perchè serve un salaro minimo



da lavoceinfo.it
mercoledi 12 maggio 2004

11-05-2004

Perché è giusto introdurre un salario minimo in Italia
Tito Boeri
Roberto Perotti

Sebbene un istituto di questo tipo esista in quasi tutti i paesi europei, in
Italia si è sempre parlato poco del salario minimo, per i motivi ben
evidenziati nell'intervento di Pietro Ichino. Una delle tante lezioni delle
recenti vicende di Melfi è che è giunto il momento di parlarne di più.
È importante chiarire lo scopo del salario minimo. A nostro avviso, il
salario minimo deve esclusivamente proteggere le categorie più a rischio di
emarginazione e sfruttamento e non rappresentate, per le quali l'alternativa
sarebbero salari ancora più bassi e ancora meno tutele nel sommerso. Un uso
diverso del salario minimo, che interferisca in modo sostanziale con il
funzionamento del mercato del lavoro di altre categorie già ben
rappresentate, avrebbe effetti deleteri sull'occupazione.
Compressione salariale e decentramento della contrattazione collettiva
Data questa premessa, partiamo dalla situazione italiana corrente. Come è
noto, il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da una elevata
compressione salariale; per molti economisti, questa è una delle cause
principali degli elevati tassi di disoccupazione di certe categorie di
lavoratori, che rimangono "priced out" dal mercato del lavoro, e della
disoccupazione nel Mezzogiorno. Questa elevata compressione salariale è in
parte dovuta alla pratica giurisprudenziale di considerare come riferimento
nella determinazione del "salario equo" in caso di contenzioso, proprio il
salario più basso stabilito dalla contrattazione collettiva del settore.
In questo contesto, un salario minimo stabilito per legge - ma inferiore al
salario minimo implicito nei contratti collettivi - sarebbe il nuovo punto
di riferimento obbligato per la giurisprudenza, rimpiazzando il salario
minimo implicito nella contrattazione collettiva. I salari di imprese
operanti nel medesimo settore, ma in regioni diverse potrebbero così
differenziarsi maggiormente in base alle condizioni del mercato del lavoro e
ai livelli di produttività, favorendo l'occupazione nelle regioni del
Mezzogiorno.
Chiaramente, un salario minimo fissato a un livello troppo alto potrebbe
anche avere l'effetto opposto, cioè porre un freno alla dispersione
salariale. Per evitare che ciò avvenga, è essenziale fissare il salario
minimo a un livello sufficientemente basso, tale da proteggere
esclusivamente le categorie più deboli - in generale, anche quelle meno
sindacalizzate.
Il salario minimo avrebbe anche l'effetto di incoraggiare il decentramento
della contrattazione collettiva, poiché priverebbe quest'ultima della
copertura che le viene assicurata da una tradizione giurisprudenziale che
interferisce troppo con la libera contrattazione fra le parti a livello di
azienda. Il tutto senza dover aspettare la soluzione della disputa sulla
corretta interpretazione degli articoli 36 e 39 della Costituzione - una
soluzione che molto probabilmente richiederà anni.
Un secondo vantaggio dell'introduzione di un salario minimo sufficientemente
basso è che offrirebbe un incentivo in più per uscire dal sommerso - un'
azione oggi troppo costosa per molte aziende al livello di salario minimo
stabilito dalla giurisprudenza. Misure temporanee per favorire l'emersione
si sono rivelate del tutto inefficaci a ridurre le dimensioni dell'economia
sommersa nel nostro paese.
Sarebbe utile accompagnare l'introduzione del salario minimo con misure che
riducano il prelievo fiscale e contributivo sui lavori pagati ai salari
minimi e al di sopra di questi (ad esempio, in Francia gli sgravi si
estendono fino ai lavori pagati 1,7 volte i salari minimi). È un modo per
ridurre il costo del lavoro e aumentare i salati netti al tempo stesso,
incentivando ulteriormente l'emersione del sommerso.
Differenze per età, non per regioni
Come abbiamo accennato, un salario minimo deve essere fissato a un livello
basso. Nei paesi dell' Unione europea è generalmente tra il 50 e il 60 per
cento del salario orario medio nel settore manifatturiero, mentre negli
Stati Uniti è più basso (inferiore al 40 per cento). Bisogna invece
resistere alla tentazione politica di stabilire il salario minimo a un
livello eccessivo, perché questo porterebbe a esiti occupazionali peggiori
degli attuali. È quindi importante fissare il salario minimo avendo presente
le condizioni del mercato del lavoro nel Mezzogiorno, ponendolo a un livello
tale da renderlo vincolante solo per le categorie più deboli nelle regioni
meridionali. Ma sarebbe sbagliato differenziare il salario minimo per
regione perché ciò aprirebbe il varco a forme di interferenza politica nel
mercato del lavoro difficilmente controllabili.
È, invece, importante differenziare il salario minimo in base all'età, come
in Olanda. In Italia la diffusione del lavoro a basso salario è
particolarmente elevata fra i lavoratori più giovani; di conseguenza, un
salario minimo che protegga i lavoratori anziani più deboli metterebbe fuori
mercato i più giovani, condannandoli a una prospettiva di una vita da
disoccupati cronici. D'altra parte, il basso salario tra i giovani è in gran
parte solo una tappa verso lavori meglio remunerati. È importante che questi
bassi salari possano essere pagati anche in impieghi regolari e contratti
permanenti, onde evitare che i giovani rimangano segregati nel sommerso o in
contratti che offrono meno tutele dal punto di vista previdenziale e
assicurativo.
Salario minimo e povertà
Infine, è importante notare che il salario minimo non deve essere usato come
surrogato di altri strumenti contro la povertà. Il salario minimo non riesce
infatti a discriminare i lavoratori a basso salario di famiglie benestanti.
Per combattere efficacemente la povertà, sono quindi necessari altri
strumenti, più mirati, come un reddito minimo garantito e sussidi
condizionati all'impiego. (1)
Un salario minimo come quello che proponiamo serve unicamente per
contrastare il fenomeno dei "working poor", di chi è povero mentre ha un
lavoro. Questo è un fenomeno crescente nel nostro paese, ma pur sempre
marginale nel panorama della nostra povertà; quest'ultima, infatti, colpisce
soprattutto chi un lavoro non ce l'ha.
(1) Tito Boeri, Roberto Perotti "Meno pensioni, più welfare", Il Mulino,
2003.