ilva condannata



    
il manifesto - 17 Luglio 2002 
 
 
Ilva condannata 
Dieci mesi di carcere al presidente dell'azienda siderurgica e al direttore
dello stabilimento di Taranto: non hanno rispettato le leggi di tutela
dell'ambiente e della salute
ANTONIO ROLLI
TARANTO 
Da ieri mattina l'aria che si respira al rione Tamburi di Taranto è un po'
più pulita. I vertici dell'Ilva, con una sentenza che rimarrà alla storia,
sono stati condannati per aver violato le leggi in materia di tutela
ambientale e per non aver adottato nessun accorgimento necessario per
impedire la dispersione nell'aria delle polveri provenienti dai «parchi»
minerali. Emilio Riva, presidente del consiglio di amministrazione
dell'Ilva, e Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento tarantino, sono
stati condannati a dieci mesi di reclusione; sette mesi sono stati
inflitti, invece, a Salvatore Zimbaro e Gianluca Quaranta, responsabili dei
«parchi» che raccolgono materiale per i diversi cicli di lavorazione del
siderurgico. Un verdetto che è andato persino al di là delle richieste
avanzate dai pubblici ministeri Francesco Sebastio e Maurizio Carbone, e
che ha decretato la confisca dell'area dei parchi minerali (660 mila metri
quadri) peraltro già sottoposta a sequestro.

Per Riva e gli altri tre imputati, il giudice monocratico Lucia De Palo ha
subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena «all'eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose dei
reati mediante la realizzazione della produzione attraverso la migliore
tecnologia disponibile per il contenimento delle emissioni moleste, ovvero
mediante l'adozione di qualunque altro sistema utile al conseguimento di
tale scopo entro due anni dal passaggio in giudicato dell'odierna sentenza».

Inoltre, i vertici dell'azienda dovranno rimborsare i danni, in separata
sede, alle parti civili, vale a dire Comune e Provincia di Taranto e a
Legambiente, che aveva chiesto 516mila euro di risarcimento. «Siamo
soddisfatti - ha dichiarato l'avvocato Elio Curci, rappresentante di parte
civile per Legambiente - per l'avvenuto riconoscimento della responsabilità
e perché il giudice ha subordinato la sospensione delle pene alla
eliminazione del comportamento dannoso. Riteniamo importante - ha
proseguito Curci - dal nostro punto di vista, anche la decisione di
riconoscere alle parti civili il diritto di risarcimento. Non ha rilievo
che la sua entità debba essere stabilita con altro giudizio».

L'inchiesta, avviata dal pm Sebastio nel 1999, ha cercato di evidenziare
come negli ultimi anni la provincia di Taranto, ed il rione Tamburi in
particolare, vivessero una precaria situazione socio-sanitaria che aveva
provocato in un solo anno 253 morti per neoplasie polmonari, 111 delle
quali nella sola città pugliese. In tal senso sono stati decisivi, ai fini
del processo, i risultati delle analisi dei periti del dipartimento di
prevenzione dell'Asl, i quali hanno dimostrato che le polveri minerali
sversate dall'Ilva (600 milligrammi al giorno per metroquadro di
superficie) se inalate in modo costante potevano provocare tumori
all'apparato respiratorio.

Acquisite le perizie, l'accusa ha cercato di dimostrare che il reato di
emissioni inquinanti si collegava con quello omissivo, dal momento che
nulla era stato fatto dai vertici dell'azienda per impedire che le polveri
viaggiassero nell'aria e , in caduta libera, si depositassero sulla città.

Ora si attenderà che, alla luce di questo verdetto, anche Regione Puglia,
finora latitante, imponga all'azienda in tempi brevi una diversa ubicazione
dei parchi minerali, magari in quella già indicata dalla pubblica accusa;
una zona più a nord, lontana dall'abitato, di proprietà della stessa Ilva.

«Questa sentenza - ha commentato il deputato del Prc Nichi Vendola- è un
primo importante segnale che ci aiuta a capire quanto siano intrecciate la
lotta per la difesa ambientale, quella per la salute e quella per i diritti
dei lavoratori. È un primo importante schiaffo - ha proseguito Vendola -
all'arroganza di chi, come Riva, pensa di poter operare, sulla pelle dei
suoi operai e di una intera città, al di fuori del rispetto delle leggi».

Ma i guai per Emilio Riva e gli altri dirigenti dell'ex Italsider sembrano
non finire. Nel mese di ottobre riprenderà infatti, il processo per la
Nuova Siet, che vede il padron genovese, già condannato a due anni e tre
mesi per mobbing, nuovamente indagato con l'accusa di estorsione.