La nonviolenza e' in cammino. 1077



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1077 dell'8 ottobre 2005

Sommario di questo numero:
0. Una comunicazione di servizio
1. Joao Oneres Marchiori: Se vuoi la pace, costruisci la solidarieta'. Si'
al referendum, si' al disarmo, si' alla vita
2. Elena Pulcini: Perche' si'
3. Gino Barsella: Si'
4. Vittorio Bellavite: Si'
5. Alessandro Ercoli: Si'
6. Monica Frassoni: Si'
7. Giorgio Giannini: Si'
8. Stefano Longagnani: Si'
9. Luigi Manconi: Si'
10. Claudia Fanti: Il 23 ottobre si' al disarmo, si' alla vita, si'
all'umanita'
11. Maria G. Di Rienzo: Uno sciopero della fame nella prigione di Telmond
12. Ileana Montini: La politica del patriarcato
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

0. UNA COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Problemi al server della nostra mailing list hanno creato quanche
difficolta' alla regolare e puntuale diffusione del notiziario in questi
ultimi giorni. Ce ne scusiamo con chi ci legge. Naturalmente speriamo che le
disfunzioni cessino al piu' presto.

1. LETTERE DAL BRASILE. JOAO ONERES MARCHIORI: SE VUOI LA PACE, COSTRUISCI
LA SOLIDARIETA'. SI' AL REFERENDUM, SI' AL DISARMO, SI' ALLA VITA
[Ringraziamo di tutto cuore monsignor Joao Oneres Marchiori (per contatti:
domoneres at twc.com.br) per questa lettera. Monsignor Joao Oneres Marchiori e'
vescovo di Lages, Santa Catarina, Brasile]

Tutto il Brasile si sta mobilitando per partecipare al referendum che
chiede: "Il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve essere
proibito in Brasile?".
Questo referendum sara' senza dubbio un evento storico per il Brasile e una
novita' molto importante nella vita delle societa' democratiche.
Un impegno cosi' importante per la vita delle persone e della societa' sara'
deciso per mezzo della democrazia diretta. Ogni cittadino ed ogni cittadina
saranno chiamati a manifestare la loro opinione.
*
Leggiamo nel Vangelo di Matteo: "Beati i costruttori di pace, perche'
saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9). E' necessario costruire la pace.
Il popolo brasiliano ne ha coscienza poiche' soffre terribilmente a causa
della violenza.
Il Brasile detiene nel mondo il triste primato del piu' alto numero di
persone uccise da armi da fuoco, come attesta l'Organizzazione delle Nazioni
Unite. Ogni dieci uccisioni che si verificano in Brasile, otto sono
provocate dall'uso di armi da fuoco. In Brasile vive solo il 2,8% della
popolazione mondiale, ma l'8% degli omicidi commessi con armi da fuoco di
tutto il pianeta avvengono qui. In Brasile si muore piu' per armi da fuoco
che per incidenti stradali. Ogni anno in Brasile 38.000 persone vengono
uccise da armi da fuoco: un numero di morti piu' elevato di quello dei paesi
in cui sono in corso conflitti armati. Una media di una uccisione ogni
dodici minuti.
*
Senza dubbio questi dati dimostrano quanto grandi siano le dimensioni del
problema. Proprio per questo l'indizione di un referendum su questo
argomento ha richiamato l'attenzione di molte persone, di istituzioni e
soggetti collettivi, di varie organizzazioni della societa' civile.
In Brasile esiste gia' uno Statuto per il disarmo, in vigore dal 23 dicembre
2003: esso intende esercitare un controllo sulla domanda, per limitare la
ricerca di armi da parte delle persone; prevede un controllo sull'offerta,
per limitare l'immissione di armi sul mercato; e un controllo sulla
detenzione, mirando a diminuire la quantita' di armi a disposizione della
popolazione.
Naturalmente esiste anche una forte opposizione a questo referendum: vi e'
infatti chi suggerisce di votare no alla proibizione del commercio delle
armi. Sono molteplici gli argomenti addotti a tal fine: la necessita' delle
armi per autodifesa e per la difesa dei patrimoni; il fatto che i criminali
sono gia' armati; il bisogno di essere armati per farsi rispettare,
eccetera. Ma io penso che se vogliamo costruire una societa' di pace,
dobbiamo togliere le armi dalla circolazione, e questo aiutera' anche a
disarmare i criminali.
E' ovvio che il disarmo non bastera' a risolvere del tutto il problema della
violenza e del crimine, ma sicuramente il disarmo aiutera' a far diminuire
la violenza: il fatto che una persona sia senza armi e' sempre un ostacolo
alla commissione di crimini.
*
Per questo siamo tutti invitati a votare si' il prossimo 23 ottobre.
L'antico detto "se vuoi la pace, prepara la guerra" non vale piu'. Io direi
piuttosto: "se vuoi la pace, costruisci la solidarieta'".
*
Vedo che il quotidiano telematico "La nonviolenza e' in cammino" si e' unito
a noi brasiliani per il si' al referendum. Questo ci da' forza e dimostra
che siamo in cammino sulla giusta strada.
Come brasiliano (discendente da un italiano, di Belvedere di Tezze) vi sono
molto grato del vostro sostegno: la solidarieta' e' la nostra migliore
difesa.

2. EDITORIALE. ELENA PULCINI: PERCHE' SI'
[Ringraziamo Elena Pulcini (per contatti: e_pulcini at unifi.it) per questo
intervento. Elena Pulcini e' docente di filosofia sociale all'Universita' di
Firenze, acuta saggista, da anni riflette su decisivi temi morali e politici
in dialogo con le esperienze piu' vive del pensiero delle donne, dei
movimenti solleciti del bene comune per l'umanita' e la biosfera, e della
ricerca filosofica, e specificamente assiologica, epistemologica e politica
contemporanea. Tra le opere di Elena Pulcini: La famiglia al crepuscolo,
Editori Riuniti, Roma 1987; Amour-passion e amore coniugale. Rousseau e
l'origine di un conflitto moderno, Marsilio, Venezia 1990; con P. Messeri (a
cura di), Immagini dell'impensabile. Ricerche interdisciplinari sulla guerra
nucleare, Marietti, Genova 1991; L'individuo senza passioni, Bollati
Boringhieri, Torino 2001; con Dimitri D'Andrea (a cura di), Filosofie della
globalizzazione, Ets, Pisa 2001, 2003; Il potere di unire, Bollati
Boringhieri, Torino 2003; con Mariapaola Fimiani, Vanna Gessa Kurotschka (a
cura di), Umano, post-umano, Editori Riuniti, Roma 2004]

Le ragioni per il si' al referendum sul commercio delle armi che si terra'
in Brasile il prossimo 23 ottobre, sono tante e tante sono gia' state
espresse nelle molteplici adesioni al si'. Condividendo la maggior parte
delle cose dette e soprattutto lo spirito con cui spesso sono state dette,
vorrei dunque solo aggiungere la mia testimonianza attraverso qualche breve
riflessione.
Indipendentemente dalla particolare situazione brasiliana, penso che questo
referendum possa avere una efficace risonanza simbolica in quanto costringe
a misurarsi con un problema che non e', purtroppo, solo "locale", confinato
alla singola realta' nazionale, ma "globale", come lo sono oggi, per lo
piu', tutti gli avvenimenti significativi.
Siamo nel mondo globale infatti: vale a dire in un mondo caratterizzato
dalla "interdipendenza degli eventi" in virtu' della quale qualcosa che
accade in una  parte di questo nostro pianeta, anche la piu' remota, puo'
riguardare l'intera umanita' ed avere effetti sul suo destino; basti pensare
ai cosiddetti "rischi globali" (dalla minaccia nucleare al global warming,
dai virus letali al degrado ambientale, dal terrorismo alla guerra...) che
rendono la nostra vita profondamente precaria e insicura, ponendoci di
fronte, come un'unica umanita', a sfide inedite che spesso ci sentiamo
incapaci di affrontare.
Ma insieme a questo aspetto negativo, inquietante e produttore di paure, il
mondo globale e interdipendente produce potenzialmente effetti positivi:
come quello, per esempio in questo caso, di farci sentire partecipi di una
realta', quale e' quella brasiliana, geograficamente lontana, ma
simbolicamente molto vicina, e capace di evocare in noi reazioni ed immagini
che vanno appunto al di la' del particolare evento locale...
La prima immagine che imperiosamente si attiva nella mia mente quando penso
alle armi e' appunto, e ovviamente, la guerra: il suo proliferare nelle
varie parti del globo e soprattutto la sua escalation nella forma a dir poco
preoccupante di "guerra preventiva": formula tristemente sloganistica dietro
la quale si cela l'arroganza di un potere imperiale a caccia di risorse
(petrolifere e non) in un mondo che si configura sempre piu' povero di
risorse...
Dire no alle armi significa dunque dire no alla guerra quale strumento di
risoluzione delle sfide globali e dei conflitti.
Ma c'e' anche un altro aspetto che mi preme sottolineare. Come vediamo anche
in Occidente (si pensi a questo problema negli Stati Uniti), il possesso
delle armi diventa ogni giorno di piu' un fatto "normale", legittimo, tanto
da essere concesso anche alle giovani generazioni.
Questo referendum e' dunque anche un'occasione per chiedersi cosa c'e' al
fondo di questo fenomeno; il quale cela probabilmente un'ossessione per la
sicurezza in un mondo divenuto appunto fortemente insicuro, e un delirio di
potenza che supplisce a quella che potremmo chiamare una perdita di
identita', prodotta dal consumismo e dall'imperialismo del mercato, dalla
indifferenza e dalla disaffezione alla sfera pubblica, dalla crisi dei
valori e dal deficit di solidarieta'...
D'altra parte, puo' sembrare banale, ma e' bene ricordarlo, l'uso della
violenza presuppone sempre identita' fragili, spaesate e prive di valori; e
di conseguenza essenzialmente reattive e disponibili a proiezioni mitiche di
se'.
Ben venga dunque un evento locale/globale che ci spinge a riflettere su
tutto questo.

3. 23 OTTOBRE. GINO BARSELLA: SI'
[Ringraziamo Gino Barsella (per contatti: ginobrs at libero.it) per questo
intervento. Gino Barsella, missionario comboniano, gia' direttore del
mensile "Nigrizia" dal 1999 al 2002, coordinatore nazionale della Campagna
"Sdebitarsi" per l'abolizione del debito dei paesi in via di sviluppo, e'
una delle figure piu' note dell'impegno di solidarieta', per la pace, il
disarmo, la nonviolenza]

Il 23 ottobre in Brasile la gente sara' chiamata a decidere, tramite
referendum, se vuole proibire il commercio delle armi nel paese.
Un'opportunita' unica, per il popolo, di dire in che tipo di societa'
vogliano vivere, un'opportunita' unica per appoggiare e valorizzare il
referendum come strumento di partecipazione e decisione popolare.
In Brasile le armi da fuoco uccidono piu' che gli incidenti stradali, l'aids
o qualsiasi altra malattia o causa esterna: muoiono quasi quarantamila
persone l'anno, una vera guerra civile! Nel paese esistono 18 milioni di
armi da fuoco, di cui oltre 9 milioni non sono registrate, e sono la prima
causa di morte dei giovani.
Il governo Lula sta lavorando con impegno per combattere questa piaga. Nel
dicembre del 2003 e' stato varato uno Statuto per il disarmo che rende piu'
rigide e precise le norme sulla circolazione di armi, sulla vendita e sulle
esportazioni... Nel luglio del 2004 e' stata lanciata una campagna per la
consegna volontaria delle armi da fuoco, senza il dovere di dare alcuna
spiegazione e in cambio di un rimborso fino a 300 reali. La campagna ha
avuto un grande successo e, ad oggi, sono state riconsegnate oltre
quattrocentomila armi.
Nel referendum si confrontano due schieramenti. Il "Fronte per un Brasile
senza armi" di cui fa parte anche il Partito dei lavoratori, il partito del
rpesidente Lula, con i movimenti di base, le ong, le associazioni per la
pace e i diritti dell'uomo: difendono l'immediato disarmo e la fine della
vendita di armi e munizioni, perche' credono che non siano queste a
garantire e creare giustizia, sicurezza e prosperita' nel paese. Il secondo
schieramento e' il "Fronte parlamentare per il diritto alla legittima
difesa", che raccoglie i consensi della destra e dei potentati economici
delle armi, dei proprietari terrieri e dell'oligarchia politica che si
oppone al presidente Lula.
*
Se vinceranno i si' ci saranno ripercussioni profondissime anche nel resto
del mondo, in quanto una delle potenze economiche del pianeta avrebbe
vietato il commercio delle armi proprio quando la dottrina dei "neocons"
americani predica a gran voce la guerra preventiva e infinita.
Sarebbe, simbolicamente come politicamente, un segnale molto forte ai
governi e ai popoli della terra: un segnale che dimostrerebbe come, con la
volonta' politica e la determinazione, si possano raggiungere risultati di
grande rilevanza.
E importantissimo sarebbe il fatto che una scelta cosi' innovativa, e in
controtendenza rispetto all'Occidente, ancora una volta venga dal Sud del
mondo.
In Europa infatti, e ancor piu' in Italia, se ne parla poco. Nel nostro
paese, ad esempio, e' stata invece annacquata una legge, la 185/90, che era
quanto di meglio ci fosse in giro sulla regolamentazione del commercio delle
armi, favorendo cosi' i grandi produttori di armi. Il messaggio e' stato
chiarissimo: al Sud possono tentare di arginare la piaga quanto vogliono, ma
noi capitalisti del Nord continuiamo a incrementare questo lucroso mercato
che ci permette di proseguire il saccheggio e il controllo delle risorse del
Sud.
La partita percio' va ben oltre la sitazione brasiliana, ed e' importante
anche per noi. Infatti, la vittoria del "si" potrebbe incoraggiare una nuova
partenza di tutto il movimento che ha lottato per salvare la 185/90, ed
essere uno stimolo perche' il controllo, se non ancora il divieto, della
vendita delle armi abbia un posto piu' rilevante nell'agenda politica del
centrosinistra. Ecco perche' e' importante sostenerla, in ogni modo.
Difendendo il disarmo collaboriamo con tutti coloro che desiderano costruire
una nuova cultura di pace, di dialogo e di rispetto dell'integrita' fisica e
morale delle persone, in Brasile come ovunque.

4. 23 OTTOBRE. VITTORIO BELLAVITE: SI'
[Ringraziamo Vittorio Bellavite (per contatti:
vittorio.bellavite at fastwebnet.it) per questo intervento. Vittorio Bellavite,
docente, coordinatore di "Noi Siamo Chiesa" a Milano, da molti anni una
delle figure piu' vive del movimento dei cristiani per il socialismo e
dell'esperienza delle comunita' di base, e' da sempre impegnato nei
movimenti di pace e di solidarieta']

Un referendum di questo genere e' una novita' assoluta al mondo e non puo'
che aprire il cuore alla speranza. Suppongo che i nostri fratelli ed amici
che lo hanno promosso abbiano calcolato bene il rischio di una tale
consultazione e siano abbastanza sicuri di vincerla e di vincerla bene (e'
chiaro a tutti che una sconfitta in questo referendum farebbe tornare
indietro di molto la situazione).
Sono appena tornato dal Peru' dove la situazione di violenza mi dicono
simile a quella del Brasile e della Colombia. Nel "conflitto armato interno"
tra il 1980 e il 2000 (tra Sendero Luminoso da una parte e l'esercito e la
polizia dall'altra) sono state uccise piu' di 69.000 persone. La cosa
terribile e' che sono state tutte vittime di armi leggere; non ci sono stati
infatti bombardamenti aerei o battaglie campali. Tutti morti in
rappresaglie, stragi di contadini poveri e indifesi sulla Sierra.
Continuo a pensare a come le cose sarebbero potute andare in modo diverso se
non ci fossero state armi disseminate ovunque alla portata di tutti (bisogna
tenere presente che in Peru' non ci furono interventi esterni per il
rifornimento di armi come invece in altre situazioni, tipo il Vietnam).
Speriamo intensamente. Faro' circolare l'informazione nel circuito di "Noi
Siamo Chiesa".

5. 23 OTTOBRE. ALESSANDRO ERCOLI: SI'
[Ringraziamo Alessandro Ercoli (per contatti: ercoliale at libero.it) per
questo intervento. Alessandro Ercoli, fisico, insegna nei licei e presso
l'Universita' di Viterbo; impegnato in molteplici esperienze di pace e di
solidarieta', per molti anni e' stato responsabile della formazione degli
obiettori di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo; nei
primi anni '90 ha partecipato all'esperienza nonviolenta di "Mir Sada"]

Proibire il commercio di armi e' un primo grande, necessario passo verso una
prassi pacifica e pacificata.
Per questo e' auspicabile che al referendum in Brasile del 23 ottobre
vincano i si'. Le ragioni di questo auspicio sono molte, e gran parte di
queste sono gia' state scritte da illustri ed autorevoli interventi.
Esistono d'altronde anche ragioni meno "politicamente" perseguibili. Mi
spiego.
Disarmare non significa solo togliere le armi o non commerciarle piu':
significa anche e prioritariamente non produrle piu'. E' chiaro che
proibirne il commercio e', come detto, un primo passo in questo senso, ma
potrebbe anche non essere cosi'. In Brasile anche l'uso indiscriminato ed
incontrollato di armi ha reso precaria, insicura e pericolosa la vita
quotidiana, tanto piu' nei grandi agglomerati urbani, minando quel senso di
sicurezza auspicabile per ogni civilta'. Ma la "sicurezza" puo' non
significare necessariamente pacificazione, abbiamo esempi su scala
planetaria dell'esatto contrario.
Ecco, vorrei che il senso del refendum non fosse "soltanto" il recupero di
questa sicurezza (pur necessaria e perseguibile con decisione visto che sono
in gioco la vita e la morte degli esseri umani), ma che, se dovessero, come
speriamo, vincere i si', si facesse un ulteriore passo verso la richiesta di
proibire la produzione delle armi. E' l'esistenza dell'arma in se' che e' da
eliminare.
Si deve essere chiari ed intellettualmente onesti: l'arma e' costruita per
offendere, per arrecare dolore ad altre persone, e questo e' gia' in linea
di principio inconciliabile con una realizzata civilta' di pace.
Non bisogna mai smettere di gridare lo scandalo di un uomo che impiega
sforzi, energia, ricchezza, risorse e tempo per pensare, progettare e
realizzare oggetti il cui unico scopo e' il dolore di un altro uomo.
Mi piace credere che l'uomo disarmato sia una delle caratteristiche di
quell'"uomo inedito" nato nella mente e nel cuore di Ernesto Balducci: e'
vero che e' l'uomo che non e' ancora, ma e' anche l'uomo che puo' essere
qualcosa di altro che, per il semplice fatto che non si sia manifestato, non
significa che non esiste.
Quindi si', spero che vincano i si', in modo netto e limpido.
Sarebbe anche il segno di un popolo che intraprende una nuova strada, che
sceglie, anche quando le condizioni di estrema miseria ed ingiustizia lo
renderebbero quanto meno spiegabile, di non ricorerre piu' all'uso delle
armi.
Spero che proprio chi vive "nei sotterranei della storia" possa contribuire
in modo decisivo alla vittoria dei si'. Sarebbe forse quel passo sperato da
dom Helder Camara quando diceva che liberare i poveri significa innanzitutto
liberarli dalla necessita' che hanno di usare la violenza.

6. 23 OTTOBRE. MONICA FRASSONI: SI'
[Ringraziamo Monica Frassoni (per contatti: mfrassoni at europarl.eu.int) per
questo intervento. Monica Frassoni, parlamentare europea, tra le figure piu'
note dell'impegno ecologista, e' presidente del gruppo parlamentare dei
Verdi al Parlamento europeo]

Il prossimo 23 ottobre i brasiliani saranno chiamati a votare per un
referendum unico nel suo genere ed il cui quesito consistera' semplicemente
delle parole: "Il commercio delle armi da fuoco e delle munizioni deve
essere proibito in Brasile?".
L'esito e' difficile da prevedere, tuttavia i sondaggi dicono che dal 60
all'80% delle persone voteranno un convinto si' al disarmo e alla vita. Se
cio' si verifichera', per la prima volta nella storia gli interessi di una
potente lobby di industrie armiere nazionali, appoggiate dalla National
Rifle Association degli Usa, saranno sconfitti dalla volonta' di cittadini
che per anni hanno fatto campagne per liberare le loro case, strade, scuole
e luoghi pubblici dalla presenza delle armi, cittadini che non vogliono piu'
che i loro figli rischino la vita ogni volta che mettono piede fuori casa.
La legge che nascerebbe dal referendum vieterebbe l'uso delle armi,
intervenendo in modo radicale nella vendita e riducendo l'enorme numero di
armi da fuoco attualmente in circolazione.
*
In Brasile circolano quasi 17 milioni di armi da fuoco; ogni 15 minuti una
persona muore per colpi d'arma da fuoco, per un totale di 39.000 morti
l'anno. Muore piu' gente a causa delle armi che per incidenti stradali, e le
ferite d'arma da fuoco sono la principale causa di morte per i giovani di
eta' compresa tra i 15 ed i 24 anni.
Come europei e come gruppo dei Verdi al Parlamento europeo seguiremo da
vicino questa campagna referendaria e l'esito che essa avra', per dare tutto
il nostro sostegno.
Nell'Unione Europea la questione del controllo delle armi in circolazione
forse non e' cosi' drammatica come altrove nel mondo, ma presenta aspetti
problematici in alcuni paesi ai suoi confini. Nondimeno anche nei nostri
paesi la lobby delle armi e' molto forte e tenta di impedire qualsiasi
sforzo di ridurre i profitti legati alla vendita libera di armi nel mercato
europeo ed in quello internazionale.
Per questo al Parlamento europeo siamo in prima fila nella ricerca di un
maggiore controllo sulla vendita delle armi. Raul Romeva, eurodeputato verde
di Barcellona, e' il relatore sul Codice di condotta dell'Unione Europea per
l'esportazione delle armi, che e' considerato uno degli strumenti
legislativi piu' avanzati nel mondo per porre freno al traffico d'armi;
tuttavia anche questo Codice puo' ancora essere migliorato di molto. Raul e'
inoltre la persona che nel Parlamento europeo guida una campagna il cui
scopo e' il risultato positivo della conferenza Onu di revisione del
programma di controllo delle armi piccole e di quelle leggere. In quella
conferenza si dovrebbero raggiungere accordi per la prevenzione di
trasferimenti illegali di armi attraverso l'obbligo di registrazione per i
mediatori e la marcatura delle armi, in modo da renderne sempre
rintracciabile l'origine. Fino ad ora la questione del controllo delle armi
private non fa ancora parte di questo programma Onu, ma con il sostegno dei
brasiliani contiamo sul fatto di poter cambiare le cose.
Last but not least, stiamo facendo campagna anche per un Trattato
internazionale sul commercio delle armi di ogni tipo.

7. 23 OTTOBRE. GIORGIO GIANNINI: SI'
[Ringraziamo Giorgio Giannini (per contatti: giannini2000 at libero.it) per
questo intervento. Giorgio Giannini, nato a Roma nel 1949, docente di
discipline giuridiche, storico della Resistenza e della nonviolenza,
impegnato in vari centri studi e movimenti per la pace e i diritti umani.
Opere di Giorgio Giannini: segnaliamo almeno L'obiezione di coscienza,
Satyagraha, Torino 1985; L'obiezione di coscienza al servizio militare.
Saggio storico-giuridico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1987; (a cura di), La
lotta nonarmata nella Resistenza, Centro Studi Difesa Civile, Roma 1993; (a
cura di), La Resistenza nonarmata, Sinnos, Roma 1995; (a cura di),
L'opposizione popolare al fascismo, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1996; Il
giorno della memoria. Per non dimenticare, Edizioni Associate, Roma 2005]

Naturalmente anch'io sono a favore del referendum in Brasile contro le armi
leggere. Spero che ci sia un buon risultato, .peraltro il 23 ottobre e'
anche il mio compleanno...

8. 23 OTTOBRE. STEFANO LONGAGNANI: SI'
[Ringraziamo Stefano Longagnani (per contatti: longagnani at yahoo.it) per
questo intervento. Stefano Longagnani, docente, e' impegnato nei movimenti
di solidarieta', per la pace e la nonviolenza, nell'educazione alla pace e
ai diritti umani, ed e' una delle persone piu' sagge e miti e generose che
abbiamo avuto l'immensa fortuna di conoscere]

Esprimo un si' convinto al referendum brasiliano contro il commercio di
armi.
Quando parlo ad amici e conoscenti del referendum indetto in Brasile per
proibire il commercio delle armi, la prima domanda che mi viene fatta e: "E
a noi che ci importa?".
Gia', a noi che ci importa? Come ci puo' toccare?
E' "solo" un segnale positivo, come scrivono autorevoli commentatori? E'
"solo" un altro passo verso un mondo meno violento, dove i morti ammazzati
saranno sempre meno?
Certo, la risposta e' felicemente positiva ad ambedue le domande qui
retoricamente poste. Ma manca, credo, ancora qualcosa.
Mi ripeto:"Gia', a noi che ci importa? Come ci puo' toccare?".
Tentare di rispondere a queste domande mi richiama alla mente un celebre
eroe dei fumetti: l'uomo ragno, spider man. Questi, appena si accorge di
avere poteri soprannaturali, pensa bene di guadagnarci sopra, vendendo se
stesso negli spettacoli di lotta. Un criminale gli passa a fianco, e lui,
pensando che non siano affari suoi, lo lascia fuggire via senza nemmeno
tentare di fermarlo. Peter Parker (spider man) torna quindi a casa, dove
trova lo zio in fin di vita, colpito a morte da un colpo esploso proprio dal
criminale che poco prima ha lasciato fuggire voltandosi dall'altra parte.
Certo la vita reale e' molto piu' complessa di questa apparentemente ingenua
storiella. I nessi di causa-effetto sono tremendamente piu' intricati e meno
trasparenti.
Desolatamente non so proprio rispondere alla domanda su "come" ci tocchera'
il referendum brasiliano. So pero' che in qualche modo ci tocchera', questo
e' certo.
"Da un grande potere, deriva una grande responsabilita'", ronza nella testa
dell'uomo ragno dopo i fatti che vi ho raccontato.
E nella nostra testa di ricchi e grassi cittadini dell'occidente, che ronza?

9. 23 OTTOBRE. LUIGI MANCONI: SI'
[Ringraziamo Luigi Manconi (per contatti: diritti.civili at dsonline.it) per
questo intervento. Luigi Manconi, sociologo, docente universitario,
giornalista professionista, saggista, gia' senatore nella XII e XIII
legislatura, gia' portavoce nazionale dei Verdi, presidente di "A buon
diritto. Associazione per le liberta'", "Garante per i diritti dei detenuti"
per il Comune di Roma, responsabile nazionale Diritti civili dei Ds,
collaboratore di varie riviste e quotidiani. Tra le opere di Luigi Manconi:
con Laura Balbo, I razzismi possibili, Feltrinelli, Milano 1990; con Laura
Balbo, I razzismi reali, Feltrinelli, Milano 1992; con Laura Balbo,
Razzismi. Un vocabolario, Feltrinelli, Milano 1993]

Ritengo assai importante il referendum che si terra' in Brasile in materia
di commercio delle armi da fuoco. Le "cifre crudeli" sulle conseguenze di
quello che e' un vero e proprio libero mercato (un morto ogni 14 minuti,
550.000 negli ultimi dieci anni, di cui la meta' ha tra i 15 e i 24 anni)
non possono lasciare spazio al dubbio.
La vittoria del si' non contribuira' solo a disinnescare, almeno in parte,
un'arma puntata contro gli stessi brasiliani (e i piu' poveri e deboli tra
essi): la vittoria del si' potra'  contribuire a diffondere un'idea di
societa' e di rapporti sociali non governati dall'esercizio della violenza e
dal potere della sopraffazione.

10. 23 OTTOBRE. CLAUDIA FANTI: IL 23 OTTOBRE SI' AL DISARMO, SI' ALLA VITA,
SI' ALL'UMANITA'
[Ringraziamo Claudia Fanti (per contatti: claudia at adista.it) per averci
messo a disposizione come anticipazione questo suo articolo che uscira' nel
n. 69/2005 di "Adista". "Adista" e' una prestigiosa agenzia di notizie,
documenti, rassegne, dossier su mondo cattolico e realta' religiose; per
contatti: via Acciaioli 7, 00186 Roma, tel. 066868692 - 0668801924, fax:
066865898, sito: www.adista.it Claudia Fanti, redattrice di "Adista", e'
impegnate in varie iniziative di pace e di solidarieta']

E' un appuntamento doppiamente speciale quello che, il 23 ottobre prossimo,
vedra' la popolazione brasiliana esprimersi sulla proibizione del commercio
delle armi da fuoco e delle munizioni: non e', infatti, solo il primo
referendum popolare nella storia del Brasile (in un momento in cui, di
fronte alla crisi politica seguita alle denunce di corruzione, l'esigenza di
forme di democrazia diretta e' quanto mai acuta) ma anche il primo al mondo
in assoluto ad offrire ai cittadini la possibilita' di mettere al bando le
armi nel proprio paese.
La consultazione popolare del 23 ottobre e' il punto di arrivo del processo
iniziato con l'approvazione da parte della Camera federale dello Statuto del
disarmo, entrato in vigore nel luglio del 2004, e con la contemporanea
campagna per la consegna volontaria delle armi da fuoco in cambio di un
indennizzo monetario: un'iniziativa che ha portato alla consegna, in poco
piu' di un anno, di circa 450.000 armi e alla riduzione delle morti per arma
da fuoco, in un anno, dell'8,2%.
*
Che il problema della criminalita' sia una piaga sociale gravissima, lo
indicano in maniera chiara le statistiche: il Brasile e' il paese in cui si
uccide di piu' con armi da fuoco, al ritmo di circa 40.000 persone all'anno
(in massima parte poveri, giovani, neri e mulatti delle grandi periferie).
Dei 17 milioni e mezzo di armi da fuoco che secondo le stime circolano nel
paese, in massima parte di fabbricazione brasiliana, il 90% e' in mano ai
privati e solo il 10% allo Stato: armi che vengono rubate (circa 11.000 ogni
anno nel solo Stato di San Paolo), finendo cosi' nelle mani dei criminali;
armi che, anche in mano a individui estranei ad attivita' criminali,
trasformano banali e occasionali litigi in tragedie; armi che costituiscono
molto piu' un rischio che una protezione per chi le porta con se', perche'
nella maggior parte dei casi in cui un cittadino tenta di reagire con
un'arma a un'aggressione il risultato e' tragico per la vittima. E non e'
tutto: secondo uno studio realizzato negli Stati Uniti, la presenza in casa
di un'arma da fuoco aumenta del 41% (del 272% per le donne) il rischio che
qualcuno venga assassinato: quasi la meta' delle donne morte per arma da
fuoco in Brasile sono state uccise con le armi di casa dai loro compagni.
Non e', quello della criminalita', un problema che potra' risolversi solo
con l'abolizione del commercio delle armi, ma, come sottolinea il sociologo
Antonio Rangel Bandeira, la proibizione rappresenta un primo indispensabile
passo, a cui aggiungerne poi altri come "l'umanizzazione del sistema
carcerario, la democratizzazione del sistema giudiziario e la riforma della
polizia". Anche secondo la Conferenza episcopale brasiliana, tra i maggiori
sostenitori del si', "proibire il commercio e l'uso di armi e' un passo
decisivo, sebbene non sufficiente. Siamo contrari - afferma in una nota - a
qualunque tipo di violenza. Oltre a migliorare la sicurezza pubblica, e'
indispensabile educare alla pace e alla difesa della vita, attraverso
pratiche di nonviolenza attiva".
*
Malgrado i sondaggi indichino che piu' del 70% dei brasiliani si dice
d'accordo con la proposta di abolizione del commercio delle armi da fuoco,
il successo della consultazione e' pero' tutt'altro che scontato: a
preoccupare i sostenitori del referendum e' tanto l'inerzia di una
popolazione delusa dalla politica nazionale quanto l'esigua disponibilita'
economica della campagna per il si', a fronte delle ben piu' significative
risorse su cui possono contare le potenti lobby delle societa' produttrici
di armi da fuoco e dei mercanti di armi, dietro slogan del tipo "Tu hai il
diritto di difenderti" o "Non e' giusto che solo i banditi siano armati".
*
Al referendum del 23 ottobre guarda con interesse anche il movimento
pacifista italiano, che sul tema delle armi vanta battaglie come l'obiezione
alle spese militari, la campagna contro le mine, quella contro le banche
armate, "Control arms" (la campagna di mobilitazione internazionale per il
controllo del commercio di armi): una vittoria del si' in Brasile, sostiene,
rappresenterebbe non solo un passo importante nella lotta contro il
commercio internazionale delle armi, ma anche un modello di riferimento per
un paese come l'Italia che figura al secondo posto al mondo nella produzione
di armi leggere e che, come afferma Giuliano Pontara, uno dei massimi
studiosi della nonviolenza a livello internazionale, "produce da piu' di
mezzo secolo, e vende sempre meglio, il tipo di pistola con cui fu
assassinato Gandhi: una Beretta".
*
Tutte le informazioni sulla consultazione popolare del 23 ottobre possono
essere lette, in portoghese, sul sito www.referendosim.com.br e su quello
dell'agenzia brasiliana Adital (www.adital.com.br) (con i riferimenti per
inviare un aiuto economico) e, in italiano, sui siti di Pax Christi,
Peacelink, Rete di Lilliput e diversi altri. Una vera campagna di sostegno
al referendum brasiliano e' portata avanti sul notiziario "La nonviolenza e'
in cammino", il foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di
ricerca per la pace di Viterbo, che all'evento dedica, da diverse settimane,
notizie, approfondimenti, commenti ed appelli.

11. DIRITTI. MARIA G. DI RIENZO: UNO SCIOPERO DELLA FAME NELLA PRIGIONE DI
TELMOND
[Da "Azione nonviolenta" di luglio 2005 (sito: www.nonviolenti.org). Maria
G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista,
saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza.
Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne
disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura
di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2005]

Era l'ora d'aria del 28 novembre 2004. Ma non era ancora trascorsa, quando
le guardie ordinarono alle detenute palestinesi della prigione di Telmond di
rientrare nelle loro celle. La loro rappresentante, Amna Mouna, lo disse
alle guardie. Percio' fu pesantemente picchiata e trascinata in una "cella
punitiva", una stanza priva di letto, riscaldamento e luce.
Indignate, le altre detenute cominciarono ad urlare e a chiedere che la loro
portavoce fosse immediatamente fatta uscire dall'isolamento. Le guardie
carcerarie risposero con un brutale attacco in massa, armate di bastoni, e
inondarono le prigioniere di acqua e gas. Tre di esse, Sana Amer, Suad
Ghazal e Asma Hussain, riportarono fratture a gambe e braccia, mentre altre
13 donne furono condotte in isolamento. L'amministrazione carceraria non
forni' alcun soccorso medico alle donne ferite, ne' lo forni' per la persona
che aveva sofferto di piu', ovvero il piccolo Nor, nato in prigione da Manal
Ghanem il 10 ottobre 2003. Dopo essere stato investito dai fiotti di acqua
gelida e dal gas, Nor si e' seriamente ammalato.
Ci furono altre misure repressive, che attendevano le donne al ritorno nelle
loro celle: l'amministrazione carceraria aveva sospeso l'erogazione di
elettricita' ed acqua, ed aveva confiscato le loro scorte personali di cibo
e sigarette (cose che le donne avevano pagato all'amministrazione con il
proprio denaro); inoltre, nel deliberato tentativo di rendere ancora piu'
miserabile la loro situazione, i materassi e le coperte erano stati
inzuppati d'acqua. Essendo inverno, le donne non avevano alcun modo di far
asciugare i loro letti e furono costrette a servirsene cosi' com'erano,
mentre la puzza dei gas impregnava corpi e oggetti.
Le condizioni di vita nella prigione di Telmond non erano decenti neppure
prima del "giro di vite" dell'amministrazione carceraria, con 86 detenute
(di cui cinque minorenni) costrette ad affollare in cinque per volta celle
disegnate per contenere al massimo due persone, ma l'attacco del 28 novembre
spinse la totalita' delle donne ad un'azione nonviolenta di protesta contro
i maltrattamenti, molto comune nelle prigioni di tutto il mondo: lo sciopero
della fame. L'amministrazione carceraria venne a patti con le donne dopo tre
giorni di protesta, il primo dicembre 2004, incalzata anche dal fatto che la
notizia dello sciopero aveva raggiunto l'esterno tramite un'avvocata della
sezione palestinese di Defense Children International.
*
Lo sciopero della fame e' un'azione allo stesso tempo potente, delicata e a
volte controversa, che ha lo scopo di forzare gli oppositori a consultare la
propria coscienza e il cui messaggio simbolico e': sono disposto/a a
soffrire, e (qualora sia condotto ad oltranza) persino a rinunciare alla
vita, purche' mi si ascolti, purche' questo problema venga alla luce,
eccetera.
Condotto collettivamente interessa di solito gruppi di ispirazione religiosa
o comunita' chiuse (prigioni, caserme, collegi) per le quali e' anche una
delle forme di azione piu' accessibili; condotto individualmente puo' essere
collegato ad una campagna oppure configurarsi come un momento molto
personale di riflessione e/o protesta.
Lo sciopero della fame non va mai scelto con leggerezza, perche' il rischio
della sua banalizzazione e' alto, soprattutto in Italia ove e' collegato
nell'immaginario collettivo ad alcuni personaggi che ne hanno fatto un uso
spesso scriteriato.
Nel caso delle detenute di Telmond lo sciopero della fame era appunto una
delle scelte ovvie a disposizione, ma la chiave del successo consiste' nel
riuscire a proiettare la protesta all'esterno grazie all'intervento di
Defense Children International: era difficile non solidarizzare con le
prigioniere, qualunque fosse il motivo che le aveva portate in carcere,
perche' le loro rivendicazioni consistevano nella richiesta di un
trattamento piu' umano; come era difficile guardare l'immagine di un bimbo
di un anno e sostenere che avesse in qualche modo "meritato" il trattamento
ricevuto.

12. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: LA POLITICA DEL PATRIARCATO
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento.
Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e'
psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli,
studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di
giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire
d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale,
intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di
periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC,
insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola
Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della
"Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della
"famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel
Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra
l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a
riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia
"Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al
dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle
piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma
gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il
suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella
formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui
ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e'
uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della
disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che
racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il
progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche
cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto
la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio
(Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita'
maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su
Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda.
Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara
nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Domenica 16 ottobre ci sara' l'evento delle primarie del centro-sinistra,
mentre a destra Berlusconi ribadisce che non le vuole perche' il candidato
deve essere lui per autoinvestitura. Ma la distanza tra i due schieramenti,
se misurata secondo un punto di vista altro rispetto alla politica
tradizionalmente dominante, non e' poi cosi' grande. L'altro punto di vista
potrebbe essere quello della misura del grado di patriarcato. Il risultato
allora e' che entrambi gli schieramenti ne contengono tanto.
Lidia Menapace, in un intervento al Forum delle donne del 16 luglio, ha
detto che, grazie anche al rilancio fondamentalista delle tre religioni
monoteiste, l'istituzione giuridica politica culturale storica del
patriarcato dimostra una resistenza poca scalfita, alla fin fine, dal
movimento femminista e dalla modernita' (occidentale).
Appunto, basta fare riferimento all'evento delle primarie dove di fatto non
c'e' una sola donna candidata. Secondo Lidia Menapace probabilmente le
femministe stesse hanno sottovalutato la forza della tradizione e ora
bisognerebbe chiedersi come mai il patriarcato si trovi bene nel capitalismo
globalizzato, alimentandolo culturalmente.
A dimostrazione del fatto che anche a sinistra non si va tanto piu' in la'
delle (ipocrite) affermazioni di principio, cita un episodio recente
relativo alla riunione sulle tesi per il congresso del partito della
sinistra europea. La bozza "non contiene cenno sul femminismo, nemmeno la
formula rituale 'e ci sono anche le donne'; niente, il puro niente".
E racconta che a proposito delle primarie ha scritto e protestato (non solo
lei, naturalmente) e chiesto che le candidature siano in coppia, un uomo e
una donna: ottenendo come unica risposta "il silenzio piu' totale,
accompagnato da atteggiamenti seccati addolorati stizziti, come se la nostra
sola esistenza fosse fastidiosa".
*
Se questa e' la premessa, c'e' poco da aspettarsi per le candidature alle
elezioni del prossimo anno: anche il centro-sinistra sara' responsabile di
un'eventuale diminuzione delle donne parlamentari. E dato che l'Italia e'
scesa a questo proposito tra gli ultimi paesi, anche sotto alcuni del
cosiddetto terzo mondo, perche' attualmente non raggiunge la quota del 12%,
sarebbe bene indirizzare le nostre riflessioni, almeno un po' di piu', in
questa direzione.
L'Italia e' uno dei paesi in cui lo stato sociale rispetto agli asili-nido,
le scuole materne, le strutture per gli anziani, segna il passo. Al sud piu'
ancora che nelle regioni del nord perche' la tradizione e' piu' forte e
percio e' "naturale" che siano le mamme, le donne, a farsi carico della
famiglia: dei figli piccoli o degli anziani. Ma perfino al nord una giovane
donna puo' sentirsi dire, rimasta incinta, che dovrebbe rinunciare al lavoro
per dedicarsi anima e corpo al figlio.
*
Neppure i verdi, votati a dare voce e importanza alla difesa dell'ambiente,
sono stati capaci di dare spazio  alle donne. In televisione e sui giornali
ormai le donne dei partiti sono sparite. E quando qualcuna vi appare una
tantum si adegua allo stile di comunicazione dominante, che consiste
nell'esaltazione della propria posizione, attaccando la controparte comunque
e sempre; come si dice: per partito preso. L'effetto su noi meri ascoltatori
si manifesta in due modi: o ci si schiera tout court nell'identificazione
totale con i propri personaggi (atteggiamento fideistico/affiiativo) o ci si
interroga e si decide che non si riesce piu' ad avere idee chiare.
Ormai l'arena della politica e' un luogo monosessuale, in cui gli uomini
politici degli opposti schieramenti si eccitano a vicenda in una
competizione narcisistica interminabile. Questo e' veramente un aspetto
dell'ultimo patriarcato, che contiene un quid di violenza inaudita perche'
e' di totale negazione dell'alterita' sessuale.
Infatti, dice Lidia, si perde "una visione tridimensionale della realta'" in
quanto bisognerebbe guardare con due punti di vista, altrimenti "si ha una
visione piatta e insensata".
Amen.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1077 dell'8 ottobre 2005

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