Capitalismo e Comunismo






  Capitalismo e Comunismo
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In tempi come questi, in cui così dolcemente si indugia nei luoghi comuni della cultura, in quelle idee che per l'uso costante che se ne fa non abbisognano di grandi presentazioni, bastando a volte una semplice parola per comunicare intere enciclopedie di contenuti, si finisce per credere che non vi sia più nulla da dire, più nulla da scoprire, che la vita insomma non abbia più nessuna sorpresa da riservarci. In tempi come questi, in cui per cultura s'intende null'altro che l'assorbimento passivo dei frutti della cultura altrui, spesso da tempo passiti perché da tempo generati, e non invece l'originale personale costante fresca coltivazione di nuove idee, un popolo rischia di cadere ed infine rimanere sepolto nei sempre più profondi solchi scavati da sempre eguali percorsi di pensiero.

Tra i tanti, due luoghi comuni risultano oggi particolarmente perniciosi: quelli identificati dalle parole capitalismo e comunismo, due termini divenuti tremende trappole in cui l'intelletto sprofonda e la visione s'oscura. Nessun modello interpretativo della realtà, perché a null'altro queste due parole riportano se non ad una sbiadita immagine di fenomeni reali che mai potremo conoscere fino in fondo, ha valore assoluto, e ci si deve sempre aiutare con nuovi modelli che ci permettano di vedere le cose non da un unico punto di vista bensì da quante più angolazioni possibili.

Ora, se del sistema sociale richiamato col primo termine, capitalismo, conosciamo ormai abbastanza bene quantomeno pregi e difetti per la sua gran diffusione sul pianeta, sfuggendocene però forse ancora l'essenza, proprio quell'aspetto che ci permette di inquadrarlo in un disegno più ampio, del secondo sistema, richiamato col termine comunismo, di fatto non conosciamo quasi nulla, non avendo esso in verità ancora avuto occasione di realizzarsi in alcun luogo del nostro mondo. Infatti quei popoli che hanno avuto l'ardire di definirsi comunisti in realtà hanno realizzato solo forme di bieco statalismo: hanno messo in atto solo una buia visione in cui un oligarchico stato padrone comanda e dispone della restante servile parte della popolazione.

Come è possibile definire una società comunista, come è possibile affermare che una società si autodetermini perseguendo fortemente il bene di ognuno, quando la sua pubblica amministrazione, struttura perfino più importante del governo, perché questo da quella in gran parte deriva e su quella costantemente si poggia, è costituito dalle sempre stesse poche persone mentre alle tante altre rimaste escluse non rimane che pensare, fare e ricevere quel che vien loro concesso? Cosa può esserci di comunitario in una società in cui lo stato è praticamente una struttura privata, affidata alle incartapecorite mani di statali assunti a vita? Occorre davvero abbiano una faccia ben tosta coloro che osano dire ciò, una vera visione comunitaria non essendo finora mai stata realizzata sulla Terra, se non forse prima che le società umane crescessero tanto nel numero dei loro componenti, quindi in quei primi gruppi in cui l'assegnazione dei compiti era naturalmente ripartita in modo sufficientemente distribuito e quindi equo.

Ed a questo punto possiamo davvero capire ed affermare che, sì, ciò che viene ancora generalmente ed erroneamente definito comunismo, o portato a suo esempio, è una forma organizzativa tutt'altro che agognabile, qualsiasi pur immeritevole governo potendo rimanere saldo al suo posto proprio per responsabilità di statali fidelizzati con l'assunzione a vita. Allo stesso tempo non possiamo non capire ed affermare con eguale convincimento che una forma organizzativa realmente comunitaria, in cui i ruoli e poteri, nonché i redditi, pubblici, un complesso insieme di risorse decisivo per un Paese, siano giustamente distribuiti a rotazione tra l'intera popolazione da uno Stato che non ha intenzione di tradirla e per questa ragione lascia ampio spazio alle capacità e qualità di ognuno, è al contrario un desiderio oltremodo legittimo. Come potrebbe non piacerci pensare, dire e fare la nostra parte all'interno di una società libera da qualsivoglia casta e mafia di stato? Dovremmo identificarci in esseri più ostinatamente servili che entusiasticamente liberi per preferire il contrario.

Ed un ordinamento realmente comunitario, quindi basato su una partecipazione collettiva a rotazione, in effetti non può non essere considerato la base, la struttura centrale e primaria di una società che voglia vivere bene, a lungo e serenamente. Tanto essendo importante il coinvolgimento e la partecipazione di ogni singolo membro della comunità, la personale sensibilità e creatività di ognuno potendo far del bene in infiniti modi, quanto essendo deleterio il confinamento dei decisivi ruoli, poteri e redditi pubblici all'interno di una ristretta cerchia di spudorati accaparratori. Una società in cui ad ognuno è dato sentire e rilevare di essere sua parte integrante funziona in modo ben diverso da una in cui è più facile sentirsi ed essere esclusi che partecipi: da un clima di generale diffidenza quando non proprio di astio e contrapposizione si passa ad un altro di premurosa cooperazione in cui i problemi trovano soluzione prima ancora di comparire.

Ma proprio a questo punto, non possiamo non notare che una società strutturata solo su di un ordinamento pubblico, anche se reso ottimale dalla rotazione, una società che in nome del bene comune si spanda solo su questa sua pur corretta base pubblica, manca di qualcosa d'altrettanto importante. Precisamente manca di qualcosa che l'aiuti ad ampliare i suoi orizzonti ed arricchirli di particolari, favorendo così pure la curiosa felicità delle persone. Ciò che occorre è proprio un complementare ambito in cui le persone siano lasciate libere di esprimere ciò che, e come, la loro propria sensibilità richiede, al di fuori quindi dei più indirizzati e raccolti obiettivi e schemi di stato. Se il pubblico segue meglio una direzione lineare, il privato al contrario è più libero di esplorare e ricercare laddove il primo non si spinge. E se le attività pubbliche seguono principalmente ragioni di stato, ideali comunitari, le attività private possono invece seguire una logica più indipendente e personale, tanto nell'offerta quanto nella fruizione.

Inoltre, se la struttura pubblica è ambiente prediletto per un approccio cooperativo, un approccio competitivo troverà nell'ambito privato un'ottima situazione per esprimersi. In questo modo le persone quando fossero motivate da sentimenti cooperativi troverebbero nel pubblico l'ambiente ideale. Quando invece si sentissero motivate dal desiderio di una propria affermazione potrebbero più facilmente trovare ciò che cercano in un ambito privato. In entrambi gli ambiti, uniti dalla cooperazione o spronati dalla competizione, le persone andranno a comporre una società capace di spingersi costantemente oltre i limiti già acquisiti dalle umane conquiste con totale beneficio di tutti, persone e comunità. Non è un caso che i due maggiori risultati della nostra storia, il primo sbarco umano sulla Luna e la nascita di Internet (due eventi che hanno segnato l'ingresso in una Nuova Era illuminata dalla conoscenza, da logica e ragione), sono stati raggiunti grazie al duplice brillante apporto della pratica comunitaria e della pratica privata.

Ed infatti noi umani siamo sempre tenuti a soddisfare entrambi i principi su cui è fondata la realtà di cui siam parte. Anzi è proprio il nostro andare a senso unico, è proprio il pensiero monoideista, che s'impossessa e monopolizza le menti escludendo ogni altra possibilità, ad averci creato la maggior parte dei numerosi e pesanti problemi in cui siamo incorsi finora ed in cui ancora, non a caso, ci ritroviamo. Oggi, che ad ognuno è concesso di nutrire il proprio intelletto a sufficienza da conoscere e capire l'essenza delle cose e quanto e come finora è avvenuto, non possiamo non riconoscere l'importanza di una mente aperta alla ricchezza espressiva della realtà. In questo caso non possiamo non riconoscere la giustezza di una ripartizione della sfera delle attività economiche a metà tra pubblico e privato. Infatti, proprio per la funzione integrativa dei prodotti e servizi offerti dalla macchina pubblica, quella privata non potrà che essere a sua volta lasciata crescere fino a raggiungere pari peso di quanto generato dall'altra.

Non che questo debba essere un riferimento preciso e tantomeno rigido. Semplicemente è ben più possibile raggiungere una meta desiderabile disponendo di una bussola che ci guidi. Conoscendone le caratteristiche, i pregi ed i difetti, soprattutto ciò che di regola si ottiene da ognuno di questi due ambiti economici, potremo avvicinarci a, od allontanarci da, quel riferimento a seconda delle situazioni che incontreremo nel tempo. Infatti un maggior peso delle attività pubbliche tende a creare una situazione di maggior benessere sociale, ma al contempo si ha un restringimento di visuale e di opportunità con conseguenti mancati sviluppi. Al contrario un maggior peso delle attività private tende a diminuire il benessere sociale ma amplia la gamma delle nostre possibilità.

Finora capitalismo e comunismo sono stati illuminati soprattutto sotto una luce di convenienza economica ed efficenza. In realtà entrambi gli ambiti, pubblico e privato, possono essere tanto convenienti quanto efficienti purché ben impostati e condotti. Ciò che maggiormente li differenzia sono invece i diversi tipi di sviluppo verso cui si pongono: l'uno più raccolto e lineare, l'altro più ad ampio raggio, ed i diversi sentimenti che suscitano nelle persone: l'uno cooperativo, l'altro competitivo. A seconda della situazione che si vive, dei vari fattori contingenti, delle diverse esigenze dello stato e della popolazione, un governo degno di questo nome potrà dirigere la prua del veliero sociale in modo da orzare o poggiare, da accelerare o rallentare, a seconda che si abbisogni di concentrarsi su un obiettivo importante o ci si possa permettere di esplorare l'orizzonte ed a seconda che sia più utile ottenere un generale sentimento competitivo oppure cooperativo.


L'assegnazione a vita dei pubblici ruoli, con conseguente sclerotizzazione e corruzione della pubblica amministrazione, ha finito per generare un diffuso disamore nei confronti di quelle che sono le mura portanti della nostra società. Soprattutto per questa ragione, oltre che per cercare di far fronte alla competizione crescente data da una sfrenata globalizzazione, le attività economiche sono passate velocemente quanto imprudentemente dall'ambito pubblico a quello privato. Andando ad acuire ancor più una situazione già sbilanciata. Finora noi umani non abbiamo mai avuto una società ben funzionante ed affidabile, essendoci dovuti contentare di pochi sprazzi temporali di felicità e di ben più numerosi ed ampi periodi di dolore. Se davvero desideriamo abbandonare la condizione di vita precaria in cui da sempre siamo confinati, se davvero desideriamo realizzarci in una società locale e globale le cui capacità, le cui qualità, il cui potere faccia ricadere su ognuno di noi durevoli benefici in quantità, occorre necessariamente introdurre la rotazione nell'assegnazione dei ruoli dello stato contemporaneamente riconducendo nell'ambito pubblico una consistente quantità di attività economiche ora private.


In un modo o nell'altro, presto o tardi, pacificamente o meno, è facile avverrà comunque che le pressioni messe in campo dai forti squilibri esistenti ci portino verso queste direzioni. E' nostro compito, compito delle persone per bene, impegnarci affinché le cose si risolvano, piuttosto che da sole, alla brutt'e peggio, nel solito brutale, cruente modo, in una premurosa previdente maniera degna di gente che da ormai quasi quarant'anni, per altro senza nemmeno accorgersene, si trova a vivere in una Nuova Era.



Danilo D'Antonio

Laboratorio Eudemonia
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Capitalismo e Comunismo - bozza_V_0.8 - 13/05/39