«Dietro la facciata del turismo, isola militarizzata»



 dalla nuova sardegna  pag  culturale del  4\11\2004



Gettiamo le basi», il lavoro oscuro ma prezioso del gruppo coordinato da
Mariella Cao
«La prima cosa da combattere è il senso della lotta persa, la rassegnazione
che non vede e non sente»

GIULIA CLARKSON


Aviano, provincia di Pordenone, dicembre 1997. All'ordine del giorno, al
convegno nazionale dal titolo «Gettiamo le basi», l'opposizione al piano di
ampliamento e potenziamento strategico della base aerea americana noto come
«Progetto Aviano 2000». Si parla di globalizzazione, del nuovo modello di
difesa, dell'impatto ambientale della militarizzazione, della presenza
militare americana in Italia. Infine si manifesta davanti ai cancelli della
base di Aviano. Partecipano antimilitaristi, pacifisti ed ecologisti
provenienti da tutta Italia. Sardegna compresa. Potevano mancare gli
attivisti della regione più militarizzata d'Italia, con i suoi 24.000 ettari
di terra destinati al demanio militare?
 Nasce allora il comitato sardo Gettiamo le basi, coordinato da Mariella
Cao, in pensione dopo quindici anni di insegnamento a Villaputzu. «Si decise
di partecipare al convegno con un documento. Ci si sforzò da subito di
essere concreti e non teorici», racconta l'anima e la divulgatrice di questo
gruppo il cui intento è quello di bandire le basi militari dall'isola - e
dal suo mare, la cui superficie militarizzata è grande quanto cinque volte
la Sardegna intera - risvegliando le coscienze, promovendo la nascita di
altri comitati, associazioni, movimenti, ed esercitando ogni forma possibile
di mobilitazione democratica e di pressione politica.
 Il lavoro è tanto, ma i risultati si vedono, eccome. «Abbiamo fatto
cambiare un clima, dal 1997 ad oggi. Dopo il referendum contro la base della
Maddalena dalla fine degli anni ottanta, nel quale si mobilitarono anche le
grandi forze politiche che oggi restano in disparte, la rassegnazione tra la
gente era totale. Alle ultime elezioni il tema delle basi è stato invece di
nuovo a dir poco scottante».
 I membri di Gettiamo le basi raccolgono prove e dati, fanno indagini e
insinuano dubbi. Attività di ricerca dunque, di elaborazione di documenti,
approfondimento e verifica. Per quanto, trattandosi di questioni militari,
sia possibile. Ma la loro è anche attività di pressione politica che arriva
ai massimi gradi dell'ordinamento. «Lavoro da zanzare», lo chiama Mariella
Cao. «Diciamo solo quello che tutti hanno sempre sospettato, lo diciamo
pubblicamente e pretendiamo risposte. Lottiamo contro l'abitudine a pensare
che i missili sulla spiaggia, gli incendi sul mare, i boati e le polveri sui
balconi siano cose normali. La prima cosa da combattere è il senso della
lotta persa e perdente, quel tipico "non ci possiamo fare niente", la
rassegnazione che non vede e non sente. Dopo anni di silenzio la gente, la
stampa, le istituzioni iniziano a reagire».
 Se l'iniziativa del referendum consultivo regionale contro le basi militari
straniere in Sardegna - promosso dal comitato «Firma po' firmai sa bomba» di
cui facevano parte, oltre a Gettiamo le basi, associazioni antimilitariste e
ambientaliste, tra cui Gallura no scorie, Rete Lilliput, Wwf, e partiti come
Sardigna Natzione e Verdi - è forse il momento che maggiormente ha diffuso
la conoscenza di questi gruppi tra la gente, ci sono una molteplicità di
altre iniziative che meritano di essere ricordate, a cominciare dal ricorso,
curato dal professore Paolo Fois e dagli avvocati Carlo Dore e Tiziana
Meloni, che sarà presentato in questi giorni contro la decisione dell'
Ufficio Regionale del Referendum che ne ha dichiarato l'inammissibilità.
 Tra gli atti recenti di Gettiamo le basi c'è un documento in cui si esorta
il presidente della Giunta regionale a riaprire il procedimento sulle
migliorie della base della Us Navy a Santo Stefano, essendo intervenuta una
modifica che non è passata per il Comipa (il comitato misto, rappresentante
delle forze armate e delle componenti regionali, il cui fine è quello di
armonizzare gli interessi dei militari con quelli della popolazione civile).
E ancora, la richiesta avanzata al presidente Renato Soru perché lo stesso
Comipa venga messo a conoscenza anche degli accordi segreti, come ammette la
legge.
 Un vigile lavorio di pressione politica, dunque. Ma non solo. A volte l'
attività di Gettiamo le basi si trasforma in indagini porta a porta, che
richiedono tatto e discrezione, specie quando si ha a che fare con famiglie
lacerate da morti o malattie. Quirra, per esempio. «Un buco nero - dice
Mariella Cao - non se ne sapeva assolutamente niente. Abbiamo bussato casa
dopo casa, anche grazie alla consapevolezza e al coraggio del medico di base
e dell'ex sindaco, anch'egli medico, Antonio Pili, silurato poi dai suoi
stessi amici forzisti con l'accusa di procurare inutili allarmismi, di voler
distruggere il buon nome del paese».
 A Cagliari l'attenzione si è concentrata sull'oleodotto «supersegreto» che
collega il deposito sotto Monte Urpinu con il molo di levante e con la base
aerea di Decimo, mentre una bretella arriva ad Elmas. Durante i lavori di
costruzione dell'asse mediano l'occasione era troppo ghiotta per non
approfittare e verificare il circuito dell'oleodotto di cui pare non sia
informata neppure la protezione civile. Non solo. Il deposito, si è
scoperto, opera dal 1995 in maniera abusiva. Che è pericoloso lo ammettono
da sempre le forze armate e pure la Regione. Tutti concordano: andrebbe
spostato, ma chi lo fa? Ovvero, chi paga? E per restare nel capoluogo:
«Abbiamo scoperto che il porto di Cagliari è uno dei dodici porti d'Italia a
rischio nucleare». Significa che vi stazionano sommergibili nucleari i
quali, anche se non entrano nel porto, stanno in rada, tra la città e il
molo dello Saras. «Il prefetto credeva di rassicurarci, dicendo ciò. Ma
oltre ad avere confermato il nostro dubbio, non ci ha spiegato ancora come
si intenderebbe fermare le radiazioni, nel caso di un incidente. O quali
siano i piani di protezione civile che per legge devono essere resi
pubblici».
 Granello dopo granello, specie dopo lo scandalo dell'uranio impoverito e la
lotta contro le scorie, il formicaio continua ad allargarsi. E mente il
poeta Alberto Masala ha lanciato nel mondo un appello di solidarietà ai
pescatori di Teulada, La Maddalena e Villaputzu vedono nascere i primi
comitati e associazioni di difesa.


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