La nonviolenza e' in cammino. 747



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 747 del 2 dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: una lettera dalla Procura
2. Fausto Concer: eroi
3. Enrico Euli: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
4. Giuliana Sgrena: un missile contro un aereo civile
5. Giuliana Sgrena intervista Abdel Aziz al Hakim
6. Giuliana Sgrena: "Siamo patrioti iracheni anti-Saddam e anti-Usa"
7. Giuliana Sgrena: il Consiglio iracheno: "Basta occupazione"
8. Giuliana Sgrena: colpita l'ambasciata italiana
9. Giuliana Sgrena: il teatro dell'imperatore
10. Giuliana Sgrena: Iraq, bersaglio Italia
11. L'8 dicembre a Venezia con Lidia Menapace per un'Europa neutrale e
attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta
12. Il terzo salone dell'editoria di pace
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA LETTERA DALLA PROCURA
Dalla Procura della Repubblica di Viterbo mi perviene, nella mia qualita' di
"persona offesa" (e mai termine mi parve piu' adeguato), l'ennesimo avviso
della richiesta di archiviazione da parte del pm al gip di un mio esposto in
cui denunciavo l'illegalita' e la criminosita' della partecipazione italiana
alla guerra in Iraq.
Riconosco che la motivazione - il reato che denunciavo non si e' compiuto
nel territorio viterbese, e il procuratore segnala che io stesso avevo gia'
provveduto ad inviare quell'esposto anche ad altre sedi giurisdizionalmente
competenti - ha una sua logica, e mi pare di intendere che il sostituto
procuratore che ha redatto l'atto ritenga che ad altre procure da me
interpellate possa incombere la responsabilita' dell'azione penale che ho
sollecitato.
Non mi e' invece ancora giunta alcuna notizia in ordine alla mia opposizione
ad analoga richiesta di archiviazione da parte della Procura di Pisa (in
relazione ai trasporti di armi destinate alla guerra cola' transitate).
Ne' ho ricevuto risposta alcuna dalla magistratura romana cui pure mi sono
ripetutamente rivolto.
*
Provo a riassumere i termini della questione, per l'ennesima volta:
a) la Costituzione della Repubblica Italiana all'articolo 11 e'
inequivocabile nello stabilire che l'Italia non puo' prendere parte a una
guerra come quella in corso in Iraq;
b) in flagrante violazione della Costituzione il governo, la maggioranza
parlamentare e il capo dello stato hanno coinvolto l'Italia in una guerra
illegale e criminale, violando la Costituzione cui pure avevano giurato
fedelta' e commettendo il massimo dei crimini loro ascrivibili: appunto la
violazione della Costituzione, scilicet un vero e proprio golpe per il quale
dovrebbero essere arrestati e mandati dinanzi a una corte di giustizia per
risponderne a termini di legge;
c) in conseguenza della loro violazione della Costituzione costoro hanno
altresi' provocato la morte di numerosi italiani inviati nell'Iraq in guerra
come truppe occupanti al servizio del potere degli invasori terroristi e
stragisti;
d) che in Iraq sia in corso una guerra e' di una tale evidenza che solo
degli idioti o dei mascalzoni possono continuare a negarlo;
e) che l'Italia sia una potenza militare occupante, quindi una parte
belligerante a tutti gli effetti - e schierata dalla parte degli invasori
terroristi e stragisti -, e' altrettanto innegabile;
f) che questo esponga anche il nostro paese e la nostra popolazione a
divenire bersaglio di atti di guerra, cioe' di terrorismo (poiche' la guerra
e' gia' terrorismo), cioe' di attentati stragisti, e' cosa talmente evidente
che solo governanti e manutengoli scellerati, stolti e irresponsabili
possono fingere di non capirlo;
g) in tale contesto continuo a chiedere: il potere giudiziario puo' restare
inerte? I responsabili primi della morte dei nostri connazionali a Nassiriya
devono restare impuniti? Gli sciagurati che hanno violato la Costituzione e
hanno precipitato il nostro paese in un crimine e in un pericolo immani
potranno continuare nella loro azione criminosa? Quanto sangue ancora dovra'
essere versato prima che la legge intervenga per fermare i golpisti, per
ripristinare la vigenza della legalita' costituzionale e del diritto
internazionale, per imporre il ritiro immediato del nostro paese da una
guerra illegale e criminale?
*
Possibile che dinanzi a tutto cio' ne' la magistratura ne' l'opinione
pubblica abbiano nulla da fare e nulla da dire?
Possibile che pubblici ufficiali, istituzioni democratiche, movimenti della
societa' civile, intellettuali e mass-media pronti a insorgere come un sol
uomo quando si tratti di piccinerie come le miserabili censure a
spettacolini comici, non si rendano conto che col loro silenzio stanno
avallando un effettuale colpo di stato che fa strame della legge
fondamentale del nostro ordinamento giuridico, una guerra terrorista che
puo' aver esiti catastrofici per l'umanita' intera, ed anche - ineludibile
conseguenza  - il concreto pericolo di nuove stragi di nostri connazionali
non solo in Iraq ma anche in territorio italiano?
Mi guardo intorno, lancio nel buio una voce.

2. RIFLESSIONE. FAUSTO CONCER: EROI
[Ringraziamo Fausto Concer (per contatti: faustoconcer at libero.it) per questo
intervento. Fausto Concer e' impegnato in varie esperienze, particolarmente
a Bolzano e a Bologna, per la pace, i diritti dei popoli, la difesa della
Costituzione, un'economia di giustizia e di solidarieta']

Diceva un tedesco che e' felice quel paese che non ha bisogno d'eroi. Vero.
Mi accontenterei, per cominciare, che per essere eroi non si dovesse morire
o uccidere, anzi che morire in un teatro di guerra terrorista e ancor piu'
uccidere, fosse inconciliabile coll'essere un eroe.
Mi piacerebbe che, come fece nel Cratilo Platone utilizzando una falsa ma
feconda parentela etimologica, si legasse il termine eroe al termine eros,
amore, e che gli eroi fossero tali "perche' erano saggi e retori, e
abilissimi e dialettici, essendo capaci di erotan (interrogare); infatti
eirein significa dire".
Eroi saggi, che "dicono" e, soprattutto, "interrogano" e "si interrogano".

3. MEMORIA E PROPOSTA. ENRICO EULI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici
della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a
tutti i lettori del nostro notiziario - a  rinnovare (o sottoscrivere per la
prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Enrico
Euli (per contatti: diabeulik at libero.it). Enrico Euli, da molti anni
impegnato nei movimenti per la pace, la giustizia e i diritti, e' uno dei
piu' noti formatori alla nonviolenza (ha collaborato anche con Alberto
L'Abate), fa parte della rete di Lilliput e della cooperativa "Passaparola"
di Cagliari impegnata in attivita' di educazione alla pace; attualmente ha
un incarico di insegnamento presso l'universita' di Cagliari. Tra le opere
di Enrico Euli cfr. AA. VV., Percorsi di formazione alla nonviolenza,
Pangea, Torino 1996; AA. VV., Reti di formazione alla nonviolenza, Pangea,
Torino; con Marco Forlani (a cura di), Guida all'azione diretta nonviolenta,
Altreconomia-Berti, Milano-Piacenza 2002]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
E' un bel giornale, che ha avuto la capacita' di reggere nel tempo e di
migliorare. Nei nostri ambienti, un po' troppo disinvolti e discontinui, non
e' poco.
Parla di nonviolenza tutt'attaccata, senza infingimenti e mistificazioni,
ne' revisionismi di facciata o manipolazioni linguistiche sempre e
costantemente in agguato, soprattutto nella politica italiana, anche dei
movimenti.
E' piu' aperto di un tempo a contributi italicamente non ortodossi (cioe'
non-confessionali ed anti-statali), versione libertaria della nonviolenza a
cui provo, ancor piu' in questi tempi, a far personale riferimento.
Credo che sia bello il processo in corso che, anche attraverso Rete Lilliput
e le pagine ad essa dedicate, ci permette maggiori e piu' feconde
contaminazioni tra le diverse scuole e tradizioni (ad esempio il training e
la formazione educativa gandhiana, l'azione diretta oggi e la storia dei
Gruppi di azione nonviolenta, i differenti approcci al conflitto e alla sua
trasformazione...).
Durante gli anni, ogni tanto, sono riuscito pure a scriverci qualcosa sopra!
Insomma, dopo un po' di lontananza, da due anni ho deciso di riabbonarmi e
lo rifaro' ora, appena torno dal Senegal, dopo le vacanze (abbiate
pazienza).
*
Un'unica domanda alla direzione della rivista: perche' non avete mai
inserito i libri da me curati nella lista dei testi in ultima pagina? Non
sono animato, evidentemente, da brame commerciali, ne', credo, da ansie di
esibizione. Quel che chiederei e', almeno su questo versante e al di la'
delle differenze tra noi, un reciproco riconoscimento del valore di quel che
facciamo, diciamo, pensiamo, scriviamo... Chiedo troppo?

4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: UN MISSILE CONTRO UN AEREO CIVILE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 novembre 2003. Giuliana Sgrena,
intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e'
tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e
islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di,
La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi,
Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata
inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu'
ferocemente stragista della guerra tuttora in corso, ed e' nuovamente in
Iraq in questi giorni]

Ieri sera colpi d'arma da fuoco sono stati sparati a Nassirya, contro un
convoglio di carabinieri italiani rimasti nella citta' del sud Iraq a fare
da bersaglio. Del convoglio faceva parte un fuoristrada con due giornalisti
del Tg2: nessun ferito per fortuna, ma la situazione resta pericolosa e
tesissima.
Ma sono stati ancora una volta gli iracheni a pagare un pesante tributo di
sangue a chi con la vocazione del martirio si scaglia contro
"collaborazionisti" e forze di occupazione. Almeno 19 le vittime nelle
ultime ore, ma il bilancio e' provvisorio. Due autobombe sono esplose
davanti a due stazioni di polizia a nord di Baghdad. La prima a Khan Bani
Saad, 50 km a nord-est di Baghdad. Erano le otto del mattino, una Chevrolet
si stava avvicinando a grande velocita' alla stazione di polizia quando un
poliziotto ha aperto il fuoco, ma la macchina non si e' fermata ed e'
esplosa lasciando un ampio buco nella parete dell'edificio, sei poliziotti e
tre civili uccisi, numerosi i feriti. L'ospedale della vicina Baquba stava
ancora ricoverando i feriti dell'attacco di Khan Bani Saad quando sono
cominciati ad arrivare quelli di un'altra autobomba. Obiettivo, una
quindicina di chilometri a nord, la stazione di polizia di Baquba, nove
morti (sette poliziotti e due civili) e decine di feriti. Il kamikaze aveva
una divisa da poliziotto, non difficile da recuperare. La zona degli
attacchi e' in pieno "triangolo sunnita": Baquba e' una delle roccaforti di
Saddam Hussein e dell'esercito. Le stazioni di polizia non sono nuove a
simili attacchi, la giornata piu' sanguinosa e' stata quella del 27 ottobre:
tre loro sedi a Baghdad furono attaccate contemporaneamente alla Croce rossa
Internazionale: 35 i morti.
Ma la vera novita' viene piuttosto dall'attacco lanciato contro un aereo
commerciale civile usato come cargo dalla Dhl. L'aereo, un Airbus A300 con
tre persone di equipaggio a bordo, appena decollato dall'aeroporto di
Baghdad ha dovuto fare un atterraggio di emergenza dopo che un motore aveva
preso fuoco. Secondo un ufficiale militare non identificato, citato dalla
France presse, "e' stato colpito da un missile Sam-7 terra aria". Se questa
ipotesi verra' confermata sara' stato il primo aereo civile ad essere preso
di mira dalla guerriglia, in passato altri missili erano stati lanciati
contro aerei militari in decollo dall'aeroporto di Baghdad ma senza
raggiungere l'obiettivo. Intanto la compagnia di bandiera giordana, Royal
Jordanian, ha subito sospeso i propri voli su Baghdad. Gli elicotteri
militari invece sono stati un target piu' vulnerabile, nello scorso mese ne
sono stati abbattuti cinque, 49 i militari statunitensi rimasti uccisi.
Secondo un comandante americano la guerriglia sta diventando sempre piu'
creativa e dimostra un grande livello di coordinamento. Da quando la guerra
e' stata dichiarata finita da Bush, il primo maggio, 182 sono i soldati
statunitensi uccisi da fuoco ostile, 294 dall'inizio della guerra e comprese
le vittime di incidenti il numero sale a 424. Una situazione che si sta
dimostrando sempre piu' insostenibile per gli Stati Uniti che stanno
cercando di accelerare il passaggio dei poteri, e delle responsabilita',
agli iracheni. Ma mentre il proconsole Paul Bremer annuncia il nuovo piano
la situazione sul terreno e' invertita. Dopo gli ultimi attentati i carri
armati sono infatti tornati in gran numero a pattugliare le strade della
capitale che negli ultimi tempi era stata lasciata al controllo della
polizia irachena, peraltro sempre piu' obiettivo degli attacchi
terroristici. Mentre la nuova strategia offensiva ieri ha colpito con i
bombardamenti aerei edifici nella cittadina di Khaldiya, a una settantina di
chilometri a ovest di Baghdad, almeno un morto. E, secondo il "New York
Times", che cita fonti dell'esercito Usa, i piani del Pentagono prevedono di
mantenere in Iraq 100.000 uomini fino all'inizio del 2006.
E nel mirino della guerriglia tornano i membri del Consiglio governativo
iracheno, un'altra classe di "collaborazionisti". Ieri e' toccato a Abdel
Aziz al Hakim, leader del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in
Iraq (Sciri) e uno dei 25 membri del Consiglio governativo, il quale e'
riuscito a sfuggire miracolosamente a un missile lanciato contro la moschea
in cui pregava. Il missile lanciato dal giardino adiacente non e' esploso.
"E' stato un attacco terroristico contro la sua vita realizzato da quel che
resta del regime di Saddam", ha commentato il figlio di Abdel Aziz, Mohsen
al Hakim, da Tehran. Ad agosto a Najaf, la citta' santa sciita, era stato
assassinato davanti alla moschea il piu' famoso leader dello Sciri, Mohammed
Baqer al Hakim. Insieme a lui erano state uccise oltre ottanta persone.Tutte
le azioni di terrorismo e anche di resistenza vengono attribuite dai leader
dello Sciiri ai residui "saddamisti" e a militanti di al Qaeda. La tensione
e' alta a Baghdad e in tutto l'Iraq mentre ci si prepara a festeggiare la
festa dell'Aid, che conclude il mese sacro del Ramadan.

5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA INTERVISTA ABDEL AZIZ AL HAKIM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 novembre 2003]

Le accuse degli americani al Consiglio governativo iracheno di
"inefficienza" e di rispondere piu' agli interessi personali che a quelli
del paese, e l'annuncio di una nuova tabella di marcia, giu' accettata dal
presidente di turno, il kurdo Jalal Talabani, cominciano a far emergere il
disagio di alcuni membri dell'organismo utilizzato strumentalmente dal
proconsole americano Paul Bremer per dimostrare l'avvio di una transizione
per il passaggio dei poteri agli iracheni. Dopo le denunce del "ministro"
Abdel Basset Turki sulla violazione dei diritti umani da parte delle truppe
Usa durante l'occupazione, anche il leader sciita Abdel Aziz al Hakim, uno
dei 25 membri del Consiglio, ha espresso riserve sul nuovo piano americano.
L'attuale leader dello Sciiri (Consiglio supremo per la rivoluzione islamica
in Iraq), rientrato dall'Iran, dove ha trascorso 21 anni, subito dopo la
caduta di Saddam, e' succeduto al fratello nella guida del partito dopo il
suo assassinio nell'agosto scorso a Najaf. Abdel Aziz e' rimasto l'ultimo di
dieci fratelli, sette dei quali uccisi da Saddam, uno e' morto in un
incidente automobilistico e l'ultimo e il piu' famoso, Mohammed Baqer al
Hakim, e' stato assassinato. Ieri anche Abdel Aziz si e' salvato per
miracolo da un missile lanciato contro la moschea in cui si era recato a
pregare. Lo avevamo incontrato, poche ore prima, venerdi' sera, tra ingenti
misure di sicurezza, nella splendida villa dell'ex vice primo ministro Tareq
Aziz, ora detenuto dagli americani, sulle rive del Tigri.
- Giuliana Sgrena: Quali perplessita' ha sul nuovo piano Usa?
- Abdel Aziz al Hakim: La transizione del potere deve essere nelle mani
degli iracheni, questo e' il punto centrale, allora i problemi potranno
essere risolti. Qui nessuno e' contento dell'occupazione. Fin dal primo
giorno abbiamo presentato delle idee su come risolvere questi problemi. Il
potere deve tornare nelle mani degli iracheni per poter tenere elezioni e
allora un governo costituzionale potra' essere eletto. Gli Usa all'inizio
pensavano che si dovesse prima varare una costituzione, poi costituire un
governo eletto e allora l'autorita' sarebbe stata trasferita a questo
governo. Ora hanno cambiato (una legge fondamentale entro febbraio, un corpo
legislativo eletto per la fine di maggio da comitati provinciali, un governo
transitorio per il primo luglio e una nuova costituzione fatta da una
assemblea costituente per la fine del 2005, ndr) e noi abbiamo accettato
questi cambiamenti positivamente per potere trasferire l'autorita' al popolo
iracheno. Ma sui dettagli sorgono i problemi, per questo abbiamo espresso
delle riserve.
- G. S.: Quali dettagli?
- A. A. al H.: Occorre rispettare il volere del popolo iracheno altrimenti
crescera' l'imbarazzo e sorgeranno i problemi. Nell'ultimo periodo abbiamo
sentito molti slogan sulla democrazia, l'opinione del popolo non puo' essere
trascurata come e' successo in passato. Bisogna garantire una partecipazione
diretta di tutti i gruppi, anche delle minoranze.
- G. S.: Eppure lei ha accettato di far parte del Consiglio governativo che
e' stato nominato dall'americano Bremer e non dal popolo...
- A. A. al H.: Il Consiglio governativo non e' quello che volevano gli Usa:
un consiglio consultivo con i membri scelti da Bremer. Lo abbiamo rifiutato.
Questo consiglio governativo rappresenta il 70-80% del popolo iracheno per
la popolarita' di cui godono i suoi membri che sono stati eletti (da circa
600 delegati, ndr) nella conferenza dei gruppi di opposizione che si e'
tenuta a Londra lo scorso anno. Il Consiglio governativo ha il compito di
gestire la situazione durante la transizione e dopo sei mesi dare la
possibilita' di tenere elezioni se si vogliono mettere in piedi nuove
istituzioni.
- G. S.: E secondo lei in questa situazione e' possibile tenere libere
elezioni?
- A. A. al H.: E' possibile in un tempo breve.
- G. S.: Senza costituzione, senza una legge elettorale e senza sicurezza?
- A. A. al H.: E' possibile tenere elezioni anche senza tutti gli standard
elettorali, credo che gli standard possano essere rispettati all'80%: si
possono mettere insieme piccoli gruppi che eleggono un rappresentante, ci
sono altre procedure possibili, per esempio usando le carte che servono per
il ritiro delle razioni di cibo. Esistono anche censimenti recenti della
popolazione e poi si puo' chiedere il parere a esperti dell'Onu o anche a
pianificatori iracheni.
- G. S.: Per eleggere che cosa: il parlamento, il governo o l'assemblea
costituente?
- A. A. al H.: Questa procedura puo' mettere la popolazione in grado di
eleggere il parlamento, l'assemblea o anche il governo. L'importante e' che
la democrazia sia implementata.
- G. S.: Sono tutti d'accordo con lei nel Consiglio governativo?
- A. A. al H.: Non ho trovato nessuno contrario a questa idea, ancora da
definire nei dettagli.
- G. S.: Ma il consiglio governativo dovrebbe essere sciolto.
- A. A. al H.: Non sono d'accordo. Prima bisogna trovare un'altra formula
che sia rappresentativa degli interessi del popolo, altrimenti si creeranno
solo problemi. La situazione peggiorera'.
- G. S.: Lei e' preoccupato per la divisione all'interno della comunita'
sciita? E cosa e' cambiato per lei dopo l'assassinio di suo fratello?
- A. A. al H.: Non abbiamo preoccupazioni perche' queste divisioni
dimostrano la liberta' del popolo iracheno. Non ci sono contrapposizioni
ideologiche e scontri pericolosi. Tutto il popolo iracheno e' preoccupato
per i problemi di sicurezza perche' le forze di occupazione li affrontano in
modo sbagliato. Una politica sbagliata che porta al collasso e per questo
pagano le truppe occupanti e il popolo iracheno.
- G. S.: Ma allora non e' meglio che se ne vadano?
- A. A. al H.: Spero che se ne vadano e se restano solo come ospiti.

6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: "SIAMO PATRIOTI IRACHENI ANTI-SADDAM E
ANTI-USA"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 novembre 2003]

A meta' della strada che porta da Baghdad a Tikrit, si devia verso Balad,
appena superata la citta', al di la' del Tigri si trova Dhiluiya, centro
agricolo di circa 20.000 abitanti, salito agli onori della cronaca per la
resistenza agli americani. La vegetazione e' lussureggiante e anche per
questo colpisce lo scempio compiuto dagli americani il 9 giugno, quando sono
venuti qui per ripulire la zona e hanno cominciato bombardando una fattoria
e abbattendo decine e decine di palme da dattero. I tronchi sono ancora la',
divelti, a testimoniare. Le altre testimonianze le raccogliamo tra gli
abitanti delle belle case di cemento sparse tra gli aranceti. Non mancano i
segni di nuovi passaggi degli americani: dagli effetti delle bombe
assordanti a quelli dei colpi di mortaio. "Gli americani usano le armi
sequestrate del vecchio regime per convincerci che e' la resistenza a
colpirci, per dividere la popolazione, ma non ci ingannano", dice Kamel
mentre ci mostra i pezzi della granata lanciata con un mortaio.
Dopo un primo momento di indifferenza e quasi di compiacimento per gli
americani che li avevano liberati dalla dittatura, anche se la citta' e'
circondata dalle roccaforti di Saddam - Balad, Samarra, fino a Tikrit -,
l'odio verso le forze occupanti e' andato aumentando e la resistenza pure.
Anche tra la tribu' maggioritaria di Dhiluiya, i Jubir, sebbene fosse caduta
in disgrazia durante il passato regime dopo che, nel 1990, uno di loro aveva
cercato di attentare alla vita del rais durante una parata militare. Una
circostanza che era venuta a coincidere con altri elementi che hanno
provocato un impoverimento di quella che fino ad allora era stata una
cittadina ricca: il crollo del valore del dinaro dopo l'invasione del
Kuwait, l'embargo che li ha privati di prodotti per l'agricoltura provocando
la diffusione di malattie nelle coltivazioni, mentre la diga costruita a
Samarra ha ridotto le possibilita' di irrigazione. Ora la situazione non e'
migliorata, manca l'elettricita' - nell'ultima settimana solo 4 ore al
giorno -, scarseggiano la benzina e il gas. "Sono punizioni collettive, era
meglio con Saddam", dice com amarezza Amar, un giovane laureato in lingue e,
naturalmente, disoccupato. L'unica possibilita' di lavoro sarebbe come
traduttore con gli americani, ma si rifiuta di lavorare per gli occupanti.
Comunque l'unico a pensare che Saddam possa tornare e' Rafa, un altro
studente in lingue, specializzazione in turco.
Tutti questi giovani, anche un bambino di dodici anni - ma lui solo per due
ore -, insieme ad altri 600 uomini, compresi vecchi e handicappati, erano
stati arrestati il 9 giugno, portati al vicino aeroporto militare al Baker,
interrogati per tre giorni, e maltrattati, tenuti sotto tendoni senz'acqua
nonostante la calura. "Altro che diritti umani", commenta Amar. Ventisette
di loro erano poi stati portati a Tikrit, gli altri rilasciati, poi ne
sarebbero stati liberati altri 12, mentre i quindici rimanenti sono stati
portati a Um Qasr (al sud, il porto di Bassora). Tra i dodici liberati vi
era anche la spia che aveva passato agli americani le informazioni, ma non
tutte attendibili e per questo a sua volta arrestata. La sua liberta'
sarebbe pero' durata poco, il padre, Salem Khalaf, un contadino di 55 anni,
per riscattare l'onore lo ha ucciso e poi e' fuggito perche' gli americani
lo volevano arrestare. Tra quelli che hanno armato la canea per farlo
uccidere vi sarebbero state altre spie che non volevano essere individuate,
tuttavia la popolazione le ha scoperte e le tiene sotto tiro. "Lo fanno per
i soldi, anche se gli americani gli promettono migliaia di dollari e poi
gliene danno solo qualche centinaio, spesso passano informazioni sbagliate
anche per vendetta. Gli americani lo sanno bene, si prendono in giro a
vicenda", sostiene Rafa. Questi informatori sono stati minacciati, ma finora
qui non c'e' stata ancora nessuna esecuzione di "collaborazionisti".
Si contano invece una quindicina di civili uccisi negli attacchi degli
americani. Un mese fa le truppe americane sono arrivate, hanno bloccato le
strade con blindati e carri armati e poi hanno cominciato a bombardare: una
casa e' stata distrutta perche' sospettata di essere usata dalla guerriglia,
altre sono state colpite e due sono state occupate per qualche giorno
costringendo gli abitanti ad andarsene. Anche la casa di un generale, che ci
mostrano, dieci giorni fa era stata occupata dopo l'arresto del militare che
prima aveva ottenuto dagli stessi americani un lasciapassare. Hanno detto
che volevano solo qualche informazione ma non e' piu' tornato. Continuano le
perquisizioni, sempre di notte, gli abitanti vengono buttati fuori di casa e
quando rientrano scoprono che mancano soldi e oggetti di valore.
Una settimana fa, all'1,30 di notte, soldati americani hanno fatto irruzione
nella casa dell'imam, sheikh Mahmud Khalil, un uomo anziano "dedito solo
alla religione".
"Cercavano un terrorista siriano che sarebbe stato nascosto nella nostra
casa", spiega il figlio e ricorda che anche il traduttore era
particolarmente arrogante. Tutti gli uomini di casa, tranne l'imam, sono
stati tenuti sdraiati con faccia a terra nel giardino, dopo mezz'ora di
rovistamento senza trovare ne' terroristi ne' armi, i soldati se ne sono
andati, con tante scuse. "Non avevo mai visto gli americani e
improvvisamente l'altra notte hanno invaso la mia casa", racconta l'imam che
dimostra piu' dei suoi 68 anni, forse per lo stress degli ultimi giorni. E'
molto gentile e disponibile, ma "lei mica mi ha buttato giu' dal letto",
osserva. Cosa pensa della resistenza? "Non mi sono mai interessato alla
resistenza, rifiuto l'atteggiamento degli americani ma non posso fare niente
per impedirlo".
Sono questi atteggiamenti che esasperano la gente. Ma forse c'e' anche un
rimpianto per Saddam? "No, anche se qui c'e' ancora una parte della citta'
che lo sostiene, il rais qui non e' mai venuto e non ha mai amato questa
zona. La resistenza e' contro gli occupanti americani". Ma chi la organizza,
i sostenitori di Saddam o forse gli islamisti? "No, sono i patrioti del
popolo, qui non ci sono organizzazioni islamiche. Solo i sabotaggi agli
oleodotti e gli attacchi alla polizia sono opera di Saddam, non quelli
contro le forze della coalizione. Gli Usa hanno permesso che fossero
saccheggiati tutti i campi militari, quindi le armi non mancano". Eppure
devono essere persone addestrate a usare le armi. "Per usare un kalashnikov
non ci vuole molto, nel '99 all'universita' tutti imparavamo a sparare,
donne e uomini", dice Heiman. Allora potreste essere anche voi parte della
resistenza?, chiediamo ai giovani e meno giovani che si sono radunati
intorno a noi. "Anche se non siamo nella resistenza siamo pronti ad aiutare
tutti quelli che combattono gli americani", risponde uno, ma sono tutti
d'accordo. Secondo Mohammed, un uomo sulla cinquantina, "pensionato" nel
1990 quando lavorava nel settore delle telecomunicazioni, a prevalere e' il
sentimento nazionalista: "Gli americani ci guardano tutti come terroristi,
ma vogliamo solo liberare l'Iraq". Perche' "Saddam ha prima collaborato con
gli americani e poi ha trattato con loro fino all'ultimo ma solo per salvare
i propri interessi, non per quelli del popolo iracheno", sostiene Mohammed.
In questa cittadina, sunnita e conservatrice, diversamente da altre zone del
paese, non c'e' il problema sicurezza, la popolazione collabora con la
polizia molto attiva (sono i poliziotti di prima piu' alcuni volontari
dell'esercito). Ma le forze della coalizione lamentano scarsa collaborazione
dei poliziotti e hanno portato qui altre forze di Balad, che cercano di
avere informazioni solo da ladri e ex-baathisti e sono invisi alla
popolazione. E il consiglio comunale? "E' stato nominato dagli americani con
chi e' disposto a collaborare, il presidente del consiglio, Marwan, e' un
avvocato gia' capo di un comune nel sud, a Nassiriya, durante il regime di
Saddam. Hanno fatto solo promesse non mantenute. Qui sono tutti contadini e
ignorano il consiglio comunale". E anche il Consiglio governativo? "E'
inutile, si occupano solo di cambiare la bandiera dell'Iraq e non delle cose
importanti". Dhiluiya e' un aspetto della resistenza irachena,
incomprensibile per gli americani.

7. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: IL CONSIGLIO IRACHENO: "BASTA
OCCUPAZIONE"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 novembre 2003]

Mentre scriviamo violente esplosioni risuonano nel centro della capitale
irachena e dalla sede dell'amministrazione a guida Usa un altoparlante
ripete: "Al riparo. E' un attacco, non e' una simulazione". I testimoni
oculari che arrivano parlano di colpi di mortaio contro i ministeri. Ma ieri
forse e' avvenuto qualcosa di piu' esplosivo. Il Consiglio governativo
iracheno ha chiesto, formalmente, con una lettera del presidente di turno
Jalal Talabani, al Consiglio di sicurezza Onu di adottare una nuova
risoluzione in cui venga sancito lo scioglimento della coalizione di
occupazione dopo che sara' eletto, in giugno, il governo provvisorio. Il
calendario per il passaggio dei poteri agli iracheni, richiesto dalla
risoluzione Onu 1511 dello scorso 16 ottobre, doveva essere presentato entro
il 15 dicembre. Ad accelerare la formulazione delle scadenze, decise dagli
Stati Uniti e approvate dal Consiglio governativo, non senza critiche nello
stesso organismo - come quella del leader sciita Abdel Aziz al Hakim -, e'
stata l'escalation di attacchi contro le truppe americane e il tentativo Usa
di scaricare la responsabilita' del disastro sugli iracheni. Dopo aver
accusato d'inefficienza l'attuale Consiglio governativo nominato dal
proconsole Paul Bremer e paralizzato sia dalla mancanza di poteri che dai
criteri adottati per le nomine, su base esclusivamente etnica e religiosa.
Il calendario prevede la definizione di una "legge fondamentale" per
amministrare il paese entro la fine di febbraio, entro maggio invece sara'
formata attraverso la scelta di delegati provinciali una assemblea
provvisoria che dovra' eleggere il governo transitorio entro fine giugno, a
questo punto i poteri dovrebbero passare dalla Coalition provisional
authority (Cpa) agli iracheni. Per il 15 marzo 2005 e' prevista l'elezione
di una assemblea costituente che dovra' elaborare una costituzione entro la
fine dell'anno, da sottoporre a referendum. Il processo dovrebbe concludersi
con nuove elezioni. Rispetto ai tempi, l'esempio afghano induce a estrema
prudenza. Forse per questo, o anche per le pressioni interne al paese e allo
stesso Consiglio governativo, la mossa di Talabani sembra ispirata dal
tentativo di fare acquisire qualche credibilita' ad un organismo che finora
non e' riuscito ad averla. Uno scatto d'orgoglio tardivo?
Comunque un effetto l'ha raggiunto, a giudicare dalle reazioni del generale
John Abizaid, capo del comando militare Usa responsabile per le operazioni
militari in Medioriente. Non solo ha rifiutato qualsiasi scadenza per la
fine dell'occupazione ma ha anche negato che di occupazione si tratti,
sebbene la definizione sia contenuta nella risoluzione Onu approvata dagli
Usa. "La presenza militare in Iraq non sara' piu' necessaria nel momento in
cui l'esecutivo si assumera' la responsabilita' della sicurezza esterna e
interna". Affermando che le forze della coalizione non sono di occupazione
ha detto: "Siamo qui per la creazione di un governo e per mantenere la
sicurezza, il controllo passera' nel tempo alle forze di sicurezza irachena
ma solo quando non ci sara' piu' bisogno di noi". E per il generale a
deciderlo naturalmente sara' Washington. "Ce ne andremo ma questo non
significa che lo faremo di corsa, significa che lo faremo in modo sicuro e
appropriato dopo aver fornito all'Iraq forze di sicurezza preparate e
responsabili", ha concluso il generale che ha tenuto ieri a Baghdad una
conferenza stampa insieme a Paul Bremer. Vuol dire che le truppe americane
in Iraq resteranno ancora a lungo e si preparano anche per il dopo,
costruendo basi per quando la sicurezza passera' in mano irachena. E di
sicurezza ha parlato anche Bremer: "Hanno fallito nell'intimidire la
coalizione, ora stanno cercando di intimidire innocenti iracheni", si e'
consolato Bremer.
Non e' un obiettivo cambiato ma allargato, aumentano gli obiettivi, ma
soprattutto gli attacchi si estendono dal "triangolo sunnita" al nord verso
le citta' kurde contestate, che Saddam non aveva voluto concedere al
Kurdistan. Un ordigno e' esploso al Kirkuk palace, il principale albergo
della citta', che ospita personale della compagnia petrolifera americana
Kbr, ma anche giornalisti: ferite due guardie e un impiegato, due sono
gravi. Abizaid ha confermato le affermazioni di Bremer ma ha anche
ridimensionato la presenza di mujahidin stranieri: ci sono siriani, sauditi
e yemeniti, "ma il loro numero e' piccolo". La presenza di "combattenti
stranieri" e' uno degli argomenti usati da Bush per giustificare
l'affermazione che l'Iraq e' in prima linea nella guerra globale contro il
terrorismo.
L'azione dei guerriglieri si avvale ora anche dell'effetto mediatico. Una
videocassetta, che riprende un combattente mentre sta sparando un missile
terra-aria contro l'Airbus A300 del corriere espresso Dhl, e' stata
consegnata domenica a Baghdad a Sara Daniel, giornalista del "Nouvel
Observateur". Il video di sei minuti mostra alcuni uomini - il volto coperto
con una kefiah - armati di kalashnikov, razzi anticarro e lanciamissili
portatili terra-aria. Passa l'aereo e dopo un po' uno di loro fa partire il
missile che descrive la traiettoria con una scia bianca, dopo una virata
colpisce l'aereo, di cui si vede un'ala in fiamme. L'aereo era decollato
sabato mattina dall'aeroporto di Baghdad e costretto ad un atterraggio di
emergenza. Da allora tutti i voli civili sono stati sospesi.
Mentre trascorre l'Aid di fine Ramadan, a colpi di kalashnikov - difficile
distinguere la festa dalla guerra - un militare italiano a Nassiriya,
Stefano Ridolfi, e' stato probabilmente ferito da uno di questi proiettili
in ricaduta.

8. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: COLPITA L'AMBASCIATA ITALIANA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 novembre 2003]

Un colpo di mortaio o un razzo ha centrato nella notte l'ambasciata italiana
a Baghdad. L'edificio, quasi completamente vuoto a causa dell'orario (poco
prima di mezzanotte, ora locale), e' stato centrato al secondo piano,
causando solo danni materiali: niente vittime. Nei giorni scorsi nei
dintorni dell'ambasciata italiana erano stati individuati due carretti,
telai di autocarri trainati da asini, all'interno coperti da teloni una
ventina di razzi in buono stato e pronti a sparare. Non c'era stata alcuna
conferma che il bersaglio potesse essere la rappresentanza diplomatica
italiana, ma era bastato a moltiplicare la paura innescata dall'attentato di
Nassiriya, dove un'autobomba due settimane fa ha devastato il comando dei
carabinieri, uccidendo 19 persone. L'Italia torna dunque ad essere un
bersaglio, ma non e' certamente l'unico.
Due dei missili che martedi' sera con la loro esplosione hanno scosso il
centro di Baghdad sono caduti nel compound che ospita la Coalition
provisional authority (Cpa). Non hanno provocato vittime e non e' la prima
volta che accade soprattutto nell'ultimo mese, ma l'obiettivo questa volta
avrebbe potuto essere molto ambizioso, il ministro degli esteri britannico
Jack Straw, appena arrivato nella capitale irachena per una visita di due
giorni. Proprio come era successo durante la visita del vicesegretario alla
difesa Usa Paul Wolfowitz, quando era stato colpito l'hotel Rashid, dove era
ospite. Evidentemente la resistenza sapeva dell'arrivo di Straw prima ancora
che fosse annunciato, un servizio di intelligence in piena regola. Jack
Straw non poteva quindi ignorare la gravita' della situazione. "La chiave
(per migliorare la sicurezza, ndr) e' quella di trasferire il potere dalla
coalizione al popolo iracheno il piu' presto possibile", ha detto ieri in
una conferenza stampa tenuta dentro lo spesso compound da dove non si e'
spostato nemmeno per gli incontri. Straw ha riferito di aver visto i
componenti del Consiglio governativo, con i quali ha discusso del processo
per il passaggio dei poteri e ha detto che una combinazione di sforzi
politici e militari manterra' la scadenza di giugno, stabilita dagli Usa e
accettata dall'organismo nominato da Bremer, per l'elezione di un governo di
transizione che dovrebbe porre fine all'occupazione, almeno secondo
l'interpretazione degli iracheni.
Tuttavia la fine dell'occupazione e il ritiro delle truppe rimane il punto
piu' controverso. Dopo la presa di posizione del generale Abizaid, che non
vuole scadenze e tanto meno fissate dagli iracheni, ieri anche Straw ha
detto che non puo' fornire date per il ritiro delle truppe britanniche
(9.800 uomini dispiegati nel sud del paese), ma, ha aggiunto, le forze della
coalizione "resteranno fino a quando il governo iracheno e il popolo vorra'
che restiamo e c'e' del lavoro da fare". Ieri il Pentagono ha fatto sapere
che il segretario alla difesa americano, Donald Rumsfeld, ha ordinato alla
marina l'invio di altri 3.000 marines, tre battaglioni con le relative
unita' di supporto.
Indubbiamente le pessime condizioni di vita - disoccupazione dilagante,
mancanza di elettricita', acqua, gas e benzina - possono favorire la scelta
del sostegno al terrorismo, ma la resistenza, quella piu' generalizzata,
invece risponde ad altre aspirazioni del popolo iracheno, quella della
dignita', che l'occupazione calpesta ogni giorno, e della sovranita'. Quella
nazionalista e' una delle componenti della resistenza: gli Stati Uniti
invece cercano di dividere il paese tra kurdi, sunniti e sciiti; proprio su
questa base il proconsole Paul Bremer ha nominato il consiglio governativo.
Molti si lamentano: in questo paese non si parla piu' di arabi, ma solo di
sunniti e sciiti. Il pericolo di una disintegrazione dell'Iraq e' stato
avvertito anche da Straw, che ha sostenuto che mantenere "l'integrita'" del
paese durante la transizione e' cruciale: l'Iraq con i suoi diversi gruppi
etnici devono stare insieme per vedere un futuro migliore. Si tratta di un
diverso approccio rispetto a quello americano, della cosapevolezza dei
pericoli rappresentati dalla divisione in tre dell'Iraq, oppure di voler
porre rimedio a errori fatti?
Sugli errori commessi in Iraq dalla coalizione e' tornato ieri il generale
in pensione Jay Garner, che aveva guidato l'autorita' di occupazione nel
primo mese, prima di essere sostituito da Paul Bremer, non solo per dissensi
sui suoi piani ma anche per le rivalita' interne all'amministrazione Usa tra
dipartimento di stato e Pentagono. In una intervista rilasciata ieri alla
Bbc, Garner sostiene che gli Usa avrebbero dovuto avere una migliore
comunicazione con gli iracheni e che avrebbero dovuto adoperarsi per
ristabilire la fornitura di elettricita', che peraltro e' ancora
estremamente carente a quasi sette mese dall'inizio dell'occupazione, oltre
a muoversi piu' rapidamente per instaurare un governo iracheno. Dal punto di
vista dell'informazione, il risultato - sostiene Garner - e' che ora gli
iracheni ascoltano al Jazeera, i canali arabi accusati di collusione con la
guerriglia per riprendere gli attacchi. Un errore del passato, quando le
truppe americane durante la guerra avevano bombardato la sede di al Jazeera
uccidendo un giornalista, che continua con l'espulsione comminata all'altra
tv araba, al Arabiya.

9. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: IL TEATRO DELL'IMPERATORE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2003]

Elicotteri, rumorosi, ossessivi, che volteggiavano nel cielo, a bassa quota,
nel buio, come spesso succede, ma piu' insitenti, piu' numerosi. Spari un
po' ovunque, come ogni sera, in questo fine di Ramadan, confondono i
festeggiamenti con gli attacchi della guerriglia. Citta' blindata. La
guerra, quella in corso, in Iraq si gioca anche a colpi di sfide. E ieri il
colpo di scena e' stato di George Bush. Bush a sorpresa e' arrivato qui a
Baghad, mentre tutti lo pensavano a celebrare con il tacchino la festa del
ringraziamento nel suo ranch in Texas. Il presidente statunitense e'
arrivato con il suo aereo, scendendo dal cielo dove una settimana fa era
stato colpito da un missile un Airbus 300 della Dhl e da allora a nessun
aereo civile era stato piu' possibile decollare. Imponenti le misure di
sicurezza: atterraggio con il buio, luci oscurate e finestrini chiusi. Una
trasferta tenuta assolutamente segreta, fino all'ultimo persino alla first
lady, Laura, mentre i genitori erano stati invitati al ranch per la festa.
La prima, quanto insolita, visita di un presidente degli Stati Uniti in
Iraq. Una scelta rischiosa, una mossa elettorale, il tentativo di rifarsi
un'immagine dopo il disastroso viaggio a Londra, ma anche il tentativo di
risollevare il morale a truppe che si sentono sempre meno motivate e piu'
terrorizzate. Bush ha passato solo due ore e mezzo con i 600 soldati riuniti
all'aeroporto di Baghdad per la cena del ringraziamento. Un precedente: Bush
padre aveva visitato le truppe Usa in Kuwait nel Giorno del ringraziamento
del 1990, alla vigilia della prima guerra del Golfo. Ieri sera le truppe,
che si trovano in Iraq dall'inizio della guerra, si aspettavano la visita
del generale Ricardo Sanchez, ed era stato annunciato un messaggio di Bush
letto, forse, dal proconsole Paul Bremer. Poi l'entrata spettacolare, dopo
l'annuncio ai militari che "il piu' alto in grado della base avrebbe letto
il messaggio del presidente": "Stavo cercando un piatto caldo da qualche
parte, grazie per avermi invitato", ha subito detto Bush. Una squallida
sceneggiata su un teatro di guerra. Ma naturalmente la sorpresa ha avuto il
suo effetto tra i soldati che da mesi si scoprono assediati e bersaglio
quotidiano, riuniti nel prefabbricato che ospita la grande sala della mensa.
E Bush ha cercato di toccare le corde dell'orgoglio che non sembra pero'
piu' albergare tra i militari ogni giorno nel mirino della guerriglia. Ma la
retorica di Bush ha avuto effetto e forse piu' di tutto la presenza del
presidente ha suscitato le previste ovazioni quando ha detto che "fare il
soldato americano e' un lavoro fantastico" o che "Saddam non tornera' piu'".
Ma la sceneggiata di Bush di ieri ha ricordato paradossalmente proprio
l'ultima apparizione del rais Saddam Hussein per rincuorare le sue truppe
prima di sparire nel nulla. Domani quelli che ieri sera hanno osannato Bush
ci ripenseranno. Dall'inizio della guerra sono circa 300 i soldati americani
morti per fuoco ostile, 183 invece dopo che Bush ha dichiarato la guerra
finita, il primo maggio. E la guerra e' continuata anche ieri con un attacco
ad un convoglio americano sull'autostrada a Abu Graib, alle porte di
Baghdad. Spesso non viene piu' nemmeno riferito il conto delle vittime.
Ma il tempo della visita e' stato troppo breve per far emergere i
risentimenti. Sorpresa e brevita' hanno giocato a meraviglia, questa volta
anche sulla guerriglia. Non come nel caso della visita appena conclusa del
ministro degli esteri britannico Jack Straw il cui arrivo, ancora segreto,
e' stato salutato con una pioggia di missili sul compound che ospita le
forze della coalizione, pur senza andare a segno. "Voi state difendendo il
popolo americano dal pericolo e vi siamo grati", ha detto il presidente
statunitense. E ancora "voi state sconfiggendo il terrorismo qui in Iraq,
cosi' non dovremo affrontarlo nel nostro paese". Questa la questione
centrale del discorso di Bush che da sempre sostiene che l'Iraq e' in prima
linea nella lotta al terrorismo. "Noi non percorriamo centinaia di miglia
nel cuore dell'Iraq, non paghiamo un costo cosi' alto in vittime, non
sconfiggiamo uno spietato dittatore e non liberiamo 25 milioni di persone
solo per ritirarci di fronte a una banda di delinquenti e di assassini",
perche', secondo Bush, i terroristi stanno testando le soluzioni
dell'America e loro "sperano che ce ne andiamo". E Bush non ha nessuna
intenzione di ritirarsi, forse invece i 600 soldati che ieri sera l'hanno
applaudito farebbero volentieri i bagagli.
E ora a chiedere di fissare una data per la fine dell'occupazione e' anche
il Consiglio governativo iracheno nominato dagli stessi americani.

10. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: IRAQ, BERSAGLIO ITALIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2003]

L'Italia e' diventata uno degli obiettivi privilegiati della resistenza
armata e anche del terrorismo iracheni. I fatti degli ultimi giorni non
lasciano dubbi. E non si tratta nemmeno solo di ostilita' alla presenza
militare ma anche diplomatica, anche se in questo caso la distinzione e'
perniciosa visto che i riferimenti locali anche della Farnesina sono sempre
l'autorita' di occupazione (Coalition provisional authority, Cpa) nella
quale ha peraltro una propria presenza politico-militare anche l'Italia.
Quindi l'ambasciata italiana a Baghdad rappresenta complessivamente
l'impegno del governo italiano in Iraq. Ed e' questo che e' entrato nel
mirino. L'ultimo "avvertimento" e' la granata lanciata con un Rpg mercoledi'
sera, alle 23,30 locali (le 21,30 in Italia), contro l'edificio che ospita
l'ambasciata nel quartiere di al Waziriya. Colpito il secondo piano, un foro
di 10 centimentri di diametro nell'ala est, che ospita la cancelleria e che
a quell'ora era deserta. Le persone, una ventina, che vivono nel compound
dell'ambasciata si trovavano in un altro edificio e comunque sono rimaste
tutte illese. Anche i danni materiali sono di poco conto, perche' e' stata
colpita la parete di un corridoio. La granata deve essere stata sparata da
circa 250 metri di distanza, da una via di fronte alla sede diplomatica,
secondo il generale Carlo Cabigiosu, consigliere militare, e l'Rpg sarebbe
stato piazzato su un mucchio di sabbia. Ma un negoziante della zona ci ha
detto di essere certo che il colpo e' partito dal tetto di una delle case di
fronte, una ipotesi piu' plausibile vista l'orizzontalita' del foro
provocato. Contemporaneamente al lancio della granata, non si sa se per
distrarre l'attenzione, raffiche di kalashnikov sono state sparate contro il
recinto, ne e' seguito uno scontro con le forze irachene di guardia. Le
strade di accesso al compound, nelle ultime settimane, erano state rese
inaccessibili dagli enormi blocchi di cemento che sono schierati a
protezione di tutti i possibili target in citta': militari, politici,
diplomatici e anche gli alberghi. Occorre rilevare che l'unica sede
diplomatica non protetta, per scelta, e' la nunziatura apostolica, ospitata
in una palazzina che si affaccia sulla trafficatissima Sadoun street.
Subito dopo lo sparo sono intervenuti i carabinieri del Tuscania a
rafforzare la protezione e ieri mattina tutta la zona era isolata. Sono
arrivati anche gli americani. E' scattata la massima allerta, ora si
aspettano indicazioni da Roma, ma la tensione e' palpabile. Si sa comunque
che la Farnesina ha pronto un piano di evacuazione per gli italiani presenti
in Iraq. Quello dell'altro ieri non e' il primo "avvertimento"
all'ambasciata, due giorni fa era stata sparata una bomba carta, caduta nel
giardino. Lunedi', numerosi colpi contro il recinto erano stati sparati da
due macchine in corsa. Venerdi' scorso invece, lo stesso giorno in cui erano
stati colpiti con missili gli hotel Sheraton e Palestine e il ministero del
petrolio, due carretti trascinati da asini carichi, ognuno, di venti missili
e relativo lanciarazzi pronto all'uso, erano stati trovati dalla polizia
irachena nella zona dell'ambasciata. Lo stesso sistema usato per colpire gli
alberghi e il ministero. E poi la granata mercoledi' e' stata sparata a due
settimane dal sanguinoso attentato alla base dei carabinieri di Nassiriya,
dove erano rimasti uccisi diciannove italiani e quattordici iracheni. E il
giorno dopo le granate lanciate dentro il compound delle forze della
coalizione dove era ospite il ministro degli esteri britannico, Jack Straw.
Anche alla sede della Cpa la tensione e' alle stelle, dopo i numerosi
attacchi subiti durante il mese di Ramadan, il primo dei quali aveva come
obiettivo l'hotel Rashid, dove era ospite il vicesegretario alla difesa
statunitense, Paul Wolfowitz. Ieri l'indicazione degli americani era di non
lasciare entrare nessuno nell'ex palazzo dei congressi.
Quella italiana non e' la prima ambasciata ad essere presa di mira, in
passato era toccato, e in un modo molto piu' pesante, con autobombe,
all'ambasciata giordana e a quella turca. Sparatorie nelle settimane scorse
si erano verificate davanti a quella giapponese, e anche vicino alla
residenza italiana qualche mese fa era stato trovato un ordigno esplosivo.
Tutti gli stranieri e gli iracheni che collaborano con le forze di
occupazione sono considerati obiettivi da colpire secondo i proclami
attribuiti a Saddam ed evidentemente c'e' chi, saddamista o meno, queste
indicazioni mette in pratica. Ed evidentemente l'Italia e' ascesa allo
stesso rango di Stati Uniti e Gran Bretagna, del resto e' l'unico paese,
oltre ai due principali fautori della guerra, ad avere una propria presenza
nella Cpa.
E la situazione e' destinata a peggiorare con i continui maltrattamenti e
soprusi praticati dalle forze della coalizione nei confronti della
popolazione e dei prigionieri. Ieri, un comunicato del comando Usa ha
informato della morte di un ex generale dell'aeronautica irachena, Abed
Hamed Mowhoush, avvenuta sotto interrogatorio. Secondo la versione del
comando Usa, che peraltro usa la forma dubitativa del "sembra", ad un certo
punto il militare avrebbe detto di sentirsi male e ha perso i sensi. Il
soldato che lo interrogava non sentendo il polso gli ha praticato una
rianimazione cardio-respiratoria, inutilmente, come inutile si e' rivelato
l'intervento dei medici. Il generale morto a al Qaim, a ridosso del confine
con la Siria, appartiene alla potente tribu' sunnita dei mahalowi,
installata nella zona centrale dell'Eufrate a nord e a ovest di Baghdad, che
non rinuncera' certo alla vendetta.

11. INCONTRI. L'8 DICEMBRE A VENEZIA CON LIDIA MENAPACE PER UN'EUROPA
NEUTRALE E ATTIVA, DISARMATA E SMILITARIZZATA, SOLIDALE E NONVIOLENTA
La prossima tappa del percorso della proposta di Lidia Menapace e della
"Convenzione permanente di donne contro le guerre" per un'Europa neutrale e
attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, dopo l'incontro
di Verona dell'8 novembre da cui e' scaturito l'appello che abbiamo
riportato nei giorni scorsi, sara' a Venezia l'8 dicembre: quando verra'
presentata pubblicamente nella solenne cornice del terzo salone
dell'editoria di pace promosso dalla Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, e diventera' "centro" (ancora un termine capitiniano) per la
riflessione e l'azione dei movimenti per la pace non solo italiani ma di
tutta Europa che all'appuntamento veneziano guardano con attenzione e che
dall'appello di Verona, dalla proposta di Lidia, sono convocati al dialogo e
all'iniziativa comune per affermare la nonviolenza come proposta
giuriscostituente e fondativa per un'Europa che voglia essere soggetto di
pace promotrice di pace con mezzi di pace.
Il convegno veneziano si svolgera' lunedi' 8 dicembre dalle ore 10 alle ore
13 nel Teatro del Patronato ai Frari, per tutte le indicazioni anche
logistiche e topografiche si puo' vedere nel sito
www.terrelibere.it/fondacodivenezia
Per ulteriori informazioni e contatti: Giovanni Benzoni (e-mail:
gbenzoni at tin.it), Lidia Menapace (e-mail: llidiamenapace at virgilio.it), Mao
Valpiana (e-mail: azionenonviolenta at sis.it).

12. INCONTRI. IL TERZO SALONE DELL'EDITORIA DI PACE
Per iniziativa della Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace si tiene
dal 2 al 14 dicembre 2003 a Venezia il terzo salone dell'editoria di pace,
appuntamento ormai tra i maggiori in Italia per tutti gli studiosi ed
operatori di pace.
Esposizioni, mostre, dibattiti, presentazioni di libri e di iniziative (tra
cui - l'8 dicembre - l'appello per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e
smilitarizzata, solidale e nonviolenta, scaturito dall'incontro di Verona
dell'8 novembre); con la partecipazione di pressoche' tutte le case editrici
italiane che alla cultura della pace dedicano attenzione, e di illustri
relatori e relatrici.
Per informazioni e contatti, e per conoscere il vasto programma di
iniziative, si puo' visitare nella rete telematica il sito ufficiale:
www.terrelibere.it/fondacodivenezia o contattare per e-mail l'infaticabile
principale animatore dell'iniziativa, Giovanni Benzoni: gbenzoni at tin.it

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it,
angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 747 del 2 dicembre 2003