kyoto non ci sono alternative



da l'unità.it
5 dicembre 2003

Kyoto, non ci sono alternative
di Edo Ronchi

 Invece di vedere solo la metà vuota del bicchiere, in particolare la
mancata adesione degli Stati Uniti e le incertezze della Russia, proviamo a
valutare e tenere in considerazione la metà piena.
Intanto 119 Paesi hanno ratificato il Protocollo di Kyoto: una larga
maggioranza delle Nazioni Unite si è ormai formata attorno a questo
Protocollo.
Nessuno sottovaluta il peso degli Stati Uniti, ma non credo che nemmeno gli
Stati Uniti possano sottovalutare a lungo quello di un'ampia maggioranza
delle Nazioni Unite che, insieme all'Unione Europea, intende dare attuazione
alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici contrastando l'aumento
delle emissioni inquinanti di gas serra.
La Russia di Putin può negoziare la sua adesione cercando di trarne il
massimo vantaggio possibile, ma con un limite che i negoziatori europei
conoscono bene: la Russia ha un peso (per la riduzione delle sue emissioni
del 1990 e per l'interesse ad un sistema energetico efficiente) maggiore
dentro che fuori dal Protocollo.
Lo schieramento internazionale che sostiene una strategia multilaterale,
inoltre, coincide, in buona parte, con quello a favore del Protocollo di
Kyoto: l'uscita della Russia da tale schieramento non pare molto probabile.
Comunque questo Paese oggi non ha un peso tale, tecnologico, economico e
politico, da determinare, da solo, l'esito finale del Protocollo di Kyoto.
Non darei un peso eccessivo alla questione del quorum del Protocollo di
Kyoto: al fatto che delle due condizioni operative del Protocollo, (che sia
ratificato da 55 Paesi che rappresentino il 55% delle emissioni di gas
serra), sia stata fino ad ora superata solo la prima.
Intanto la Russia, per la crisi del suo sistema industriale, ha già, a
prescindere dal Protocollo, fortemente ridotto le sue emissioni del 1990.
Il vero problema sono gli Stati Uniti che producono una parte rilevante di
emissioni di gas serra e che continuano a farle crescere (+19% rispetto a
quelle del 1990) da una parte e, dall'altra, alcuni grandi Paesi in via di
sviluppo (Cina, India, Brasile e altri) che vedranno crescere fortemente le
loro emissioni totali e che non hanno assunto impegni di riduzione, neanche
per il futuro.
I 119 Paesi che hanno ratificato il Protocollo, con politiche nazionali e di
cooperazione internazionale, possono applicare le misure previste
realizzando positivi risultati ambientali, con costi accettabili, ma anche
con vantaggi tecnologici ed economici.
Nonostante le esitazioni, e perfino la confusione che sembra caratterizzare
la politica del Governo italiano, l'Unione Europea ha cominciato ad attuare
il Protocollo, con particolare impegno di alcuni Paesi Europei (Germania e
Regno Unito) con misure non ancora soddisfacenti, ma che, comunque, hanno
portato a frenare l'incremento delle emissioni europee ad uno 0,5% rispetto
al 1990.
Per alcune ragioni di fondo.
Intanto il cambiamento climatico rappresenta ormai un pericolo reale:
abbiamo avuto, nel 2003, un'estate caldissima ed ora abbiamo piogge
alluvionali in molte zone.
La Convenzione quadro è in vigore dal 1992: essa obbliga a prendere misure
per contrastare l'aumento dei gas serra.
Il modello del Protocollo di Kyoto non ha alternative: l'amministrazione
Bush lo critica ma non ha, fino ad ora, proposto alcuna alternativa, né
praticato una via più efficace, visto che le emissioni degli Stati Uniti
continuano a crescere in modo consistente e insostenibile (più 19% rispetto
al 1990).
Per ridurre le emissioni è necessario fissare e raggiungere obiettivi
precisi; questi obiettivi non possono essere raggiunti spontaneamente dal
mercato né dall'evoluzione tecnologica, richiedono politiche e misure che
devono essere verificate e controllate a livello internazionale, richiedono
meccanismi flessibili di collaborazione e cooperazione internazionali: per
ridurre le emissioni è necessario, in altre parole, dare attuazione al
Protocollo di Kyoto.
Anche per andare oltre gli obiettivi del primo step, insufficienti per
contenere, nel medio termine, i cambiamenti climatici entro limiti
sostenibili, fissando quindi obiettivi di riduzione più ambiziosi già per il
2020 e coinvolgendo anche i grandi Paesi in via di sviluppo, è necessario
applicare il sistema multilaterale, i meccanismi, le politiche e le misure
del Protocollo di Kyoto.
Il Protocollo di Kyoto è il risultato di oltre 10 anni di trattative
internazionali, di ben 9 Conferenze mondiali: deve andare avanti, intanto
con la sua attuazione nei 119 Paesi che lo hanno ratificato e che possano
dare un significativo contributo al taglio delle emissioni dei gas serra.
Ciò comporterebbe svantaggi economici per questi Paesi? Non necessariamente.
Vediamo l'esempio dell'Italia.
In Italia l'aumento delle emissioni di CO2 è quasi interamente imputabile
alla loro fortissima crescita avvenuta nel settore dei trasporti.
In questo settore il Governo Berlusconi ha incoraggiato la crescita delle
emissioni abolendo la carbon tax, riducendo i finanziamenti al trasporto
pubblico locale (gli autobus in servizio di linea, immatricolati nel 2001,
erano 3500, nel 2003 sono scesi a 1900), privilegiando gli investimenti in
autostrade rispetto a quelli destinati alle ferrovie ed al cabotaggio.
Investimenti per una mobilità più sostenibile, meno congestionata, farebbero
calare le emissioni di CO2 e crescere la qualità dei nostri trasporti.
Nel settore della produzione di energia elettrica, per fare un altro
esempio, la quantità di carbone utilizzata nelle centrali dell'Enel è
cresciuta da circa 9,5 milioni di tonnellate nel 2000 a 11,3 milioni nel
2002. I grammi di CO2 prodotti per kilowattora nelle nostre centrali
termoelettriche sono cresciuti, da un valore medio di 692 nel 2000 a 720 nel
2002, circa il 4% in più in soli due anni.
Se invece di promuovere una crescita così consistente del carbone, si fosse
puntato con decisione sulla tecnologia più avanzata delle nuove centrali a
gas a ciclo combinato, con rendimenti elevati anche con piccole taglie, con
lo stesso costo, si potevano avere riduzioni delle emissioni di CO2.
Anche per l'efficienza energetica si può fare molto. Sono, per esempio, in
commercio elettrodomestici (frigoriferi, congelatori, lavatrici,
lavastoviglie, condizionatori) a bassi consumi ed alta efficienza
energetica: sostituendo i vecchi elettrodomestici in uso con questi migliori
modelli si potrebbero, mediamente, dimezzare i loro consumi elettrici; i
maggiori costi dell'acquisto si potrebbero ripagare, in pochi anni, col
risparmio sulle bollette. Ogni kilowattora risparmiato consente di ridurre
circa 700 grammi di emissioni delle produzione di energia termoelettrica,
con una riduzione delle emissioni di ogni famiglia pari a 5 quintali di CO2
all'anno.
Ed anche per le fonti rinnovabili si può fare molto di più: come mai in
Germania vi sono 12.000 Megawatt di centrali eoliche ed in Italia non si
arriva a 800?
Come mai in Italia si punta così poco sulla generazione distribuita, con
impianti di piccola taglia, con fonti rinnovabili o convenzionali, ad alta
efficienza, in prossimità dell'utenza, con risparmio nei costi di trasporto
e maggiore possibilità di produzione combinata di energia elettrica e di
calore?
Queste carenze, accentuate dal Governo Berlusconi, hanno prodotto in Italia
una crescita di oltre il 7% delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, a
fronte di un impegno di riduzione del 6,5%.
L'applicazione del Protocollo di Kyoto farebbe, invece, bene al clima, ma
anche all'Italia, contribuendo alla modernizzazione ecologica, al
miglioramento del nostro sistema energetico, ma anche della competitività
del Paese.