Uranioimpoverito , un'altra causa allo Stato il giornasle di sardegna del 4\5\2005



Tribunale. L'ex caporal maggiore Fabio Porru era amico di Valery Melis. Come
lui è morto dopo le missioni nei Balcani

ELENA LAUDANTE

CONVALERY MELIS AVEVA in comune
un appuntamento
da un avvocato e uno con
la sorte. E oggi quello stesso avvocato
affronterà assieme ai genitori
di Valery il ministero della Difesa
all'udienza per il risarcimento
danni. Ma il legale Ariuccio Carta
citerà anche il dicastero per i danni
ad un altro militare consumato
dal linfoma di Hodgkin, Fabio
Porru.
Il caporal maggiore della Brigata
Sassari di Assemini scoprì il
suo male nel dicembre 2001 e
con il collega, malato dal '99, fissò
un incontro con l'ex sottosegretario
Carta per chiedere una
mano su quell'assurdo fenomeno
che stava dilagando tra i militari
di ritorno dalle missioni
nei Balcani. Non sapevano ancora
che a provocare il tumore al
sistema linfatico potrebbero essere
le particelle di uranio impoverito
sprigionato dai proiettili
sparati nel conflitto in Bosnia
e in Kosovo. O forse inMacedonia,
dove entrambi i ragazzi
avevano prestato servizio,
nell'ambito della missione di
peacekeeping della Kfor.
Fabio e i Balcani
Porru i Balcani li aveva girati tutti.
Nel '95, a 21 anni, mette la firma
come volontario per tre anni
di ferma e parte immediatamente
per la Bosnia. Da esploratore
pattugliava le zone a bordo
degli autoblindo e quando
chiamava la sua famiglia non si
lamentava, ma raccontava di
«tanta polvere da non poter respirare
e dei corvi», corvi funesti
che si aggiravano sulle tombe
scomposte. Dopo quattro mesi
di missione, viene impiegato al
152° Reggimento della Sassari,
dove si occupa degli automezzi
della Compagnia mortai. Sarà
in Kosovo nel '99 proprio da addetto
al controllo dei veicoli.
Dai Balcani ritorna a novembre
attraverso la Macedonia fino a
Salonicco per l'imbarco dei
mezzi verso Salerno. Pochi mesi
dopo torna nella provincia contesa
tra Serbia e Albania ma comincia
a perdere quel vigore
che l'aveva sempre caratterizzato.
«Non si fermava mai», ricorda
il padre Antonello. Ma è
costretto a fermarsi all'ospedale
militare della cittadina kosovara
di Pec, dove gli diagnosticano
una sospetta mialgia, ossia
uno strano dolore muscolare.
Ma quando torna a Sassari i
dolori non spariscono e un anno
dopo arriva la diagnosi definitiva:
linfoma di Hodgkin. Il 19
luglio 2003, un anno prima di
Valery Melis, muore a Cagliari.
L'esercito che ha servito gli ha
già riconosciuto la causa di servizio,
arrivata pochi giorni fa
anche per il maresciallo di Villamargiassa
Marco Diana. Come i
genitori di Valery anche i suoi
hanno deciso di fare causa alla
Difesa, affidandosi a quello
stesso legale che entrambi contattarono
ancora in vita.

Il padre:
«Ci raccontò
che mancavano
anche i bagni»
NON DIMENTICHINO i ragazzi
morti inmissione per la Patria
». Le parole di Antonello
Porru sono quelle dell'ennesimo padre
che ha perso il figlio per un tumore
contratto dopo le missioni di peacekeeping.
Ricorda che Fabio, morto
da caporal maggiore della Brigata
Sassari in servizio nei Balcani nel
2003, «era inarrestabile, pieno di
energie». Ma alla fine quel ragazzone
alto e sorridente era diventato «pallido
e sofferente, quando era ancora in
Kosovo». «Voleva iscriversi alla Facoltà
di Veterinaria ma un giornò tornò
a casa e mi disse: "Ho firmato nell'Esercito
per tre anni". Non avrei mai
immaginato cosa sarebbe successo».
Antonello Porru e sua moglie forse
non desiderano neanche giustizia,
un concetto troppo alto e retorico per
chi ha una famiglia mutilata. Ma
chiedono, come i genitori di Valery
Melis, che non si dimentichi. «Non ci
aspettiamo targhe sulle strade o medaglie
d'oro - continua - ma perché
mai nessuno ha fatto un solo minuto
di silenzio o lo ha ricordato anche per
un attimo?». Del figlio, oltre al naturale
amore, resta un cd che aveva registrato
con il gruppo della parrocchia,
utilizzando una delle dieci chitarre
della sua collezione. «Cantò e
suonò in uno splendido concerto alla
Chiesa del Carmine una canzone dei
Nomadi, ancora me la ricordo», racconta
Porru citando a memoria le
strofe di quel pezzo. Quasi gioioso
nella ripercorrere quei giorni di "gloria"
l'operaiodi Assemini cambia rapidamente
tono quando descrive
una foto del figlio su un autocarro,
scattata in missione. «Masticava un
limone: poimispiegò che lìnonavevano
neanche i bagni».


Il processo Melis

Al giudice civile Maria Sechi stamattina il legale
della famiglia Melis, Ariuccio Carta, porterà anche
lo studio della ricercatrice modenese Antonietta
Gatti che proverebbe la relazione di causa-effetto
tra l'esposizione alle aree contaminate
dall'uranio impoverito e i tumori all'apparato
linfatico. Nel faldone che servirà a motivare la
citazione del ministero della Difesa, anche le
informative riservate con le quali l'esercito Usa ha
informato del pericolo rappresentato dalle
polveri già negli anni '90. Secondo l'avvocato, sarà
il dicastero a dover provare di aver fatto tutto il
possibile per tutelare la salute dei suoi militari in
campo, in base alla responsabilità contrattuale.
Quegli uomini erano lì in base ad un mandato
preciso, e tanto basterebbe - secondo questo
principio - a rispondere dei danni provocati dalle
particolari condizioni del servizio. Oggi il giudice
potrebbe rimandare la deduzione della prova e
fissare un'altra udienza.