Plaza de Mayo, 25 anni dopo




Il racconto dell'italiana Angela Boitano, una delle madri dei desaparecidos
argentini

(News ITALIA PRESS) Buenos Aires - Il 30 aprile 1977, alcune centinaia di
madri di studenti argentini scomparsi nel nulla, si riunirono sulla piazza
antistante la Casa Rosada per denunciare, insieme, la sparizione dei loro
congiunti. Venticinque anni dopo quel giorno, Angela Boitano, 70 anni, nata
in Argentina da genitori veneti, ricorda le speranze, le ansie e il dolore
patito in quel periodo insieme ad altre madri. Rimasta precocemente vedova,
Boitano ha visto scomparire i suoi due figli a pochi mesi l'uno dall'altra:
prima Michelangelo, 20 anni, studente alla facoltà di architettura,
sequestrato nel '76 pochi giorni dopo il golpe militare, poi la figlia
Adriana Silvia, laureata in lettere e sequestrata il 24 aprile 1977. Nei
primi mesi dalla scomparsa, la donna dice di non essersi "mossa subito
perché i miei parenti militari mi consigliavano di tacere e di non procedere
per vie ufficiali. Alla fine le denunce le ho fatte sia alla chiesa
cattolica (a personaggi di un certo livello) che alla polizia, fino a quando
un'altra madre mi ha telefonato per incontrarmi in un ufficio dove si
trovavano altri famigliari di scomparsi". Proprio nelle chiese e nei
commissariati cominciano a conoscersi le madri degli studenti fatti sparire.
"E' stata una delle mamme conosciute nei commissariati, e riviste nelle
chiese e al Ministero degli Interni, a proporre di denunciare pubblicamente
con una manifestazione quanto successo ai nostri figli. Così ci siamo
ritrovati prima al sabato, poi al giovedì sulla Plaza de Mayo, davanti al
Parlamento. A poco a poco, giorno dopo giorno, il nostro numero cresceva e
lo stesso stare insieme ci dava forza. Abbiamo cominciato a muoverci
insieme, come gruppo e, purtroppo, a scontrarci con uno spesso muro di
ipocrisia".

Il racconto di Boitano è sereno, ma, a tratti, la voce tradisce una certa
emozione, soprattutto quando ricorda che: "A quel tempo a raccogliere le
denunce in chiesa c'era un cappellano della Marina che, dopo un certo
periodo di tempo, chiamava a casa dicendo di lasciar perdere. E' stata un'
ipocrisia tremenda da parte della Marina che prima sequestrava i nostri
ragazzi e poi ci diceva di non cercarli, a volte quasi prendendoci in giro
perché ci convocavano in chiesa e ci dicevano: "In quale libro sarà vostro
figlio, in quello dei vivi (dei desaparecidos) o dei morti?". A riceverci
era sempre il cappellano che non rideva, ma lasciava trapelare dalla voce
una chiara ironia. Eppure oggi questo personaggio è ancora in attività nella
chiesa della misericordia come prete".

Le speranze di ritrovare Michelangelo e Adriana vivi subiscono un duro colpo
nel febbraio 1979: "Abbiamo organizzato un viaggio a Puebla per assistere
alla terza Conferenza episcopale - continua Boitano -. Quando Papa Giovanni
Paolo II° ha parlato pubblicamente dei desaparecidos è stato come ricevere
le condoglianze, perché il pontefice sapeva molto bene che la grande
maggioranza dei nostri ragazzi era morta". Ciò nonostante non viene meno la
voglia di lottare: "Mentre ci trovavamo lì, abbiamo incontrato alcuni frati
benedettini del Belgio che hanno permesso a me e a un'altra madre di
arrivare in Europa per denunciare nelle chiese quanto stava avvenendo. Siamo
andati a Ginevra per incontrare un delegato delle Nazioni Unite e poi a Roma
dove abbiamo cercato di incontrare il Papa privatamente, perché all'Onu ci
avevano detto che l'unico a poter agire era lui. Non ci siamo riuscite ed è
stato veramente molto triste sentire il segretario privato del pontefice
dire che non poteva riceverci perché doveva viaggiare".

Malgrado i rifiuti della Santa Sede, Boitano rimane in Italia: "Alla
richiesta di indagare sui nostri figli, in quanto emigrati italiani, abbiamo
ricevuto un secco "no" dal governo e da alcune organizzazioni nazionali
governative. Abbiamo fatto digiuni e ho lavorato come cuoca nella parrocchia
della Trasfigurazione a Roma dove sono rimasta fino al 1982. Quando poi è
cominciata l'indagine ufficiale su Licio Gelli e sulla sua Loggia P2, di cui
facevano parte alcuni militari argentini, e sul Corriere della Sera è uscito
un primo elenco degli scomparsi argentini, ho capito che le cose stavano
cambiando. E' stato l'inizio di un processo lungo e difficile culminato con
la condanna, avvenuta il 6 dicembre 2000, di molti militari". Prima di quel
giorno però, Boitano e tante madri devono incassare altre tremende
delusioni: "Dopo il processo del 1985 tenutosi in Argentina contro i
militari per aver ucciso 800 persone, sono arrivate le leggi del governo
Alfonsin e di Menem che ci hanno dato un dolore enorme perché hanno lasciato
andare liberi degli assassini dei nostri figli". Le cose cambiano
sensibilmente quando: "il Presidente del Consiglio Prodi firma la
costituzione in parte civile del governo italiano. Certo questo ci ha dato,
tardi, molto tardi, un aiuto, forse se i governanti italiani si fossero
mossi prima avremmo trovato ancora vivo qualcuno dei nostri ragazzi". Oggi
la manifestazione della playa de mayo è: "solo una piccola parte di quello
che è successo dopo. - prosegue ancora Boitano -. Almeno abbiamo dato sfogo
al nostro dolore, abbiamo trovato forza stando insieme. Quel giorno non
avevo ancora perso la speranza di trovare i miei figli vivi e l'ho mantenuta
intatta fino alla fine del '79. Tutte noi li abbiamo sempre cercati come
fossero vivi, malgrado il passare del tempo. Grazie a questo alcuni
studenti, il cui numero sta sulle dita di una mano, sono usciti vivi dai
campi di concentramento, ma perché erano i militari a volerlo. La mia vita è
cambiata moltissimo in questi 25 anni. Tutte quelle che hanno cominciato a
lottare non sono più lo stesse e aver lottato così ha attenuato, in parte,
il dolore per la scomparsa dei nostri cari".
Nello

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