Ecco i risultati della ricetta Lula per il Brasile





PERUGIA Un altro mondo è possibile, ma molto difficile da realizzare. Ne sa qualcosa Luiz Dulci, ministro alla Presidenza del Brasile, vero braccio destro del presidente operaio Inacio Lula da Silva, in carica da poco più di sei mesi, arrivato a Perugia per partecipare al seminario dell’osservatorio euro-latinoamericano sullo sviluppo democratico e sociale della globalizzazione. Conosce perfettamente l’italiano, Dulci, uno dei più giovani fondatori, vent'anni fa, del Partito dei Lavoratori, conoscenza dovuta in parte alle sue origini venete. Lula lo ha inviato in «avanscoperta», in preparazione del viaggio che lo stesso presidente farà in ottobre a Roma. Ieri ha discusso del «modello Brasile» con il «salutare empirismo che il Partido dos Trabalhadores sta adottando nel guidare il paese».
All’incontro c’erano Fassino (Ds) e Russo Spena (Prc), Agnoletto e Lotti (Tavola della pace) e rappresentanti della società civile, Bobba (Acli) e Realacci (Legambiente).
 
«È vero, un altro Brasile non è facile, anche per chi da Porto Alegre è arrivato fino a Brasilia. Abbiamo ereditato un paese sull’orlo dell’abisso economico, con una inflazione al 40% e una svalutazione imponente. Un crollo si delineava imminente, proprio come quello che si è verificato in Argentina».
Quali sono stati i vostri primi passi?

«La prima tappa del nostro governo era innanzitutto quella di ridare stabilità al sistema. Non c’era fiducia nel paese né all’estero né all’interno. Oggi, sei mesi dopo, l’inflazione è al 7,5% all’anno e gli indicatori economici stanno tornando positivi. Si può già tentare di adottare una politica di crescita».

Questo ha rallentato la realizzazione del vostro ambizioso progetto di rinnovamento sociale, attirando le prime critiche dei settori che vi avevano appoggiato?

«Ovviamente, i danni che sono stati prodotti in dieci anni non potranno essere sanati né in dieci giorni, né in dieci mesi. Ci sono i primi risultati economici, ma si vedono anche i primi segnali politici. È tornata una certa governabilità e si sente una forte partecipazione sociale».

Una partecipazione che ha portato anche al primo sciopero contro il vostro governo?

«C’è stata la protesta di alcuni settori dell’amministrazione pubblica. Ma almeno la metà dei ministri ha un passato da sindacalista. Uno sciopero non è un problema, anzi fa parte della vita democratica. Quella che è cambiata è l’attitudine verso i movimenti sociali, ora improntata al rispetto e alla negoziazione. Il giorno dello sciopero i rappresentanti dei lavoratori sono stati ricevuti dal presidente Lula. Qualche anno fa, i sindaci di molte città del Brasile sono andati nella capitale per incontrare il governo, ma ad attenderli hanno trovato la polizia con i cani».

Lula però, qualche giorno fa, ha minacciato sanzioni per il movimento dei Sem Terra (i contadini senza terra) in caso di altre occupazioni di proprietà.

«Intanto li ha accolti a Brasilia, suscitando lo sdegno della destra che li ha sempre criminalizzati come terroristi. È chiaro che loro si aspettano prima possibile la riforma agraria, e noi la faremo più velocemente possibile, ma sanno anche che quello che abbiamo fatto sinora è molto di più di quello che c’era».

E in politica estera?

«La nostra politica estera ha una dimensione nuova. Siamo nati dai movimenti, siamo quelli di Porto Alegre, quindi dialogo nel rispetto dell’indipendenza. Ci sono nel governo due ministeri, uno che ha i rapporti con le istituzioni e i partiti, e un altro per mantenere un rapporto stabile con i movimenti. Il governo non riceve soltanto ma cerca anche spesso l’apporto e le idee discutendo non solo le rivendicazioni della società civile, ma anche proposte e la creatività politica. Vorremmo mantenere questo approccio anche all’estero. Qui ho incontrato le tre confederazioni sindacali e il Forum del terzo settore: non è per fare propaganda, ma è un lavoro di scambio per ricevere suggerimenti e analisi. Sicuramente ci saranno nostri rappresentanti al Forum europeo di Parigi e a quello mondiale che per la prima volta lascerà il Brasile per tenersi a Bombay».

E il rapporto con gli Usa?

«Anche lì, le molte attese hanno contribuito a far interpretare male alcune nostre scelte. Negli incontri con Bush, ad esempio, Lula ha mantenuto la posizione di sempre. Non siamo contrari per principio ad una integrazione tra le tre Americhe, ma solo se si realizza in condizioni di parità. E con gli Stati Uniti adesso non è così. I 10 principali prodotti che importiamo da loro hanno una tassazione del 12,5%, i 10 principali prodotti che gli Usa importano da noi ne hannouna del 42,5%. Poi vogliono lasciare fuori dal negoziato 300 prodotti considerati “sensibili”, ma sono esattamente quei beni su cui noi riusciamo ad essere competitivi».