lavoro da atipico a stabile



dal sole24ore
 Domenica 06 Gennaio 2002  ore 19:20  
 

  
DOVE VA L'OCCUPAZIONE / IL COMMENTO

Lavoro, da atipico a stabile
La maggiore flessibilità introdotta con le recenti riforme ha favorito nel
2001 l'espansione degli occupati permanenti a tempo pieno. I nuovi posti a
termine e part time fanno, invece, i conti con il rallentamento dell'economia
di Michele De Gaspari 
Anche in una fase ciclica di congiuntura debole come il 2001, l'economia
italiana ha confermato la sua ritrovata capacità - del tutto inattesa
ancora nel recente passato - di creare nuovi posti di lavoro. Le quattro
indagini trimestrali Istat effettuate nel corso dell'anno (relative ai mesi
di gennaio, aprile, luglio e ottobre) mettono, infatti, in evidenza un
aumento medio degli occupati intorno intorno alle 430mila unità rispetto a
un anno prima, che corrisponde a poco più del 2% nei valori tendenziali.
Questo andamento consolida ulteriormente il quadro generale già in atto a
fine 2000, in cui l'occupazione risaliva ai massimi del decennio e la
disoccupazione si andava via via abbassando ai livelli minimi del periodo.
Si tratta di un risultato di notevole rilievo, conseguito in un ciclo
congiunturale caratterizzato da un modesto tasso di sviluppo e dopo una
lunga fase, conclusasi solo nel 1998, di crescita occupazionale molto
ridotta. Né durante il decennio 90, e nemmeno nei due decenni precedenti,
si era mai registrato un aumento dei posti di lavoro di tali dimensioni.
Nel ciclo espansivo della seconda metà degli anni 80, per esempio,
l'elasticità dell'occupazione alla crescita del Pil è risultata di poco
superiore a zero; nel quadriennio 1998-2001 questa elasticità è salita allo
0,7-0,8% medio, arrivando anche a oltrepassare l'unità.
Le previsioni disponibili sono, inoltre, concordi nell'indicare la
prosecuzione della fase positiva, nonostante il sensibile rallentamento
congiunturale in atto. In termini di unità di lavoro standard - secondo i
dati della contabilità nazionale, che misurano gli occupati equivalenti a
tempo pieno - l'occupazione totale dovrebbe essere aumentata di circa
l'1,5% nella media del 2001, confermando così il brillante risultato
dell'anno precedente.
L'incremento è sostenuto, se si tiene conto della contemporanea
decelerazione dell'economia, ma esso è la conseguenza in buona parte dello
slancio registratosi nell'ultimo scorcio del 2000 (+3% gli occupati nella
media delle due rilevazioni Istat di ottobre e gennaio 2001). Il
rallentamento in atto lo scorso anno nella creazione di posti di lavoro
sarebbe, poi, confermato da una frenata più consistente durante il 2002,
seguita da un nuovo recupero nel 2003. Il tutto per un aumento previsto nel
quadriennio 2000-2003 di circa un milione di occupati (+5%), espressi in
unità standard di lavoro.

Effetto flessibilità
La domanda di lavoro ha continuato, dunque, a marciare spedita ormai da
quasi quattro anni; è nell'autunno 1997 che incomiciano a funzionare le
riforme introdotte, con la parziale liberalizzazione del mercato,
rendendolo così più flessibile in entrata (e indirettamente anche in
uscita, per quanto concerne gli impieghi temporanei). E la maggiore
flessibilità realizzata sia nei rapporti contrattuali, sia nella gestione
degli orari comporta una riduzione dei costi indiretti del lavoro, che si
affianca all'andamento sempre moderato del costo per dipendente.
Questo effetto flessibilità si riflette, poi, nel nuovo rapporto fra
crescita del Pil e aumento degli occupati: le due variabili procedono quasi
di pari passo, un'evoluzione impensabile sino a pochi anni fa. La crescita
dell'occupazione negli ultimi trimestri riguarda, in particolare, i
tradizionali contratti di lavoro di durata indeterminata e a tempo pieno.
Un andamento, quest'ultimo, parzialmente inatteso, dato che la precedente
accelerazione aveva interessato soprattutto le forme più flessibili di
impiego, quali il part time e il lavoro temporaneo.
All'incremento potrebbe aver contribuito l'emersione di lavoratori da
attività non regolari, che sfuggivano alle stime della contabilità
nazionale; ma i progressi dell'occupazione stabile rivelano ormai un buon
equilibrio tra flessibilità e lavoro "tradizionale", fatto di occupati
permanenti.

Sempre più terziario
La crescita della domanda di lavoro nel corso del 2001 è stata trainata,
come di consueto, dal settore terziario, ma un significativo contributo è
arrivato anche dall'industria delle costruzioni. L'occupazione femminile,
inoltre, continua ad aumentare più velocemente di quella maschile, favorita
dalle nuove potenzialità offerte dai contratti atipici (è il caso del part
time). Cresce più il lavoro dipendente di quello autonomo e il contributo
degli impieghi più flessibili è sempre rilevante. Il miglioramento del
mercato del lavoro ha, poi, interessato tutte le aree del paese:
l'occupazione ha accelerato il passo nel Mezzogiorno e la disoccupazione
tra i giovani meridionali incomincia finalmente a ridursi in misura
significativa.
A fronte di questi andamenti è diminuito, per il terzo anno consecutivo, il
numero dei disoccupati, ormai di poco superiore ai 2,2 milioni di unità
(dai circa 2,8 milioni del '98); mentre il tasso di disoccupazione si avvia
a scendere sotto la soglia del 9%, ben tre punti in meno in soli tre anni.
La riduzione interessa, in particolare, tutte le componenti: dai
disoccupati in senso stretto (già occupati) alle persone in cerca di prima
occupazione, che rappresetano lo "zoccolo duro" dell'intero aggregato; ma
anche le componenti tradizionalmente cicliche mostrano un calo rilevante.
Gli squilibri rispetto ai valori medi europei rimangono certo ancora
elevati per i giovani, le donne e il Mezzogiorno. Comare questo divario è,
dunque, uno degli obiettivi fondamentali della politica economica.