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dal manifesto

    
    
 
    
 

06 Gennaio 2002 
  
 
Attacco alla rete per farne una tv 
La parola d'ordine delle imprese è "vendere contenuti" su Internet. Ma
questo cambia il modello - rompe la simmetria del rapporto "tra pari" per
reintrodurre il messaggio unidirezionale, da emittente a ricevente. Una
tendenza - speriamo - fallimentare, perché in rete ci si va per essere
partecipi, non spettatori passivi 
FRANCO CARLINI 

" Avevo (e ho) un sogno, che il web potesse essere meno un canale
televisivo e più un mare interattivo di conoscenza condivisa. Immagino un
caldo e amichevole ambiente fatto delle cose che noi e i nostri amici
abbiamo visto, sentito, creduto o immaginato. Mi piacerebbe che rendesse
più vicini i nostri amici e colleghi sì che lavorando insieme su questa
conoscenza, possiamo ricavare una migliore comprensione".
Chi è mai questo strano tipo che già il 12 dicembre 1995 parlava del web
come di una cosa al passato e che comunque non rinunciava all'idea di una
rete sociale e comunicativa? Chi è costui che quando il web era appena
esploso (ma pochi in Italia allora sapevano di che si trattasse) subito
metteva in guardia dal rischio di farne solo una televisione? Il signore in
questione, per chi non l'avesse indovinato, si chiamava Tim Berners-Lee, il
ricercatore inglese che lavorando al Cern di Ginevra (il laboratorio
internazionale di ricerca sulle particelle elementari e le alte energie),
inventò un protocollo, da allora chiamato http, nonché la sigla World Wide
Web (una rete grande come il mondo) e con essi il linguaggio Html, fatto di
marcatori (tag) con cui rendere universale la comunicazione tra computer
dotati di hardware e software diversi.
Nei giorni scorsi a Tim è stato assegnato il Japan Prize della "Science and
Technology Foundation", perché la sua invenzione "ha avuto un impatto
incalcolabile sul modo in cui gli umani comunicano, collaborano,
condividono le informazioni e conducono gli affari". Sempre instancabile, e
sempre "illuso", l'11 dicembre ha lanciato un nuovo gruppo di lavoro,
chiamato Tag (come i "tag" del suo linguaggio) per la progettazione delle
nuove architetture dell'Internet che verrà.
Ma non c'è dubbio che quel sogno iniziale ("un caldo e amichevole ambiente
fatto delle cose che noi e i nostri amici abbiamo visto, sentito, creduto o
immaginato") si è realizzato solo in minima parte. In compenso il timore
che la rete che si trasformi in broadcasting televisivo è sempre più
concreto. Anzi è realtà operante. E non è allegra.
Non perché la televisione sia un male in sé, figurarsi: è (o potrebbe
essere) uno straordinario strumento di piacere visivo, di acculturazione,
di informazione. La si può fare bene e la si può fare male - questo non
importa nel nostro contesto. E non si parla qui nemmeno dei contenuti: chi
sa fare televisione offre sia il Tg di Emilio Fede che le Jene, sì da
soddisfare i berlusconiani come gli anti, e dunque fa audience con
entrambi. Chi invece - come la Rai -non risponde a logiche di pubblico né
di mercato, si plasma volta per volta secondo i desideri del potere
politico di turno e così censura, nasconde, addormenta, vespizza; in
definitiva deprime. Facendo male la televisione fa male alla televisione.
Tuttavia quello che fa la differenza tra l'Internet e la Tv è la direzione
del flusso dei dati. Nella televisione e nei vecchi media, come noto, essi
si muovono dal centro alla periferia perché così la televisione è stata
costruita, sia nei suoi modelli editoriali che nelle strutture
tecnologiche. E così funzionano i network in tutto il mondo. La rete
Internet invece ha aperto una speranza e una possibilità diverse, fin dalle
sue fondamenta architetturali. E' successo per caso e nessuno, salvo pochi
"illusi", ci credeva davvero. Ma è successo.
E' capitato dunque che si realizzasse una struttura che era essenzialmente
neutrale e simmetrica. Neutrale vuol dire che il messaggio viaggia da un
mittente a un destinatario senza che alcun intermediario lo distorca o lo
trasformi. L'insulto più sanguinoso così come il sentimento migliore
partono e arrivano indisturbati, nel bene e nel male. Simmetrica vuol dire
che - almeno in linea di principio - ogni macchina collegata all'Internet
era insieme sorgente e recettore di informazione. Che ognuna poteva fare
download quanto upload, essere indifferentemente client e server, con le
stesse prestazioni e gli stessi cavi.
A un certo punto è successo che, grazie a persone geniali come Berners-Lee,
l'Internet, sotto forma di Web, divenisse uno strumento di massa alla
portata di tutti. Ma il successo ne sfigurava le caratteristiche migliori.
I programmi di navigazione (i browser) sono stati progettati per vedere e
leggere delle pagine, senza poterle modificare. La famosa interattività
ridotta a un clicca qua e clicca là, in un limitato orizzonte di
posssibilità e di azioni. Il problema della scarsità di indirizzi Internet,
di fronte alla domanda crescente, è stato risolto con una tecnica detta
dell'indirizzamento dinamico; questo significa che quando mi collego alla
rete, e per il periodo del collegamento, al mio computer viene
provvisoriamente associato un indirizzo IP (Internet Protocol, una quaterna
del tipo 193.76.248.5). Ma, finito il collegamento, quel certo indirizzo
verrà assegnato a un altro utente, nel frattempo entrato in rete. Questo
significa che il mio computer non è alla pari con gli altri nodi della
rete: può ricevere pagine, posta, musica e immagini, ma non può fare lui da
emettitore continuo. Certo posso spedire messaggi, ma senza indirizzo Ip
statico (come si dice tecnicamente), su di esso non può risiedere un sito
web. E infatti se me ne voglio fare uno devo ricorrere a un provider che mi
ospiti su di un suo "host computer" il quale è permanentemente in rete e ha
un suo indirizzo che non cambia mai. Ma non è la stessa cosa; una rottura
della simmetria e della bidirezionalità è già avvenuta, e paradossalmente
proprio per il suo sconvolgente successo di pubblico.
Le cose comunque sono destinate a peggiorare. Finita l'epoca illusoria
delle aziende Punto Com e della bolla Internet, sembra cominciata quella
dell'Internet a pagamento: le aziende che hanno investito miliardi nei loro
megaportali o chiudono (le più deboli o mal progettate) oppure vogliono
vedere i ritorni e quindi cercano contenuti vendibili. E qui scattano i
riflessi condizionati della Old Economy: che cos'è che il popolo bue
compra? Tette e culi, innazitutto, che dunque vanno messi in abbondanza in
ogni sito, anche in quelli di notizie. Non lo fa la Cnn, non lo fa Salon,
ma lo fanno in abbondanza sia il laico Scaglia con www.ilnuovo.it che il
cattolico Soru (e tanti altri, ovviamente). Ma le belle ragazze in home
page producono solo pochi effimeri clic in più, buoni al massimo per fare
effetto su inserzionisti pubblicitari sempre meno convinti. E' piuttosto la
televisione (anzi i Rich Media, simpatico eufemismo) che si pensa di
vendere. Si tratta di prendere i programmi che già esistono, pensati per
altro pubblico e per altre tecnologie, comprimerli a dovere, ridurli a
piccolissimo monitor (da piccolo schermo che erano) e impacchettarli per la
rete. Nessuno sforzo di fantasia linguistica né di creatività (come quelli
viceversa esibiti dal Pollo Gino presso www.my-tv.it), solo packaging.
Che idea sarà mai quella di dare in streaming un concerto di Mina o di
Bocelli? Il risultato di tali operazioni dove gli sponsor (Wind e Hdp,
nell'occasione) hanno investito troppi milioni è solo di intasare la rete e
di deludere decine di migliaia di persone che non riescono a collegarsi. Il
tutto usandola in broadcasting sincrono, dove la sua virtù semmai sarebbe
nel poter vedere il telegiornale in asincrono, ovvero anche alle 21:12, e
non necessariamente alle 20:00. A proposito: sul canale Internet della Rai
si possono vedere i Tg, ma pudicamente ne viene taciuta l'ora; infatti alle
18 di pomeriggio si trovano ancora quelli della sera prima. A futura
memoria? Qui forse si esagera con il tempo differito.
Il modello dell'Internet che si fa televisione non è criticabile solo per
l'unidirezionalità che implica, ma probabilmente anche fallimentare.
Secondo Silvio Scaglia di eBiscom, invece, il futuro è lì, in 800 mila
italiani almeno che spendano ogni anno un milione e mezzo ognuno per avere
la sua larga banda. Ma nessuno sembra chiedersi come mai le fasce giovani
(i telespettatori di domani), vedano meno televisione e usino tanto tempo
in rete. Lo fanno perché sull'Internet ci sono cose meravigliose che la
televisione non offre? No di certo, visto che la rete è confusa, ripiena di
materiali scadenti, scomoda da usare; dal punto di vista visivo è cento
volte più brutta della televisione.
C'è il fondato sospetto che questi giovani si comportino così perché in
rete si sentono protagonisti attivi e infatti più che il web usano la posta
elettronica, i forum, le chat e gli Instant Message. Senza alcuna nostalgia
per la prima Internet che era assai elitaria, sembra dunque valere ancora
la vecchia massima secondo cui "il bello dell'essere in rete è l'essere in
rete", ovvero all'interno di un web di relazioni personali. E poco importa
da questo punto di vista che si faccia gruppo attorno alle grandiose
imprese di Valentino Rossi, oppure che si discuta di globalizzazione. In
entrambi i casi il valore che premia è la possibilità di prendere la
parola, un'attività oggi sempre meno facile e consentita. Oltre a tutto
capita magari che i fans di Valentino siano anche, con altre motivazioni e
pseudonimi, fervidi antiglobal perché sostenitori invece della
globalizzazione simmetrica (quella della libera circolazione delle persone,
delle merci e delle idee anche dal sud verso il nord del mondo).
Simmetria, appunto: è quanto l'Internet garantiva e in larga misura tuttora
permette. Per fortuna le più recenti inziative dal basso, ma ormai di
massa, sono in assoluta controtendenza rispetto alla corsa verso l'Internet
televisiva (poco interattiva, molto commerciale, molto povera anche quando
luccicante).
Sotto le sigle P2P (che è ben più che una tecnologia) e Open Source (che è
ben più che un problema di software) si avverte l'idea di mettere a frutto
non già i contenuti di cento portali egemoni, ma la ricchezza infinita dei
300 milioni di personal computer in giro per il mondo, ognuno con il suo
contenuto di memoria, sovente unico, con la sua potenza di calcolo (che
viene messa a disposizione di progetti comuni) e soprattutto con le
intelligenze e i desideri delle persone che vi siedono davanti. Forse i
contenuti e i valori sempre meno risiedono al centro della rete, nel suo
nucleo centrale, ma invece nei rami laterali e periferici della galassia
Internet. E la lettera P della sigla P2P (peer to peer) forse dovrà più
correttamente essere letta come People, "persone". Sta lì il bello e stanno
lì anche gli affari, per chi voglia capirlo.