capitale e ambiente



da boileri.it di sabato 9 giugno 2001

Capitalismo naturale

Tutto è cresciuto, materialmente e fisicamente, per effetto dell’evoluzione
dell’uomo e della sua “colonizzazione” del pianeta. Questa crescita ha
permesso standard di vita che i nostri antenati non avrebbero nemmeno
potuto immaginare, ma ha anche straordinariamente danneggiato i sistemi
naturali, che sostengono la vita. Tuttavia, durante l’ultimo decennio,
molte tra le aziende più attente hanno iniziato a scoprire opportunità per
risparmiare risorse e denaro, applicando tecnologie e pratiche commerciali
innovative che riducono l’impatto sull’ecosistema planetario. Di questo si
occupa Capitalismo naturale.La prossima rivoluzione industriale, il libro
di Paul Hawken, Amory Lovins e L. Hunter Lovins al quale è dedicato il
focus di Boiler. Un testo importante, indicativo della capacità di
penetrazione nell’economia della razionalità ecologica, che viene tradotto
in italiano proprio mentre alcuni capisaldi di questa cultura –
dall’ambientalismo scientifico al pensiero globale – sembrano mostrare
segnali di crisi. E alla vigilia del grande scontro sul Protocollo di Kyoto.

 
Le tecnologie al servizio del pianeta

di Umberto Colombo
presentazione del volume Capitalismo naturale di Paul Hawken, Amory Lovins
e L. Hunter Lovins (Edizioni Ambiente)
  


 HO CONOSCIUTO Amory Lovins nel 1975, quando eravamo entrambi impegnati
nello studio Waes (Workshop on Alternative Energy Strategies) condotto da
Carroll Wilson del Mit. Amory e io eravamo particolarmente interessati allo
studio e sviluppo delle energie rinnovabili e, più in generale, ai problemi
di interfaccia energia-ambiente. Per formazione e cultura, Amory e io
affrontavamo questi temi con un approccio scientifico e tecnologico,
evitando per quanto possibile posizioni ideologiche preconcette.

Da allora più volte abbiamo avuto occasione di incontrarci, scriverci,
discutere sulle problematiche dell’energia, delle risorse, dell’ambiente e
di come affrontare e gestire sia l’emergenza, sia come individuare le
soluzioni di lungo termine – lui che finiva per essere più attento alle
specifiche soluzioni concrete della casa, della produzione dei servizi, io
più coinvolto negli aspetti generali di natura politica, economica, sociale
– ma ambedue sempre ancorati alle soluzioni tecniche e alle prospettive
dell’innovazione. Questo portava Lovins a privilegiare i sistemi
decentrati, senza tuttavia ignorare i contributi di soluzioni
centralizzate, come ad esempio il nucleare, che egli respingeva sulla base
di discorsi ragionati, senza quell’atteggiamento negativo a priori
caratteristico dei movimenti ambientalisti più radicali.

Sviluppo sostenibile non è tornare al passato

Nel corso dei decenni la problematica di energia, risorse e ambiente si è
affinata e approfondita, coinvolgendo i temi del nuovo modello di sviluppo,
dello sviluppo sostenibile, del benessere per tutto il pianeta e quindi dei
rapporti Nord-Sud, ed è in questo quadro più ampio che si colloca il nuovo
libro Capitalismo naturale, che Amory Lovins ha scritto nel settembre 1999
con Paul Hawken e L. Hunter Lovins e che ora viene pubblicato in italiano.
Si tratta di un libro di grande interesse, che offre nuove idee e strumenti
per affrontare il difficile problema dello sviluppo, e nel quale traspare,
fin dalla prima pagina e dal titolo del primo capitolo (“La prossima
rivoluzione industriale”), l’imprinting culturale di Lovins e il privilegio
che ne consegue per un approccio tecno-scientifico piuttosto che
strettamente ideologico.
Non che Lovins e i suoi partner rinuncino a una scelta di campo; tale
indubbiamente è, ad esempio, il privilegio accordato al “piccolo e
decentrato” (l’esplosione delle imprese a gestione familiare, le piccole
comunità) e tale è pure l’assunto del ruolo giocato dal “capitale naturale”
riguardo al quale la critica al modo di procedere del capitalismo
convenzionale della società industriale, non è acida ma piuttosto di taglio
che potremmo chiamare educativo: anche per questo capitale – che si sta
progressivamente depauperando, ma che Lovins dimostra, con dati e analisi
precise, essere enorme e soprattutto essenziale per la società umana
diventata industriale – occorre che le soluzioni tecnologiche operino come
per i tradizionali capitali: quello immobilizzato negli investimenti,
quello rappresentato dalle risorse finanziarie, e quello – ancora più
importante – rappresentato dal capitale umano, che non solo vengono
sfruttati ma anche continuamente arricchiti.
Tutto il libro vuol dimostrare che sono concepibili soluzioni tecniche
valide – e che anzi molte esistono già e, più in generale, che il sistema
socio-economico-tecnico sta già operando in questa direzione – per
difendere e valorizzare il capitale naturale mediante uno straordinario
aumento della produttività delle risorse naturali (e non della loro
distruzione), la bio-imitazione, l’economia di flusso e di servizio (che
sostituisce quella di merce e acquisto), e gli investimenti in capitale
naturale così che la biosfera possa fornire maggiori quantità, qualità e
tipi differenziati di servizi e risorse. Si tratta di riprendere, in modo
più completo e, soprattutto, di offrire una metodologia che superi la
semplice petizione, il concetto di “Fattore Dieci” (cioè la riduzione del
novanta per cento dell’intensità energetica e di materiali) che è stato
accolto come obiettivo strategico dal World Business Council for
Sustainable Development e dallo United Nations Environment Program (Unep),
ma anche da imprese industriali come Dow Europe e Mitsubishi Electric, e il
più realistico concetto di “Fattore Quattro” (cioè la riduzione del 75 per
cento dell’intensità di energia e materiali) fatto proprio dai governi di
diversi paesi e scelto dall’Unione Europea come paradigma dello sviluppo
sostenibile.
Per Lovins la soluzione per uno sviluppo sostenibile non è il ritorno al
passato, ma l’avanzamento con il ricorso a più e nuova tecnologia che porti
a concezioni, strutture, organizzazioni più efficaci, una soluzione che
rappresenti piuttosto un passo avanti nella rivoluzione industriale che non
il suo rinnegamento. Lo sviluppo deve allora essere inteso come un
effettivo progresso rispetto a quanto l’uomo ha fatto in passato e sta
facendo, non come una rottura verso un futuro ancora del tutto ignoto e
pertanto rischioso. Così, parlando dell’automobile, che è per certi versi
il simbolo più “duro” della società industriale, Lovins afferma che «…la
maggiore industria del mondo, quella del trasporto su ruote, è già avviata
verso un miglioramento di produttività delle risorse pari a un Fattore
Quattro o superiore. Sta anche iniziando a trovare soluzioni per il ciclo
dei materiali, grazie all’impiego di materiali durevoli che possono essere
riutilizzati senza limiti nella produzione di nuovi veicoli e per ridurre
sensibilmente l’impatto sull’atmosfera, sul clima e su altri elementi
chiave del patrimonio naturale, grazie a un completo ripensamento del modo
in cui funzionano le auto».

Risparmiare e produrre meglio

Il libro affronta anche altre industrie, altre risorse, altri bisogni
mostrando come in ciascun caso esista un enorme spazio – perché sono
concepibili le tecnologie e le nuove forme d’organizzazione – per
risparmiare, produrre meglio, soddisfare appieno bisogni ed esigenze della
gente. Il sistema industriale va concepito come un sistema biologico con il
suo metabolismo, anche se oggi siamo assai lontani da questa situazione;
infatti «i sistemi viventi sono regolati da fattori limitanti quali le
stagioni, il clima, l’irraggiamento solare, le caratteristiche del suolo,
la temperatura, tutti fenomeni governati da processi di feedback, che in
natura operano in modo continuo. Quelli industriali ricevono, invece, i
loro feedback ignorando largamente le retroazioni ambientali». Mentre
esiste la conoscenza per operare bene e non sprecare, l’economia non potrà
essere una guida davvero affidabile fino a quando il capitale naturale non
verrà incluso nei bilanci delle aziende.
Se non si spreca, se si organizza il sistema produttivo in modo che
metabolizzi nel modo migliore il flusso delle risorse, se si contiene al
massimo questo flusso (e il libro esamina ovviamente i casi dell’energia e
dei materiali, i processi di riparazione e riciclo) allora c’è spazio per
“costruire il mondo” e per “costruire i quartieri”. Gli autori esaminano la
problematica del costruire rifacendosi non solo ai concetti generali, ma
illustrandoli con numerosi esempi specifici relativi a strutture, oggetti,
soluzioni. Tutto questo discorso su come costruire bene, ossia col minimo
di sprechi e di uso delle risorse, e con l’intelligente recupero di tutto
quanto viene alla fine scartato, non avrebbe senso se non ci fosse anche
un’analisi dei costi che, anch’essi, debbono essere minimi, naturalmente
tenendo conto anche di quelli relativi al capitale naturale. Oggi, con
valutazioni sistemiche, si può tener conto dell’integrale di tutti i costi
e dei benefici attesi quando si costruisce qualcosa, e questo già a partire
dalla fase di progettazione.
Amory Lovins e i suoi colleghi non si preoccupano soltanto delle tecnologie
per costruire bene, ma anche delle organizzazioni efficienti che riducono o
eliminano i “muda” ossia, con un termine giapponese, le azioni inutili. Se
si esaminano i processi industriali, quelli per costruire edifici, quelli
per commerciare e così via, è facile constatare che si perde una parte
assai consistente del tempo nell’attendere che capiti qualcosa, oppure che
si debbano correggere errori su quanto si è già fatto, oppure che si debba
ritirare merce invenduta o ripetere un servizio che è stato mal concepito,
oppure ancora che un servizio che dovrebbe essere integrato di fatto non lo
sia – come prendere un aereo per andare dal centro di una città a quello di
un’altra – per cui il tempo di volo risulta una modesta frazione di un
tempo lungo ed estenuante. Anche in tutti questi casi sono concepibili – e
in parte già esistono – interventi organizzativi che minimizzano gli
sprechi, alcuni dei quali sono ben descritti in questa opera.

Una strategia coerente per il futuro

Il libro considera tutte queste soluzioni, atte a realizzare un’economia
sostenibile mediante quella che gli autori chiamano “la prossima
rivoluzione industriale”, non solo fattibili e necessarie, ma capaci di
avvenire senza interventi dirigisti, perché sono intrinsecamente
convenienti, se si tien conto del “capitale naturale”. Ritornando al caso
dell’auto e di come la sua industria si stia trasformando, gli autori
affermano che «la ristrutturazione di un sistema così forte e consolidato
sta decollando non certo ad opera di regolamenti, aggravi fiscali o
incentivi, ma piuttosto grazie alle forze combinate dei progressi
tecnologici, delle richieste dei consumatori, della concorrenza e
dell’imprenditorialità». Credo che questo dovrebbe insegnare qualcosa anche
ai responsabili europei e italiani e a tutte le persone cui sta a cuore uno
sviluppo più attento ai problemi ambientali.
L’obiettivo di trasformare il sistema socio-economico-produttivo in un
sistema concettualmente – ma in parte anche fisicamente – biologico, se è
fattibile è però difficile, e il libro mette in rilievo le carenze che ci
sono state in passato, e che continuano in parte a persistere, dei
responsabili politici ed economici, del sistema educativo, di quello dei
media e dell’informazione e quindi anche dell’opinione pubblica: il
messaggio che si può desumere da questa opera è innanzitutto che, per
ottenere il risultato desiderato, sia fondamentale lavorare, sviluppare
conoscenze e tecnologie, usarle con intelligenza mediante organizzazioni
efficaci, ricorrere ad approcci sistemici in ogni attività, a partire da
quelle economiche che debbono tener conto di tutti i fattori che
intervengono, a monte, durante e a valle di ogni attività, e non limitarsi
a slogan o a interventi fiscali, comportamentali, regolamentativi, di
natura dimostrativa. Si tratta di una via seria, sulla quale, per talune
indicazioni specifiche, si può anche non concordare, ma che ha il pregio di
prestarsi a essere migliorata in corso d’opera.
La società umana non può tornare indietro, è destinata ad essere sempre più
complessa, ma anche più efficace, e per questo ha bisogno di scienza,
sapere, tecnologia, organizzazione per progredire e risolvere i problemi
che via via le si affacciano: oggi quello di convivere coi nostri simili e
con l’ambiente, rispettando valori e principi etici fondamentali. Ancora
una volta, come in tutte le sue opere a partire da Soft Energy Paths degli
anni Settanta, quest’ultima fatica di Amory Lovins ha centrato l’obiettivo
di indicarci una strategia coerente per il futuro.