La nonviolenza e' in cammino. 887



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 887 del 2 aprile 2005

Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti: Un uomo morente
2. Peppe Sini: Un voto contro il colpo di stato, la guerra infinita e
l'eruzione terroristica
3. Elsa Morante: Solo chi ama
4. Giuliana Sgrena: I miei trenta giorni di prigionia (parte prima)
5. Amina Wadud, prima donna imam
6. Un profilo di Fatema Mernissi
7. Giovanna Providenti: L'esperienza di Olga Frejdenberg
8. Federica Sossi presenta "Rahel Varnhagen" di Hannah Arendt
9. "Femmis"
10. Letture: Amelia Rosselli, Le poesie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN UOMO MORENTE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento scritto ieri mattina, alle ore 9,45. Enrico Peyretti e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la
vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione
aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi
sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Il Papa sta morendo. Sono giorni, questi, in cui la morte - in arrivo, in
ritardo, o accelerata, di singoli famosi, di masse oscure - tiene il primo
piano nelle notizie.
All'inizio di quest'ultima malattia di papa Wojtyla, ero dell'opinione che
avrebbe dovuto rassegnarsi a dimettersi, non solo perche' non piu' in grado
di svolgere appieno le sue funzioni di governo della chiesa, ma specialmente
perche', come avviene, la sua corte finisce per usare i suoi poteri e la sua
stessa persona sofferente esibita come emblema. Cosi' pensavo, come tanti. E
giudicavo quasi ostinazione e eccessiva idea messianica del proprio ruolo,
la resistenza del Papa.
Dopo Pasqua, prima dell'aggravamento di queste ultime ore, stavo cambiando
opinione. La funzione principale del papa e' proprio quella di governare,
decidere, dirigere, giudicare, conferire cariche, scrivere documenti
magisteriali, viaggiare, mostrarsi alle folle, parlare al mondo? Per chi
riconosce il ruolo del papa come si esercita da molti secoli, e' cosi'. Ma
la vita insegna, a volte anche ai papi.
La lunga vita e' un dono di Dio, e anche dei medici. La lunga morte e' solo
un dono dei medici. Se la morte di papa Woityla non sara' troppo lunga, si
trattera', per lui, di una nuova grazia. Ci sono tanti malati che agonizzano
per mesi e mesi, senza un'assistenza cosi' speciale. Ma, intanto, il Papa
malato invece che potente, come e' stato a lungo, manifesta un nuovo compito
per un cristiano posto, come lui, a servizio della chiesa e del mondo.
Essere papa e' di pochissimi, uno su miliardi e miliardi. Soffrire e' sorte
di tutti, destino di tutti e' morire. Mentre soffre e muore, il Papa scende
dal trono, rientra nella intera universale folla umana, assai piu' che col
suo lungo viaggiare per il mondo. Mentre, da credente, affida e riconsegna a
Dio la propria vita, compie la sua opera piu' grande. Cosi', data la sua
eccezionale visibilita', da' un esempio e un insegnamento muto, mite e
concreto, ad ogni essere umano, che creda o no in Dio. Sempre, chi muore
bene insegna a vivere. Se del dolore non abbiamo unicamente orrore, ma
intravediamo in esso una proposta di coraggio, un mistero di verita', che
scava nuovi spazi nel nostro intimo, che indica il nostro limite e quel di
la' che ogni limite suggerisce, senza dimostrarlo, allora, il dolore e la
morte di un uomo davanti a tutti e' per tutti un aiuto a vivere in interiore
serieta'.
Chi, pur con gratitudine per le sue posizioni sulla pace e la guerra, ha
avuto motivo di criticare papa Wojtyla, per il modello di chiesa
a-conciliare che ha imposto, per la scelta dei vescovi, per l'enfasi forte
sull'autorita' del papa sopra la collegialita' episcopale ed ecclesiale, per
la sua opposizione alla teologia della liberazione, ora fa tacere le
critiche, rinviate alla storia, e si commuove partecipando alla sua agonia,
che a tutti ricorda e rinnova l'agonia di qualche persona cara, in famiglia,
tra gli amici. I piu' anziani di noi ricordano la morte conciliare di papa
Giovanni, nell'abbraccio corale del mondo, poco dopo aver pubblicato la sua
Pacem in terris. E il confronto, per chi la ricorda bene, viene anche con la
morte, in un clima tra faraonico e squallido, di Pio XII.
Forse proprio la riduzione umana del morire come tutti, nell'estenuazione
finale, contribuira' a riformare il ruolo del papa, come Wojtyla stesso, ad
un certo punto, disse necessario. Il nuovo papa dovra' imparare, nella fede,
anche da questa morte ad essere semplicemente "un uomo come tutti" (Atti
degli apostoli, 10, 26), nei limiti umani, che sono anche limiti di tempo,
specialmente per i compiti di maggior peso. Lezione che vale per ogni nostro
incarico, nella societa' umana.

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: UN VOTO CONTRO IL COLPO DI STATO, LA GUERRA
INFINITA E L'ERUZIONE TERRORISTICA
Pensiamo tutto il male possibile di una campagna elettorale all'insegna
della cialtroneria e della disonesta'. E vediamo bene che entrambi gli
schieramenti hanno le mani sporche di sangue, e in entrambi gli schieramenti
vi sono partiti e personaggi corrotti e totalitari cui non affideremmo
giammai il nostro paese o la nostra citta'. Ma il voto di domenica e lunedi'
in verita' riguarda altro.
*
Il voto di domenica e lunedi' e' divenuto nei fatti altra cosa: sara' la
prima decisiva occasione in cui esprimere un voto contro il colpo di stato
con cui l'attuale governo e il suo bivacco di manipoli sta distruggendo la
Costituzione della Repubblica Italiana, sta distruggendo la repubblica
italiana, le nostre istituzioni, il nostro ordinamento giuridico, il nostro
stato di diritto, la nostra democrazia, la nostra liberta'.
Se la fazione golpista verra' sconfitta con lo strumento democratico del
voto domenica e lunedi', ebbene, e' probabile che il tentativo di colpo di
stato verra' rintuzzato e sventato, e' probabile che il Presidente della
Repubblica prendera' coraggio e si ricordera' di essere supremo garante
della Costituzione e del nostro ordinamento giuridico, e' probabile che il
piano piduista non si compira', e' probabile che il golpe in corso neppure
arrivi alla seconda lettura nei due rami del Parlamento.
*
E non solo questo: il voto di domenica e lunedi' sara' anche la prima vera
occasione per esprimersi concretamente, efficacemente, contro la guerra
infinita e il terrorismo di cui essa consiste e che essa suscita ed arma e
promuove. Al di la' del folklore e delle ciance, col voto di domenica e
lunedi' si puo' finalmente opporre in modo esplicito e cogente la volonta'
di pace del popolo italiano al governo che ci tiene in guerra, che ci rende
complici a un tempo della guerra e del terrorismo, e non solo complici ma
anche bersagli e vittime di essa e di esso; col voto di domenica e lunedi'
si puo' imporre al governo e al parlamento una radicale ed autentica
soluzione di continuita' in politica estera, la cessazione della nostra
partecipazione alla guerra, il rientro nel mandato e nei limiti tracciati
dall'articolo 11 della Costituzione, il ritorno alla legalita'
costituzionale ed internazionale. Un'Italia limpidamente impegnata per la
pace, contro la guerra e contro il terrorismo, puo' dare un aiuto grande
all'umanita' in questa tragica ora.
*
Il voto di domenica e lunedi' ha quindi una valenza politica forte: puo'
essere un voto in difesa della legalita' costituzionale, dell'ordinamento
giuridico democratico e della liberta' di tutti; un voto contro la guerra e
contro il terrorismo; un voto per salvare ad un tempo vite umane, dignita'
nazionale, civilta' giuridica, lo stato di diritto e il diritto a vivere e
convivere, in pace e in solidarieta'.
Per questo occorre che il blocco golpista e razzista, criminogeno e
belligeno, coagulatosi intorno alla figura, agli interessi e ai piani
dell'attuale presidente del consiglio dei ministri, sia sconfitto da un
pronunciamento popolare inequivocabile.
Altro che voto amministrativo: il voto di domenica e lunedi' puo' essere il
piu' importante voto politico dal referendum su monarchia o repubblica del 2
giugno 1946. Peccato che quasi nessuno se ne sia accorto, che quasi nessuno
lo dica.
*
Ma questo e' cio' che conta. E il resto e' silenzio, o - fatte le debite, ma
scarse eccezioni - poco piu' che fastidioso brusio di piccoli arrampicatori
sociali, di imbonitori in carriera che continuano a distrarre l'attenzione
dei piu' mentre la casa brucia.

3. POESIA E VERITA'. ELSA MORANTE: SOLO CHI AMA
[Riportiamo di seguito la prima stanza di Alibi (1955) di Elsa Morante;
dalla raccolta di suoi versi Alibi, Longanesi, Milano 1958, Garzanti, Milano
1988, 1990, p. 73. Elsa Morante (1912-1985) e' stata una delle piu' grandi
scrittrici italiane del Novecento. Opere di Elsa Morante: segnaliamo almeno
Il gioco segreto, Garzanti, Milano 1941; Menzogna e sortilegio, Einaudi,
Torino 1948; L'isola di Arturo, Einaudi, Torino 1957; Alibi, Longanesi,
Milano 1958; Lo scialle andaluso Einaudi, Torino 1963; Il mondo salvato dai
ragazzini, Einaudi, Torino 1968; La storia, Einaudi, Torino 1974; Aracoeli,
Einaudi, Torino 1982. Si veda anche almeno Pro o contro la bomba atomica e
altri scritti, Adelphi, Milano 1987; "Piccolo manifesto" e altri scritti,
Linea d'ombra, Milano 1988; ed anche Le straordinarie avventure di Caterina,
Einaudi, Torino 1959. Un'edizione in due volumi delle Opere e' apparsa
presso Mondadori, Milano 1988. Opere su Elsa Morante: segnaliamo almeno
Carlo Sgorlon, Invito alla lettura di Elsa Morante, Mursia, Milano 1972;
Gianni Venturi, Elsa Morante, La Nuova Italia, Firenze 1977]

Solo chi ama conosce. Povero chi non ama!
Come a sguardi inconsacrati le ostie sante,
comuni e spoglie sono per lui le mille vite.
Solo a chi ama il Diverso accende i suoi splendori
e gli si apre la casa dei due misteri:
il mistero doloroso e il mistero gaudioso.

4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: I MIEI TRENTA GIORNI DI PRIGIONIA (PARTE
PRIMA)
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 marzo 2005. Giuliana Sgrena,
intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e'
tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e
islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di,
La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i
califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma
2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del
"Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente
stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4
febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo. Dal sito del quotidiano "Il
manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a
Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha
studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista
diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre
lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene
il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in
Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i
bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del
lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di
raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con
professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese.
Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le
fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a
parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"]

Aveva piovuto molto - cosa rara per Baghdad - quella mattina del 4 febbraio,
il giorno del mio rapimento. Ricordo il fango che circondava la moschea di
al-Mustafa, all'interno dell'universita' di An-Nahrein. Ci ero andata per
raccogliere le testimonianze dei rifugiati di Falluja. Moltissimi di loro
sono ancora raccolti la', alcuni vivono in tenda, altri dentro la moschea.
Appena sono arrivata sono stata subito affrontata in modo ostile. "Chi ci
assicura che non sei una spia?", mi ha detto un uomo, "cosa vieni a fare?".
Gli ho risposto che ero una giornalista: "Vorrei raccontare la sofferenza
del vostro popolo, se volete raccontatemi le vostre storie. E siccome non
posso fare niente per dimostrarvi che non sono una spia, chi non si fida di
me non mi dica niente". Invece sono stata subito circondata da tante donne
che mi narravano le loro sofferenze e quasi non volevano piu' lasciarmi
andare. Questo mi ha un po' rincuorato.
Ho ascoltato tanti racconti, vicende drammatiche di povera gente, che
insieme alla casa aveva perso tutto. Prima di andare via pero' dovevo
incontrare l'Imam, sheik Hussein, grazie al quale avevo potuto parlare con i
profughi. Quando ero arrivata alla moschea, lo sheikh stava preparando il
sermone e mi aveva detto di aspettarlo dopo la preghiera. Ho perso altro
tempo. Insomma, la cosa e' andata per le lunghe. E quando ho finito mi sono
accorta di essere in ritardo all'appuntamento che avevo con altri colleghi.
*
Il rapimento
Sono entrata in macchina, ho chiamato il giornale e ho detto di richiamarmi.
Poi ho telefonato, per avvisare del mio ritardo, alla collega Barbara
Schiavulli che era in albergo a Baghdad, e mentre il suo telefono stava
squillando, esattamente in quel momento, ho sentito la sparatoria e ho
capito che mi stavano sequestrando.
Per telefonare mi ero distratta, all'improvviso mi sono accorta che il mio
autista stava scappando, che l'interprete stava cercando di bloccare lo
sportello dell'auto, senza successo, qualcuno mi stava tirando fuori
dall'auto. E' stato allora che il telefono mi e' caduto e uno dei quattro
rapitori l'ha raccolto mentre mi costringevano a salire su un'altra
macchina.
Mi avrebbero poi raccontato che sulle prime quella mia ultima telefonata era
stata interpretata come un segnale, una richiesta di aiuto, ma non e' stato
cosi'. Semplicemente stavo telefonando quando mi hanno preso e chi ha
risposto ha potuto seguire i primi passi dei miei sequestratori.
Nella macchina mi hanno fatto sedere dietro, in mezzo a due di loro. E sono
partiti. Io ho cominciato a urlare: "Cosa volete? Dove mi portate?", e
quello che era seduto alla mia destra mi ha detto: "Stai tranquilla,
vogliamo solo fare un video per chiedere il ritiro delle truppe a Berlusconi
e poi ti rimandiamo a casa". Il che per me era tutt'altro che
tranquillizzante. Ero terrorizzata, ma allo stesso tempo furiosa, forse
avevo sbagliato a restare troppo tempo la', a "sfidare" quei profughi che si
erano dimostrati ostili: qualcuno di loro doveva, o almeno poteva, avermi
tradito. Baghdad e' enorme, molte zone non le conosco bene quindi non so
dire dove mi hanno portato.
Abbiamo girato per mezz'ora, forse di piu'. Loro intanto telefonavano,
comunicavano. Io guardavo dal finestrino nell'impossibile ricerca di
qualcuno che mi aiutasse, ma oltretutto era venerdi', giorno di preghiera,
alcune strade erano praticamente deserte, e le macchine che incrociavamo si
allontanavano indifferenti.
Poi siamo arrivati alla casa e la macchina si e' fermata esattamente davanti
alla porta d'ingresso. Mi hanno fatto abbassare la testa perche' non vedessi
bene dove mi trovavo. Mi hanno portato in una stanza, qualcuno e' arrivato
con le provviste. Volevano farmi mangiare, ma il mio stomaco era bloccato.
Avevo freddo, invece. Mi sono sdraiata su un divano e mi hanno dato una
coperta. Era una giornata bruttissima, faceva un freddo cane. A pensarci
adesso, lo stesso clima freddo e piovoso del giorno in cui mi hanno
liberata.
*
La notizia in tv
Dei quattro che mi hanno rapito due sono andati subito via e sono rimasti i
due che mi hanno tenuta prigioniera durante tutte le quattro settimane. Per
prima cosa hanno acceso la televisione, ma il satellite non funzionava. Dopo
un po' la tv irachena, al Iraqia, che di solito da' poche notizie sulla
guerra e per questo nessuno la guarda, ha mandato in onda una mia foto, ha
parlato del rapimento e ha fatto pure vedere una prima pagina del
"Manifesto". Meno di un'ora dopo il sequestro i rapitori gia' sapevano chi
era e per chi lavorava quella che avevano sequestrata. Io ero terrorizzata.
Uno di loro parlava un po' d'inglese, un altro riusciva a dire due parole in
francese, io utilizzavo quel po' di arabo che conosco, il resto a gesti. Ci
capivamo, non sempre e non su tutto, ma abbastanza.
Mi hanno chiuso in una stanza in un'ala di quella che mi sembrava una casa
piuttosto grande, anche bella direi. Un po' trasandata, ma parlando con
altri ex ostaggi credo di essere stata fortunata. Accanto alla mia stanza
c'era quella dei miei due guardiani. Il bagno era in comune. Se dovevo
andarci bussavo alla porta e mi venivano ad aprire.
I primi giorni non volevo nulla da mangiare. Avevo lo stomaco legato. Bevevo
solo te' e succo d'arancia e rifiutavo tutto il resto: pollo, zuppe,
eccetera. "Perche' non mangi? Che cosa vuoi mangiare?", sembravano
dispiaciuti per il mio digiuno. Poi ho cominciato ad assaggiare le zuppe,
erano buone, con un sapore strano, non sembravano zuppe arabe. E servivano a
riscaldarmi. Io chiedevo soprattutto frutta, che mi portavano abbondante,
banane, mele e persino kiwi.
Quando chiedevo che cosa mi sarebbe successo, ripetevano: adesso facciamo il
video per chiedere a Berlusconi il ritiro delle truppe e poi te ne vai. Ma
il tempo passava. Io continuavo a dirgli: perche' avete preso proprio me che
sono sempre stata contraria alla guerra? Volevo spiegargli chi ero, ma
volevo anche capire con chi avevo a che fare. La mia prima preoccupazione
era capire se ero finita nelle mani dei terroristi di al Zarqawi. Sono
arrivata a escluderlo abbastanza presto.
La domenica sera, due giorni dopo il sequestro, sono riuscita a sbirciare
per qualche minuto la televisione. Passavo davanti alla loro camera e ho
chiesto: "Mi fate vedere qualche notizia?". Mi hanno fatto entrare nel loro
stanzone e con il telecomando sono capitati su Euronews. Ho visto il
Campidoglio con la mia foto e le fiaccole, ho visto inquadrate le due
Simone, ma poi subito dopo hanno dato la notizia della rivendicazione del
Jihad: se entro lunedi' sera Berlusconi non annunciava il ritiro delle
truppe mi avrebbero ammazzata. Mi si e' gelato il sangue, ma anche loro
erano sconcertati, quasi quanto me. Mi hanno detto "non credere, non
credere, non siamo noi", ripetevano. "Voi mi volete uccidere", urlavo. E
loro, passandosi il dito sotto al collo, dicevano che non erano cosi', non
erano tagliagole, non erano del Jihad. Ma io ero assolutamente terrorizzata.
Il lunedi' sera quando sarebbe dovuto scadere quell'ultimatum ero isterica.
A un certo punto ho battuto violentemente contro la porta e loro sono venuti
subito: "Cosa c'e'?"; "So che volete uccidermi, voi mi volete uccidere",
dicevo io. "No, non e' vero", hanno detto loro. "Vuoi vedere un po' di
televisione cosi' ti calmi?". Mi hanno fatto vedere un pezzo di film
americano. Sarebbe stata l'ultima concessione per quanto riguarda la tv. E
in generale poi sarebbero diventati piu' rigidi.
*
"Dovete andarvene tutti"
Non mi sembravano molto esperti di sequestri, almeno i due che stavano con
me e che erano giovani. Uno dei due mi diceva che aveva interrotto
l'universita' a causa della guerra. Non li definirei terroristi e nemmeno
delinquenza comune perche' avevano una certa consapevolezza politica. Da
quello che ho capito si collocavano nell'area della resistenza irachena
composta anche da settori che usano metodi assolutamente non condivisibili,
come appunto i sequestri, e che sono condannati anche dalla resistenza che
usa le armi contro gli occupanti senza prendersela con i civili. "Noi
vogliamo liberare il nostro paese", mi dicevano. E io: "E va bene, io l'ho
sempre detto, ma perche' avete rapito proprio me? E' troppo facile uccidere
una donna indifesa, andate in strada a combattere gli americani", li
provocavo. "Noi usiamo tutti i mezzi a disposizione, questa e' guerra, la
guerra e' cosi'" mi rispondevano. E io ancora: "Io sono venuta in Iraq per
testimoniare quanto soffre questo paese". E loro: "Voi potete essere tutte
spie. Tu sei stata a Nassyria con gli italiani. Noi non facciamo piu'
differenza tra militari, giornalisti, contractor, italiani e francesi,
eccetera. Dovete andarvene tutti".
Ogni tanto, ogni tre o quattro giorni, riuscivo anche a fare una doccia,
dovevo aspettare che l'erogazione di energia elettrica durasse almeno due
ore, il tempo necessario per riscaldare l'acqua. Il che avveniva abbastanza
raramente e a volte succedeva solo di notte. Stavo quasi sempre al buio, la
finestra della mia stanza era stata coperta con un armadio. E la luce
dipendeva dall'erogazione saltuaria della corrente elettrica e da un
generatore spesso senza benzina. All'inizio mi davano una lampada a
petrolio, ma la stanza era chiusa e l'odore era insopportabile. Cosi' hanno
deciso di darmela solo per mangiare.
Passavo intere giornate al buio, mentre la notte, quando, a volte,
improvvisamente riprendeva la distribuzione di elettricita', si accendeva
una luce violenta che non potevo spegnere. Stavo quasi sempre a letto, sotto
le coperte perche' faceva freddo. E non c'era riscaldamento. Di notte le ore
erano interminabili. Praticamente non dormivo piu', quando cercavo di
appisolarmi la luce si accendeva improvvisamente e mi teneva sveglia. Era
terribile non sapere nemmeno che ora fosse. Di giorno cercavo di regolarmi
attraverso il richiamo delle preghiere. Doveva esserci una moschea vicino,
non vicinissimo perche' la voce del muezzin a volte arrivava debole,
evidentemente dipendeva dal vento. A volte per distrarmi facevo degli
esercizi di memoria, cercavo di ricordarmi i nomi, le date. Altre volte
avevo dei momenti di depressione. Pensavo ai miei genitori, a mia madre che
mi aveva detto di non partire. Avevo dei sensi di colpa. Allo loro eta'
anche questa dovevo fargli! Poi quando sono tornata ho saputo che mamma e
papa' sono stati bravissimi.
*
Islam e comunismo
I miei due guardiani alcuni giorni erano piu' tranquilli e disponibili,
altre volte erano nervosi e anche arroganti nei miei confronti. A volte
passando davanti alla loro camera mentre andavo in bagno mi intimavano di
non guardare la loro stanza. Altre volte erano loro che venivano nella mia
stanza a parlare.
Erano incuriositi da me e ogni tanto mi sentivo come la scimmietta dello
zoo. Si mostravano molto religiosi, a volte persino in modo eccessivo. In
questo momento in Iraq l'Islam e' un elemento unificante anche per quei
gruppi della resistenza che magari hanno al loro interno delle componenti
laiche o saddamiste. Forse per questo i miei sequestratori cercavano di
accreditarsi una grande religiosita'. Soprattutto uno di loro che ascoltava
versetti del Corano per tutto il pomeriggio. Una sera sono venuti in camera
mia e hanno cominciato a chiacchierare e a scherzare. Si parlava anche di
Islam e mi dicevano "tu sei sporca". "Perche'?", "Perche' non sei
musulmana". Non sapevo cosa rispondere. Allora mi chiedevano: "Perche' non
ti converti all'Islam?", e iniziavano una specie di sceneggiata. Uno diceva:
"ma non puo' convertirsi all'Islam, e' comunista". Lo ripeteva piu' volte,
fin dall'inizio mi avevano chiesto se io ero "shuyuk", ma io facevo finta di
non capire perche' non sapevo se per loro era peggio essere cristiana o
essere comunista. Ma lo scrivevano tutti i giornali e lo dicevano tutte le
tv che "Il manifesto" e' un quotidiano comunista. Io gli dicevo che si puo'
essere comunista cristiano, comunista musulmano. "No, no - rispondevano -
comunista e' senza dio, e' impossibile". Allora insistevano sulla mia
conversione all'Islam, giocando molto su questa cosa. Ma io rispondevo: "No,
con la religione non si scherza".
(Parte prima. Continua)

5. BUONE NOTIZIE. AMINA WADUD, PRIMA DONNA IMAM
[Dal sito www.noidonne.org riprendiamo la seguente notizia]

Amina Wadud, professoressa di studi islamici presso l'universita' americana
della Virginia, e' la prima donna Imam della storia. Ha guidato per la prima
volta il 18 marzo, alle ore 13, in una moschea di New York, la preghiera
comunitaria del venerdi' per fedeli musulmani di entrambi i sessi, un ruolo
storicamente riservato ai leader religiosi di sesso maschile. La notizia e'
stata annunciata con orgoglio sul sito "Muslim Wakeup!" con il supporto del
Muslim Women's Freedom Tour, ed e' stata riportata dalla tv satellitare
Al-Arabiya...
L'attivismo di Amina Wadud a favore della parita' tra i sessi e' da tempo
sostenuto da diverse associazioni islamiche americane, che hanno organizzato
numerose manifestazioni pubbliche e campagne ad hoc. La Wadud aveva
precedentemente pubblicato un libro intitolato "La donna e il Corano", che
ha suscitato numerose polemiche tra i musulmani di tutto il mondo, per le
sue posizioni a favore dei diritti delle donne fondate su argomentazioni
teologiche che si richiamano alle fonti stesse dell'Islam. Nel suo libro,
Amina Wadud sostiene infatti che "il profeta Maometto ha permesso a una
donna di guidare la preghiera, mentre la negazione odierna di questo diritto
le ha fatto perdere la sua posizione in quanto possibile guida spirituale e
intellettuale".

6. MAESTRE. UN PROFILO DI FATEMA MERNISSI
[Dal sito www.antrodellasibilla.it riprendiamo questo profilo di Fatema
Mernissi. Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in
Fatima) e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale,
docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e
narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta,
Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e'
marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e
l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal
deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e'
www.mernissi.net]

Fatima (Fatema) Mernissi e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940.
E' considerata in tutto il mondo una fra le piu' autorevoli e originali
intellettuali dei paesi arabi, grazie al suo innovativo lavoro di sociologa
e studiosa dell'Islam.
Ha completato la sua formazione accademica studiando alla Sorbona e alla
Brandeis University negli Usa e oggi insegna sociologia all'Universita'
Mohammed V di Rabat, in Marocco.
Nota in Italia per i suoi romanzi e in particolare per La terrazza proibita,
si e' sempre distinta per le coraggiose prese di posizione a favore della
liberta' femminile, che giudica perfettamente compatibile con i precetti del
Corano. I suoi libri sono letti in tutto il mondo e tradotti in piu' di
venti lingue (sito: www.mernissi.net).
Dal 1997 sostiene il programma "Sinergie Civique" e dal 2000 anima gli
incontri che vanno sotto il nome di "Caravane Civique", giunti alla sesta
edizione. Il progetto consiste nell'organizzare workshop in alcune delle
realta' periferiche del paese, coinvolgendo professionisti della
comunicazione che si prestino ad entrare in contatto con gli aderenti alle
molte, minuscole e spesso finanziariamente pressoche' inesistenti,
organizzazioni non governative (Ong) marocchine. L'intento e' quello di dare
vita, dice Fatima Mernissi, a "uno spazio associativo che, come lo spazio
artigianale delle medine di un tempo, diventi un luogo dove la popolazione
del quartiere possa recarsi per impadronirsi delle tecniche e accedere ai
saperi pratici di cui e' carente; uno spazio di re-invenzione di una nuova
identita' che riconverta i riflessi della solidarieta tradizionale in una
cittadinanza partecipata; uno spazio dove sia possibile aprirsi e informarsi
pur immergendosi nel calore della comunita'".

7. PROFILI. GIOVANNA PROVIDENTI: L'ESPERIENZA DI OLGA FREJDENBERG
[Dal sito www.noidonne.org riprendiamo questo articolo apparso su "Noi
donne" di febbraio 2005. Giovanna Providenti e' ricercatrice presso
l'Universita' Roma Tre, si occupa di studi sulla pace e di genere, in
particolare nella prospettiva pedagogica]

Ci sono due donne, nella letteratura russa che, pur non essendosi mai
incontrate, presentano alcuni punti in comune ed uno stesso atteggiamento
esistenziale, che si scontra con la dura realta' della storia: "avevo sempre
teso all'assoluto, fin dall'infanzia: nell'amore, nella vita, nel mio
rapporto con Dio, nel desiderio di autenticita'. Il dramma era che l'assedio
di Leningrado aveva distrutto in me tutto cio'", scrive Olga Frejdenberg il
28 marzo 1947 nel suo diario. E Marina Cvetaeva: "scrivere un autentico
libro sulla fame: poeta e donna, sola, sola, sola, - come una quercia - come
un lupo - come Dio - in mezzo alle pestilenze d'ogni sorta nella Mosca del
'19. Io lo scriverei - se non fosse per gli svolazzi del romantico che e' in
me, per la mia miopia, per tutte le mie caratteristiche che talvolta mi
impediscono di vedere le cose cosi' come sono" (M. Cvetaeva, Indizi
terrestri, Guanda, 1980, p. 136).
Marina Cvetaeva e Olga Frejdenberg, entrambe nate nei primi anni Novanta del
diciannovesimo secolo, entrambe perseguitate dal regime sovietico
stalinista, ed entrambe conosciute a livello internazionale piu' per la loro
corrispondenza con il noto poeta Boris Pasternak, che per la loro opera. Ma
mentre buona parte dell'opera poetica di Cvetaeva e' stata pubblicata in
italiano, di Frejdenberg vi e' soltanto un Epistolario con Pasternak,
pubblicato nel 1987 sulla base dell'edizione inglese di Elliott Mossman.
Nonostante nella copertina dell'edizione Garzanti (Boris Pasternak, Le
Barriere dell'anima. Corrispondenza con Olga Frejdenberg) Olga risulti solo
come destinataria, il volume (471 pagine) contiene, oltre ad alcune lettere,
ampi brani tratti da un diario retrospettivo, riguardante il periodo
dell'epistolario (1910-1954), in cui Olga, probabilmente consapevole che
solo la notorieta' del cugino l'avrebbe salvata dall'oblio piu' totale,
delinea il suo percorso esistenziale e le sue idee, avviandoci allo spessore
e originalita' del suo pensiero e della sua opera.
Studiosa di letteratura e docente di filologia classica ("la cattedra che ho
creato, la prima in Unione Sovietica, che ho diretto per 16 anni, la grande
impresa della mia vita"), Olga Frejdenberg e' autrice di numerosi saggi
(ricordiamo: Tre soggetti e La semantica del soggetto nell'Odissea del 1929;
La poetica del soggetto e del genere nella letteratura classica del 1935;
Saffo del 1949) nei quali viene esposta la sua originale teoria riguardante
la centralita' della lirica greca nella storia del pensiero occidentale e
l'importanza delle similitudini omeriche nel passaggio da un pensiero
concreto (in cui la coscienza e' mitologica-creativa, il soggetto
determinato e non libero, il tempo spaziale e statico, lo spazio piatto e
chiuso), a un pensiero astratto, segnato dalla scoperta della metafora e del
realismo, il cui piu' alto compimento si trova "nella tragedia e nel Convito
di Platone, che e' l'alfa e l'omega della classicita'" (27 maggio 1953,
lettera a B. P., p. 414).
*
Poco prima di morire, nel 1953, annotava: "Ho davanti a me un compito
grandioso: voglio trarre le conseguenze generali da tutta la mia esperienza
intellettuale in un libro che si intitolera' Immagine e concetto. Voglio
dimostrare che il concetto e' un'immagine trasformata, che la vita si
rinnova dal suo interno. La cosa che mi sta piu' a cuore e' dimostrare che
fra concetto e immagine non v'e' frattura e che la poesia si crea con i
concetti. La Grecia parla con me e a me; io capisco la sua lingua, una
lingua che mai e in nessun caso diviene concettuale. E la poesia fa la sua
comparsa appunto in Grecia" (p. 412).
Persuasa che "la letteratura puo' costituire un materiale per la teoria
della conoscenza, alla pari con le scienze naturali o quelle esatte" (dal
diario, p. 165), Olga ha inteso delineare la sua filosofia della vita
attraverso l'interpretazione letteraria. Dal suo diario leggiamo: "Definire
che cosa fosse la prosa divenne il mio compito fondamentale...
Contrariamente all'opinione corrente non ammettevo che nell'antichita'
esistessero forme indipendenti, come il racconto e la novella (logos).
All'inizio c'era una grande e complessa prosa con costruzione paratattica.
Vedevo chiaramente il pensiero antico svilupparsi dalla complessita' alla
semplicita', non all'inverso" (p. 339).
Il passaggio dall'immaginario-mitologico al realismo, dal "soggetto
predeterminato" al "soggetto libero", se da una parte ha permesso all'essere
umano di separarsi dal determinismo e di divenire protagonista della propria
esistenza, dall'altra ha gradualmente allontanato il soggetto dalla sua
"origine", facendolo sprofondare nel concettualismo, in una descrizione
della realta' solo logocentrica e privata della sua "anima", ancora presente
invece nella lirica greca "sorta contemporaneamente alla formazione di una
societa' articolata", in cui questa doppia presenza di concetto e anima, di
immagine e realta', permette di cogliere l'essere nella sua unita'.
Da qui l'universalita' della lirica greca, e in particolare della poesia di
Saffo: "Non credevo nell'immagine di Saffo presentata dall'opinione filistea
corrente... Le deviazioni sessuali non potevano trovare espressione
realistica nella lirica classica, che attingeva i propri temi
dall'interiorita', non dall'esteriorita'. Nelle odi di Saffo il ruolo
maschile e' presente, ma e' espresso in forme tipicamente matriarcali, il
che ha impedito agli studiosi modernisti di coglierlo. I canti di Saffo non
possono essere datati con precisione. Una cosa pero' si puo' dire: Saffo,
alla pari di Omero, appartiene all'arte popolare. La frattura avvenuta nella
coscienza sociale e' la causa diretta della rottura dei generi. Il mutamento
avvenuto sul piano sociale, dove non sono piu' gli dei, ne' la natura, a
svolgere il ruolo principale, bensi' l'uomo e la societa', ha creato la
lirica. La lirica di Saffo si colloca a meta' strada fra il pensiero per
immagini e quello concettuale. Il quadro mitico del mondo e' stato
soppiantato da quello realistico-sociale" (dal diario, p. 391). Nel percorso
letterario dell'antica Grecia Olga individuava il "trasferimento del centro
di gravita' dalla religione e dagli dei all'uomo" (p. 297).
Consapevole che "i potenti potevano soltanto edificare castelli di carta che
non avrebbero resistito alla prova del tempo. Per quanto grande fosse il
loro potere, non potevano modificare il corso della storia", l'opera di
Frejdenberg risulta contrassegnata da una parte da una "fede incrollabile
nella scienza" e nella "semantica della storia", e dall'altra dall'ansia
della ricerca di verita' piu' profonde di quelle dominanti, una ricerca del
"significato del significato". Inoltre e', come scriveva Pasternak:
"un'opera creativa che presenta un punto di vista totalmente personale e
aggiunge qualcosa di tangibilmente nuovo al repertorio di conoscenze comuni"
(primo ottobre 1936, p. 234).
*
Olga Frejdenberg, Boris Pasternak, Marina Cvetaeva sono tutte personalita'
di grande ricchezza intellettuale e spirituale, che si sono scontrate con
un'epoca storica che non assomigliava loro.
Scrive Olga nel dicembre del 1924: "Sono stanca dei 'vogliamoci bene', delle
verita' che assomigliano a sciarade e che ciascuno intende a modo suo, dei
crani suddivisi in compartimenti, e della 'solidarieta'' alla Tjutcev, che
viene elargita come una grazia. Il conflitto si e' rivelato piu' complesso
di quanto non suggerisse il carattere domestico della scena: si trattava non
solo di uno scontro tra due diversi modi di intendere il mondo, ma, ben
peggio, di uno scontro sia con questo campo, che sulla sponda opposta... La
mia tragedia, inoltre, consiste nel fatto che, mentre il mio pensiero
scientifico ha un carattere rivoluzionario, ho una natura mansueta come
quella di un agnello" (p. 138).
Ansia di ricerca, di autentica creativita', di vita coerentemente vissuta
("con un profondo senso della mia dignita' e della mia integrita' morale",
p. 236) sono alcuni dei caratteri che contraddistinguono Olga Frejdenberg e
che la accomunano alla sua coetanea, Marina Cvetaeva, morta suicida il 31
agosto del 1940, dopo che, rientrata in Russia piena di speranze da un
esilio di quasi venti anni, si ritrovava mezza famiglia spedita in Siberia
sotto l'inaspettata accusa di anticomunismo, e se stessa depressa e incapace
di perseguire l'intento di tutta la sua vita: cercare l'unita' di vita e
poesia, di anima e realta'. Anche Olga perde il fratello in un campo di
concentramento in Siberia, ma sceglie di vivere, nonostante la realta' non
le assomigliasse: "nella non-vita in cui io vivo non esistono altro che le
parole, ma li' le parole sono noci piene" (p. 143).
Ad accomunare queste due figure femminili, piu' che la nazionalita' e
l'eta', mi sembra essere un percorso esistenziale che non ammette vuotezza
spirituale, e che compie la sua ricerca tutta nella visceralita'
dell'esistenza.

8. LIBRI. FEDERICA SOSSI PRESENTA "RAHEL VARNHAGEN" DI HANNAH ARENDT
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questa presentione del libro di Hannah Arendt, Rahel Varnhagen.
Storia di una donna ebrea (1959), Il Saggiatore, Milano 1988, 2004; questo
breve testo riprende alcune pagine dell'ampia e preziosa postfazione (pp.
259-290) scritta da Federica Sossi per l'edizione 2004 del libro.
Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo.
Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999;
Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma
2002.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000.
Rahel Varnhagen (1771-1833), animatrice di un celebre salotto in cui
convenivano alcuni dei piu' illustri intellettuali di lingua tedesca tra
Illuminismo e Romanticismo, e' una delle figure piu' vive di quella temperie
culturale, e di quel contesto storico, segnato da profonde inquietudini e
trasformazioni, ma anche da un persistente, feroce antisemitismo]

Rahel Levin, Rahel Robert, Friederike Robert, Friederike Varnhagen, nata
Robert, Friederike Varnhagen von Else.
La storia di un'ebrea, Rahel, Rahel Varnhagen, nata Levin, e non di un'ebrea
tedesca, che per tutta la vita ha cercato di mascherare la sua nascita -
quella "nascita infame", secondo le parole della stessa Rahel - e di trovare
risposte diverse, altre parole ma anche altri nomi, altri modi di essere e
di apparire, diversi rispetto al rinvio a quella nascita, alla domanda "chi
sei?": e' questa la storia di Rahel che conosciamo dopo la lettura del libro
di Hannah Arendt.
Ancora, la storia di una donna ebrea nella Prussia tra la fine del XVIII e i
primi anni del XIX secolo che, passando di situazione in situazione, nel
vorticare dei cambiamenti, scopre, di volta in volta, che "si puo'
nascondere 'chi si e'' solo nel completo silenzio e nella perfetta
passivita'". La storia di una donna ebrea che non ha un posto nel mondo -
perche' vive in un tempo che non prevede un posto per lei - ma che lo esige
a tutti i costi, e che proprio per questo "trema e sanguina", non
esattamente in quanto essere umano, ma in quanto essere umano/donna/ebrea,
che non vuole il silenzio ne' la perfetta passivita', che esige, anzi, ad
ogni situazione, la sua parte di attivita', compiendo "tante sciocchezze
senza saperlo", forse troppe, e una in particolare: scambiare la societa',
la buona societa' del suo tempo, quella societa' che la lasciava ai margini,
con il mondo, quel mondo del suo tempo "oscuro" in cui non c'era spazio per
lei, votandosi ai mille tentativi per esserci, proprio li', solo li', in
quella societa', senza mai presentire le possibilita' o le impossibilita' di
un agire.
Ancora, la storia di una donna che, nella Prussia illuminata del suo tempo,
porta con se' un oscuro segreto, sempre quella nascita; che intraprende alla
luce del giorno una battaglia "contro i fatti", inventandosi una vita priva
di mondo e di tradizione, di solo pensiero e di sola intimita', ma che
accanto a questa vita che richiede di apparire e, a lei, di apparire diversa
da quello che e', ne ha un'altra, privata, "di cui nasconde i dettagli agli
amici e della cui miseria parla apertamente soltanto ai fratelli".
La storia di una donna ebrea dalla duplice vita; anzi, la storia di una
donna ebrea dalla triplice vita, perche', raccontando quella vita, a Arendt
non sfugge che "la sua piu' intima amica" ha, oltre alla vita sociale ai
margini del sociale e oltre alla vita privata che nasconde agli altri ma
confessa ai fratelli, una vita della notte, una vita oscura, in cui la sua
disperazione che vi cerca rifugio "fa apparire il fondo piu' segreto della
sua natura che il giorno ha cercato di disperdere, aggirare, correggere".
La storia di una donna che nella scissione di giorno e notte, di lumi e
ombre, si lascia travolgere, nel giorno, da quella notte, trovando, pero',
nell'ambiguita' del chiaroscuro, nella commistione tra il tacere la vergogna
della nascita e la sua confessione onirica, una commistione e un'ambiguita'
che le permettono di non prendere "sul serio nessuna delle due"; trovando,
dunque, nell'ambiguita', almeno momentaneamente, l'idea di una soluzione
duratura.
Ancora, la storia di una donna ebrea che ha cercato di nascere, non una
seconda, ma piu' volte, che ha consacrato la propria vita, anche a costo di
sacrificarla, a far dimenticare e a dimenticare la propria origine e la
vergogna, e che nel turbinio dei molti nomi, ormai compiutamente Friederike
Varnhagen von Else, nata Robert, "non si sa decidere a un'identificazione
ipocrita" con quest'ultima nascita, perche', "tutta la vita, mi sono
considerata Rahel e nient'altro", scrive Rahel, perche', "non si puo'
nascere una seconda volta", commenta la sua impietosa amica a qualche
pagina, e a piu' di un secolo, di distanza.
La storia, dunque, di una donna che continua ad apparire agli altri con quel
daimon ebraico inaccettabile e con il quale rivela alla societa', che lei
scambia per il mondo, chi e': un'ebrea; e che, proprio per le umiliazioni
subite, si trova costretta, alla fine, forse abbagliata da quel chi che lo
sguardo degli altri le continua a rinviare, "ad accettare come destino di
responsabilita' piena" quello che ha cercato di nascondere a se stessa.
*
"Che storia! - Sono una profuga dall'Egitto e dalla Palestina e trovo qui
aiuto, amore e cura da parte Vostra! Con entusiasmo sublime penso a questa
mia origine e alla trama del destino in cui si uniscono le piu' lontane
distanze di spazio e di tempo: le piu' antiche memorie del genere umano,
allo stato piu' recente delle cose. Quello che, per tanto tempo della mia
vita, e' stata l'onta piu' grande, il piu' crudo dolore e l'infelicita',
essere nata ebrea, non vorrei mi mancasse ora a nessun costo". Fa iniziare
cosi', Hannah Arendt, la storia di Rahel: dalla fine, dal suo ritorno a
Rahel, nata Levin, e dall'accettazione di questa nascita, anzi,
dall'entusiasmo sublime con cui Rahel rivendica la propria origine. Perche'
questa storia e' tutto quello che ho cercato di elencare e molto di piu'.
Rahel Varnhagen. Storia di un'ebrea, diventa cosi' uno scrigno di infinite
storie, in ognuna delle quali Rahel e' protagonista, come se molti capitoli
essenziali di quel "libro dei racconti dell'umanita'" che e' la storia
dovessero avere proprio questa donna ebrea come protagonista. Rahel
Varnhagen, che ci narra la vita di Rahel, la quale, alla fine, si e'
trasformata tutta in "un frammento di storia ebraica in Germania", diventa
innanzitutto storia dell'assimilazione, e con cio' la storia di "una
societa' quasi completamente antisemita" alla quale "ci si puo' assimilare
solo se si assimila anche l'antisemitismo".
Storia della modernita', di quell'alienazione dal mondo iniziata, per
Arendt, con il cogito cartesiano, e che nella storia di Rahel assume una
forma particolare: la sua impossibilita', e l'impossibilita' degli altri
ebrei, di essere in armonia con un mondo che la/li rifiuta.
Storia della nascita, di quello strano concetto di nascita che diventera'
uno dei concetti fondamentali del pensiero arendtiano e che proprio Rahel,
in bilico tra vergogna e entusiasmo sublime rispetto alla propria origine,
sembra averle suggerito come qualcosa che doveva essere indagato.

9. SITI. "FEMMIS"
[Dal sito www.femmis.org riprendiamo questa scheda di autopresentazione]

"Femmis - Feminine missionary information service", e' il notiziario
telematico femminile delle missionarie comboniane.
"Femmis" e' un servizio d'informazione che nasce in ambito femminile e
missionario e aperto al contributo di chi ha a cuore la liberazione della
donna, in tutti i campi e in ogni parte del mondo; uno spazio privilegiato
attraverso il quale far udire la voce della donna, trascrivere aspirazioni,
sogni e progetti di chi crede che un mondo diverso sia possibile.
"Femmis" offre un notiziario che racconta ogni settimana quanto e' accaduto
alle donne nel mondo riportando i fatti piu' noti senza tralasciare quelli
meno noti. Fatti raccontati dalle corrispondenti in missione, dalle
organizzazioni umanitarie, da associazioni femminili o dal mondo
dell'informazione. Inoltre rubriche di approfondimenti, di ricerca e di
dialogo.
"Femmis" e' membro dell'associazione Win (Women's International Network).
Per contatti: redazione centrale, femmis at femmis.org; redazione news,
news at femmis.org

10. LETTURE. AMELIA ROSSELLI: LE POESIE
Amelia Rosselli, le poesie, Garzanti, Milano 1997, 2004, pp. XVI + 686, euro
19,50. Tutte le maggiori opere poetiche in lingua italiana ed altri testi
ancora di Amelia Rosselli, una delle voci piu' intense ed originali della
poesia del Novecento, una delle testimonianze piu' intime e sofferte della
storia del secolo. Un volume la cui lettura vivamente raccomandiamo.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 887 del 2 aprile 2005

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