La squatter Bachelet in un Cile che non esiste



*La squatter Bachelet in un Cile che non esiste*
di Gennaro Carotenuto

/questo articolo può essere letto anche al link:
http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=366/

Nessuna sorpresa nel primo turno delle presidenziali cilene. Michelle
Bachelet, (nella foto, da pronunciare per favore Micelle Bacelet e non
alla francese) candidata della Concertazione che governerà il Cile da
qui all'eternità, ha stravinto.

Ha stravinto anche se andrà al ballottaggio tra quattro settimane contro
il berluschino Sebastián Piñera, padrone di mezzo paese. Questo ha
eliminato per un pugno di voti il figlioccio di Augusto Pinochet Joaquín
Lavín. Bachelet ha avuto il 46% dei voti, Piñera il 25%, Lavín il 23%.

Meno buono delle attese il risultato dell'unico candidato della
sinistra, l'umanista Tomás Hirsch (nella foto), che supera a stento il
5%. Ristretto dal voto utile per la Bachelet e da una costituzione
illiberale che gli impedirà anche di essere deputato (il sistema
elettorale pinochettista mai modificato dalla Concertazione proibisce di
fatto l'ingresso della sinistra in parlamento), Tomás Hirsch non ha
sfondato. Mai come oggi, alla sinistra cilena, manca la figura alta di
un'altra donna, Gladys Marín, scomparsa lo scorso anno dopo una vita di
lotta. Va tuttavia ricordato che comunque Tomás ottiene quasi il doppio
dei voti ottenuti da Gladys che nel '99 si fermò al 3,2%. E' un buon
segno. Boicottata dai media, che continuano a magnificare il modello, e
con classi popolare scoraggiate e perfino ancora impaurite, la battaglia
contro il neoliberismo si fa strada, anche se lentamente, anche nel
paese australe.

Vinca chi vinca in gennaio, comunque in Cile non cambierà nulla. Nel
1989 il dittatore Augusto Pinochet consegnò il potere alla Concertazione
(la coalizione tra i socialisti più riformati del mondo e la Democrazia
Cristiana più moderata del pianeta) a patto che lui non fosse toccato e
il modello di società verticale, neocoloniale ed ultraliberale si
perpetuasse.

Per chi, come chi scrive, viveva a Santiago quando Pinochet fu arrestato
a Londra per i suoi crimini, è ancora palpabile la sensazione di
fastidio e preoccupazione con la quale quel governo di centrosinistra
(nel parlamento del quale sedevano torturati, prigionieri politici,
esiliati) accolsero quell'arresto. Il paziente inglese andava riportato
a casa con meno rumore possibile. Quella della giustizia era
un'ingerenza non gradita per i politici di centrosinistra che
consideravano intoccabile il vecchio macellaio. Ma la giustizia, anche
la cilena, andò comunque avanti. Oggi Pinochet sembra fuori moda in Cile
anche se comunque riuscirà immeritatamente a morire nel suo letto.

Ma se Pinochet è passato di moda, quello che non passa di moda è il
testamento economico di Pinochet e dei suoi Chicago Boys (gli economisti
ultraliberali che cancellarono meticolosamente ogni traccia di giustizia
sociale nel paese). E Michelle Bachelet, dopo Patricio Aylwin
(1990-1994), Ricardo Frei (1994-2000) e Don Ricardo Lagos, sarà la
fedele esecutrice di quel mandato e in economia non cambierà nulla. Non
ci sarà nessuna redistribuzione (socialdemocratica) in uno dei paesi
dove le entrate sono più ingiustamente distribuite al mondo e dove il
10% della popolazione, dai villoni belli o volgari di Las Condes e
Vitacura si spartisce la metà della ricchezza del paese. Non ci sarà
neanche attenzione a quello che si muove nel resto del continente,
soprattutto nel Mercosur dove entra il Venezuela ma non il Cile ed in
questo c'è il tradimento chiaro dell'interesse nazionale del paese.

Oggi in Cile molta gente sta molto bene. E' facilissimo star bene e
guadagnare molti soldi se si hanno i natali giusti in Cile. Ma se non si
hanno i natali giusti non c'è speranza. Non ci sono più scuole pubbliche
decenti in Cile. Non c'è più salute non privata, né pensioni dignitose
per chi non ha potuto affidarsi alla previdenza privata. Non c'è
possibilità di ascensione verticale di nessun tipo nel paese.
L'Università è un investimento impossibile per la maggioranza dei
giovani cileni. In Cile o guadagni più di 2000 dollari al mese o
difficilmente riuscirai ad arrivare a 500. In mezzo c'è il vuoto.

Michelle Bachelet è una brillante e brava politica che si considera
progressista ma che -al di là delle drammatiche esperienze personali in
dittatura- vive ed ha vissuto all'interno della classe dirigente più
chiusa del pianeta. Signore borghesi, anche squallidamente piccolo
borghesi, in Cile hanno alle loro dipendenze schiere di domestiche a
tempo pieno alle quali danno uno stipendio equivalente a quanto spendono
in sigarette.

Più cresce l'economia cilena, più cresce la disuguaglianza. E più cresce
la disuguaglianza più si racconta la favola che la crescita
dell'economia favorirebbe la generalizzazione del benessere. Quindici
anni di centrosinistra in Cile testimoniano che è vero il contrario. Se
ci sono opportunità di arricchimento rapido è perché ci sono possibilità
di sfruttamento generalizzato.

Oggi il Cile, al contrario di quello che si sostiene in ambienti
neoliberali, ha un'economia sempre meno evoluta. Esporta rame grezzo
invece che lavorato. Esporta più uva e meno vino. Per ogni punto
percentuale di export verso gli Stati Uniti diminuisce in maniera
equivalente il proprio export verso la regione. Il paese australe è
sempre meno parte del sistema economico latinoamericano e sempre più un
fornitore degli Stati Uniti dai quali dipende economicamente e
politicamente e del quale ne riproduce pedissequamente il modello sociale.

Michelle Bachelet non vuole e non può modificare minimamente il modello
neoliberale.

Il ballottaggio del prossimo 15 gennaio non riserverà sorprese e
Bachelet vincerà. Sarà da celebrare il fatto che una donna abbia evitato
tutti gli sgambetti a lei sottesi in un paese dove la classe dirigente,
anche quella della Concertazione, continua ad essere innanzitutto
reazionaria. Vincerà, ma poi non succederà più nulla di nuovo.

Dei sei anni di Don Ricardo Lagos, anch'egli celebrato con commozione
dall'Internazionale Socialista, si ricordano solo due cose. Una di
sinistra ed una di destra. Quella di sinistra è l'introduzione del
divorzio (sic!) in un paese dove quest'istituto era largamente
amministrato per i ricchi dalla Sacra Rota (le sole pie figlie di
Pinochet sommano insieme sei annullamenti).

Quella di destra è stato il Trattato di Libero Commercio con gli Stati
Uniti al quale Lagos ha lavorato per tutta la legislatura per poi essere
umiliato da George Bush. Don Ricardo voleva una "photo opportunity" alla
Casa Bianca. Fu uno schiaffo: l'impero scelse di far firmare il trattato
non alla Casa Bianca ma a Miami, nell'ala della servitù. Bush non si
scomodò neanche e mandò a firmare solo il sottosegretario al commercio
Zoellick. Lagos incassò con eleganza e dovette rinunciare e mandare in
sua vece la signora Alvear, ministro degli Esteri. Ma poi rimase
intrappolato nella logica di un TLC che oggi impedisce al Cile di far
prosperare la propria economia nella regione e istituzionalizza il suo
destino di fornitore di prodotti a basso valore aggiunto dell'impero a
cominciare dal rame che ogni volta esce dal paese sempre più grezzo,
frustrando così due secoli di tradizione dell'eccellente ingegneria
mineraria cilena.

Bachelet governerà l'esistente da qui fino al 2012. Ha un'immagine
straordinariamente al passo con i tempi e da qui -lo scriviamo da un
anno- nasce una sorta di Bachelet-mania che contagerà tutti i
centrosinistra europei. Ma Michelle, bella, brava, con una storia di
sinistra, è in realtà una squatter, un'abusiva del termine sinistra
perché in Cile mai come adesso c'è bisogno di un cambio a sinistra ma
-essendo la sinistra la Concertazione- il cambio è impossibile.

Bachelet dunque governerà l'esistente in un paese dove l'esercito ha
ancora troppo potere e con il PIL destinato alla difesa doppio o triplo
dei più alti della regione. In molti temiamo che quell'esercito
ipertrofico e modernissimo, la prossima volta non sarà utilizzato contro
il popolo cileno, come successe l'11 settembre del 1973, ma contro una
regione sempre più in ebollizione e che sta scegliendo un cammino di
sviluppo opposto a quello cileno.

Se il 18 dicembre l'indigeno Evo Morales sarà presidente in Bolivia, il
vecchio palazzo della Moneda sarà presto testimone di un piccolo
scandalo. La nostra bella signora borghese, sarà costretta a ricevere un
uomo dalle fattezze umili, in tutto simili al marito di una delle sue
domestiche di quelli che ogni tanto, in cambio di una mancia, va a casa
della signora a fare qualche lavoretto di fatica per poi tornare a Renga
o in un altro quartiere popolare di Santiago a bordo di un autobus
giallo tossicoso. Sarà un avvenimento, ma chi può cambiare il mondo è
l'uomo povero boliviano, non la ricca signora cilena.

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