Antimafia: condannati Claudio Riolo e Umberto Santino



Condannata l'informazione antimafia
Claudio Riolo (Universita' di Palermo) e Umberto Santino (Centro Peppino
Impastato) sono stati condannati a pagare centinaia di milioni; in questi
anni hanno svolto una capillare attivita' di informazione contro i poteri
mafiosi.
peacelink - peacelink - 28.12.2001 14:35:29


Il 15 gennaio avra' luogo la requisitoria del pubblico ministero contro il
boss Gaetano Badalamenti nell'ambito del processo sull'assassinio di
Peppino Impastato. Ma in tribunale ci stanno finendo anche Giovanni, il
fratello di Peppino, Claudio Riolo dell'universita' di Palermo e Umberto
Santino del Centro Impastato.

Il primo per alcune dichiarazioni rese al Maurizio Costanzo Show, gli altri
due per le ragioni spiegate da Riccardo Orioles nell'intervento che
riportiamo di seguito.

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Condannati a centinaia di milioni Claudio Riolo dell'universita' di Palermo
e Umberto Santino del Centro Impastato. Avevano scritto che Musotto
(politico di Forza Italia) faceva male, come avvocato, a difendere un
mafioso mentre come politico rappresentava i cittadini; e che alcuni
mafiosi consideravano amico Mannino (ex ministro dc). Sotto tiro, per le
medesime "colpe" Alfredo Galasso.

Personalmente, sono stato querelato parecchie volte per aver scritto cose
simili (e anche piu' dure) contro altri esponenti politici. Alla fine, sono
sempre stato assolto. Qual e' il trucco? Ecco: grosso modo, se tu sei un
pubblico ufficiale (quasi tutti i politici lo sono) e quereli uno, gli devi
dare "facolta' di prova": se hai rubato davvero, il giornalista che ti ha
denunciato di solito viene assolto. Se invece ti fai furbo e gli chiedi i
danni civili, non hai bisogno di provare niente, ma viceversa. Il processo
e' piu' lungo, ma l'esito e' matematicamente favorevole al politico.

Esempio: "L'onorevole Al Capone ha a che fare coi gangster". Querela: il
giornalista presenta tutte le cronache di Chicago, le testimonianze, ecc;
il giudice decide e probabilmente il giornalista viene assolto. Danni
civili: l'avvocato di Al Capone dichiara "Il mio cliente e' un politico
galantuomo, difatti formalmente e' stato condannato solo per una banale
evasione fiscale e tutto il resto non interessa al processo". E il
giornalista viene condannato ad alcuni miliardi di risarcimento.

Quand'e' che un politico puo' querelare e quand'e' che puo' fare causa
civile? A capriccio suo: se e' abbastanza ricco da potersi permettere i
tempi lunghi della causa civile, di solito fa causa civile e non querela.
Cosi', fra l'altro, puo' annunciare di aver "denunciato il giornalista"
senza correre il rischio di una smentita immediata.

Negli ultimi anni giornali e tv si sono concentrati moltissimo (in Sicilia,
addirittura, e' rimasto un editore solo) e quindi i giornalisti che fanno
informazione sono sempre piu' isolati. I politici sono sempre piu' ricchi e
forti e dunque un sacco di notizie non arrivano semplicemente perche' il
giornalista, anche onesto, si spaventa a metterci il becco.

Chi ci va di mezzo, alla fine, e' il lettore che di tutto cio' di quel che
succede in Italia in sostanza e' autorizzato a sapere quanto segue: "La
Roma ha battuto il Chievo 3 a 0. Fighetto Fighetti e' il nuovo Grande
Fratello. Domani forse piovera'. Punto". Puo' andarti bene cosi'? Oppure
bisogna cambiare la legge e mettere il giornalista in condizione di
aspettarsi, quando scrive il pezzo, un'onesta querela e non una gabola da
venti miliardi? Io giornalista ho il dovere di scrivere, il politico ha il
diritto di difendersi, e soprattutto tu lettore hai il diritto (e anche
l'obbligo: se no non sei una persona civile ma un talebano) di essere
informato.

Bene. Ora qui c'e' un appello per "rivendicare il diritto e il dovere di
sottoporre l'operato di chi ricopra cariche pubbliche al vaglio
dell'opinione pubblica, con la consapevolezza che ciascun politico ha una
responsabilita' aggiuntiva rispetto agli altri cittadini nella misura in
cui coinvolge la credibilita' delle istituzioni. In particolare, sul
terreno della lotta contro la mafia, la piena liberta' d'informazione e di
opinione e' indispensabile per individuare e stigmatizzare tutti quei
comportamenti che configurino responsabilita' politiche e morali,
indipendentemente dall'accertamento di eventuali responsabilita' penali che
spetta esclusivamente alla magistratura".

Lo firmano Arci, Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato",
Centro Sociale "San Francesco Saverio", Il Manifesto, Libera, Mezzocielo,
Micromega, Narcomafie, Palermo anno uno, Promemoria Palermo, Scuola
"Giovanni Falcone", Segno, Uisp. [Nota: dopo aver letto questo testo anche
l'associazione PeaceLink ha inviato la sua adesione]

Riccardo Orioles - ricc at libero.it

Per saperne di piu':
091.6259789, csdgi at tin.it (Centro Impastato),
091.333773 (Arci),
redazione at scirocco-news.org

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APPELLO PER LA LIBERTA' DI STAMPA NELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA
Tratto da: http://www.scirocco-news.org/testi/press.htm

Due recenti sentenze di primo grado del Tribunale civile di Palermo hanno
condannato Claudio Riolo, politologo presso l'Università di Palermo, e
Umberto Santino, presidente del Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", al risarcimento danni da diffamazione a mezzo stampa.
Riolo ha pubblicato sulla rivista mensile Narcomafie, nel novembre '94, un
articolo di commento critico alla decisione di Francesco Musotto,
Presidente della Provincia di Palermo e avvocato penalista, di mantenere la
difesa di un suo cliente, imputato nel processo per la strage di Capaci,
mentre l'ente locale si costituiva parte civile nello stesso processo.

L'articolo, ritenuto diffamatorio dal Musotto che ha chiesto 700 milioni di
risarcimento, è stato ripubblicato nel maggio '95 su Narcomafie e sul
quotidiano Il Manifesto a firma di 28 autorevoli esponenti del mondo
politico e culturale, che lo hanno sottoscritto "condividendone in pieno i
contenuti e ritenendolo legittima espressione dell'esercizio della libertà
di stampa, di opinione e di critica politica". Tuttavia Musotto non ha
querelato né citato in giudizio nessuno dei nuovi firmatari e, dopo quasi
sei anni di lungaggini processuali, Riolo è stato condannato a pagare
complessivamente 118 milioni.

A sua volta, l'ex ministro Calogero Mannino ha chiesto una riparazione
pecuniaria di 200 milioni a Umberto Santino, ritenendosi diffamato per la
pubblicazione di alcuni stralci di un "testo anonimo" nel libro "L'alleanza
e il compromesso" edito nel 97. Nonostante l'autore si fosse limitato ad
analizzare criticamente quel documento, prendendone le distanze con
l'affermazione esplicita che esso proviene "più o meno direttamente da
ambienti mafiosi", e nonostante quel testo, circolato nel'92 subito dopo la
strage di Capaci, fosse già stato integralmente e ripetutamente pubblicato
da altri, Santino è stato condannato a pagare circa 20 milioni.

Due miliardi è, invece, la richiesta di risarcimento rivolta dallo stesso
ex ministro ad Alfredo Galasso, docente di diritto civile presso
l'Università di Palermo, per aver riportato il medesimo testo anonimo nel
libro "La mafia politica", pubblicato nel '93. Ma il procedimento è ancora
in corso e si attende la conclusione.

Questi fatti non rappresentano dei casi isolati, ma si inquadrano in una
preoccupante tendenza generale alla limitazione del "diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro
mezzo di diffusione" garantito dall'articolo 21 della nostra Costituzione.
Negli ultimi anni, parallelamente ad un preoccupante processo di
concentrazione della proprietà dei mezzi di comunicazione di massa, gli
attacchi dei poteri forti alla libertà di informazione e di opinione si
sono moltiplicati, e ciò è tanto più grave e significativo quando esponenti
della prima o della seconda repubblica, coinvolti a torto o ragione in
procedimenti penali, cercano di far pagare il conto delle loro "sfortune" a
chi esercita per professione o per impegno antimafia il diritto di cronaca
e di critica.

In particolare stiamo assistendo ad un crescente uso indiscriminato del
ricorso ai procedimenti civili per risarcimento danni da diffamazione a
mezzo stampa. Il procedimento civile, infatti, offre una serie di vantaggi
rispetto a quello penale: il risarcimento danni può essere chiesto a
distanza di cinque anni dai fatti, mentre per sporgere querela non si
possono superare i novanta giorni; nel civile si può ottenere la condanna
del presunto diffamatore senza l'onere di dover dimostrare l'esistenza del
reato di diffamazione; è, per di più, possibile ottenere risarcimenti
sproporzionati per "danno morale" anche quando non si riesca a dimostrare
l'esistenza di un effettivo "danno patrimoniale"; la condanna, infine, è
immediatamente esecutiva, senza dover attendere l'espletazione di tutti i
gradi del giudizio. Oltre a tutto ciò il giudizio civile comporta un minor
clamore rispetto a quello penale, clamore che comunque è sempre
controproducente anche per il presunto "diffamato". Si sono, pertanto,
moltiplicate le richieste di risarcimenti miliardari nei confronti di
giornalisti, studiosi e familiari delle vittime (basti, qui, ricordare i 20
miliardi chiesti da Berlusconi a Luttazzi, Freccero e Travaglio per la
trasmissione televisiva Satyricon, o il miliardo chiesto da Mannino a
Giuseppina La Torre per alcune interviste rilasciate nel '95, o ancora il
miliardo e 150 milioni chiesti da Musotto ad Attilio Bolzoni per gli
articoli su Repubblica riguardanti le sue traversie giudiziarie del '95) il
cui effetto non è la legittima tutela dell'onorabilità della persona, ma
l'instaurazione di un clima d'intimidazione nei confronti di chiunque
intenda far conoscere, commentare o studiare il persistente fenomeno delle
contiguità tra politica, mafia e affari.

Con questo appello intendiamo rivendicare con forza il diritto e il dovere
di sottoporre l'operato di chi ricopra cariche pubbliche o ruoli
rappresentativi al vaglio critico dell'opinione pubblica, con la
consapevolezza che ciascun politico ha una responsabilità aggiuntiva
rispetto agli altri cittadini nella misura in cui coinvolge la credibilità
delle istituzioni. In particolare, sul terreno della lotta contro la mafia,
la piena libertà d'informazione e di opinione è indispensabile per
individuare e stigmatizzare tutti quei comportamenti che configurino delle
responsabilità politiche e morali, indipendentemente dall'accertamento di
eventuali responsabilità penali che spetta esclusivamente alla
magistratura. Ci proponiamo, pertanto, di avviare una campagna di
sensibilizzazione e di mobilitazione dell'opinione pubblica per la
realizzazione dei seguenti obiettivi: a) una nuova regolamentazione
legislativa in materia di "diffamazione", che ristabilisca un giusto
equilibrio tra diritto di cronaca e di critica e tutela della persona, e
che uniformi procedimento penale e procedimento civile per impedirne un uso
distorto e strumentale;

b) la costituzione di un fondo di solidarietà tramite la sottoscrizione del
presente appello (ad ogni firma corrisponderà la sottoscrizione di una
quota minima di centomila lire); il fondo sarà utilizzato, a cominciare
dalle due condanne citate, per difendere la libertà di informazione, di
opinione e di ricerca limitatamente all'ambito della lotta contro la mafia
(sarà gestito, sulla base di un regolamento, da un comitato di garanti, di
cui faranno parte, tra gli altri, Rita Borsellino, Luigi Ciotti e Valentino
Parlato).

I promotori: Arci, Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato",
Centro Sociale "San Francesco Saverio", Il Manifesto, Libera, Mezzocielo,
Micromega, Narcomafie, Palermo anno uno, Promemoria Palermo, Scuola di
formazione etico-politica "Giovanni Falcone", Segno, Uisp.

Per sottoscrivere l'appello si può utilizzare il c/c postale n.10690907
intestato a Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", via
Villa Sperlinga 15, 90144-Palermo, specificando nella causale: "Campagna
per la libertà di stampa nella lotta contro la mafia".

Per comunicazioni e informazioni: tel. 091.333773 (Miro Barbaro c/o Arci) o
091.6259789 - fax: 091.348997 - e-mail: csdgi at tin.it (c/o Centro
Impastato).