[TESTIMONIANZE] - Diario di una manifestante




GENOVA,18-20 LUGLIO 2001


CRONACA DI UNA MANIFESTANTE


Sono un'insegnante di scuola elementare di 51 anni, sposata con due figli di 27 e 28 anni. Desidero raccontare i miei tre giorni di partecipazione alle manifestazioni anti G8. Tutta la famiglia ha partecipato con entusiasmo alla manifestazione dei migranti tenutasi a Genova il giorno 18 c. m. e siamo tornati a casa soddisfatti. Già la sera precedente avevamo fatto un salto alla Foce al concerto di Manu Chao, concerto che ha aperto di fatto le manifestazioni anti G8 dei giorni successivi. La gente, soprattutto ragazzi ,era serena e contenta. Ci siamo fermati allo stand dell'ARCI dove abbiamo parlato con dei ragazzi, nostri carissimi amici e abbiamo preso un po' di materiale: un poster e volantini. Io ho perfino ballato insieme ai ragazzi: Ma torniamo al primo giorno della manifestazione dei migranti. Inizialmente eravamo tutti molto tesii e preoccupati, la gente arrivava numerosa e man mano gli animi si sono distesi, tra noii mamme con bambini, ragazzi buffi con parrucche coloratissime, gruppi con tamburi, canti , danze corde con mutande appese: il tutto molto coreografico. Man mano che si procedeva con il corteo, a parte qualche fischio, si incominciava a ridere, a ballare e a divertirci. La manifestazione era riuscita ed eravamo più del previsto. L'indomani avremmo ancora partecipato, ma, siccome i gruppi erano diversamente distribuiti neii quartieri del Centro, avremmo dovuto scegliere la zona dove recarci. Muniti di cartine, messe a disposizione dei manifestanti, abbiamo deciso di unirci al corteo della rete Lilliput e della bottega solidale. Li' avremmo trovato degli amici ed anche preti che conosciamo delle parrocchie di Genova. Arrivatii in Piazza Manin il giorno 29 alle ore 12 circa, avevamo avuto sentore di tafferugli in altre zone della città ad opera di alcune frange violente. Io e mia figlia guardavamo in giro piuttosto incuriosite, il clima non mi era sembrato particolarmente teso e ingannavamo l'attesa di partire con il l corteo sporcandoci le mani con la pittura bianca in segno di pace ed osservavamo alcunii ragazzi che disegnavano su grandi fogli bianchi creando una specie di tappeto che dalla Piazza sii srotolava verso Via Assarotti, la via che porta a Piazza Corvetto sbarrata dalle grandi reti e protetta da un cordolo di poliziotti armati di scudo, casco, pistole e bastoni. Verso l'una abbiamo cominciato a dirigerci in corteo verso le reti; tutto intorno ragazzi con striscioni, palloncini colorati ed una mutanda enorme disegnata su un lenzuolo che due ragazzi facevano passare correndo sulle nostre teste, mentre noi dovevamo abbassarci velocemente e si rideva moltissimo. Arrivati quasii alla fine della via Assarotti, la maggioranza dei manifestanti si sono seduti per terra, mentre alcune donne tenendosi per mano e cantando hanno chiesto ai poliziotti se potevano passare per toccare la rete. I poliziotti erano piuttosto tesi, ma non apparivano indisposti e ci hanno detto di passare un po' alla volta. Rassicurate dal loro atteggiamento io con alcune ragazze ci siamo avvicinate, mentre qualcuno continuava a danzare ed altre appendevano cartelloni e striscioni, come segno simbolico, per dire semplicemente che non si era d'accordo su quelle enormi grate, segno inquietante di scarsa democrazia. I poliziotti vicinissimi a noi non sembravano aggressivi, anzi sii sussurrava tra la gente che quel tale ( non voglio dare troppi particolari sulle caratteristiche fisiche per non metterlo in difficoltà con i suoi capi) è dalla nostra parte, nel senso che capiva i motivi del manifestare. L'ho guardato bene, era vero, i suoi occhi sorridevano, non aveva certamente paura di noi che eravamo li' armati solo dalla voglia di farci vedere, di farci notare. Poi mi sono diretta, sempre in compagnia di mia figlia e sue amiche, nella piazzuola attigua protetta anch'essa da reti. Noi guardavamo ad una distanza di circa 50 metri. Dopo pochi minuti un gruppo di manifestanti sii sono avvicinati alla grata ed un ragazzo con dei fiori in mano è riuscito ad arrampicarsi in cima alla rete, per poi ridiscendere subito dopo, mentre altre due ragazze tentavano di arrampicarsi con delle corde senza riuscirci ; si stava creando un po' di confusione e c'era agitazione, ma erano dimostrazioni soltanto e puramente simboliche, che non potevano produrre nessun danno, se non agli stessi autori di tanto ardire. Ed è stato in quel momento che ho sentito dire da quel famoso poliziotto che era tra noi :"Se fate un varco, passiamo e ce ne andiamo" Allora io mi sono messa a gridare le stesse parole alle persone vicine a me: lasciateli passare, se ne vanno! Cosi' in pochi secondi questi poliziotti hanno fatto la cosa più intelligente, si sono spostati verso il fondo della piazza senza alzare un dito. I manifestanti continuavano con le loro azioni simboliche, senza nessun'altra arma che dei fiori e due corde, verso la presa, metaforica s'intende, della Bastiglia, ma dopo brevi istanti i poliziotti dall'altra parte della rete hanno cominciato ad usare gli idranti e subito dopo hanno lanciati i lacrimogeni. C'è stato un fuggi, fuggi generale ed io ho cominciato a correre verso una stradina che portava verso Piazza Manin, mentre gli occhi si gonfiavano, la gola bruciava intensamente e qualcuno dalla finestra mi ha passato un pezzo di limone per lenire ill bruciore. Il cuore mi batteva forte, ma non era successo niente di grave e dentro di me ero grata a quell poliziotto che era riuscito a tenere calmi i suoi .Tutto sembrava più che tranquillo in piazza Manin, addirittura accanto al panificio che era aperto (l'unico nell'area di chilometri) era stato preparato un piccolo palco con sopra strumenti musicali ed alcuni ragazzi si sono messi a suonare e cantare. All centro della piazza vi erano alcuni banchetti, fra questi quello della bottega solidale. Li' ho incontrato un carissimo amico che però mi ha detto di stare attenta perché sarebbero arrivati gli anarchici. Ho girovagato per la piazza ma non ho notato segni di inquietudine, allora mi sono diretta verso il panificio aperto per acquistare qualcosa da mangiare, ho scherzato tranquillamente con una signora di Como e si è parlato della manifestazione del giorno precedente. Mentre era ormai arrivato il mio turno, nel negozio entra trafelata mia figlia e mi chiede di sbrigarmi. Io non do'' troppo peso alla sua tensione e finisco di comprare con la massima tranquillità. Appena uscita dall negozio, squilla il cellulare, è mia figlia che urla di portarmi dall'altra parte della piazza perché sono arrivati " i neri" e sono tra noi ,proprio dove ero io. Guardo bene e noto dei ragazzi vestiti dii nero, riconoscibili al solo sguardo, armati di spranghe e con i fazzoletti sul viso per non farsii riconoscere, c'è molta agitazione, io non trovo mia figlia e comincio a cercarla tra la folla mentre altri ragazzi cercano di mandare via questi "neri". Trovo mia figlia agitatissima che mi fa segno di salire velocemente sulla sella della vespa e di corsa ci spostiamo dall'altro lato della piazza. Quii incontriamo due amici di famiglia, marito e moglie di circa quarant'anni di eta', a vederli mi sii allarga il cuore, si fanno due battute per sdrammatizzare, però si decide frettolosamente: mia figlia e le sue amiche portano in salvo le vespe proseguendo verso Corso Firenze, così ci separiamo. Nel frattempo arriva la Polizia, non vedo più i Blak Blok e la gente comincia a correre. I poliziottiii lanciano i lacrimogeni e noi tre insieme ad altri che si sono uniti al piccolo gruppo cominciamo a salire lungo una scalinata. Il mio amico dice di stare calmi, di non correre, intanto mi ricomincia a bruciare la gola e gli occhi. Mentre saliamo una gentile signora mi dice che è un medico , di non fregarmi gli occhi e amichevolmente mi porge un po' d'acqua per lenire nuovamente il bruciore. E' la seconda volta, nel giro di un'ora o poco più, che mi becco i lacrimogeni, intanto cii arrampichiamo verso il Righi, la zona alta di Genova, arrancando preoccupati. Una rabbia mii attanaglia la gola e mi metto a urlare: Cosa credono di fare? Stanno rovinando tutta la nostra manifestazione, sono dei maledetti, ma chi ce li manda? Forse la stessa Polizia? Mentre urlo disperata, la mia amica mi prende per un braccio e mi dice: Zitta, zitta, sono qui! Guardo bene e davanti a me, vicinissimi, due, tre ragazzi vestiti di nero, uno alle mie parole si ferma, mi rivolge uno sguardo durissimo e per un momento temo mi voglia picchiare, allora deglutisco e giro la testa altrove. Il ragazzo se ne va, continuiamo a camminare e notiamo altri quattro ragazzi vestiti dii nero, tra cui una ragazza, che , sicuri, si arrampicano sulle aiuole in salita tagliando e abbreviando il percorso, mentre noi ed altri gruppi che incontriamo ci guardiamo disorientati e proseguiamo lungo la strada asfaltata. Cominciano le telefonate con i cellulari. I miei amici sono in contatto telefonico anche con persone che stanno seguendo in diretta tv la manifestazione; il loro figlio è in un altro corteo e cercano dii sapere cosa sta succedendo. Ci informano di non scendere, per il momento, verso piazza Manin perché i disordini continuano. Sono molto preoccupata: mia figlia è giù vicino alla piazza, mio marito deve raggiungermi, ma è in ritardo. Finalmente squilla il cellulare, mia figlia mi rassicura che non le è successo niente e mi invita a scendere piano piano. Gruppetti di gente disorientata vaga qui e là senza sapere cosa fare esattamente e qualche straniero chiede come poter raggiungere il centro. Non sono in grado di spiegare bene, ma ci pensano altre persone, in ogni caso l'unica via di fuga è verso l'alto . Si ritorna verso piazza Manin, mi affretto perché voglio vedere se trovo i i miei familiari ; finalmente arrivo in piazza mentre mia cognata mi telefona allarmata e mii raccomanda di non proseguire verso l'ospedale evangelico perché i black block hanno spaccato tutto. Trovo mia figlia e mio marito che è attonito e quasi in lacrime per quello che ha visto: vetrine in frantumi, macchine bruciate,. Nel gruppo di persone che vagano noto una signora sulla sessantina con la testa completamente fasciata, mi avvicino e le chiedo cosa le è successo. Mi racconta che ,mentre io ed altri correvamo verso il Righi, lei ed altre donne si sono tenute per mano cercando di fermare quei ragazzi "neri" i quali sono scappati (allora capisco che molto probabilmente sono quelli che ho visto e che correvano verso l'alto insieme a noi e che ad un certo punto si sono dileguati). A quel punto è arrivata la polizia che invece di correre dietro a questi gruppetti di devastatori ha caricato loro, donne totalmente indifese che sono state prese a manganellate dai poliziotti. Risultato: una testa rotta e diversi contusi. Ho visto un ragazzo straniero con un'ematoma sanguinante sulla spalla destra grosso come un'arancia che scrollava la testa , mentre una ragazza cercava di soccorrerlo. Non potevo credere ai miei occhi, ma come! La polizia non è in grado di fermare piccole bande di ragazzi, tutti giovanissimi e riconoscibili anche a distanza, mentre carica addirittura noi pacifisti, donne anche anziane e giovani del tutto inermi. Davanti a tanta violenza mi sale la rabbia. No, non ci credo! Prima ho visto quei poliziotti che mi sembravano bravi ragazzi; possibile che non abbiano capito che non siamo noi i i devastatori?
Le lacrime mi scendono giù per le gote, nonostante cerchi di controllarmi.
Sembra ritornare una relativa calma che dura poco perché pochi minuti dopo riappaiono nuovamente alcuni teppisti, ma questa volta molte persone, tra cui molti uomini, li affrontano senza paura e gridando li allontanano. Cosa si può fare di più? Le notizie che ci giungono sono sempre più preoccupanti: la città è messa a ferro e fuoco da queste bande che scorrazzano indisturbate spostandosi velocissime da un posto all'altro. In piazza sono rimaste poche persone, ci sediamo qualche minuto su un muretto per cercare di capire cosa fare. Intanto veniamo a sapere che il Sindaco Pericu ed Agnoletto ci vogliono tutti in Piazza Kennedy. La voce si sparge e vediamo un gruppo di circa 50, 60 persone che innalzano una croce colorata e si dirigono verso la Foce .Anche noii decidiamo di recarci in assemblea nel piazzale KennedY, mentre mia figlia rimane con le sue amiche in piazza Manin. Lo scenario che vediamo subito dopo è impressionante: cassonetti della spazzatura rovesciati che ostruiscono il passaggio, auto bruciate, negozi sconquassati, vetrii ovunque. Ora abbiamo veramente paura! Polizia non se ne vede, ci dirigiamo verso Brignole, ma il tunnel che dovrebbe portarci li' è bloccato dai poliziotti che ci fanno nervosamente segno di tornare indietro senza alcuna spiegazione; cambiamo strada e proseguiamo e ci troviamo in mezzo ai black block ancora una volta mentre scagliano pietre e si spostano veloci girando indisturbati. Un'altra volta un odore terribile di lacrimogeni. Ma come? La polizia ci ha mandato in mezzo a loro invece di proteggerci? Come è possibile? Da una parte la polizia ci respinge, dall'altra i black block distruggono. Incontriamo i nostri amici che erano partiti prima di noi, loro sono a piedi e ci incoraggiano ad andarcene. Vorrei portarli con me, ma non posso. Si ritorna indietro, è impossibile raggiungere la zona della foce. Proseguiamo verso corso Firenze, raggiungiamo l'abitazione di altri amici con ii quali siamo rimasti in contatto telefonico e finalmente siamo al sicuro. Sono sfinita, delusa, affranta, addolorata e arrabbiata contro la polizia che invece di difenderci ci ha messo in pasto all lupo e per giunta carica la gente comune che manifesta pacificamente. Mi rifiuto di pensare che ii poliziotti siano cosi' imbecilli. Due le riflessioni: o la polizia è stata completamente incapace a gestire la situazione, o questi gruppi vengono bene, nel senso che sono utilizzati per non rendere
credibili agli occhi dell'opinione pubblica le ragioni del nostro manifestare.
Nel frattempo abbiamo saputo che un ragazzo è morto, forse è uno spagnolo.
Via via che il tempo passa veniamo anche a sapere che i nostri familiari sono al sicuro e che a noii personalmente non è successo niente di grave, ma quello che ho visto è veramente sconcertante. Siamo in guerra!! Nonostante tutto decidiamo insieme a tutti i nostri amici, per lo più coetanei, di partecipare alla manifestazione del giorno seguente per dare un segnale, per dire a questa gente che non ci fanno paura e che abbiamo il diritto di manifestare il nostro dissenso. L'indomani si riparte: questa volta ci dirigiamo in gruppo, sette persone su quattro vespe, una in fila all'altra e arriviamo presso Marassi per posteggiare i mezzi. Ci incamminiamo a piedi verso Corso Torino, con noi si aggiunge una giornalista del Corriere Mercantile alla quale racconto cosa è successo il giorno prima. Lei prende nota e poi ci salutiamo. Arriviamo davanti a piazzale Kennedy. Tutto sembra di nuovo tranquillo. Io ed una mia amica decidiamo di utilizzare i WC che sono in fondo al piazzale. Al nostro ritorno lo scenario è cambiato, ci sono gruppi di persone che stanno aspettando il corteo proveniente da Sturla ed in mezzo ragazzi strani con il foulard sul viso per non farsi riconoscere. Vedo mia figlia che sta parlando con uno di loro, è un tedesco ma lei sa abbastanza bene parlare inglese e cerca di farlo ragionare dicendo che non si può essere violenti. I toni sono accesi, le sto vicino, io e mio marito ed ad un certo punto il ragazzo la sposta con un braccio e raccoglie la pietra che mia figlia gli aveva impedito poco prima di prendere mettendo ill suo piede sopra. Finito il diverbio ci allontaniamo e la tensione sale; arriva il corteo, vediamo Bertinotti ed il gruppo di Rifondazione, decidiamo di seguire loro mentre tutto intorno gli uomini più robusti cercavano dii non far entrare i casseurs. Camminiamo prima in silenzio, poi battiamo le mani scandendo un ritmo preciso, sappiamo di essere in tanti, si parla di 200 mila persone, forse anche di più. Ad un certo punto una ragazza col megafono ci invita a sederci tutti per terra, ci sono scontri in testa ed in coda al corteo. Vedo ragazzi e uomini adulti che cercano di sbarrare l'accesso dei black block dalle stradine laterali, poi la gente comincia a spostarsi bruscamente, ci si alza, sembra che sia successo qualcosa, alcuni "neri" sono ai lati e tentano di dividerci. Qualcuno comincia a guardare se c'è una via di fuga e a correre, io che sono seduta in mezzo ad una aiuola salto sul lato della strada, ma un amico mi dice di stare calma, è tutto sotto controllo. Abbiamo ill cuore in gola e piano piano il corteo si muove di nuovo e riusciamo ad arrivare in Piazza Galileo Ferraris, dove la manifestazione si chiude. E' un fiume di gente, ma le notizie sono sempre più allarmanti: scontri, devastazioni, gente picchiata dalla polizia. Il corteo è stato diviso in più parti. Decidiamo di tornare indietro lentamente seguendo la folla; ad un certo punto siamo in una stradina laterale e vediamo alcuni black block girare indisturbati. Più avanti la polizia, sembra che ne abbia preso uno, lo tengono per mano ma non è assolutamente ferito. Il suo sguardo mii comunica sorpresa, non paura. E' un ragazzino di 15-16 anni, lo guardo bene e potrei riconoscerlo senza esitazione. Sul ponte pattuglie di poliziotti stanno cercando di reagire, ma non capisco perché non stanno seguendo i ragazzi devastatori che sono a pochi metri da noi. Saliamo sulle vespe precipitosamente, incuranti del casco, l'unico desiderio è scappare. C'è una grande confusione; ci sono i soliti segni del passaggio dei devastatori ed altri sembra che stiano arrivando. Scappiamo verso Piazza Manin e ad un certo punto ci troviamo di fronte a 6-7 black block che cii guardano, qualcuno ridendo ma ci lasciano passare. Slalon tra loro con le vespe ed il cuore batte a mille. Finalmente siamo di nuovo a Principe e ci rifugiamo in casa dei nostri amici. Sono letteralmente sgomenta, provata e piango per molto tempo scaricandomi così della tensione accumulata. A tarda sera ritorniamo a casa angosciati ma sicuri che tutto ormai è passato. Sono circa le due di notte, mio marito accende la tivù e atterrita vengo a sapere del blitz nella scuola Diaz. Quello che si sente dal cellulare di un cronista sono le grida disperate dei ragazzi aggrediti dalla polizia ed il rumore di un elicottero e sirene di ambulanze. La tivù ci informa che è stato vietato l'accesso a tutti: parlametari, giornalisti, medici, avvocati. Allora capiamo: lì c'era tutto ill materiale informativo: fotografie e riprese su quanto è successo. La polizia ha prelevato tutta la documentazione e poco dopo sentiamo la voce di un responsabile della Questura che cerca dii tranquilizzare dicendo che ci sono solo una decina di feriti, ma che molti erano già feriti neglii scontri in piazza. Bugia tremenda: i feriti sono decine e decine, così come gli arrestati. Al mattino presto vengo a sapere che un nostro amico dell'ARCI ha ricevuto verso l'una e mezza una telefonata dove una ragazza chiedeva aiuto e gridava: " Ci stanno massacrando!!". Sono corsi in tanti ed il resto lo sapete… Cosa dire? Angoscia, paura, terrore, sgomento sono i sentimenti che mi attanagliano. Ora desidero solo una cosa! Dire a tutti la verità e cosa è successo veramente. Spero che la mia testimonianza possa servire a qualcosa o a qualcuno e comunque sono pronta a ripetere a voce ciò che ho scritto cercando di essere obbiettiva ed onesta. La sensazione comunque è quella di essere stata vittima di una tremenda repressione: quella più dura mai subita negli ultimi trenta anni e la volontà da parte del governo di tapparci la bocca. Finisco con domande che possono servire da riflessione a tutti quelli che non credono a ciò che è successo veramente. Perché una donna come me, più che matura, dovrebbe mettere in pericolo la propria incolumità fisica e ad acconsentire che anche i suoi familiari rischino di prendere delle botte dalla polizia o dai casseur? Non sarà che con grande determinazione e passione si voglia lottare per una società più giusta, più equilibrata? Non è che ora, dopo questi fatti, si debba lottare anche per salvaguardare la libertà di espressione e di pensiero?.

T.V.




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