Nonviolenza. Femminile plurale. 45



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 45 del 5 gennaio 2006

In questo numero:
1. Un'intervista di Cristina Valenti a Luce Fabbri del 1993 (parte seconda)
2. Riedizioni: Virginia Woolf, Diario di una scrittrice

1. MEMORIA. UN'INTERVISTA DI CRISTINA VALENTI A LUCE FABBRI DEL 1993 (PARTE
SECONDA)
[Dal sito www.socialismolibertario.it riprendiamo la seguente intervista a
Luce Fabbri realizzata da Cristina Valenti a Castel Bolognese, il 31 ottobre
1993 e pubblicata su "A. Rivista anarchica", anno 28, n. 247, estate 1998,
col titolo "Vivendo la mia vita" (intervista disponibile anche nel sito
della rivista: www.arivista.org).
Cristina Valenti e' docente presso il Dams dell'Universita' di Bologna;
proveniente da studi di carattere storico e filologico (il suo volume Comici
artigiani ha vinto il Premio Pirandello per la saggistica teatrale nel
1994), negli ultimi anni ha rivolto la sua attivita al teatro contemporaneo
d'innovazione, al quale si e' dedicata sia sul piano della produzione
scientifica sia sul piano dell'organizzazione. Ha diretto l'organizzazione
del Centro Teatrale La Soffitta del Dams di Bologna (1991-2001), al quale
collabora tuttora sul piano progettuale, e ha realizzato numerosi progetti e
iniziative culturali negli ambiti del teatro di ricerca e di ispirazione
sociale. I suoi interessi attuali riguardano i teatri del disagio (handicap,
carcere), il teatro di impegno sociale e civile, la ricerca delle giovani
generazioni (in particolare come direttrice artistica dell'Associazione
Scenario); collabora a varie riviste teatrali e culturali. Svolge
collaborazioni drammaturgiche e organizzative per diversi artisti, compagnie
e strutture teatrali.; ha in preparazione un volume sui Teatri delle
dis/abilita'. Fra gli ultimi volumi pubblicati: Conversazioni con Judith
Malina (1995); Living with The Living 1998); Oiseau Mouche. Personnages (con
Antonio Calbi, 2000); Il teatro nelle case (2001); Katzenmacher (2004).
Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e
generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e
della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande
militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929
in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America
Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente
molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla
fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre
limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio
segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti in
questo foglio riproposta. Tra le sue opere in volume ed in opuscolo
segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos
Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la
revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de
Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore,
Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali,
Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union
Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo
e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni
Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL,
Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la
historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962;
El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos
Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una
strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la
historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona
1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo
1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica
letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense
(1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della
letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena &
Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad
de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati
nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli
interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli
traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra
cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e
l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce
Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce
Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41
(disponibile anche nel sito: www.arivista.org)]

Teatro e feste
- Cristina Valenti: Ora vorrei farti una domanda specifica su un argomento
che mi interessa in modo particolare. Cosi' come ci sono state in altre
situazioni e in altri paesi, ci furono esperienze di compagnie
filodrammatiche anche anarchiche in Uruguay?
- Luce Fabbri: Direi di no. C'erano dei gruppi che facevano un tipo di
teatro molto popolare e che a volte intervenivano quando si organizzavano
delle feste campestri a beneficio dei nostri giornali. C'erano anche nostri
compagni o compagne che ci recitavano. In quel gruppo femminile, di cui ti
parlavo, ce n'era una che partecipava ma non era un'attrice, bensi' una
dilettante. In ogni modo erano tutte cose molto modeste e si rappresentavano
soprattutto le opere di Rodolfo Pacheco, un autore uruguayano. Anche Gori
era stato rappresentato, ma in un periodo precedente. Il primo maggio di
Gori fu dato molte volte al Centro Internacional, un circolo anarchico
fondato nel 1888 e rimasto in attivita' fino al 1920, ma quando sono
arrivata io non esisteva gia' piu'. Li' Gori veniva rappresentato spesso,
anche perche' prima che io andassi nell'Uruguay, il movimento sindacale che
era diretto dagli anarchici, aveva una forte componente italiana in
conseguenza della emigrazione di massa di quel periodo. E allora si
allestivano opere sia in italiano che in spagnolo. Florencio Sanchez, che
non ha niente di italiano e che e' il principale autore drammatico nato in
Uruguay, (anche se gli argentini dicono che e' argentino perche' ha scritto
le sue cose migliori in Argentina), ha fatto i suoi primi passi come autore
drammatico e come attore nel Centro Internacional. E' stato anarchico anche
lui e recitava tanto in italiano quanto in spagnolo e molto spesso si
recitava Calendimaggio di Pietro Gori. Questo e' quello che ti posso dire
riguardo al periodo precedente il mio arrivo, mentre dopo non ho mai saputo
che si recitasse in italiano.
*
- Cristina Valenti: E questi momenti teatrali rappresentavano dei momenti di
aggregazione per i compagni, ad esempio all'interno dei circoli creativi?
- Luce Fabbri: Nelle feste che i compagni organizzavano al Centro
Internacional o in altri posti si facevano delle recite anche in italiano, e
questi momenti erano naturalmente delle occasioni di unione. L'Uruguay ha
una ricca produzione di teatro sperimentale e teatro popolare, ma l'italiano
e' andato perso perche' l'ispirazione e' piu' o meno cessata. C'e' stato un
periodo in cui venivano compagnie italiane anche nei teatri ufficiali, anche
molto spesso, e avevano un tale successo che gli autori argentini e
uruguayani facevano tradurre i loro testi in italiano perche' potessero
essere rappresentati da queste compagnie. Ma tutto questo non riguardava per
nulla il movimento anarchico, all'interno del quale al massimo si
rappresentava Pietro Gori.
*
- Cristina Valenti: Adesso vorrei avere qualche tuo ricordo su compagni che
hai conosciuto direttamente. Cosa puoi dire ad esempio di Ugo Fedeli?
- Luce Fabbri: Era con mio padre nella redazione di "Studi Sociali". Ho
parecchi ricordi su di lui, ad esempio ho sentito, sono cose che
probabilmente sono gia' note, che fu compromesso nei fatti del Diana e che
passo' la frontiera per questo motivo. Stava gia' con Clelia, la moglie. Un
fatto divertente fu che decisero di sposarsi a Milano perche' era piu'
comodo per partire, ma quando arrivarono in Svizzera dovettero cambiare
nome, per cui, giunti in albergo, non poterono andare in camera insieme
perche' non risultavano sposati. Poi capitarono in Uruguay poco tempo dopo
di noi e trovarono casa anch'essi. Fin dal primo giorno Clelia si mise a
parlare in spagnolo con dei risultati davvero divertentissimi. Mi ricordo
(non sono ricordi degni di essere registrati) di una volta che dovevano
comprare della verdura e Clelia aveva orecchiato che le zucchette si
chiamano zaballitos, e allora lei chiese un chilo di zapatillas, solo che si
sbaglio' perche' le zapatillas sono le pantofole. Apprezzai fin da subito
Clelia perche' era una donna molto energica ed una buona compagna per Ugo.
Finche' sono stati a Montevideo ci frequentavamo spesso, ed anche loro sono
stati intimi amici di Simon Radowitzky. Sentiva molto l'influenza di mio
padre, e non solo dal punto di vista ideologico, ma anche per come scriveva.
Hanno lavorato molto insieme e potrei dire che si e' formato insieme a lui,
e infatti quando fu compromesso con l'attentato del Diana aveva posizioni
decisamente diverse da quelle di babbo e di Malatesta, posizioni che poi, in
Uruguay, verra' modificando. Quando fu deportato in Italia avevano gia' un
bambino e il bambino e' morto.
*
- Cristina Valenti: Era lui il piu' stretto collaboratore di Fabbri?
- Luce Fabbri: Si'. In quel periodo si', per cui quando venne deportato fu
davvero una grossa perdita per la rivista. Babbo praticamente rimase da
solo, anche se ancora c'era Torquato Gobbi di Reggio Emilia, un'altra bella
figura di anarchico. Fedeli l'ho rivisto all'Olivetti, e ho potuto vedere
che li' disimpegnava una funzione molto interessante dal punto di vista
culturale, comunque dopo non l'ho visto piu'.
*
Un messaggio di speranza
- Cristina Valenti: Proseguiamo con i militanti che hai conosciuto. Errico
Malatesta, che tipo di uomo era?
- Luce Fabbri: Beh, per me e' stato una specie di nonno. Per me e per mio
fratello. Ricordo ancora la prima volta che l'ho conosciuto. Fu a Roma, dopo
la settimana rossa, dove rimasi per due anni insieme ai nonni lontano da
Bologna. Si stava preparando quello che loro speravano fosse un periodo
rivoluzionario, Malatesta e lui, e cosi' mi misero al sicuro a Roma, per
avere piu' liberta' di movimento. Mio fratello era piu' piccolo ed e'
rimasto in famiglia, babbo era in Svizzera, esiliato dopo i fatti, mentre
Malatesta era gia' in Italia. Ormai la questione s'era risolta perche' anche
babbo era stato assolto, o per lo meno stava per essere assolto e cosi'
Malatesta e' venuto a trovarmi per potergli poi riferire come stavo. Ho
visto questo signore cosi' bassetto, con la barbetta, ero con la nonna, mi
ricordo che avevo cinque anni, volevo essere disinvolta e allora misi un
piede in un gradino troppo alto per cui mia nonna mi disse: "Sta composta!".
Malatesta allora disse: "Perche'?". Si mise a discutere con mia nonna e gia'
quello per me era quasi un atto eroico, discutere con mia nonna. Ricordo che
mi fece una grande impressione, anche se non mi convinse del tutto perche'
ero quasi del parere che mia nonna avesse ragione. Questa e' la prima
impressione che ho avuto di Malatesta, ed e' un'impressione che mi e'
rimasta con una specie di calore, perche' mi aveva difeso. So che Malatesta
scrisse a mio padre di quell'incontro, perche' ho visto pubblicata la
lettera in un qualche epistolario, non mi ricordo piu' quando, non molto
tempo fa. E in quella lettera Malatesta dice: "Sono andato a trovare Luce".
L'ho rivisto quando Giulietti l'ha riportato in Italia, subito dopo la
guerra, l'aspettavamo a casa ma non lo vedevamo arrivare perche' l'avevano
arrestato ma finalmente arrivo'. A quei tempi dormivo in sala da pranzo
sull'ottomana, e allora andai a dormire nella camera dei miei genitori
cedendogli il sofa'. E' arrivato e nella valigia aveva un meccano, allora
era il giocattolo ultimo modello, erano pochi i bambini che lo possedevano.
Non era tutto colorato come sarebbero stati dopo, era molto piu' sobrio,
pero' aveva un mucchio di pezzi. Mi ricordo che parlo', parlo' con mio
padre, ma quello che si dissero non lo ricordo, perche' avevo solo dieci
anni e mezzo, non avevo ancora compiuti gli undici, ricordo comunque che
dopo aver chiacchierato a lungo con mio padre, si mise a sedere per terra
con noi, sotto il tavolino, mi sembra adesso, e ci insegno' come si
mettevano insieme le parti del meccano, lui era meccanico del resto:
costrui' una quantita' di cose e io e Vero stavamo li' in adorazione.
*
- Cristina Valenti: Umanamente era una persona molto affabile.
- Luce Fabbri: Era adorabile. Da allora prese a venire frequentemente anche
se in quel periodo risiedeva a Milano alla redazione di "Umanita' Nova".
Veniva spesso a Bologna a trovarci e s'andava fuori insieme con mio padre,
andavamo sempre anche noi, a far passeggiate... e dietro la polizia.
Parecchio tempo dopo, gia' sotto il fascismo, un poliziotto meridionale
disse a mio padre: "Si ricorda maestro quando andavamo in campagna con
Malatesta?". Tutte le volte che arrivava era una festa per noi bambini,
babbo lo faceva sedere a tavolino e: "Scrivi!" gli diceva, perche' lui non
ci si metteva volentieri. E allora scriveva l'articolo per il giornale, e
comunque il babbo gli ha anche fatto riscrivere Al caffe'. Fu una edizione
molto piu' ricca della precedente, e Malatesta l'ha scritta a casa nostra.
Quando mio babbo lo costringeva a scrivere mi diceva : "Luce, vai a dire
alla mamma che tuo padre vuole un pochino di caffe'". Non poteva prendere
troppo caffe' perche' era malato. E una volta che si ammalo' gli portavo le
pesche di nascosto: aveva la febbre e il medico non voleva che mangiasse
altro che delle pappine o la minestrina e cosi' gli portavo la frutta di
nascosto.
*
- Cristina Valenti: In tuo padre Malatesta vedeva il suo vero erede
spirituale, il compagno a lui piu' vicino?
- Luce Fabbri: L'ha presentato al congresso di Amsterdam e ha detto: mon
fils. E in effetti proteggeva davvero mio babbo come se ne fosse il padre
spirituale. Cio' non toglie che in certe occasioni abbiano assunto posizioni
politiche differenti. Ad esempio sul problema del sindacalismo ci fu una
certa disparita' di valutazione e al congresso di Amsterdam presero
posizioni abbastanza diverse anche se non contrastanti. Mio padre riteneva
che la mozione di Malatesta e quella di Monatte fossero conciliabili e le
voto' entrambe mentre Malatesta non era affatto d'accordo con Monatte, tanto
che aveva presentato una mozione differente. Quindi c'era una certa
differenza. E quando si e' trattato di scrivere sulla morte di Lenin e su
"Pensiero e Volonta'" Malatesta intitolo' Lutto o festa?, a mio padre la
parola "festa" non piacque affatto. Dopo un certo periodo di tempo dette
piu' o meno ragione a Malatesta ma sul momento si espresse contro.
*
- Cristina Valenti: Come si manifestavano fra di loro questi piccoli
dissapori ideologici? Sui giornali?
- Luce Fabbri: Si, sui giornali. Comunque restava sempre una polemica molto
amichevole, perche' si volevano molto bene. Ed era sempre una polemica che
non ha mai lasciato dei segni, proprio mai. Semplicemente capitava che
vedessero le cose in modo diverso e anche dalle lettere si vede che
discutono amichevolmente. Del resto queste differenze sono state veramente
poche.
Vorrei raccontarti l'ultima volta che ho incontrato Malatesta. Mio padre era
gia' a Parigi mentre io mi apprestavo ad espatriare dopo essermi laureata.
Passai una ventina di giorni a Roma prima di uscire dall'Italia e in quel
periodo volevo andare a trovare Malatesta. Questo pero' non era possibile,
perche' anche se il fascismo non ha mai osato toccarlo, era comunque
completamente isolato: se uno andava a trovarlo a casa, veniva
immediatamente arrestato e non lo si poteva neppure salutare per la strada.
Viveva in una grande solitudine, era come se fosse in prigione. Nei primi
tempi comunque mio fratello ci riusciva: aspettava che lui uscisse e che si
trascinasse dietro il poliziotto, quindi saliva le scale ed entrava
nell'appartamento. Ma questo stratagemma e' finito presto perche' dopo di
poliziotti ne hanno messi due. Invece per me fu diverso. Ero andata dal
dottore, dal radiologo Guglielmo Pampiglione, un compagno, una figura che
meriterebbe davvero di essere ricordata, e' stato forse il primo radiologo
ad aprire un gabinetto radiologico a Roma, e mi aveva fatto una radiografia
allo stomaco perche' avevo varie anomalie. Era molto amico di mio padre, ed
ero stata parecchie volte in sua compagnia perche' quando ero bambina ed
abitavo coi nonni, veniva a prendermi insieme alla fidanzata e mi portava in
campagna con loro. Bene, il dottor Pampiglione mi mando' a dire che mi
invitava a pranzo e quando arrivai mi trasse in disparte e mi disse: "Questo
pomeriggio, quando comincero' a ricevere i clienti, tu vieni in ambulatorio
e aspetta". Ricordo che mi misi a leggere "La Revue des deux Mondes" e a un
certo momento, appena uscito un paziente, mi chiama dentro come se dovessi
farmi la radiografia. Appena sono entrata, mi dice: "Adesso tu mettiti li',
dietro la tenda". Mi sono sistemata e dopo neanche un minuto arriva
Malatesta. Malatesta aveva detto che andava a farsi una radiografia e allora
era arrivato con tutto il seguito ma i poliziotti erano rimasti in sala
d'aspetto. E siamo stati li' dietro, abbiamo parlato in piedi fra lo schermo
e una specie di paravento che non so come si chiama, sul gradino
dell'apparecchio radiografico. Siamo rimasti un quarto d'ora a parlare, poi
ci siamo salutati, e lui mi ha detto: ci rivedremo presto.
*
- Cristina Valenti: Che effetto ti fece rivederlo?
- Luce Fabbri: Mi commossi molto, gli volevo molto bene e mi chiesi se
l'avrei mai rivisto. E infatti non l'ho piu' rivisto, anche se mi ha detto:
"Ci rivedremo presto, di' a tuo padre che ci rivedremo presto".
*
- Cristina Valenti: Ti ha dato qualche messaggio particolare per tuo padre?
- Luce Fabbri: No. Mi disse solo quello. Un messaggio di speranza. E poi
ando' via, si porto' via tutti, e io rimasi ancora un momento poi uscii,
andai di sopra e rimasi a cena. Quello fu il mio commiato da Errico, ci
siamo abbracciati, "non e' l'ultima volta" mi disse, invece e' stata
l'ultima volta. Fu una amicizia che ho sentita moltissimo. Per me e' stato
come un parente stretto, quando ero piccola fu come un nonno. Poi
gradualmente ne colsi sempre piu' l'importanza, come era naturale. Ricordo
una volta che doveva parlare in piazza a Bologna. Allora facevo la prima o
seconda ginnasio e gli studenti fecero sciopero perche' il comune aveva dato
il permesso. Erano fascisti. Mi ricordo che io e un gruppo di compagne
entrammo comunque, perche' non potevamo mica far sciopero, no? E siamo
entrate anche se poi non ci fu nessuna lezione e quando siamo uscite tutta
la piazza ci ha fischiato.
*
Sulla scia di Malatesta
- Cristina Valenti: Veniamo adesso a delle domande che riguardano piuttosto
la tua attivita'. Quali sono state le tue relazioni col movimento anarchico
di lingua italiana negli anni sessanta e dopo?
- Luce Fabbri: I miei rapporti con il movimento italiano in quel periodo non
sono stati molto stretti, perche' in Uruguay quelli sono stati anni molto
bui. Fu un periodo di grande tensione interna, e la situazione locale ci
assorbiva completamente: era iniziata la fase della lotta dei Tupamaros, e
si era aperta una aspra discussione fra i compagni sul problema della lotta
armata e del fochismo, cioe' il basare la lotta su piccoli gruppi armati che
venivano visti come tanti fuochi del movimento. In seguito si apri' la fase
che sarebbe sboccata nella dittatura militare, per cui tutto quello che
accadeva altrove, anche se veniva avvertito, appariva un po' sbiadito a
fronte del carattere angoscioso della situazione locale. Come era logico, io
concentravo la mia attivita' soprattutto nel movimento locale, anche se
mantenevo dei rapporti col movimento italiano, continuavo a ricevere la
stampa, mandavo ogni tanto qualche articolo. Ma la militanza, quella che
chiamano la militanza, no, era soprattutto per l'Uruguay.
*
- Cristina Valenti: A questo punto credo che varrebbe la pena di aprire una
parentesi sul tuo impegno in Uruguay in un periodo cosi' caldo e drammatico.
A Montevideo hai sempre militato all'interno di un gruppo anarchico, pensi
quindi che come gruppo anarchico siate riusciti a fare un'attivita'
significativa?
- Luce Fabbri: Molto significativa no. In quei momenti stavo terminando un
periodo di attivita' pedagogica, che successivamente sarebbe stata repressa,
davvero repressa. Le spinte dittatoriali sono cominciate prima della
dittatura, hanno cominciato a farsi sentire per lo meno due anni prima.
Comunque nel 1965 ero ancora abbastanza impegnata su questo versante. C'era
un movimento pedagogico interessante, soprattutto alle scuole secondarie,
che poi era l'ambito che mi interessava di piu', e ci stavamo impegnando a
lavorare per la riforma dell'insegnamento secondario, combattendo su due
fronti, quello contro i reazionari e quello contro i comunisti. Mentre i
primi cercavano di bloccare questo movimento tendente all'autonomia
dell'insegnamento secondario, i comunisti, anche se lottavano a favore
dell'autonomia, la consideravano pero' come una cosa puramente strumentale,
buona fintantoche' si viveva in un regime borghese, ma evidentemente
destinata, in regime comunista, a sparire, non avendo piu' alcuna ragion
d'essere. Da questa divergenza ne nascevano molte altre, e in effetti loro,
con le loro preoccupazioni politiche, prettamente politiche, stavano
rovinando tutto il nostro lavoro pedagogico, tutta la nostra battaglia,
quella cioe' che io consideravo come parte del mio impegno libertario. E
questa tensione e' continuata a lungo, e le ultime assemblee degli
insegnanti ne sono rimaste profondamente turbate. Ebbene, quella e' cio' che
consideravo un'attivita' libertaria, anche se eravamo in pochi, in pochi
anarchici veri e propri, ma in compenso affiancati da un gran numero di
persone con una mentalita' affine, perche' in Uruguay sono molti (e spero
anche fuori dall'Uruguay) quelli che hanno una mentalita' molto vicina alla
nostra senza stare, per questo, all'interno del movimento anarchico. Quanto
al movimento specifico, s'era gia' prodotta la frattura fra i filocastristi
e gli anticastristi. Anche i primi dichiaravano di essere contrari alla
dittatura di Castro, pero' al tempo stesso sostenevano che si dovesse
comunque appoggiare il governo rivoluzionario, per cui di fronte alla nostra
proposta di sostenere le vittime della dittatura cubana, affermavano che i
compagni che erano in prigione ci si trovavano in quanto
controrivoluzionari. Tutto questo naturalmente ha portato alla scissione del
movimento, accentuata oltre a tutto dal profondo disaccordo sulla
valutazione da dare alla lotta armata, dato che i castristi erano vicini ai
Tupamaros. Affettivamente era tutto un altro discorso, anch'io conoscevo
degli studenti che si erano arruolati nei Tupamaros, volevo loro bene e
sapevo che erano la parte migliore della gioventu' uruguayana e che si
sarebbe bruciata in quell'esperienza. Secondo me si sbagliavano, pero' e'
andata cosi'. E' stato un eccesso del nazionalismo libertario, perche' in
esso c'era del socialismo, certamente, pero' c'era anche molto nazionalismo,
e basti tornare con la memoria a quei cortei contro l'America, contro
l'imperialismo nordamericano, a tutti quei sentimenti, cosi' sentiti, di
liberazione nazionale dalle influenze straniere.
*
Mi sorgono molti dubbi
- Cristina Valenti: Quali pensi che siano le caratteristiche essenziali
dell'anarchismo e quali invece quelle accessorie?
- Luce Fabbri: Credo che per l'anarchismo sia essenziale il valore
attribuito alla liberta' della persona, credo che sia questo il valore
centrale, accompagnato alla solidarieta' in campo economico al posto della
competitivita'. Ovvero il socialismo, perche' il mio anarchismo e' il
socialismo libertario. E mentre penso che l'astensionismo sia un elemento
secondario, perche' mi pare un criterio puramente metodologico che potrebbe
anche essere modificato, vedo come altrettanto essenziali il federalismo e
l'autogestione, che anche se sono metodologici sono pero' ineludibili. La
liberta' e il socialismo non vanno considerati come elementi opposti e da
risolvere dialetticamente, ma come strettamente inerenti l'uno all'altro.
Quello che ci distingue dai socialdemocratici, per esempio, e' che loro
pensano che si debba conciliare il socialismo con la liberta' attraverso
delle forme di compromesso mentre noi riteniamo che il socialismo e'
liberta' e che non lo si puo' costruire senza liberta'. E la liberta'
dev'essere basata sulla solidarieta' perche' senza solidarieta' non e'
realizzabile. Dunque liberta' e socialismo non vanno intesi come valori
contrari che hanno bisogno di essere conciliati, come molti hanno voluto
sostenere. Si e' detto che la dittatura provvisoria e' ineluttabile e che se
vogliamo fare il socialismo occorre rinunciare alla liberta' per un certo
periodo di tempo, ma questi non sono assolutamente due valori contrapposti,
bensi' due valori intrinseci l'uno all'altro. Penso che sia questo per noi
il principio centrale, quello piu' importante, cosi' come e' centrale
l'antimilitarismo che e' la derivazione logica dell'amore per la liberta'.
So invece di dissentire parecchio da molti compagni, laddove affermo che
l'astensionismo, l'avversione alla rappresentativita', abbiano solo una
connotazione metodologica e sperimentale.
*
- Cristina Valenti: Quale pensi che potrebbe essere una situazione tipo in
cui rinunciare all'astensionismo?
- Luce Fabbri: Ci possono essere casi in cui vale la pena sperimentare una
qualche rappresentativita', anche se ovviamente non quando si tratti di
forme di governo, perche' sempre e comunque resta fondamentale che noi siamo
contro tutti i governi. Noi pero' applichiamo i principi astensionisti nei
confronti di tutte le elezioni, di tutte le rappresentanze, anche se si
tratta, ad esempio, di questioni scolastiche. E allora mi sorgono molti
dubbi, perche' sono convinta che a volte valga la pena sperimentare una
delega, anche solo magari per un periodo determinato, senza farne una
questione essenziale, ma solo di carattere sperimentale. Ritengo che il
sistema rappresentativo non sia un sistema nemico, ma piuttosto una
esperienza fallita, un metodo che conduce necessariamente all'autorita', e
che quindi e' ingannevole e pericoloso come una trappola, tanto piu' che non
e' nemmeno veramente rappresentativo e non garantisce la liberta'. Pero' in
un dato momento storico ha rappresentato una conquista, ottenuta con
sincerita' di intenti e a prezzo di dure lotte e in ogni modo e' molto
meglio di una qualsiasi dittatura. Se ad esempio Fidel Castro indicesse le
elezioni, questa sarebbe un'apertura, si respirerebbe meglio. Non e' una
soluzione, noi sappiamo perfettamente che non puo' essere una soluzione,
pero' e' anche vero che il suffragio universale ha rappresentato una
conquista rispetto al suffragio ristretto. Penso che una qualche delega,
revocabile, la si possa sperimentare, perche' nessuno di noi puo' occuparsi
di tutto. E inoltre la natura umana e' quella che e', e la gente che in
generale si occupa solo del proprio lavoro difficilmente e' disposta ad
occuparsi dell'organizzazione del lavoro, per cui nei fatti e' gia' molto se
ti da' una delega e se esercita una qualche forma di controllo. Per noi il
sistema ottimale e' quello assembleare e della delega, sempre revocabile, di
quelle funzioni che non possono essere esercitate da tutti, ma poiche'
queste sono cose che fanno parte del terreno metodologico, e' doveroso da
parte nostra sperimentare le forme che piu' garantiscano l'intervento degli
interessati, l'azione diretta, l'autogestione e l'autonomia della persona.
Quindi e' evidente che sul piano metodologico esiste sempre la possibilita'
di avanzare nuove proposte anche se probabilmente non funzionera' in modo
ottimale neppure questo sistema, anche se ci sara' chi sosterra' che si
tratta di una soluzione ingannevole, anche se saranno mosse molte critiche
perche' le cose non funzionano mai perfettamente. Pero', tanto per fare un
esempio, credo che il sistema dei referendum sia da appoggiare.
*
- Cristina Valenti: In effetti anche in Italia se ne e' sempre discusso
all'interno del movimento anarchico.
- Luce Fabbri: Certo, pero' il movimento nel suo complesso e' stato sempre
contrario ai referendum, mentre noi in Sud America generalmente ne
approfittiamo e infatti abbiamo sempre partecipato. La discussione al
massimo verte su come intervenire, come votare, per cui ci sono compagni che
votano per il si' e altri compagni che votano per il no, pero' tutti votano.
Tra l'altro, in Uruguay e' obbligatorio recarsi a votare, altrimenti non
puoi piu' riscuotere ne' la pensione ne' lo stipendio. Questo vale sia per
il referendum che per le elezioni, per cui ci rechiamo a votare anche a
queste ultime, ma votiamo scheda bianca. A un certo punto tentai anche di
imbastire un movimento contro l'obbligatorieta' del voto, pero' non ce l'ho
fatta, anche perche' in quel periodo gli anarchici non erano
sufficientemente dinamici e quindi, visto che allora nessuno s'e' mosso, si
continua a votare scheda bianca. Del resto sono convinta che non sia affatto
un delitto se una qualche volta un compagno non vota in bianco perche'
strategicamente pensa che sia molto meglio se vince il tale invece del
talaltro, non mi sembra affatto che sia una cosa profondamente
antianarchica. Considero tutta questa questione come un fatto sperimentale,
anche se in Italia, probabilmente, i compagni mi giudicheranno una eretica.
Pero' non mi importa.
*
- Cristina Valenti: Forse e' cosi', comunque anche in Italia ci sono delle
differenze, delle "eresie". Del resto il vero problema del movimento
anarchico e' di non avere potuto sperimentare quello che ha teorizzato.
- Luce Fabbri: Certo, la vera sperimentazione e' stata fatta solo in Spagna,
ma e' anche vero che e' possibile sperimentare anche nel piccolo, che so,
all'interno di una cooperativa, in una comunita', in una microsocieta' di un
qualche tipo. Tutte queste sperimentazioni possono essere utili, molto
utili.
*
- Cristina Valenti: Restando nel campo delle componenti essenziali e di
quelle accessorie, come vedi il pacifismo e la nonviolenza? Ti faccio questa
domanda pensando anche a Judith Malina, a quando afferma: io sono anarchica
perche' sono pacifista.
- Luce Fabbri: Questa domanda ha relazione con il problema della violenza,
un problema insolubile che mi tormenta da moltissimi anni. Io sento la
violenza come una cosa antianarchica, come autoritaria in se', e d'altra
parte sento anche che abbiamo delle responsabilita' di fronte alla realta' e
soprattutto di fronte alle sofferenze della gente. Ci sono momenti in cui
non si puo' non lottare anche se non siamo noi a poter scegliere come
intervenire, ma sono anche convinta che quando le cose si mettono sul
terreno della violenza allora sia una disgrazia. Sono arrivata a questa
conclusione, anche se e' una conclusione relativa, provvisoria,
insoddisfacente. Mi piacerebbe arrivare alla conclusione di rifiutare
qualsiasi violenza, succeda quel che succeda, perche' e' una soluzione che
magari non so dove ti possa portare, pero' ti fa sentire coi piedi fermi per
terra. Sono convinta che per arrivare alla liberta' ci voglia la pace, non
solo la pace tra i gruppi sociali, ma anche una pace interiore, una maggior
tolleranza reciproca. Se il movimento anarchico non assolve a questa
funzione, quella di fornire un esempio di convivenza pacifica fra tutte le
differenze, una convivenza dialettica e polemica pero' pacifica, che altra
funzione puo' disimpegnare? Questo secondo me e' il punto centrale, che il
movimento anarchico ha una ragion d'essere se funziona anarchicamente e se
e' in grado di contenere al suo interno differenze che convivano
funzionalmente, se al contrario offre un quadro di contrasti e di
un'intolleranza sostanzialmente autoritaria, allora e' difficile che possa
disimpegnare funzioni in altri campi.
*
- Cristina Valenti: Alla domanda seguente in realta' hai in gran parte
risposto, pero' forse non del tutto. Ti avrei chiesto cosa significhi per te
essere anarchica, credi di aver gia' risposto oppure puoi aggiungere
qualcosa?
- Luce Fabbri: La coerenza totale e' impossibile, perche' permane sempre il
contrasto fra quello che si pensa e come si vive, e dobbiamo sempre fare
delle concessioni. Pero' c'e' un percorso da fare, non solo in campo sociale
ma anche sul terreno personale, e l'anarchismo ha sempre rappresentato una
concezione della vita, un modo di vivere. Per me e' al tempo stesso una
guida interiore e un criterio di lotta collettiva, sono entrambe queste
cose.
*
- Cristina Valenti: Ma ci sono delle caratteristiche proprie dell'anarchico,
da un punto di vista umano come si caratterizza un anarchico?
- Luce Fabbri: Il direttore del mio liceo era solito dire: "La signora
Fabbri non ha bisogno che le si debba dire qualcosa, fa sempre quello che
deve, non ha bisogno di indicazioni anche se nessuno la controlla", e io gli
rispondevo "Perche' sono anarchica, no?". Io non voglio che altri mi
comandino, e allora devo fare quello che devo, sento che quella e' la
strada. Credo che sia questa la caratteristica piu' importante, accompagnata
anche dall'orgoglio personale. Sono convinta che essere anarchici dia un
certo orgoglio.
*
- Cristina Valenti: Come sei riuscita a trasfondere i principi anarchici
nelle pratica quotidiana del tuo lavoro?
- Luce Fabbri: Le condizioni ambientali sono tali che ci si riesce sempre
poco, in misura molto modesta, e inoltre dipende anche dal tipo di lavoro
che si fa. Il mio lavoro e' insegnare, e forse avrei potuto fare di piu', se
avessi avuto un carattere piu' energico. Comunque ho sempre cercato di
insegnare imparando, di non mettermi in una posizione di superiorita' ma di
approfittare di tutte le volte in cui mi sbagliavo per dire agli studenti:
"Come vedete, anche il professore sbaglia, tutti possono sbagliare, per cui
bisogna sempre fare delle verifiche, e pensare con la propria testa cercando
di demitizzare il testo". E questo mio modo di insegnare, questo mio cercare
di convincerli a pensare in modo indipendente e a formarsi loro criteri,
senza influire su di loro ideologicamente, e' un po' lo stesso criterio con
cui mi ha educato mio padre. Credo che sia il criterio anarchico, e con
questo criterio ho sempre cercato di svolgere la mia opera.
*
- Cristina Valenti: Ci sono stati dei tuoi allievi che si sono avvicinati
all'anarchismo, in seguito alla tua frequentazione?
- Luce Fabbri: Parecchi si sono avvicinati, pero' non so se siano entrati
nel movimento, non ci ho mai pensato. Una professoressa di storia che e'
stata in prigione tre anni durante la dittatura e che fu anche torturata,
quella e' stata una mia alunna. Si era avvicinata ai compagni favorevoli
alla lotta armata ma oggi concorda con me nel giudicarlo un errore; comunque
non e' una militante, e non so neppure se si dichiari anarchica, non credo.
Un altro ha fatto carriera in Francia come direttore dell'Istituto di studi
ibero-americani a Parigi. Ha scritto parecchi libri ed e' abbastanza vicino
a noi, e' un simpatizzante. Comunque possono essercene altri, ho avuto
talmente tanti studenti, ne avevo novanta nelle secondarie, due classi di
quarantacinque, e nello stesso tempo all'istituto dei professori ne avevo
almeno trentacinque, piu' una quindicina all'Universita'. Prova a metterli
tutti insieme, per un anno, poi per l'anno seguente, e poi ancora, ancora,
per sessant'anni di insegnamento.
*
Donne e femminismo
- Cristina Valenti: Come hai potuto conciliare con la militanza un'attivita'
d'insegnante cosi' intensa?
- Luce Fabbri: Mi ha aiutato molto mia madre, che curava le spedizioni e
l'amministrazione della rivista, tanto piu' che non e' che io fossi molto
precisa in queste cose. Ad esempio recentemente ho ritrovato un pacchettino,
l'ho aperto e dentro c'erano dei soldi ormai fuori corso che furono una
sottoscrizione per la rivista. E' rimasto in un cassetto quindi e' evidente
che non facevo troppo bene le cose [ride]. A parte gli scherzi, e' stata
veramente una grossa fatica, e "Studi Sociali" usciva quando poteva, ho
continuato a pubblicarla dall'anno in cui e' morto mio padre fino al 1946. E
poi per me l'insegnamento era parte del mio lavoro militante, l'ho sempre
considerato come un momento del mio lavoro di anarchica. Non dico che sia
stata un'opera sistematica intensa, pero' l'insegnamento seguiva un criterio
pedagogico. Del resto non ero sola, perche' in Uruguay nell'insegnamento
predomina il criterio del laicismo, inteso non solo come laicismo rispetto
al problema religioso, ma come apertura rispetto a tutti i problemi. Si
cerca sempre di presentare tutti i punti di vista affinche' l'alunno possa
scegliere autonomamente. L'Uruguay e' stato un paese in cui si e' lavorato
molto bene, anche se adesso...
*
- Cristina Valenti: Cosa ha significato per te essere donna, rispetto alla
tua appartenenza al movimento e alle teorie anarchiche? Ti ha mai creato
delle difficolta' o dei problemi?
- Luce Fabbri: No. Ho vissuto in un ambiente in cui questa differenza non ha
mai avuto alcun peso. E mi sono avvicinata alle tematiche del femminismo
solo in questi ultimi anni, perche' durante il resto della mia vita ne' in
famiglia ne' nell'ambiente in cui vivevo si avvertiva l'oppressione della
differenza.
*
- Cristina Valenti: Quindi rispetto al movimento anarchico vivevi la tua
condizione di donna come naturale?
- Luce Fabbri: Certamente, non ha mai rappresentato un vantaggio o uno
svantaggio, andavo alle riunioni come una militante qualsiasi. Piuttosto non
posso dire d'essere mai stata troppo attiva, perche' ero molto presa dal
lavoro. Dapprima dovevo curare la rivista e poi ho sempre avuto qualche
altra attivita' continuativa, quindi non posso dire d'essere stata una vera
militante, solo il sabato riuscivo a partecipare perche' per il resto della
settimana ero assorbita dall'insegnamento. Solo negli ultimi tempi, dopo
aver avuto il tempo pieno all'Universita', ho cominciato ad avere un po'
piu' di respiro, nonostante le quaranta ore di lavoro.
*
- Cristina Valenti: Dicevi che ultimamente hai avvertito maggiormente la
questione femminile. Puo' esistere secondo te un approccio anarchico a
queste tematiche?
- Luce Fabbri: Seguendo l'esempio di mio padre, e facendolo mio, per tutta
la vita ho pensato che la questione sociale comprendesse in se' anche la
questione dell'ingiustizia della condizione della donna nella societa'. E
poi ho visto il cambiamento, ho assistito come tutti al cambiamento
abbastanza rapido di queste condizioni, e vivendo nell'Uruguay non mi sono
mai sentita in condizioni di inferiorita' per il fatto di essere donna.
Forse in altri ambienti si sarebbe avvertito, ma certamente non nel campo
dell'insegnamento. In ogni modo non mi sono mai sentita femminista perche'
ho sempre pensato che quello fosse un problema che si sarebbe risolto
assieme agli altri. In questi ultimi tempi pero' ho frequentato ed ho letto
qualcosa di piu' sulla questione del femminismo, e se a questo aggiungi il
carattere di massa che ha assunto la presenza delle donne nel campo delle
relazioni sociali, ho cominciato a pensare che il problema sia molto
importante. Ritengo che se si rende possibile che la donna trasmetta alle
relazioni sociali quei valori che ha coltivato per secoli nel suo ruolo
storico di amministratrice della famiglia, forse questa presenza, questo
cambiamento sociologico cosi' rilevante nella societa', potrebbe dar vita ad
importanti conseguenze. Se si operasse un cambiamento completo di
mentalita', la donna potrebbe riportare l'accento sull'utilita' di occuparsi
delle esigenze elementari della vita, sulla necessita' di pensare ai vecchi
ed ai bambini come e' abituata a fare nel suo ruolo di amministratrice della
famiglia, e al tempo stesso potrebbe condividere con il proprio compagno il
lavoro e tutte le responsabilita'. Una famiglia, quando e' ben costituita,
e' un modello sociale e la donna vi ha sempre svolto un ruolo
importantissimo. In questi ultimi anni sono arrivata alla conclusione che la
donna, invece di aspirare ad essere tutto quello che e' l'uomo, dovrebbe
aspirare ad essere qualche altra cosa, qualche cosa di diverso. In un certo
senso mi ha dato lo spunto una frase di Eva Peron, quando esclamo' fremente
di indignazione: "Non ci sono donne al Cremlino, no n ci sono donne in
Vaticano, non ci sono donne negli alti gradi dell'esercito". Fu allora che
scrissi La fortuna di non esserci, e fu quello il mio approccio al
femminismo, che del resto non e' stato un approccio di tipo organico,
perche' non milito nel movimento femminista. Comunque penso che il movimento
anarchico dovrebbe lavorare in questo senso.
*
- Cristina Valenti: Hai avuto dei momenti di crisi o di ripensamento
rispetto al tuo essere anarchica, e se si', perche'? Forse, come dicevi
precedentemente, sul problema dell'astensionismo?
- Luce Fabbri: No, rispetto al problema dell'astensionismo non posso neppure
parlare di dubbi, sono semplicemente considerazioni di carattere
metodologico che possiamo definire come opinioni. Dubbi, veri dubbi
addirittura angosciosi, piuttosto li ho avuti sul problema della violenza
rivoluzionaria.
*
- Cristina Valenti: E ci sono stati dei momenti particolarmente drammatici,
oppure poco chiari, all'interno del movimento anarchico, che ti hanno fatto
prendere le distanze?
- Luce Fabbri: No. Non ho mai avuto momenti di crisi di questo tipo perche'
l'anarchismo non e' come una fede religiosa che per sua natura vive momenti
di crisi. Ci sono stati piuttosto dei momenti che mi hanno davvero procurato
una grande sofferenza, ad esempio, come ti ho gia' ricordato, le terribili
giornate del maggio '37 in Spagna. Oppure tutto quello che comporto'
l'attentato del Diana. Allora non ero ancora sufficientemente matura, ma per
mio padre fu una enorme sofferenza. Li' credo che sia stato davvero in
crisi, o per lo meno e' stato disperato, per giorni e giorni. Per conto mio,
essendo io ancora molto giovane, cercavo solo di capire e mi angustiavo
perche' vedevo che lui era angustiato. Io penso che il movimento anarchico
in generale debba molto alla Rivoluzione francese e ai principi
dell'Illuminismo, ma quello italiano in particolare risente molto della
storia del Risorgimento. L'anarchismo e' esattamente il superamento delle
contraddizione rimaste aperte nel 1870 dopo il periodo risorgimentale.
Infatti i garibaldini sono diventati anarchici, e anche se sostituirono alla
patria i principi dell'internazionalismo, la spedizione di Benevento e i
moti del Matese sono stati una spedizione di tipo garibaldino. C'e' questa
continuita', innegabile. Con questo voglio dire che non si puo' rinnegare
tutta la storia del liberalismo che e' costata tante sofferenze, non si puo'
prescinderne come antecedente, perche' la nostra storia proviene da li'.
Oggi il termine liberale lo si appiccica, come fosse una etichetta, al
capitalismo privato, ma secondo me questo e' un po' un abuso, perche' il
liberalismo storico, quello di coloro che morivano sulle forche di
Metternich, non ha niente a che spartire con esso. Non ha niente a che fare
con il mercato ma sta nella preistoria dell'anarchismo, non si puo'
rinnegare tutto cio'.
*
L'importanza della meta
- Cristina Valenti: Che bilancio fai di questa tua esperienza eccezionale
nel movimento anarchico? Quali sono gli insegnamenti piu' importanti, anche
di carattere collettivo, che hai tratto dalla tua attivita'?
- Luce Fabbri: Mi tocca davvero ripensare a tutta la mia vita da questo
punto di vista e davvero non l'ho mai fatto [ride]. Gli insegnamenti si
traggono da tutti i momenti della nostra esistenza, pero' io ho partecipato
a un fenomeno collettivo a cui ha partecipato, collettivamente, tutto il
movimento anarchico, per cui non credo che sia possibile separare le
esperienze individuali da quelle collettive. Dalla rivoluzione spagnola si
sono tratti tanti insegnamenti, positivi e negativi, e sono insegnamenti che
abbiamo ricevuto tutti quanti insieme, che ormai fanno parte della storia.
Penso che la cosa piu' importante sia che non si debbano considerare i
propri modelli come un qualche cosa di assoluto, ma come qualche cosa di
flessibile, di elastico, modificabile dalle circostanze e dalle difficolta'
che si incontrano, e che inoltre dalla lotta non ci si possono aspettare dei
risultati assoluti, definitivi. Viviamo fra mille contraddizioni e non
riusciamo mai a fare tutto quello che vorremmo, la meta e' sempre lontana.
Credo che l'insegnamento maggiore sia che l'anarchia e' piu' un metodo che
una meta, un modo di interpretare la vita, una strada orientata verso una
meta che non si raggiunge. Cio' che e' importante e' avvicinarsi il piu'
possibile e soprattutto lungo una strada che sia coerente con la meta
prefissa e che ogni passo sia una realizzazione parziale di cio' che si vuol
fare. Questo e' l'insegnamento che ci offre la vita, capire che restiamo
sempre piu' indietro rispetto a quello che vorremmo fare, perche' le cose
stanno cosi', c'e' un attrito e il movimento incontra degli ostacoli.
*
- Cristina Valenti: L'avere in mente una meta configura dunque il modo in
cui percorriamo quella strada?
- Luce Fabbri: Certamente, l'importanza della meta sta proprio nel fatto che
e' lei a determinare la strada. Scrissi anche un opuscolo per parlare di
queste cose, non e' certo una novita' quel che affermo.
*
- Cristina Valenti: Vorrei sapere adesso quali sono stati gli insegnamenti
negativi, quali i passi falsi da evitare?
- Luce Fabbri: La guerriglia, indubbiamente. Io non ho vissuto personalmente
quella esperienza, pero' l'ho conosciuta, ho visto che valenza ha, e non
solo in Sud America, ma anche in Italia. Sono convinta che la guerriglia e
il terrorismo siano degli strumenti di lotta completamente negativi, e
questa e' una lezione che nasce proprio dalla esperienza che si e' fatta, e'
una lezione che agli inizi del secolo ancora non avevamo avuta.
*
- Cristina Valenti: Secondo te esistono delle attinenze tra la propaganda
del fatto e il terrorismo attuale?
- Luce Fabbri: Direi di no, penso che siano cose completamente diverse. Il
terrorismo del secolo scorso era un'eredita' carbonara e derivava dalle
cospirazioni liberali ottocentesche, mentre quella di oggi e' una violenza
di tipo diverso, che nasce dal fascismo e dalle spietate esperienze
totalitarie. Mi sembra che a partire dal 1917-'18 nella storia ci sia
qualche cosa di nuovo, qualcosa di piu' spietato. Forse questa spietatezza
esisteva anche prima pero' non la si voleva accettare, oggi invece e'
entrata come un ingrediente della storia. E lo dimostra anche la struttura
estremamente militarizzata che caratterizza questi gruppi politici
terroristici.
*
- Cristina Valenti: Quale puo' essere a tuo parere il ruolo dell'anarchismo
nella societa' odierna, considerato il fatto che viviamo un momento in cui
le ideologie autoritarie si sono rivelate completamente fallimentari?
- Luce Fabbri: Questo e' il momento logico dell'anarchismo, anche se cio'
non significa che sia pure un periodo di successi. E' si' una specie di
trionfo, pero' solo sul piano logico. Credo che tutto il valore
dell'anarchismo nella societa' odierna sia soprattutto un valore morale.
Secondo la logica dovrebbe incontrare il consenso di tantissima gente, di
tutti quelli ad esempio che sono stati comunisti e che oggi sono sfiduciati
perche' hanno capito che non era quello il socialismo, oppure di coloro che
sono rimasti delusi dall'esperienza di Mitterrand o di Felipe Gonzales e dal
loro neo-liberismo. Tutti costoro, sempre secondo logica, dovrebbero
ammettere che ne' il socialismo autoritario ne' la socialdemocrazia erano
socialismo, per cui rimane solo il socialismo libertario. A meno che non si
voglia rinunciare all'idea stessa di socialismo, ma questo significherebbe
rinunciare a qualsiasi ipotesi di solidarieta' abbandonando al proprio
destino piu' della meta' della popolazione mondiale.
*
- Cristina Valenti: Tu hai visto tanti compagni passare per il movimento
anarchico. A tuo parere, per quali motivi un individuo decide di entrare nel
movimento anarchico oppure di uscirne?
- Luce Fabbri: L'ingresso nel movimento anarchico corrisponde ad una
esigenza di liberta' e in genere prende le mosse da delusioni provate sul
terreno della liberta' e dall'appartenenza precedente a partiti politici.
Quasi tutti sono rimasti delusi dal socialismo o dal comunismo, e' difficile
essere anarchici senza prima essere stati qualche altra cosa. Lo stesso
Malatesta e' stato mazziniano e mio padre e' stato repubblicano. Invece in
Uruguay nell'ultimo decennio del secolo scorso e nei primi di questo, si
cominciava come anarchici, poi magari si cambiava dopo. Spesso il motivo per
cui ci si allontana dal movimento e' la delusione rispetto alle beghe
interne, o all'insufficienza del movimento rispetto alla grandezza
dell'ideale, alla sproporzione fra le idee che si professano e le persone
che non sono all'altezza di queste idee. Sono specialmente i giovani che
passano attraverso queste delusioni, e allora rinsaviscono, pensano alla
famiglia, si sposano e se ne vanno.
*
- Cristina Valenti: Quindi secondo te e' piu' frequente che la delusione
riguardi le persone piuttosto che l'impraticabilita' dell'ideale.
- Luce Fabbri: Generalmente e' cosi', pero' Gobbi, per esempio, s'e'
allontanato allorche' ha compreso, onestamente, di non credere piu' che la
societa' potesse sussistere senza lo Stato. Si era convinto che l'uomo ha
bisogno di costrizioni per andare avanti.
(Parte seconda - Segue)

2. RIEDIZIONI. VIRGINA WOOLF: DIARIO DI UNA SCRITTRICE
Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Mondadori, Milano 1959, 1979,
Minimum Fax, Roma 2005, pp. 468, euro 12,50. Una scelta dai diari della
grande scrittrice, a cura di Leonard Woolf (che vi premette un'opportuna
introduzione sui criteri adottati per la selezione, in cui avverte anche che
"il lettore non deve dimenticare che il contenuto di questo volume non e'
che una piccolissima parte dei diari..." e che "se non si tiene
costantemente presente questo fatto, il libro puo' dare una visione molto
deformata della vita e della personalita' dell'autrice"). Una lettura sempre
appassionante.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 45 del 5 gennaio 2006

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