L’isola dei famosi cancella gli indigeni



Carta Quotidiano 4 ottobre 2007 ore 18.00

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L’isola dei famosi

cancella gli indigeni

Enzo Mangini

Dietro le avventure dei naufraghi finti, il reality show nasconde la
realtà: a pochi chilometri da Cayo Cochino, dove sono esiliati i «famosi»
dello show di Magnolia-RaiDue, vive la maggior parte del popolo indigeno
garifuna. Trecentocinquantamila persone, in 46 comunità sparse lungo la
costa atlantica dell’Honduras.

«Non sono più 46 ma 45 – dice Alfredo Lopez, un rappresentante
dell’Organizacion fraternal de los pueblos negros de Honduras [Ofraneh] –
pochi giorni fa la comunità di Miami è praticamente scomparsa». I 150
abitanti del villaggio sono stati accolti nelle comunità vicine, attorno a
Cayo Cochino e alla Baia de Tela. Miami è, anzi era, una delle comunità al
centro del progetto di «sviluppo» turistico di Baia de Tela, promosso dalla
multinazionale edilizia italiana Astaldi. La baia è a pochi chilometri
dalla fascia costiera ricca di mangrovie e paesaggi affascinanti dove si
sono accampate le troupe dell’Isola dei famosi. Uno spot lungo mesi per
lanciare il «turismo» italiano in Honduras e quindi creare la domanda che
Astaldi, con il suo progetto di resort ad alto impatto ambientale, è pronta
a soddisfare. Non solo. Già la realizzazione del reality show pesa sulle
comunità garifuna: «Le zone dove vivono le troupe e dove si gira lo show
sono presidiate dalla polizia e dall’esercito dell’Honduras – racconta
Lopez – Non siamo liberi di spostarci sulla nostra terra, perché ci sono
zone dove è stato proibito l’ingresso. Inoltre, i movimenti delle barche e
le attrezzature televisive spaventano la fauna delle lagune, come le
tartarughe marine. E poi – continua – è terribile vedere un tale spreco di
denaro in una regione depressa come la nostra».

Lopez ha tenuto oggi una conferenza stampa al senato, assieme a Luca
Martinelli, di Mani Tese, che assieme ad altre associazioni promuove la
campagna «L’isola e il mattone» [www.lisolaeilmattone.blogspot.com]. I
lavori nella Baia de Tela procedono un po’ più lentamente di quanto
l’impresa e il governo vorrebbero. Le proteste dei garifuna e l’attenzione
che la vicenda sta ottenendo dalla stampa, anche internazionale, hanno
rallentato le ruspe. E intanto, la storia del resort «Los micos» sta per
diventare un documentario. Le organizzazioni che sostengono la campagna
hanno girato un video, «I pirati della baia». Se ne può prenotare una copia
su www.produzionidalbasso.com.

Il progetto di resort «Los micos» prevede quattro hotel di lusso, 256
ville, un campo da golf, un centro ippico e un centro commerciale per una
superficie totale di 300 ettari. Per costruire il campo da golf verrà
interrata  una laguna protetta dalla Convenzione internazionale per la
protezione delle paludi. Secondo Astaldi è un progetto che porterà lavoro e
sviluppo nella zona. «Conosciamo Astaldi da molto tempo – risponde Lopez –
e non ci fidiamo di quello che dicono. In altri casi, hanno portato la
manodopera da fuori. Alle comunità indigene del posto non rimarrà nulla.
Verranno cancellate, come Miami».

I garifuna accusano il governo dell’Honduras di aver chiuso un accordo con
la Astaldi senza nemmeno consultare le comunità che vivono nella zona del
progetto e che, secondo Lopez, lo avrebbero bocciato. «La tattica del
governo è semplice – spiega – prima la terra comune di ogni villaggio viene
divisa e privatizzata.

Una volta smembrata la comunità, non rimane altro che convincere a vendere
la terra. Così non rimane nulla. Non ci meraviglia che Astaldi abbia
concluso un accordo con il governo. Ma vorremmo far notare una cosa:
l’Honduras, oltre a essere uno dei paesi più poveri di tutto l’emisfero
occidentale, è anche il più corrotto del Centroamerica. Come possiamo
fidarci del governo e di chi fa affari con loro?»

«Questo progetto è un’imposizione dello stato honduregno – dice Lopez – nel
quale noi non siamo coinvolti e che noi non abbiamo chiesto. Vorremmo
piuttosto che i fondi internazionali che arrivano in Honduras dal 1998,
quando l’uragano Mitch ha distrutto il paese, fossero spesi meglio e per
progetti che rispondono ai bisogni delle comunità e non ai piani
affaristici dell’elite».






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