di Cosa
Nostra ad incidere significativamente sul voto e' un dato assai importante".
Lasciamo perdere la sintassi (ahime', una volta contava anche quella...) e
andiamo al sodo. Qui, nella Relazione ufficiale della Commissione
parlamentare d'inchiesta sulla mafia, si sostiene - nascondendosi dietro
quel "preponderante" - che la mafia non e' in grado di orientare la
politica. Che la mafia non condiziona il voto. E quindi, in definitiva, che
la mafia non ha rapporti significativi con la politica. E d'altronde come
potrebbe averli se non e' in grado di conferire alla politica le sue
(presunte, millantate) specifiche risorse, ossia voti e finanziamenti per le
campagne elettorali? E perche' mai i politici, per quel che li riguarda,
dovrebbero promettere favori alla mafia se essa non da' prima loro qualcosa
in cambio?
No, il condizionamento elettorale non esiste. Insomma ragazzi, chiudiamo la
Commissione. Che sciocchi Franchetti e Sonnino, parlamentari agli albori del
Regno. Che sciocchi Napoleone Colajanni o Bernardino Verro, repubblicano e
socialista dei decenni successivi. Che sciocchi Li Causi e La Torre. Che
sciocchi Carlo Alberto dalla Chiesa ("la famiglia politica piu' inquinata
del luogo", riferendosi a quella andreottiana) o Giovanni Falcone, che aveva
stimato in 180.000 i voti controllati da Cosa Nostra nella provincia di
Palermo. Custodi insensati e testoni di "uno dei miti piu' a lungo e
pervicacemente sostenuti"; tanto che se fossero ancora vivi meriterebbero
qualche lezione privata, magari con bacchettate e scapaccioni, dal geniale
estensore della Relazione. E non e' finita. Perche' la mafia, sempre secondo
quest'ultimo, cercherebbe e avrebbe cercato rapporti con la politica solo
per avere appalti in sede locale ma non ha mai avuto "la volonta' di
incidere ad alto livello nello scenario politico generale". Siamo alla gag
dialettica. Come si spiega infatti che la mafia non sia stata mai
sbaragliata in un secolo e mezzo, che abbia avuto appoggi, sostegni,
coperture ovunque, dal delitto Notarbartolo a Sindona, dal delitto
Mattarella alle impunita' processuali e alle latitanze dorate, con in mezzo
Portella delle Ginestre e quaranta sindacalisti uccisi senza una condanna?
Che al momento giusto ci sia sempre il vento utile a rimetterla in sella?
Tutto grazie agli appalti spartiti localmente con qualche assessore birbone?
*
A questo punto vorrete conoscere le motivazioni che sorreggono questa teoria
copernicana. E avete ragione. Eccovi dunque quella cruciale. Che in un caso
(era l'87) Cosa Nostra, pur avendo indicato di votare Psi, non ha svuotato
la Dc! Tranne a Caltanissetta. Fantastico. Ma perche', c'e' mai stato
qualcuno che ha pensato che tutti i siciliani votassero come voleva la
mafia? Forse qualche leghista lo pensa. Ma chi ha una minima consapevolezza
storica sa che la forza elettorale della mafia e' fatta di investimenti
selettivi sui candidati giusti, su una singola corrente, sulla conquista dei
differenziali elettorali decisivi (nelle preferenze o nei singoli collegi).
Suggestivamente il collaboratore Antonino Giuffre' dichiara che Riina era
si' il numero uno sul piano militare ma che politicamente era un dilettante.
Per tanti aspetti e' vero. Ma questo conferma che l'idea di spostare i voti
sul Psi per punire una Dc resa prudente dalla catena dei delitti eccellenti,
non poteva funzionare proprio perche' da troppo tempo la Dc, o meglio alcuni
suoi leader, erano il punto di riferimento di interessi mafiosi o
paramafiosi consolidati. L'insuccesso (parziale) dell'indicazione elettorale
estemporanea di un capo temuto ma poco rispettato politicamente fu cioe' il
segno del radicamento storico dei voti mafiosi, non della loro volatilita'.
Tanto che, riferendosi alle elezioni europee di due anni dopo, Angelo Siino
racconta (sempre e inutilmente a verbale) "Ci fu un plebiscito per Lima...
tutta la parte della vecchia mafia che aveva votato sempre per Lima
continuo' a votare per Lima". Anche questo, ovviamente, e' a disposizione
della mente del geniale estensore. Che pero' non capisce, e sembra proprio
non in grado di capire ("si applica ma non rende", si sarebbe detto una
volta).
Per compenso egli bacchetta furiosamente a destra e a manca come quel
maestro di provincia diventato improvvisamente elzevirista. Dall'alto della
sua prosa caricaturale: "Tale meccanismo di abreazione delle fonti dirette
di prova (...) nell'impianto inferenziale della Corte d'Assise di Appello di
Perugia, poi inevitabilmente caducato in Cassazione"; o "gli aspetti
leggermente piu' risalenti della delibazione del predetto evento criminoso".
Dall'alto del suo pensiero pacato e sereno: "Questo rinvia agli effetti
mediatico-politici del processo sui giudici di secondo grado di Palermo, a
non voler pensare ad una parziale volonta' di recupero delle tesi
accusatorie onde evitare la loro disfatta completa" (insomma, quei giudici,
invece di applicare le leggi, hanno solo pensato a tirare una ciambella di
salvataggio ai pm). Dall'alto della sua sapienza. Che e' davvero notevole,
perche' l'estensore ha anche qualche velleita' accademica. E infatti, cosa
un po' anomala in un rapporto parlamentare, invece di citare - che so - gli
atti del processo Dell'Utri o di qualche inchiesta sulla mafia in Lombardia,
cita Goethe, cita Hegel, cita Junger, e offre perfino note bibliografiche.
Una delle quali merita di essere ricordata, per lo spasso del lettore. Egli
vi consiglia di documentarsi meglio sulla "critica dell'esistenza nella
storia di leggi ineluttabili, che vanno nel verso del miglioramento della
condizione umana". E di leggersi in proposito due saggi, uno di Karl Popper
e uno di Massimo Fini. Ora, sono amico ed estimatore di Massimo Fini. Ma
come si fa ad abbinare i due nella stessa nota, sacripante d'un genio? E'
come dire Max Weber e Nando dalla Chiesa. Come dire Aristofane e Travaglio.
Roba da pazzi. Roba da ridere. Che spiega tutto. A Milano questi casi umani
li liquidano con una battuta: ofelee fa' el to meste'. Panettiere, fai il
tuo mestiere. La storia, la filosofia, l'analisi politica (e anche la bella
prosa) falla fare a qualcun altro. O rischi di trovartela "caducata"...

7. RIFLESSIONE. ENZO COLLOTTI: LE PENSIONI DI SALO'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio 2006. Enzo Collotti e' un
illustre storico e docente universitario. Opere di Enzo Collotti: segnaliamo
particolarmente La Germania nazista, Einaudi, Torino 1962; Fascismo,
fascismi, Sansoni, Firenze 1989. Tra vari altri suoi importanti lavori cfr.
anche La soluzione finale, Newton Compton, Roma 1995]

Alla vigilia della cessazione dell'attivita' parlamentare della legislazione
prossima a spirare i nostri postfascisti non vogliono perdere l'occasione
per lanciare un ultimo velenoso messaggio destinato a infliggere una nuova
lesione all'identita' resistenziale della nostra repubblica. La
riproposizione al senato del progetto di un provvedimento legislativo
tendente al riconoscimento della qualifica di militari belligeranti per
coloro che nel periodo 1943-'45 prestarono servizio sotto le bandiere della
Repubblica sociale non deve passare sotto silenzio.
Non si tratta di un banale provvedimento di ordinaria amministrazione ma di
una ennesima insidiosa manovra equiparabile ad un vero e proprio atto
eversivo. Obiettivo dell'iniziativa e' infatti arrivare a fare sancire dal
parlamento della repubblica l'equiparazione tra i combattenti della Rsi e i
combattenti per la liberta' della Resistenza: un risultato che equivarrebbe
ad una sorta di suicidio ideologico del parlamento repubblicano, indotto da
una maggioranza priva di senso storico e di responsabilita' civica a
smentire le proprie origini. Soltanto l'insensibilita' istituzionale e
l'indifferenza ai valori su cui e' stata costruita questa repubblica
potrebbero consentire un esito positivo all'iniziativa in questione.
Ci si potrebbe anche domandare se in un paese piu' attento alla memoria
delle proprie origini e meno incline a ipocrisie perdoniste il presidente
del senato non avrebbe dovuto dichiarare irricevibile una proposta di legge
che mira a rinnegare i valori su cui e' stata fondata la rinascita
democratica dell'Italia dopo il fascismo. Si tratta fra l'altro di una
iniziativa che nasce anche da premesse false e menzognere, come se la
repubblica democratica non avesse dato mai prova di indulgenza nei confronti
dei combattenti della Rsi. Sul numero 65 (maggio-giugno del 2005) della
rivista "Passato e Presente" un attento studioso dei nostri ordinamenti
militari, Agostino Bistarelli, ricorda le sanatorie e i benefici che non
sono stati lesinati nei fatti ai militari della Rsi negli scorsi decenni, al
punto che molti di essi furono riassunti in servizio nelle forze armate
della repubblica: di quanti partigiani si potrebbe dire altrettanto?
E' evidente che con il provvedimento ora in agenda non si intendono tutelare
posizioni individuali ma proporre un provvedimento generale destinato a
capovolgere un paradigma interpretativo di fondamentale importanza per
l'identita' della repubblica antifascista. Il significato infatti del
disegno di legge non e' di risarcire nessuno: il centro del problema e'
quella di riabilitare i combattenti della Rsi e attraverso di essi l'intera
esperienza della Repubblica sociale di Mussolini. E contemporaneamente,
cosi' facendo, si realizza la delegittimazione della Resistenza e della
Repubblica che ne e' stata l'esito. A questo punto giungerebbe a conclusione
anche il processo di lento svuotamento dei contenuti antifascisti della
Repubblica tenacemente perseguito dai cosiddetti postfascisti al governo con
l'indifferenza ideologica e il consenso di una maggioranza insensibile ai
valori e interessata soltanto alla conquista di posizioni di potere senza
alcuna pregiudiziale etica ne' politica.
*
La posta in gioco non e' di poco conto. Non si tratta di salvaguardare
prerogative amministrative e piccoli benefici per pochi ma di una questione
di principio, che non investe come surretiziamente vorrebbe dare a intendere
l'intitolazione del progetto di legge soltanto l'esercito della Rsi, che
gia' di per se' sarebbe grave, ma il complesso delle forze armate della
Repubblica sociale, come risulta dalla relazione che accompagna il disegno
di legge dalla quale traspare esplicita l'intenzione di ricevere un
certificato di buona condotta per i comportamenti di quanti dopo l'8
settembre del 1943 si sono schierati dalla parte di Mussolini e del Terzo
Reich. Non si tratta soltanto di ristabilire le coordinate storiche degli
eventi di allora ma anche di capire quale memoria si vuole trasmettere con
l'autorita' di una sanzione parlamentare. Ancora una volta tornano a galla i
problemi sollevati dall'ambiguita' di chi ha continuato a perseguire ad ogni
costo una memoria condivisa di fronte all'arroganza dei nostri postfascisti
(ma poi, perche' post?), che oltre a volersi presentare come vittime della
repubblica democratica, che ha lasciato loro fin troppo spazio consentendo a
fior di manigoldi della Rsi di sedere precocemente negli organismi
rappresentativi della nostra repubblica, vogliono oggi prendersi la
rivincita sulle forze che hanno restituito la liberta' a questo paese. Per
costoro nessun atto conciliatorio della repubblica sarebbe stato mai
sufficiente a mettere a tacere le rivendicazioni di orgoglio patriottico di
quanti dopo l'8 settembre hanno scelto di continuare la lotta dalla parte
dei nazisti. Dall'amnistia Togliatti ai molti atti di clemenza scaturiti
dalle sentenze di una magistratura anche troppo incline a minimizzare la
drammaticita' di comportamenti criminali a carico di seviziatori di
partigiani, di delatori di ebrei e antifascisti, di responsabili di
deportazioni risoltesi nella piu' parte dei casi in viaggi senza ritorno ai
campi di sterminio: e' su questo che bisognerebbe riflettere prima di
considerare normale che gli eredi di questo torbido passato si possano
arrogare il diritto di fare il processo alla Resistenza e di portare a
conclusione la loro resa dei conti con l'antifascismo e con le origini
resistenziali del nostro stato.
*
Bisogna smetterla di indulgere ad atteggiamenti che volendo essere equanimi
finiscono per essere equidistanti o peggio, come se si trattasse di
giustapporre combattenti al di qua e al di la' della linea di demarcazione
rappresentata dal fronte alleato e dal fronte nazifascista. Non e' un caso
che gli studi che negli ultimi anni si vanno moltiplicando sulla Rsi (da
Ganapini a Gagliani, da Germinario ai piu' recenti e piu' giovani)
analizzano con particolare evidenza la specificita' della violenza
esercitata dai corpi armati (non solo esercito, ma Gnr, bande e polizia, SS)
della repubblica di Salo', ben al di la' di una rinnovata insorgenza
neosquadristica. Non di violenza cieca o folle si deve parlare ma di
premeditata violenza politica e ideologica, come e' stato opportunamente
sottolineato. Era questa la lezione appresa dal nazismo, con la guerra di
sterminio all'est e lo sterminio degli ebrei, che le forze armate e il
fascismo di Salo' si studiarono di imporre anche in Italia dopo l'8
settembre: e' di questo che si deve parlare quando si discute
dell'equiparazione di combattenti di Salo' e di partigiani e non della
retorica di fedelta' all'alleanza con la Germania nazista o di cuore e
orgoglio patriottico. E' anche per questo che la sfida lanciata ai
parlamentari del centro-sinistra e almeno in parte della stessa maggioranza
dagli irriducibili del neofascismo puo' essere battuta soltanto con una
convinta battaglia di civilta' e di cultura ispirata alla consapevolezza dei
valori che allora si contrapposero e che oggi ancora rappresentano i
connotati distintivi di una cultura politica democratica.

8. LETTURE. WISLAWA SZYMBORSKA: DISCORSO ALL'UFFICIO OGGETTI SMARRITI
Wislawa Szymborska, Discorso all'Ufficio oggetti smarriti. Poesie 1945-2004,
Adelphi, Milano 2004, pp. 192, euro 15. A cura di Pietro Marchesani, una
bella raccolta dei versi della poetessa polacca, premio Nobel per la
letteratura nel 1996.

9. RILETTURE. INGEBORG BACHMANN: LETTERATURA COME UTOPIA
Ingeborg Bachmann, Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi,
Milano 1993, pp. 136, lire 20.000. Le cinque stupende conferenze (Domande e
pseudodomande; Sulle poesie; L'Io che scrive; Il rapporto con i nomi;
Letteratura come utopia) tenute a Francoforte nel 1959-'60 dalla grande
poetessa e intellettuale.

10. RILETTURE. CRISTINA CAMPO: LA TIGRE ASSENZA
Cristina Campo, La Tigre Assenza, Adelphi, Milano 1991, 2001, pp. 320, euro
18,08. L'intera l'opera poetica di una delle voci piu' profonde e segrete,
preziose e schiudenti, della letteratura e della spiritualita' del
Novecento.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1172 dell'11 gennaio 2006

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