quattro proposte contro il declino



da repubblica.it
GIOVEDÌ 14 APRILE 2005

Quattro proposte contro il declino

GUIDO VIALE

Nel dibattito in corso sul declino le indicazioni per contrastare
l´arretramento dell´Italia nelle graduatorie mondiali della competitività
si sono concentrate sia sul tema del costo che su quello della produttività
del lavoro. Rientra in questo secondo approccio la richiesta di assegnare
maggiori risorse, sia pubbliche che private, alla ricerca, in modo da
contrastare con la qualità del know-how i fattori di competitività che i
nuovi paesi emergenti ricavano dal basso costo del lavoro. Ma quale
ricerca? La ricetta è giusta ma parziale e insufficiente, perché alcuni
paesi emergenti sono ormai in grado di mettere in campo competenze
individuali, know-how d´impresa e livelli di ricerca & sviluppo, per molti
versi superiori a quelli disponibili o attivabili nel breve periodo in
Italia e forse in Europa.
È un errore concentrare l´attenzione esclusivamente sulla produttività del
lavoro. Questo fattore - vero e proprio motore di tutta la crescita
economica dell´occidente, dalla rivoluzione industriale in poi - ha ormai
realizzato progressi tali da renderne difficilmente misurabili gli sviluppi
incrementali; e tali da indurre diversi economisti a individuare proprio in
questi progressi la causa della disoccupazione endemica che ormai colpisce
larga parte dell´economia-mondo. I confronti intertemporali della
produttività sono difficili: non si può confrontare, in termini di ore di
lavoro incorporate, prodotti che pure svolgevano funzioni analoghe, come un
piroscafo del primo Ottocento e un Jumbo-jet della fine del Novecento; ma
una camicia, o un chilo di pane, o un chilometro di binario ferroviario
restano pur sempre prodotti confrontabili nel tempo. Così è stato calcolato
che negli ultimi 150 anni la produttività del lavoro sarebbe aumentata di
un fattore 50 (non il 50 per cento, ma 50 volte tanto!).
Ben diversa è la storia delle risorse naturali: qui, la convinzione,
egemone fino a pochi decenni fa, d´una disponibilità illimitata - pur in un
regime economico dominato dal paradigma della scarsità, che permette di
attribuire valore aggiuntivo a ogni quantità incrementale utilizzata - ha
indotto gli economisti a una sostanziale sottovalutazione della
produttività delle risorse: il rapporto tra valore aggiunto e quantità
fisica (in peso e/o volume) delle materie prime utilizzate per produrlo.
Tuttavia, con l´allarme lanciato dallo studio I limiti dello sviluppo,
pubblicato nel 1972 dal Club di Roma, l´attenzione sulla produttività delle
risorse - in particolare di quelle energetiche, portata in primo piano
dalla crisi petrolifera del 1973 - ha cominciato ad attirare l´attenzione
d´un numero crescente di economisti; e alla formulazione dei paradigmi
denominati Fattore 10 e Fattore 4 (fattori di riduzione dell´uso delle
risorse naturali: il primo valido nei paesi sviluppati, che dovranno "fare
spazio" agli altri; il secondo valido a livello mondiale, per aprire ai
paesi in via di sviluppo uno "spazio ambientale", cioè un accesso alle
risorse naturali, adeguato); questi paradigmi sono stati ormai adottati dai
programmi di sviluppo a lungo termine di diversi paesi europei.

Non si tratta di "malthusianesimo economico", o di una scelta pauperista;
bensì di promuovere - con la ricerca scientifica e la tecnologia - un
aumento di efficienza nell´uso delle risorse naturali, cioè uno sviluppo
accelerato della loro produttività. "More well-being from less nature" (più
benessere con meno risorse) è il programma di riconversione ecologica, che
ha già il supporto di numerose applicazioni pratiche, che rappresentano
altrettanti casi di studio a livello mondiale. Se in 150 anni la
produttività del lavoro è aumentata di un fattore 50, aumentare la
produttività delle risorse naturali di 10 volte nei prossimi cinquant´anni
non dovrebbe essere un´impresa impossibile. Il disaccoppiamento tra
crescita del Pil e l´utilizzo di materie prime è forse l´aspetto più noto
della cosiddetta "dematerializzazione" delle economie avanzate ed è stato
statisticamente rilevato già da diversi decenni. Alla base di questa
rilevazione troviamo però un insieme di fenomeni non tutti riconducibili a
incrementi effettivi della produttività delle risorse. Il disaccoppiamento
rilevato dalle statistiche è infatti riconducibile a quattro diversi
fenomeni:
1. La delocalizzazione - verso paesi di nuova industrializzazione, o in via
di sviluppo, o in regresso economico - delle produzioni di base più
inquinanti, energivore, produttrici di quantità maggiori di rifiuti (il
cosiddetto "fardello ecologico", cioè la quantità di residui delle fasi
iniziali dei processi produttivi: soprattutto estrazione e prime
lavorazioni di materie prime) che non figurano nelle statistiche sui flussi
di materiali nei paesi in cui le statistiche registrarono un
disaccoppiamento significativo;
2. Lo sviluppo tecnologico, che ha permesso invece di ridurre
effettivamente peso e/o volume dei materiali utilizzati nella produzione di
determinati articoli. In questo processo un posto di rilievo spetta al
risparmio energetico, alla ricerca di base e applicata nel campo dei nuovi
materiali e, soprattutto, alle nanotecnologie e alle biotecnologie, capaci
di ricondurre a dimensioni microscopiche funzioni precedentemente svolte da
materie prime a grandezza "naturale";
3. Sono riconducibili allo sviluppo tecnologico anche il recupero e il
riciclaggio dei prodotti dimessi, precedentemente restituiti all´ambiente
senza alcuna valorizzazione e, spesso, con un´elevata carica inquinante.
Recupero e riciclaggio sono attività vecchie come il mondo, ma solo
recentemente si è cominciato a impegnare in questo campo risorse
scientifiche e tecniche paragonabili a quelle impiegate nelle fasi iniziali
dei cicli produttivi;
4. Il progressivo passaggio da una economia fondata sulla produzione di
beni - di cui la produzione di massa fordista rappresenta l´apice - a una
economia dei servizi (da un´economia del possesso a una dell´accesso,
direbbe Jeremy Rifkin). Questo paradigma prevale mano a mano che la
produzione di massa cede il passo a una produzione mirata e personalizzata,
in cui il contenuto di informazione e di servizio è crescente, fino al
punto di sostituire l´utilità che l´utente/consumatore "autoproduce"
acquistando un particolare bene con un servizio erogato in conto terzi.
Questo processo riguarda sia il mondo delle imprese e della Pubblica
amministrazione, attraverso l´esternalizzazione delle funzioni che non
rientrano nel core-business dell´organizzazione, sia il consumo finale,
attraverso la cessione a un soggetto terzo delle operazioni connesse
all´acquisto, alla gestione e alla manutenzione del bene utilizzato (un
esempio è rappresentato dal cosiddetto car-sharing, o auto condivisa). In
entrambi i casi si ha un uso più intenso del bene; diminuiscono gli
immobilizzi fisici (le auto private restano parcheggiate in media 22 ore al
giorno); si riducono in misura corrispondente le risorse fisiche e lo
spazio coinvolti nella produzione e nel consumo.
Non esiste una strada privilegiata verso la dematerializzazione: le quattro
opzioni indicate sono spesso complementari; ma la quarta chiama in causa
competenze organizzative, gestionali e negoziali che sono il prodotto
tipico di un contesto sociale e culturale maturo; e non riducibile a mere
competenze professionali individuali acquisite in processi educativi, né
alla consistenza degli investimenti in ricerca. Si tratta anzi spesso di
trasformazioni a costo zero; oppure dai costi rapidamente riassorbibili
dopo una fase di avviamento; consentono la messa a punto di servizi
esportabili in tutto il mondo; richiedono la mobilitazione di risorse
intangibili (soprattutto "capitale umano") inutilizzate o
insufficientemente valorizzate, ma già presenti in contesti sociali
complessi. La competitività che si affida a un incremento della
produttività delle risorse, in altre parole, è indissolubilmente legato
alla valorizzazione di un contesto culturale e sociale maturo come quello
italiano ed europeo.