[viator-buone-notizie] Giornata dell'Ebraismo e settimana per l'unita' dei Cristiani



E' questa una settimana particolarmente importante per il cammino che le
Religioni vogliono compiere insieme, nel segno della Pace. Giovedi prossimo
si terra' l'incontro di Preghiera delle Religioni ad Assisi, voluto dal
Papa. Ieri abbiamo celebrato la Giornata dell'Ebraismo e oggi inizia la
setimana di preghiera per l'Unita' dei cristiani. Viator ha dedicato a
questi appuntamenti il numero di gennaio. Vi inviamo il testo di Angelo
Regginato sul rapporto Ebraico - Cristiano

Shalom
Alberto Vitali
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Dall'anatema al dialogo: uno studioso di ebraismo ci aiuta a vincere alcuni
pregiudizi

Al cospetto d¹Israele

L'appuntamento di Assisi è un'importante occasione per
rinsaldare i legami tra cristiani ed ebrei. E per scoprirsi più vicini


Un celebre aforisma di Elias Canetti ­"parliamo tutti la stessa lingua: la
tecnica"­ esprime bene il polso della situazione culturale ai tempi della
globalizzazione. Anche i bambini, in occidente, parlano con estrema
facilità questa lingua e si muovono a loro agio tra schermi e tastiere.
Diverso il discorso, se si esce da questo territorio e si è costretti a
parlare altri linguaggi. La stessa persona che mostra competenza nella
conoscenza degli ultimi ritrovati tecnologici, esprime balbettii
disarticolati su problemi di cui ne va della stessa vita. Sappiamo clonare
un essere umano e, tuttavia, siamo fermi ai luoghi comuni su tradizioni
millenarie di altri popoli e culture.
Anche tra cristiani seri, abituati a coltivare la propria fede nell'ascolto
delle Scritture e nella riflessione ecclesiale, s'insinua il germe della
semplificazione, peraltro in tutta buona fede!
E così succede che in un contesto di guerra, in cui prevale il criterio
della forza, l'invito di un vecchio Papa, rivolto ai rappresentanti delle
diverse religioni, a ritrovarsi ad Assisi per intercedere per la pace,
venga interpretato "paternalisticamente" come azione educativa dei bravi
cristiani nei confronti degli altri credenti, soprattutto dei discoli
musulmani ed ebrei, incapaci di prendere congedo da un Dio violento,
ispiratore di guerre sante e martìri omicidi.
Il "pensiero unico" del mercato globale si traduce così anche in chiave
religiosa, mutilando i cristiani dello specifico organo della fede,
l¹orecchio, e spingendoli ad una religione che non è più esperienza di
ascolto bensì ­come dice il teologo J. B. Metz­ "ideologia rassicurante".
In realtà la Scrittura testimonia che i credenti non sono i padroni della
verita' quanto piuttosto i discepoli. E, nell'itinerario di discepolato,
l'ascolto ed il dialogo con i credenti di altre religioni e' decisivo. In
casa cattolica è stato il Concilio Vaticano II ad invitare i fedeli a
passare "dall'anatema al dialogo". Soprattutto nella stagione successiva si
e' approfondito il dialogo con l'ebraismo, dopo secoli di "insegnamento del
disprezzo". Con le sorelle ed i fratelli ebrei, i cristiani non sono
semplici parenti alla lontana. L¹ebraismo è "radice santa" del
cristianesimo (Rom 11, 16): non possiamo comprenderci senza Israele. Non e'
dunque solo questione di correttezza di rapporti: nel dialogo
cristiano-ebraico ci giochiamo la nostra stessa identita'.
Per questo ad Assisi, come ovunque, i cristiani devono mettersi in ascolto
e approfondire la propria fisionomia spirituale "al cospetto d¹Israele".
La storia ci mostra la tenace rimozione di questo rapporto da parte dei
cristiani, i quali fin da subito si sono sentiti gli eredi unici
dell'antica promessa divina. Ma si entra in possesso dell'eredità solo a
condizione che il testatario sia morto. E così, da Marcione in poi, lo si e'
ucciso disprezzandolo per la "carnalità" dell'interpretazione dei testi
biblici, accusandolo di deicidio, forzandolo alla conversione,
emarginandolo nei ghetti, uccidendolo nei pogrom, fino allo sterminio
pianificato ed eseguito dal regime nazista. Se la Shoa' ha scosso
l¹Occidente cristiano ed ha provocato un cambio di atteggiamento nelle
chiese, il lavoro per snidare i pregiudizi, per sgombrare il campo
dall'armamentario ideologico antigiudaico accumulato in quasi venti secoli
e' solo agli inizi. Compito urgente quest'ultimo, per rimettersi in ascolto
della Parola di pace tipicamente ebraica. I luoghi comuni sono meccanismi
di difesa per non dover piu' ascoltare e convertirsi. Si pensi, a livello
biblico, alla contrapposizione (falsa!) tra il Dio guerriero e ambiguo
dell'Antico Testamento ed il Dio limpidamente misericordioso del Nuovo
Testamento. I cristiani che passano troppo in fretta al Nuovo Testamento,
in nome di una sua presunta minore ambiguita' riguardo alla testimonianza
resa a Dio, dimenticano facilmente alcune sfaccettature dello Shalom
biblico: la concretizzazione tradotta nei vari precetti, compresa la
cosiddetta legge del taglione ("occhio per occhio"), sorta per arginare
una vendetta infinita; l'utopia profetica di una riconciliazione che
permetta la convivenza tra lupo e agnello; la storicità di tutte le
Scritture d'Israele: fedeltà ad una storia amata da Dio, nella quale
coniugare concretezza ed utopia.
Lo Shalom, infatti, in quanto non semplicemente assenza di guerra bensì
situazione di pienezza, compimento delle diverse aspirazioni umane, è dono
di Dio per i tempi ultimi. Questa tensione escatologica, questo guardare
alla storia dal punto di vista della redenzione, ha fatto di Israele un
popolo perennemente in esilio, incapace di accontentarsi e di godere di una
condizione stabilita. Ma, nell¹attesa dei tempi messianici, Israele, in
nome di quella fedeltà alla terra che contraddistingue la sua fede, ricerca
instancabilmente realizzazioni parziali di quel progetto di pace.
Una pace povera ma necessaria, da rischiare responsabilmente nei conflitti
che la storia continuamente propone.
La tradizione talmudica (Tora' orale), l'interpretazione esegetica (di cui
anche il midrash è parte), sono una preziosa operazione di scavo e di
approfondimento dello Shalom biblico promesso da Dio all'umanità, a fronte
delle contraddizioni della storia. Si pensi al rapporto tra giustizia e
misericordia, entrambi ingredienti fondamentali della pace biblica. Secondo
la tradizione d'Israele, Dio non siede immobile su un unico trono. Egli
passa continuamente dal trono della giustizia a quello della misericordia.
Infatti, se sedesse solo sul primo, tutti sarebbero condannati; se si
fermasse solo sul secondo, il mondo sarebbe in preda al caos.
Questa tensione tra giustizia e misericordia il Dio biblico la vive fin
dalla scena iniziale, quando reagendo al grido di Israele, schiavo in
Egitto, interviene a liberarlo con mano potente e braccio teso. Narra la
tradizione ebraica che gli angeli, vedendo Israele libero e gli egiziani
sommersi dalle acque, avrebbero voluto esultare, intonando un canto a Dio.
Ma il Signore disse loro: le opere delle mie mani annegano nel mare, e voi
vorreste cantarmi una canzone? (Sanhedrin 39b).
Da questi semplici accenni si puo' intuire la ricchezza della riflessione
d'Israele, vera e propria civilta' del commento, normalmente scavalcata
dalla conoscenza per sentito dire di molti cristiani.
Questa operazione di scavo e' tipica non solo dell'Israele antico: giunge
fino al presente, nel quale la riflessione ebraica consegna apporti
decisivi per una cultura di pace all'altezza delle sfide attuali. I
credenti, infatti, non possono limitarsi a ribadire l'annuncio biblico
della pace; sono chiamati pure a rendere ragione di una Parola che aggancia
i desideri profondi degli esseri umani ma anche li incalza, li mette in
discussione. E per rendere ragione di una parola onnicomprensiva come
"pace", non e? certo sufficiente la semplice esortazione morale, soprattutto
nel clima post-moderno di destituzione delle grandi parole d'ordine.
Importante, in questo senso, risulta allora la riflessione tipicamente
ebraica di filosofi come Martin Buber ed Emmanuel Levinas, i quali aprono i
sentieri impervi del dialogo e dell'ascolto dell'alterita' ad un pensiero
occidentale dal volto tendenzialmente totalitario. Quest'ultimo ­come ha
notato Stefano Levi della Torre­ ha elaborato un pensiero sulla pace intesa
come Shalom-completezza, che ha giustificato le varie ideologie della
completezza e del compimento, spesso portatrici di guerra. L'integrità, che
e' una delle accezioni dello Shalom biblico, si e' prolungata in integralismo!
Paradossalmente il famigerato "Dio delle schiere" ­cioè degli eserciti, ma
anche delle schiere angeliche o degli elementi del creato­ viene rivalutato
dall'interpretazione ebraica in quanto Dio del molteplice, capace di tenere
assieme le diversità ed operare, in tal modo, la pace!
Com'e' noto, l'ebraismo non si riconosce propriamente attorno ad
un'ortodossia. L'elemento unificante e' piuttosto nell'ortoprassi, cioe'
nell'esecuzione dei precetti. Per cui a livello di riflessione esistono una
pluralità di percorsi, tutti facenti parte, a pieno titolo,
dell'interpretazione infinita della Parola divina consegnata al popolo
dell'alleanza.
E tuttavia, nella molteplicita' dei sentieri battuti dal pensiero ebraico,
sia religioso che laico, il "dopo Auschwitz" gioca un ruolo di vero e
proprio spartiacque.
Dopo Auschwitz non e' piu' tollerabile parlare di pace a cuor leggero: li le
persone e le idee sono letteralmente andate in fumo. Dopo Auschwitz la pace
non percorre piu' i rettilinei creati dalla Provvidenza o ideati
dall'astuzia della ragione, bensì i ponti instabili di una storia sempre a
rischio e che tale risulta anche per i credenti. Dopo Auschwitz la storia e'
costretta a togliersi la maschera ottimistica del continuo progresso
­maschera imposta dai vincitori di turno, coloro che scrivono la storia­ e
svela il suo volto catastrofico, in attesa di redenzione. Dopo Auschwitz la
fede stessa e' chiamata a ripensarsi, in linea peraltro con la tradizionale
capacita' ebraica di rinnovamento radicale. E "in nome della pace è lecito
cambiare", come ricorda il Talmud.
Il "dopo Auschwitz" evoca anche la nascita dello stato d'Israele ed il
conflitto col popolo palestinese. In questo contesto, la cui drammaticita' e'
di nuovo dinanzi ai nostri occhi, si e' alzata la voce di molti maestri
d'Israele ad invitare alla convivenza pacifica tra i due popoli; si e' pure
tentato di attuare questo insegnamento di pace, come a Neve' Shalom. Certo,
accanto a questi eredi dei profeti, esistono anche coloni che leggono la
Bibbia per definire i confini d'Israele: e costoro non sono che una delle
molte espressioni dell'integralismo religioso e laico, descritte, per
esempio, dallo scrittore Amos Oz nel suo celebre reportage: "In terra
d'Israele".
Ma le ambiguita' di una tradizione religiosa, gli usi impropri della
rivelazione ricevuta, non dovrebbero essere usati per interrompere
l'ascolto. Al contrario, nella consapevolezza della trasversalita' del
rischio di "nominare invano" il nome divino, di strumentalizzarlo per
progetti di guerra e non di pace, ci è richiesto un supplemento di ascolto
e di preghiera: "possa Colui che stabilisce la pace nei suoi luoghi eccelsi
stabilire la pace su di noi e su tutto Israele. E dite tutti: Amen" (Qaddish).

Angelo Reginato


Angelo Reginato ha condotto studi di teologia ed e' esperto di ecumenismo.
Si interessa inoltre delle problematiche inerenti al dialogo
cristiano-ebraico.



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