Nonviolenza. Femminile plurale. 41



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 41 dell'8 dicembre 2005

In questo numero:
1. Una lettera dalla redazione di "Via Dogana"
2. Lisa Clark: La pace in ostaggio
3. Luisa Muraro: Del vero e del giusto
4. Giovanna Boursier intervista Amelia Robinson
5. Paola Mancinelli: Franz Rosenzweig e la questione dell'essere (parte
seconda)
6. Giovanna Providenti: L'intransigenza di Cordelia

1. INCONTRI. UNA LETTERA DALLA REDAZIONE DI "VIA DOGANA"
[Dalla Libreria delle donne di Milano (per contatti: e-mail:
info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo]

Cara amica, caro amico e, perche' no, cari nemici e nemiche, e anche voi,
care persone ancora indifferenti alla nostra esistenza,
vi chiediamo di fare l'abbonamento a "Via Dogana" 2006. La rivista e'
arrivata al numero 75, escono quattro numeri all'anno, in marzo, giugno,
settembre, dicembre, l'abbonamento e' annuale, per anno solare, e costa 25
euro (35 per l'estero), si puo' fare in un ufficio postale (conto corrente
postale n. 26601203 intestato a Circolo coop. "Sibilla Aleramo" Mantova) o
venire alla Libreria delle donne, in via Pietro Calvi 29, a Milano
(annunciatevi, metteremo il tappeto rosso, tel. 0270006265).
Le ragioni per abbonarsi sono tante: che la rivista e' buona, che la rivista
e'  bella, che noi siamo donne, che tra poco saremo, forse, una redazione
anche di uomini...
Potrebbero essere le stesse ragioni di noi che facciamo "Via Dogana": per
noi si tratta di esserci e salvare il nostro irrinunciabile in un mondo
dov'e' difficile ritrovarsi, donne portate al potere quasi unicamente dalla
destra (dopo Angela Merkel, fra non molto, chissa', Condoleeza Rice), un
mare di parole finte in difesa della vita mentre tanti anonimi la perdono
nel mare d'acqua a due passi da casa nostra, uomini che non sanno dire ti
amo e uccidono, i beni naturali quotati in borsa...
Salvare l'irrinunciabile, che cosa significa? Non perdere l'intuizione di
una originalita' umana che puo' nascere nei rapporti fra esseri umani,
quando c'e' un filo di liberta' femminile. E che puo' rivoluzionare la
politica, ne abbiamo fatto la prova.
Noi che firmiamo siamo la redazione ristretta che si dedica al lavoro sodo,
e che si riunisce a Mantova.
Oltre a noi c'e' una redazione allargata - aperta anche a te che ci leggi,
se lo vorrai - di cui facciamo pure parte, la quale si riunisce alla
Libreria delle donne: e' questa che trova i temi e imposta i numeri.
Un'ultima ragione per abbonarsi e' che una volta vendevamo in una rete di
librerie, adesso vendiamo soprattutto per abbonamento.
Grazie da Clara, Annarosa, Vanna, Luisa, Vita, Lorena, Marina, Traudel,
Laura, Alessandra...
*
Per comunicare con la redazione: info at libreriadelledonne.it
Per informazioni sugli abbonamenti telefonare al n. 3356780668 o scrivere ad
abbonamenti at libreriadelledonne.it

2. RIFLESSIONE. LISA CLARK: LA PACE IN OSTAGGIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 dicembre 2005. Lisa Clark (per
contatti: lisa.clark at libero.it), amica della nonviolenza, e' impegnata
nell'esperienza dei "Beati i costruttori di pace" e della "Rete di
Lilliput", ed ha preso parte a molte iniziative di formazione e di
intervento nonviolento]

Domani sera [il 7 dicembre 2005 - ndr], nel maggior numero possibile di
piazze, strade, ponti in Italia accendiamo una fiaccola per chiedere la
liberazione dei quattro ostaggi sequestrati in Iraq. E la liberazione del
popolo iracheno da una occupazione illegale che non costruira' mai pace e
democrazia. Tom, Norman, Jim, Harmeet sono attivisti dei Christian
Peacemaker Teams, organizzazione nata negli anni '80 ed inizialmente attiva
nel "cortile di casa" degli Usa. Costruttori di pace di ispirazione
cristiana, il movimento fu lanciato dalla Societa' degli Amici (i Quaccheri)
e dalla Chiesa dei Mennoniti, ma agi' fin dall'inizio insieme ad altri
movimenti di ispirazione religiosa. Insieme a Witness for Peace
rappresentarono in Salvador, Nicaragua, Guatemala, Haiti la volonta' di
cittadini statunitensi di esprimere la distanza che li separava dalle
politiche governative. E' grazie anche al loro impegno che oggi sappiamo
quale ruolo svolsero Negroponte e i servizi Usa nel favorire gli squadroni
della morte. Da sempre la loro missione e' la riduzione della violenza con
l'obiettivo di costruire un mondo diverso rivelando ai loro concittadini le
ingiustizie e le violenze compiute "a loro nome".
Tom Fox, quacchero, ha scritto molto dall'Iraq sul suo blog. Il giorno prima
del rapimento scrisse: "Qui, in Iraq, la violenza si esercita tramite la
disumanizzazione dell'altro. I soldati Usa rubano l'umanita' delle persone:
gli iracheni non sono piu' esseri umani. Solo cosi' i soldati possono
uccidere, imprigionare, torturare e sentirsi a posto con la propria
coscienza. A noi tocca il compito di sradicare tutto cio' che di
disumanizzante c'e' in noi, per primi, e riscoprire con chi ci sta vicino la
comune umanita'".
Harmeet Sooden, cittadino canadese, doveva rimanere poco in Iraq. Poi
avrebbe dovuto proseguire per la Palestina per una permanenza di tre mesi,
tra le fila dell'International Solidarity Movement. Ci era gia' stato,
Harmeet, in Palestina. Era stato a Nablus e a Jenin, dove si era unito agli
altri attivisti che stavano ripiantando gli ulivi sradicati dalle forze
armate israeliane.
Anche Tom era stato in Palestina: gira una bella foto di Tom nell'occasione
di una manifestazione contro il Muro dell'apartheid a Jayyous. Del resto lo
slogan dei Christian Peacemaker Teams oggi e' "Getting in the way",
letteralmente "mettersi in mezzo" nel senso dell'interposizione, ma anche
del mettere il bastone fra le ruote delle forze dell'oppressione,
dell'occupazione, sia in Palestina che in Iraq. Furono i Christian
Peacemaker Teams di Baghdad i primi a raccogliere le testimonianze sulle
torture inflitte ai prigionieri ad Abu Ghraib. Furono vicini, offrendo
sostegno di ogni tipo, alle famiglie dei torturati, diffondendo rapporti e
notizie negli Stati Uniti e nel mondo. Viviamo nel mondo dell'immagine e
nessuno credette ai rapporti che scrivevano, insieme alle associazioni
irachene per i diritti umani e all'Osservatorio di Occupation Watch, finche'
non arrivarono le foto.
Norman Kember, britannico, e' un battista. Questo nonno settantaquattrenne,
da decenni socio attivo della Campagna per il disarmo nucleare (Cnd), negli
ultimi tre anni era stato in prima fila tra gli oppositori della guerra in
Iraq. Un religioso musulmano britannico, Anas Altikriti, a nome della
Coalizione Stop the War e dell'Associazione dei musulmani in Gran Bretagna,
e' gia' partito per l'Iraq per chiedere di persona che venga liberato
l'attivista nonviolento.
James Loney - Jim - era attivo in Canada anche a favore della liberazione di
prigionieri rinchiusi nelle carceri canadesi, senza processo ne' condanna.
Tre di questi, in galera da oltre quattro anni, hanno anche loro diffuso un
accorato appello per la liberazione di Jim e degli altri tre. "Che una
persona come Jim sia prigioniero ci causa piu' dolore della nostra stessa
prigionia".
Domani, mercoledi' 7, nelle citta' italiane chiederemo con forza la
liberazione dei nostri amici. Chi li ha rapiti ha emesso un ultimatum: o la
coalizione rilascera' tutti i prigionieri iracheni, o i quattro sequestrati
verranno uccisi l'8 dicembre. Siamo ripiombati in un vicolo buio, da cui
fatichiamo a vedere la via d'uscita. Ma prendiamo spunto da Tom, il rapito
statunitense, che ha intitolato il suo blog dall'Iraq, "Waiting in the
light", e facciamo che la luce dell'impegno, della resistenza nonviolenta e
della speranza non si spenga. Li vogliamo liberi e chiediamo liberta' per
tutto il popolo iracheno.

3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: DEL VERO E DEL GIUSTO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo intervento di Luisa Muraro, li' presentato col titolo
"Aborto: la nostra competenza e quella dei vescovi". Luisa Muraro, una delle
piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona,
fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle
sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica:
"Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata
nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si
e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su
invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto
interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo,
dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha
partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli.
Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia
Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini,
che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona
parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli,
Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla
Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine
simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza
divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000).
Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che
pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed
alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei
volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata
madre nel 1966 e nonna nel 1997"]

Una settimana fa, da Roma dove si teneva l'assemblea (il Sinodo) dei vescovi
cattolici, e' venuta una notizia che riguarda l'aborto. Leggo dai giornali:
"E' peccato votare i candidati politici che ammettono leggi a favore
dell'aborto", ha detto il nuovo Prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede (monsignor Levada, il successore di Ratzinger, che e' diventato
papa). Sostenere leggi favorevoli all'aborto e votare i politici che le
sostengono, e' un peccato grave che comporta l'esclusione dalla comunione.
In molti paesi (fra cui gli Usa e l'Italia), alla presa di posizione dei
vescovi sull'aborto si risponde da parte delle forze laiche con accuse
d'ingerenza clericale nella vita politica. Questo tipo di risposta ha dei
limiti che vorrei segnalare, per tentare di seguire un'altra strada che e'
di far intendere all'autorita' religiosa il buono che c'e' nel nuovo venuto
con la fine del patriarcato. La separazione tra la politica e la religione,
oltre a non essere universale, ha il limite ulteriore di non essere vera,
nel senso che non e' primaria, e' una separazione importante e va mantenuta,
ma e' secondaria, introdotta per fare ordine nei rapporti tra Stato e
Chiesa, tra certi poteri e altri poteri, ecc. Nel concreto della vita i
sentimenti religiosi o antireligiosi si mescolano con quelli politici,
inutile negarlo, lo dice la storia e lo dice la testimonianza interiore. (La
storia dice anche che il risultato di queste mescolanze non e' univoco, ma,
al contrario, molto e molto vario).
Passo cosi' alla cosa che piu' m'interessa, e cioe' che i commenti sia
favorevoli sia contrari alla presa di posizione dei vescovi, hanno dato per
scontata che questa colpiva (anche) la legge 194 della nostra legislazione,
che regolamenta la pratica dell'aborto. Ma e' sbagliato, perche' la legge
194 non e' abortista e non e' opera di legislatori abortisti, basta leggerla
per rendersene conto. I politici che la hanno votata e quelli che oggi la
difendono, per questo semplice fatto non sono degli abortisti. (Potrebbero
esserlo per altri aspetti, ma e' tutto da vedere). La lettura della legge
mostra infatti che essa fu scritta e approvata dal Parlamento per tutelare
la salute delle donne. La legge, infatti, non autorizza l'aborto, al
contrario condiziona la sua pratica a certi limiti, fra cui l'obbligo di
rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica. Oltre a questo, essa mira a
diffondere la cultura preventiva delle gravidanze indesiderate, che portano
spesso le donne alla decisione di abortire. Tant'e' vero che l'introduzione
della legge 194 non avrebbe portato ad un aumento degli aborti ma, al
contrario, oltre a renderli meno pericolosi per la salute delle donne, essa
avrebbe contribuito a limitarne il numero.
Sto dicendo cose gia' dette e provate. Le richiamo per impedire che la presa
di posizione dei vescovi prenda un significato abusivo, entrando nel
discorso politico contingente. C'e' una competenza di valutazione della
realta' di questo mondo che non e' dei vescovi, ma dei laici, come ha
insegnato Montini, da prete, da vescovo e da papa (Paolo VI). Una donna come
me, simile a tante altre che hanno riflettuto a lungo sull'aborto, e' in
posizione per conoscere il senso di quella legge meglio di qualsiasi
vescovo. Non ero una sostenitrice della 194, devo dire, ero infatti per la
semplice depenalizzazione dell'aborto, ma anche da questa posizione critica
vedo il valore di quella legge e dico, con la necessaria autorita', che non
e' una legge abortista, al contrario.
Non deve ripetersi l'errore del cardinal Ruini nei confronti di Prodi
impegnato a disegnare, con i Pacs, una risposta sensata e praticabile alla
domanda di riconoscimento che viene dalle coppie che non possono accedere al
matrimonio. L'errore di Ruini viene da una certa prevaricazione, non rara in
quell'uomo. Se pero' vogliamo che la competenza e l'autorita' di coloro -
noi - che si misurano anima e corpo con le cose di questo mondo, valgano
nella mente dei vescovi o di altri capi religiosi, facciamole valere anche
nella nostra. Non difendiamoci dal clericalismo con la separazione
Stato-Chiesa, questo voglio dire, ma con la dimostrazione del vero e del
giusto.

4. TESTIMONI. GIOVANNA BOURSIER INTERVISTA AMELIA ROBINSON
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 dicembre 2005.
Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed
importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio
nazista.
Amelia Boynton Robinson e' nata in Georgia, Usa, nel 1911; impegnata nelle
lotte per i diritti civili fin dalla prima giovinezza, durante gli anni
Sessanta la sua casa divenne una sorta di quartier generale del movimento
per i diritti civili; collaboratrice di Martin Luther King, divenne nota per
aver guidato la dimostrazione per i diritti civili del 7 marzo 1965 a
Montgomery, in Alabama, la "domenica di sangue" quando fu picchiata e
lasciata per morta sulla strada; nel 1964 fu la prima donna di colore
dell'Alabama a candidarsi al parlamento per il partito democratico; il 21
luglio 1990 e' stata insignita dell'onorificenza "Martin Luther King Freedom
Medail" per aver dedicato l'intera vita alla lotta per i diritti civili; a
94 anni la sua attivita' per la apce e i diritti umani continua tuttora.
Opere di Amelia Boynton Robinson: Un ponte sul Giordano. La mia lunga marcia
con Martin Luther King, Palomar, 2004]

Aveva dieci anni, Amelia Boynton Robinson, nel 1921 quando, seduta su un
carro trainato da cavalli, seguiva sua madre per le strade di Savannah in
Georgia chiamando le donne di casa in casa per portarle a votare. Poco piu'
di quarant'anni dopo, nel 1965, era con Martin Luther King e Rosa Parks alla
testa della marcia contro il segregazionismo che alla fine costrinse il
presidente Johnson a firmare il Voting Rights Act sancendo il diritto di
voto per gli afro-americani. E Amelia Robinson nella sua vita non ha mai
smesso di lottare. Qui in Italia l'hanno soprannominata la nonna dei no
global e lei ne va fiera perche' dice di essere sempre stata disubbidiente.
Pelliccia di visone, stivaletti e abito di pelle nera, ha gli occhi intensi
e un sorriso divertito.
*
"Sono nata negli Stati Uniti in piena epoca di segregazione, ma nella mia
citta', Savannah in Georgia, non eravamo esposti alla discriminazione. Poi
quando mi sono trasferita a Selma per insegnare e ho ricevuto il mio primo
assegno sono andata in banca tutta contenta a versarlo. Aspettavo il mio
turno, tra tanti uomini bianchi, sovrappensiero. Non mi ero neanche accorta
di quel ragazzo che vedendomi li' in piedi urlava 'Non mi vedi? togliti dai
piedi negra'. Solo allora mi sono svegliata dai miei sogni e gli ho
risposto: 'Con chi credi di parlare? non sono mica una di loro'. Chissa'
perche' ho risposto cosi', forse volevo dire che non ero una studentessa,
che venivo dalla Georgia ed ero un'insegnante. Lui ha alzato la mano per
colpirmi e io l'ho guardato negli occhi. Allora l'ha abbassata. Quando sono
uscita dalla banca ho incontrato il preside che mi ha detto: 'mia cara, ma
non sai dove sei capitata, qua devi stare attenta che non ti lincino! E'
impossibile fare qualcosa'. Ricordo che ho sentito che non potevo accettare.
Era il 1929, avevo 19 anni e poche settimane dopo sono partita per
l'Alabama".
Dove conosce Rosa Parks: "Rosa Parks era una donna giovane, paziente e
nonviolenta che credeva nella nostra gente. Nel 1955 lavorava in uno dei
laboratori di sartoria, e proprio nei giorni prima di Natale, quando il
lavoro era davvero tanto, lei e' salita su un autobus e si e' seduta.
Perche' era molto stanca e aveva un lungo tragitto da fare. Si e' seduta
dietro, non nelle prime file. Ma l'autista e' venuto a dirle di lasciare il
posto a un signore bianco. Lei non si e' mossa. Allora e' arrivata la
polizia e lei sapeva che la avrebbero portata in prigione. Ma sapeva anche
che quello che stava facendo era la cosa giusta e cosi' si lascio'
arrestare".
Da li' parti' un movimento di massa contro la segregazione. Martin Luther
King ne divenne il leader: "Il 2 gennaio 1964 King venne a Selma ma nessuno
voleva ospitarlo. Avevano paura perche' lo consideravano un ribelle e un
comunista. Io gli offrii meta' di casa mia e meta' del mio ufficio. Cosi'
diventammo amici. Nel 1965 eravamo in macchina insieme e a un semaforo si e'
fermata un'auto con un uomo che ci guardava. Ha abbassato il finestrino e si
e' chinato a prendere qualcosa. Tutti abbiamo pensato a una pistola e siamo
scappati. Poi King ha detto: 'Non credo volesse spararmi perche' non
avrebbero mai mandato un uomo da solo per uccidermi'. Ma comincio' a parlare
della morte: 'Ci ho pensato spesso e non voglio morire, la vita mi piace. Ma
se devo morire preferisco morire per qualcosa piuttosto che per niente'.
Dopo quella conversazione ha fatto il meraviglioso discorso: 'Sono stato
sulla cima della montagna, ho visto la gloria di Dio, non saro' con voi
sempre ma continuate la battaglia'. La mattina dopo e' stato ucciso".
Amelia e' un po' stanca e ha molti appuntamenti. Vorrebbe andare alla
manifestazione contro il razzismo "se solo smette di piovere".
Poi conclude: "Oggi la battaglia per il voto agli immigrati e' simile ma
anche diversa da quella che facevamo allora. In Italia si cerca di rendere i
migranti cittadini, perche' se queste persone lavorano, contribuiscono al
bene del paese, pagano le tasse, devono anche poter votare. Ma allora i neri
americani erano gia' cittadini. Non gli davano diritti per continuare a
sfruttare il loro lavoro senza pagarli. Il razzismo permetteva di mettergli
un piede sul collo e tenerli a terra. Era razzismo prendere le persone
dall'Africa, caricarle su una nave e portarle a lavorare nelle piantagioni
come e' razzismo oggi tenere le persone nel nord Europa per farle lavorare
nelle fabbriche. E allora quando io e Martin chiedevamo diritti per gli
afroamericani davamo fastidio. Perche' disturbavamo il sistema, il loro
sistema di vita. Ma io penso quello che pensavo all'universita': non puoi
tenere un uomo nel fango senza starci anche tu".

5. RIFLESSIONE. PAOLA MANCINELLI: FRANZ ROSENZWEIG E LA QUESTIONE
DELL'ESSERE (PARTE SECONDA)
[Ringraziamo Paola Mancinelli (mancinellipaola at libero.it) per averci messo a
disposizione il seguente saggio su "Rosenzweig e la questione dell'essere:
pensare l'inizio in una terra altra" che anticipa alcuni temi del suo volume
di prossima pubblicazione su Rivelazione e linguaggio. Ripensare l'essere
con Franz Rosenzweig.
Paola Mancinelli, nata ad Osimo (An) il 28 giugno 1963, dottore di ricerca
in filosofia teoretica e docente di scuola superiore, saggista e poetessa,
si e' occupata tra l'altro del rapporto fra mistica e filosofia e la
violenza del sacro in Rene' Girard, del pensiero di Rosenzweig e
dell'influenza dell'ebraismo nel rinnovamento dell'ontologia; collabora alle
riviste "Filosofia e teologia" e "Quaderni di scienze religiose" ed alla
rivista telematica di filosofia "Dialeghestai". Fra le opere di Paola
Mancinelli: Vibrazioni, Pentarco, Torino 1985; Come memoria di latente
nascita, Edizioni del Leone, Venezia, 1989; Oltre Babele, Edizioni del
Leone, Venezia, 1991; Cristianesimo senza sacrificio. Filosofia e teologia
in Rene' Girard, Cittadella, Assisi 2001; Homo revelatus, homo absconditus,
di alcune tracce kierkegaardiane in Rene' Girard, in AA. VV., "Nota Bene,
Quaderni di studi kierkegaardiani", Citta' Nuova, Roma 2002; La metafisica
del silenzio, Stamperia dell'Arancio, Grottammare, 2003; Rivelazione e
linguaggio. Ripensare l'essere con Franz Rosenzweig (di prossima
pubblicazione).
Franz Rosenzweig, filosofo illustre, nato a Kassel nel 1886, muore nel 1929
a Francoforte; con Martin Buber ha realizzato la traduzione tedesca della
Bibbia ebraica. Opere di Franz Rosenzweig: Hegel e lo stato (1920), Il
Mulino, Bologna 1976; La stella della redenzione (1921), Marietti, Casale
Monferrato 1981 (il suo capolavoro, come e' noto); Il nuovo pensiero (1925),
Arsenale, Venezia 1983. Opere su Franz Rosenzweig: segnaliamo almeno i saggi
di Scholem, Levinas, Cacciari; un'agile sintesi introduttiva (con una
perspicua bibliografia) e' quella di Giovanni Fornero nella Storia della
filosofia fondata da Nicola Abbagnano, IV volume, secondo tomo, Utet, Torino
1994, poi vol. IX, Tea, Milano 1996 (ivi alle pp. 3-19)]

L'Essere si dice in molti modi: l'essere altrimenti detto
Parlare di "essere" in Rosenzweig significa inevitabilmente prendere in
esame le diverse implicazioni emergenti da un rapporto che connette lo
stesso essere al linguaggio e al pensiero. Rosenzweig intende, attraverso la
pietra angolare della rivelazione, procedere all'elaborazione di un pensiero
al di la' del concetto statico dell'essenza. Suggestivo ci pare, da questo
punto di vista un passaggio della Stella che qui riportiamo: "La durevole
essenza del mondo configurato era l'universale, piu' esattamente la specie,
la quale contiene in se', sia pure in modo universale, l'individuo, anzi di
continuo lo genera nel proprio seno. Nel mondo che si rivela come creatura
quest'essenza durevole viene capovolta in un'essenza istantanea, 'sempre
rinnovata' e tuttavia universale. Un'essenza quindi in-essenziale. Che cosa
s'intende con questo? Un'essenza del mondo ormai entrato nella corrente
della realta', un'essenza che non e' 'sempre dovunque', un'essenza la quale
nasce nuova ogni istante, con l'intero contenuto del particolare che essa
include in se'" (14).
Proprio il termine di "essenza in-essenziale" implica da un lato la messa in
discussione del fondamento totalizzante, dall'altro getta le basi per
l'evento della rivelazione istantanea e sempre nuova, che accade
all'esser-ci del mondo. Dunque e' solo la rivelazione che permette di
definire l'essenza del mondo, che e' - tuttavia - in-essenziale, perche'
rinnovata ogni istante nell'accadere della parola in questo esser-ci
individuo che ogni volta sono, segnato dal bisogno di essere.
Per questo Rosenzweig prosegue: "Contrapposto ad essere l'esser-ci significa
l'universale che e' ripieno di particolare e non e' sempre e dovunque,
bensi' (contagiato in questo dal particolare) deve incessantemente divenire
nuovo per conservare la propria esistenza (...). Il suo proprio essere, che
esso ha alle spalle ovvero possedeva prima di quel suo divenir-creatura, non
puo' procurargli tutto cio' perche' quell'essere e' rimasto la' alle sue
spalle, nell'apparenza priva di essenza del pre-mondo" (15).
Come acutamente osserva Anne Elizabeth Bauer, nella sua preziosa opera su
Rosenzweig: "Ci sono diversi modi dell'essere: l'essere intemporale (come
nel caso dei tre orizzonti intrascendibili, Dio, il mondo e l'uomo) e
l'essere che accade nel momento in cui si gettano ponti fra creazione,
rivelazione, redenzione. In questo senso l'essere non deve essere compreso
come il concetto onniavvolgente i tre orizzonti di Dio, il mondo, l'uomo, ma
semplicemente come esser-ci (Da-sein), esser cosi' (So-sein), datita',
(Gegebenheit), sia  nella temporalita' dell'intemporale, che fonda senza
dubbio il divenire della realta' (...), sia nella temporalita' dell'evento
che nel presente, passato, futuro si distende in una triplice forma di
relazione" (16).
Procedendo via negationis escludiamo subito un'interpretazione dell'essere
in quanto semplice presenza e ci attestiamo su una categoria che e' quella
dell'esser-ci. Ma va subito osservato, poiche' lo stesso Rosenzweig invoca
un'istanza in-essenziale, che l'esser-ci non puo' subire la reductio a mero
ente. L'esserci si riconosce, in effetti, in quanto bisognoso di essere come
apertura relazionale, che sempre si rinnova nella rivelazione. Potremo
quindi concludere che l'esser-ci in quanto fenomeno irriducibile viene
rinnovato costantemente come venire all'essere nella Parola. Per questo
motivo l'interpretazione midrashica puo' esserci utile; essa infatti
permette di comprendere meglio questa sorta di s-fondamento che rende
all'essere il suo significato abissale. Vedremo come questo possa permettere
di intercambiare l'essere con il nulla, secondo la tradizione cabalistica,
di cui certamente, sia pur in uno strato profondo della sua opera,
Rosenzweig e' debitore. I primi versetti del Genesi usano il termine ebraico
tohu-bohu, che potremmo rendere in italiano con abisso; proprio questo
termine permette agli esegeti di penetrare nel giardino chiuso del Nulla
(17). In questo senso risultano pregnanti le parole di Zarader, che
asserisce: "Il nulla non e' semplicemente pre-liminare, il suo tumulto non
si estingue con la creazione, ma l'accompagna continuamente, si tratta di
una riserva di forze pronta a risorgere, pronta allo stesso tempo a
rispondere all'appello dell'essere, quando questo si ricorda della sua
originaria parentela con il nulla" (18).
Si puo' comprendere, cosi', l'istanza rosenzweighiana secondo la quale il
venire all'essere della creazione deve essere sempre rinnovato nella sua
perennita'. Cio' depone a nostro avviso a favore di un carattere linguistico
ed eventuale dell'essere, e che, anche questa volta, crediamo ravvisare
nell'esegesi ebraica delle Scritture.
Se e' vero che gli interpreti ebrei non si limitano soltanto a riconoscere
un'originaria parentela tra essere e nulla, e' pur vero che essi si
attestano su un orizzonte ermeneutico che vede nella lingua ebraica un calco
della realta', una mimesi ed una scrittura delle cose, nonche' su un'idea di
lingua, la cui essenza e' concepita da Dio ed affidata all'uomo
nell'infinita possibilita' combinatoria delle lettere (19). In questo senso,
essi ravvisano tale parentela anche a livello linguistico; come sottolinea
Zarader, essi decifrano e decodificano il termine ebraico Ain (non-esistenza
o nulla); secondo l'anagramma delle lettere che lo compongono; dunque esso
verrebbe a corrispondere ad 'Ani, che in ebraico traduce il si', o l'essere,
ovvero l'affermazione dell'esistenza.
Risuonano in una feconda sintonia con il pensiero rosenzweighiano queste
interpretazioni cabalistiche: "L''Ain e' il tutto e pertanto e'
inabbordabile, e' presente e pertanto introvabile. E' prossimo e pertanto
lontano. Ben lungi dall'essere negazione dell'esistenza, il nulla e'
l'essenza dell'essere (20)". Difficile non cogliere qui un'assonanza con
quella sorta di dialettica rosenzweighiana che coglie nell'istanza del
rinnovamento perenne della rivelazione il farsi lontano e vicino di Dio e
l'originaria fenomenologia della relazione.
Sempre secondo la lettura cabalistica da noi qui adottata per andare al
cuore della questione, Ain e' intercambiale con il termine 'Ani; in quanto
pero', particella esistenziale positiva, 'Ani presenta anche un'altra
irradiazione semantica, e puo' esser inteso come l'Io divino (21). L'abisso
(Ain) lascia risuonare il primo dire di Dio, che creando si riferisce a se'
come ad un io dinanzi alla creazione. 'Ani e' dunque il compimento sonoro
del silente inizio, esso segna il dono del linguaggio nonche' il carattere
rivelativo della Parola che risuona nell'anima e nel mondo. Dunque il
fondamento in-fondato della creazione, in quanto venire all'essere e' il
perenne rinnovarsi di questo si' in una pura liberta' divina.In questo
stesso passaggio da Ain ad 'Ani si potrebbe cogliere una sorta di
pre-originaria dialogia in cui Dio stesso negherebbe il suo abisso per
affermare l'esistenza della creazione, per farle spazio e lasciarla essere
nella propria alterita'. Questa proposta ermeneutica permette a Rosenzweig
di dare conto di quella che abbiamo definita l'esperienza piu' originaria
dell'essere; egli traspone altresi' in termini ontologici il No con cui Dio
nega la sua essenza ed il Si' con cui afferma la creazione. Si tratta,
infatti, di parole archetipiche che denotano gli stati iniziali di Dio (22).
Egli ravvisa anche nel nulla autonegantesi di Dio, il cominciamento stesso
della creazione. Possiamo allora comprendere in che senso Rosenzweig ravvisa
nel nulla l'inizio del nostro sapere di qualcosa. Il filosofo di Kassel
indica qui non solo la possibilita' di un'ermeneutica biblica sempre nuova,
ma anche la legittimita' di una riflessione filosofica derivante dalla
tradizione ebraico-biblica. Le istanze citate, in effetti, verrebbero a
costituire il nucleo della critica rosenzweighiana al pensiero essenzialista
ed entificante che si attesta sulla domanda "cos'e'". Sara' utile, da questo
punto di vista, metterci ancora una volta in ascolto della densa pagina
rosenzweighiana.
"Soltanto di Dio e' concesso dire che Egli e' il nulla; questa sarebbe una
prima, anzi la prima conoscenza della sua essenza. Qui infatti nulla puo'
essere un predicato, proprio perche' Dio non e' affatto conosciuto nella sua
essenza; la domanda 'che cos'e' Dio?' e' impossibile" (23).
Questo passaggio ci sembra fondamentale anche sotto un altro punto di vista:
non solo la questione dell'essere non puo' piu' porsi secondo una
prospettiva entificante, ma - soprattutto - essa non puo' piu' implicare una
reductio del concetto di Dio. La filosofia esperiente di Rosenzweig che ha
come presupposto la rivelazione si pone dal punto di vista di un'ermeneutica
della fatticita' e della storicita', nella quale l'apertura relazionale alla
Parola interpellante permette di comprendere l'accadere della creazione come
evento di un'alterita' che si fa presente a partire da un invio. Dunque
l'essere viene a perdere quella sorta di rigidita' conferitagli da un
pensiero di tipo sostanzialista per diventare parola dell'incontro e
dell'avvenire.In tale prospettiva lo stesso Rosenzweig afferma nella lettera
a Martin Goldner: "L'ebraico 'essere' non e' certo come l'indogermanico
'essere', secondo la sua essenza, copula, e dunque statico, quanto invece
una parola del divenire, dell'avvenire, dell'accadere..." (24).
Quest'affermazione puo' facilmente essere vista in prospettiva sinottica con
quanto Rosenzweig asserisce nella Stella: "Noi sperimentiamo che Dio ama,
non che Dio e' l'amore. Nell'amore Egli ci viene troppo vicino perche' noi
possiamo ancora dire: questo o questa cosa e' Lui. Nel suo amore noi
sperimentiamo soltanto che Egli e' Dio, ma non che cosa Egli sia. Il 'che
cosa', l'essenza rimane celata. Essa si cela proprio nell'atto stesso di
rivelarsi. L'essenza di un Dio che non si rivela potrebbe restare alla lunga
preclusa; infatti, cosa mai si cela per l'uomo all'esperienza che e' sempre
in viaggio, al concetto che afferra, alla ragione che registra? Ma proprio
perche' Dio nella rivelazione si effonde su di noi e da statico diviene per
noi qualcosa di attivo, Egli getta la nostra libera ragione, cui nulla di
statico puo' resistere, nelle catene dell'amore e, imprigionati da questo
legame, chiamati da questo appello individuale, ci muoviamo nel cerchio in
cui ci siamo trovati e sul percorso su cui siamo stati collocati, senza
poterli oltrepassare se non facendo presa con concetti vuoti e senza vigore"
(25).
Possiamo qui scorgere i tratti fondamentali dell'essere ebraicamente inteso.
Il primo aspetto discriminante rispetto all'ontologia greca e' l'estraneita'
del concetto di copula. Essa, infatti, risponde alla domanda circa "cos'e'?"
e collega un soggetto ad un predicato nel giudizio, rispecchiando un cosmo
ordinato dall'intelletto. L'essere si da' quindi a comprendere nella
capacita' giudicante, e' logos. Nel mondo biblico essere e' invece
contrassegnato dall'accadere, e' evento accaduto. In quanto tale e'
indisponibile al giudizio e rinvia ad una comprensione piu' originaria della
realta', accessibile all'uomo. L'essere e' dunque dono di questo evento;
accade tra gli uomini, dunque e' evento storico aperto, che, in quanto tale,
supera la comprensione della semplice presenza.
Per lo stesso motivo esso si da' nell'esperienza di una relazione che e' via
via dinamismo dell'azione. Ecco dunque perche' l'ebraismo non conosce ne'
l'astrazione, ne' il concetto, i cui esiti sono rispettivamente la
codificazione e la rigida ontologia sostanzialistica. La lingua che la
tradizione ebraica fonda in prevalenza sul verbo e sull'azione, puo' inoltre
offrire notevoli spunti ermeneutici, specie per quanto concerne il
progressivo abbandono del concetto e del giudizio, a favore di un'attenzione
particolare al nome, ed al nome proprio. Questo sara' il nostro percorso ed
il nostro approdo, anche se, prima, riteniamo necessarie alcune osservazioni
preliminari a partire da due capisaldi che possiamo riassumere come segue:
- la connessione fra linguaggio ed essere;
- la connessione fra rivelazione ed essere.
Prende forma, in base a tali capisaldi, una sorta di configurazione della
realta' che rispecchia il sistema di filosofia dello stesso Rosenzweig.
L'atto linguistico e' di per se' rivelativo; in esso la rivelazione
acquisisce centralita' in quanto chiarificazione e dischiudimento della
verita' (potremo parlare con Casper altrettanto di Seinserhellung,
rischiaramento dell'essere), che esprime la connessione vivente
(Lebensbezug) della realta' entro cui (e non viceversa) il pensiero si
sviluppa. Il linguaggio rappresenta dunque l'orizzonte trascendentale, la
condizione di possibilita' della rivelazione. Questa, a sua volta, si pone
come possibilita' di apertura relazionale che, configurando la nascita
dell'io e del tu in senso dialogico, e' altresi' alla base di quella
connessione vitale che accade fra gli elementi e in tal senso anticipa la
redenzione del mondo, configurandolo come realta' capace di ricevere il
nome.
Viene, in tal modo, a darsi una relazione fra Sprache come evento
pre-originario - la creazione e', infatti, un primo rivelarsi intradivino
nella parola - in-fondato ed autofondantesi - e gesprochensein, in quanto
ineludibile contrassegno dell'esser-ci. In altri termini si stabilisce una
connessione fra venire al linguaggio e venire all'essere; il venire al
linguaggio non puo' essere, tuttavia, considerato soltanto mera struttura
formale, esso manifesta bensi' un contenuto, che e' proprio la realta'
vivente nel paradigma della relazione primaria Dio-uomo. Dunque zur Sprache
kommen implica una chiarificazione di senso ed una chiarificazione di se' in
quanto esser-ci ed esser-ci in relazione. Inequivocabile contrassegno
dell'essere e' dunque l'accadere della relazione. Il contrassegno
linguistico, designa altresi' la capacita' di ricevere la parola ex parte
hominis e quella di donare il nome ex parte Dei. Ed e' proprio il nome che
permette di connettere il mondo filosofico al mondo biblico della
rivelazione, essendo il punto di intersezione dove si incontrano, da un lato
il perenne rinnovarsi della rivelazione e dall'altro il fondamento perenne
della creazione. Sullo sfondo di questa apertura donante non si puo',
dunque, che rimettere in discussione ogni necessita' immutabile, ed e'
proprio nella sfida posta dal mondo biblico alla filosofia che questo puo'
essere ulteriormente chiarito.
*
Note
14. Cfr. Rosenzweig, Der Stern der Erloesung, Nijhoff, Den Haag 1976, trad.
it. a cura di G. Bonola, La Stella della Redenzione, Marietti, Casale
Monferrato 1985, pp. 133-134, 128. D'ora in poi: SR (Nelle citazioni della
Stella della Redenzione il primo numero dopo la sigla si riferisce alla
pagina dell'edizione tedesca qui citata, mentre il secondo dopo la virgola
alle pagine della trad. it. indicata. Verranno di volta in volta specificate
le eventuali modifiche alla trad. it. che riterremo opportuno apportare).
15. SR, 134,128-129.
16. Rimandiamo a A. E. Bauer, Rosenzweigs Sprachdenken in Der Stern der
Erloesung und in seiner Korrespondenz mit M. Buber zur Verdeutschung der
Schrift, Peter Lang, Frankfurt a. M., Berlin, New York, Paris, Wien, 1992,
p. 34. Questa opera, che e' una tesi dottorale discussa all'Universita' di
Freiburg i. B., ci sembra preziosa non solo ai fini della comprensione del
pensiero linguistico rosenzweighiano, ma anche per poter attuare un
confronto con la tradizione ermeneutica contemporanea. Qui di seguito il
testo tedesco: "Es gibt verschiedenen Arten von Sein: das zeitlose Sein (wie
in den 3 letzten unhintergehbaren Horizonten, Gott und Welt, und Mensch
vorliegt), und das geschehende Sein in den sich ereignenden Bruecken
schlaegen von Schoepfung, Offenbarung, und Erloesung. Sein darf dabei nicht
als der die drei Horizonten, Gott, Welt, Mensch umfassende Begriff
verstanden werden, sondern schlicht als das Da-sein, So-sein, Gegebenheit,
entweder in die Zeitlichkeit der Zeitlosigkeit, was die geschehende
Wirklichkeit zwar fundiert, (...) oder in der Zeitlichkeit des Geschehens,
die sich in Gegenwart, Vergangenheit und Zukunft als drei Formen der
Beziehung auseinanderlegt".
17. Per questo rimandiamo sia all'opera gia' citata di Zarader.
18. M. Zarader, op. cit., p. 145.
19. Rimandiamo su questo al bello studio di D. Banon, La lecture infinie.
Les voies de l'interpretation midrachique, Seuil, Paris 1987.
20. A. Safran, La Cabale, Payot, Paris 1972, in M. Zarader, op. cit., pp.
145-146. Il testo francese recita come segue: "L'Ain est le tout, et
pourtant il est inabordable. Il est present et pourtant introuvable. Il est
proche et pourtant lointain. Loin d'etre negation de l'existence, le neant
est l'essence de l'etre".
21. A. Neher, op. cit., p. 51.
22. M. Idel, Franz Rosenzweig e la Kabbalah, in "Filosofia e Teologia",
cit., p. 263.
23. SR, 434, 417.
24. Rosenzweig, GS, I/2, p. 1161. Il testo tedesco recita come segue: "Das
hebraeische 'haya' ist ja nicht wie das indogermanische 'sein' seinem Wesen
nach Kopula, also statisch, sondern ein Wort des Werdens, Eintretens,
Geschehens...".
25. SR, 424, 408.
(Parte seconda - segue)

6. RIFLESSIONE. GIOVANNA PROVIDENTI: L'INTRANSIGENZA DI CORDELIA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente intervento di Giovanna Providenti.
Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) e' ricercatrice
presso l'Universita' Roma Tre, si occupa di nonviolenza, studi sulla pace e
di genere, con particolare attenzione alla prospettiva pedagogica. Ha due
figli. Partecipa  al Circolo Bateson di Roma. Scrive per la rivista "Noi
donne". Ha curato il volume Spostando mattoni a mani nude. Per pensare le
differenze, Franco Angeli, Milano 2003, e pubblicato numerosi saggi su
rivista e in volume, tra cui: Cristianesimo sociale, democrazia e
nonviolenza in Jane Addams, in "Rassegna di Teologia", n. 45, dicembre 2004;
Imparare ad amare la madre leggendo romanzi. Riflessioni sul femminile nella
formazione, in M. Durst (a cura di), Identita' femminili in formazione.
Generazioni e genealogie delle memorie, Franco Angeli, Milano 2005;
L'educazione come progetto di pace. Maria Montessori e Jane Addams, in
Attualita' di Maria Montessori, Franco Angeli, Milano 2004. Scrive anche
racconti e ha in cantiere un libro dal titolo Donne per, sulle figure di
Jane Addams, Mirra Alfassa e Maria Montessori.
Ekkehart Krippendorff, gia' docente di scienze politiche e relazioni
internazionali alla Libera Universita' di Berlino, alla City University e
alla Columbia University di New York, e  in diverse universita' italiane
(Bologna, Siena, Urbino), e' uno dei maggiori politologi tedeschi. Fra le
opere di Ekkehart Krippendorff: Staat und Krieg (Stato e guerra), 1985;
Militaerkritik (Critica militare), 1993; L'arte di non essere governati,
Fazi, Roma 2003; Critica della politica estera, Fazi, Roma 2004; Shakespeare
politico, Fazi, Roma 2005.
Jane Addams (Cedarville, 1860 - Chicago, 1935), sociologa, educatrice,
riformatrice sociale e scrittrice pacifista e femminista statunitense, nata
a Cedarville, Illinois, nel 1860, fonda nel 1889, in un quartiere di Chicago
abitato da immigrati, la Hull House, un istituto di educazione sociale, con
l'intento di offrire protezione alle persone bisognose, soprattutto bambini,
che vivono in disperate condizioni nelle periferie delle grandi citta': in
breve tempo i centri istituiti dalla Addams si moltiplicano in tutti gli
Stati Uniti, tanto che nel 1893 conta quaranta gruppi locali con asili nido,
consultori e dispensari; nel 1905 e' presidente della National Conference of
Charities and Corrections; impegnata per il voto alle donne, nel 1912
diviene vicepresidente della National American Women Suffrage Alliance; e'
tra le principali organizzatrici di varie associazioni pacifiste, presidente
del Women's American Peace Party, rappresento' le donne al Congresso della
pace dell'Aja, dal 1915 fu presidente della Lega internazionale delle donne
per la pace e la liberta; nel 1931 viene insignita del premio Nobel per la
pace; muore a Chicago nel 1935. Opere di Jane Addams: in edizione italiana
cfr. Donne, immigrati, governo della citta'. Scritti sull'etica sociale,
Spartaco, Santa Maria Capua a Vetere 2004. Su Jane Addams ha scritto
rilevanti saggi Giovanna Providenti, cfr. anche i testi apparsi nei nn. 397
e 898 di questo foglio]

La recente vicenda parlamentare italiana, della bocciatura dell'emendamento
"quote rosa", se da una parte conferma la presenza di importanti
"strascichi" di una cultura patriarcale e maschilista, dall'altra pone a noi
donne l'opportunita', come insegna Virginia Woolf, di continuare a pensare e
a porci ancora domande.
*
Cordelia, nella scena iniziale di "Re Lear", la prima volta che parla, lo fa
per porsi - "a parte", "tra se'" - una domanda: "Che potra' fare Cordelia?".
Mentre il padre sta suddividendo il regno tra le figlie, fermo nella sua
logica di "realpolitik" secondo cui, come scrive il politologo Ekkehart
Krippendorff nel suo Shakespeare politico,"il mondo e' una carta astratta di
carte geografiche su cui sono tracciati i potenziali economici e gli
equilibri militari" (p. 275), Cordelia si pone da subito come figura
appartenente ad un'altra logica, un'altra dimensione etica, rivelata dalle
sue battute "tra se'": "Amare e starsene zitta". La sua persuasione etica,
che non conosce "la lingua convenzionale degli interessi e dei calcoli del
potere" (Krippendorff, p. 276), la spinge all'intransigenza e al rigore
della parola: "il mio amore ha piu' peso della mia lingua". E, pur sapendo
di rischiare la perdita di un regno, ovvero la possibilita' di stare nei
processi decisionali, si rifiuta di adulare il potere: come invece fanno le
sorelle, ottenendo il regno.
*
Pur meno studiata, Cordelia, va recuperata tra le figure femminili (come
Antigone) portatrici di etiche e politiche alternative alla cultura
patriarcale dominante. Gia' Jane Addams l'aveva individuata come "cittadina
del mondo" portatrice di "una nozione di giustizia cosi' ampia" da farle
accettare la "piccola conseguenza" della perdita di un regno.
In un saggio del 1912 dal titolo "A modern Lear", l'intellettuale americana
fa una acuta analisi sulla necessita' di relazioni umane maggiormente
responsabili e reciproche, paragonando la figura di Lear a quella del
capitalista filantropo, indignato per l'irriconoscenza degli operai, che si
riuniscono in sindacati e reclamano i propri diritti a piu' salutari ed eque
condizioni di lavoro. Per Addams, il fallimento dell'incontro tra interessi
diversi non e' dovuto solo al Re-Capitalista, incapace di vedere la reale
condizione di vita e le effettive esigenze delle persone a cui crede di fare
del bene; ma anche alla "ristretta concezione di emancipazione degli
operai", che nella tragedia di Lear vede rappresentati sia dalle due sorelle
che avide di potere, pur di ottenerlo, si piegano all'adulazione per poi
proseguire in una gestione arrogante dello Stato, sia da Cordelia, che
sceglie un altro strumento politico, "avendo una visione della vita piu'
ampia".
Il motivo del fallimento di Cordelia, a parere di Addams, sta nel peccare di
auto-centrismo, nel dimenticare di includere, nella propria idea di
salvezza, ogni singolo lavoratore, "dal primo all'ultimo", ed anche Lear
stesso. La pensatrice nonviolenta constatando il fallimento politico e
morale sia di Lear, che delle due sorelle che di Cordelia, auspica una
visione del mondo piu' ampia, e relazioni piu' attente/responsabili degli
interessi di entrambe le parti: perche' in una concezione nonviolenta, di
trasformazione della politica e di cambiamento sociale, non c'e' solo un
passaggio di potere da una classe all'altra, ma e' il sistema che muta
radicalmente, divenendo democratico ed etico.
Questa riflessione di Addams, esposta qui molto in sintesi, volendo provare
a riportarla in domande, a proposito delle donne nei posti decisionali,
potrebbe diventare cosi': "quote rosa, si', ma per tutte le donne, dalla
prima all'ultima?". E poi: "che vanno a fare queste donne nei processi
decisionali? "Si ricorderanno, una volta la', di far qualcosa per cambiare
le regole del gioco? O faranno solo gli interessi della propria classe (sia
pure quella delle donne!) e propri?".
*
Per provare ad andare ancora piu' a fondo alla questione continuerei a
interrogare Shakespeare, anche con l'aiuto dell'interpretazione di
Krippendorff, al quale, pure, piace porsi domande: "La domanda che deve
essere posta a Cordelia e' la seguente: perche' alla decisione della
spartizione non ha risposto come Lear si aspettava? Perche' rifiutandosi di
partecipare al rituale di Stato, alle convenzioni d'amore da parte di una
figlia, aveva consegnato suo padre all'arbitrio delle sue sorelle?" (p.
288).
La prima risposta che io, immedesimandomi in Cordelia, darei e' qualcosa che
Krippendorff sembra dimenticare, e cioe' che Cordelia, cosi' facendo, perde
il regno, ma ottiene liberta'. E il primo vantaggio arriva immediato:
dandole la possibilita' di sposarsi non per convenienza, ma per amore. Dopo
di che Cordelia, affidandosi al "tempo", che "prima copre i difetti, ma alla
fine svergogna", esce gia' dal primo atto, per ricomparire solo al quarto.
Ma la sua scelta di intransigenza etica avra' un peso non indifferente su
quello che e' stato individuato come il tema centrale del "Re Lear": la
scoperta di se'.
Il processo di conoscenza, che Lear compie attraverso umiliazioni e follia,
comprendendo "qualcosa su se stesso, sugli esseri umani, sul carattere
(auto)distruttivo e patologico del potere e della sovranita'" (Krippendorff,
p. 273), risulta necessario a porre le basi per un cambiamento sostanziale
di una societa' malata e accecata dalla brama di potere. Lear e' costretto a
comprendere, pur se tardi e sotto forma di metafora, cio' che prima non
riusciva a vedere: in misura proporzionalmente inversa al graduale
smantellamento del suo esercito, e infine della sua regalita', "ridotto alla
sua pura esistenza di essere umano..., poeta padrone della lingua" vede il
mondo della realpolitik e della politica razionale in tutta la sua logica
distruttiva. Il suo stesso modo di governare era stato letale: perche'
basato sulla violenza (le forze armate), e perche' noncurante del dialogo
tra parti, degli effettivi bisogni dei cittadini, e perche' piu' attento ai
rapporti di potere, che a quelli umani.
La trasformazione di Lear avviene prima di rincontrare Cordelia, che
rappresenta, per lui, la possibilita' concreta di potere ricominciare a
vivere da essere umano integro e demaschilizzato, essendo stata "scossa la
mia maschilita'" (I, iv, 298). Cordelia rappresenta la possibilita' di una
politica trasformata in "attivita' umana" intesa ad "attuare ordinamenti
duraturi e la realizzazione di principi morali" e "orientata alla schietta
amicizia tra gli esseri umani, concepita come servizio, impegnata
nell'amore" (Krippendorff, p. 25). Tornata in patria, a difendere la
giustizia, ecco come si esprime Cordelia: "Non e' tronfia ambizione ad
incitare le nostre armi, ma amore, amore e affetto, e il diritto del nostro
vecchio padre" (IV, iv, 25). E poi ancora, incontrando Lear, maltrattato
dalle sorelle: "il cane del mio nemico, pur avendomi morso, in una notte
simile l'avrei tenuto accanto al mio focolare" (IV, vii, 36).
In queste parole si rileva l'affermazione di un'etica fondata sull'amore,
sul diritto e sul riconoscimento dell'altro, fosse pure il "nemico",
portatore di interessi diversi dai propri. E tale riconoscimento-amore, come
gia' annunciato nel primo atto ("io non ho l'arte disinvolta e untuosa di
dire senza intenzione di fare, perche' quel che intendo lo faccio prima di
dirlo", I, i, 227), e' molto lontano dalla consuetudine formale, vuota e
retorica di una politica piu' attenta al consenso che alla legittimita': e'
concreta pratica civile, che si attua in un atteggiamento di estrema
coerenza dei propri presupposti politici, e che ne accetta le conseguenze.
Se la conseguenza immediata dell'intransigenza politica e morale e' la
perdita del regno, quella successiva e' l'ottenimento di riconoscimento e
potere morale, rappresentati dalla mirabile scena della richiesta di perdono
di Lear, in ginocchio di fronte a Cordelia. Ma questa non e' la scena finale
della tragedia, in cui invece Cordelia muore, uccisa da un freddo esecutore,
che ubbidisce ad ordini folli, pur di non "tirare la carretta e nutrirmi di
baccelli secchi"(V, iii, 39).
*
Allora la domanda che l'accostamento, scusatemi se azzardato, tra questa
tragedia e la discussione sulle "quote rosa" mi fa suscitare e': "come fare
a far sopravvivere un'etica di amore e riconoscimento dell'altro/a in un
mondo in cui la poverta', ignoranza e disperazione dei molti viene sfruttata
per sostenere e difendere (armando chi non e' abituato a pensare) gli
interessi dei pochi?". E ancora: "Ma, noi donne, vogliamo assomigliare piu'
all'intransigente Cordelia, o alle sorelle lusingatrici?".
*
Bibliografia
- William Shakespeare, Re Lear.
- Jane Addams, "A modern Re Lear", in J. B. Elshtain (ed.), The Jane Addams
reader, Basic Book, New York 2001, pp. 163-176.
- Ekkehart Krippendorff, Shakespeare Politico, Fazi, 2005.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 41 dell'8 dicembre 2005

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it