Torino. Briganti senzapatria alla “festa” dei 150 anni



Torino. Briganti senzapatria alla “festa” dei 150 anni

Torino 17 marzo 2011. Un’orgia di tricolori e retorica in tutto il centro
cittadino. In piazza Vittorio tra cioccolata e bandiere la folla era fitta
fitta.
Non potevano mancare i senzapatria, i nemici di ogni frontiera, gli
inguaribili antimilitaristi che sanno che guerra e nazionalismo vanno
sempre a braccetto.

Samba band, briganti scortati da due guardie sabaude, uno striscione
esplicito “contro tutte le patrie, per un mondo senza frontiere” e un
angolo di piazza Vittorio cambia di segno.
La gente si affolla curiosa e poco a poco comprende che si suona un’altra
musica, estranea alle celebrazioni dei 150 anni dello Stato italiano.
I contadini in catene condannati alla deportazione al forte di Fenestrelle
messi in scena sulla grande piazza Vittorio hanno rievocato la vicenda
della gente del meridione, dei braccianti senza terra che accolsero
Garibaldi come un liberatore per scoprire presto che era “una bestemmia
‘sta libertà”, che tutto cambiava perché tutto restasse come prima. La
rivolta che ne seguì venne soffocata in un bagno di sangue. I ribelli
vennero chiamati briganti.
Il monologo di Salvatore sull’inno di Mameli e qualche intervento hanno
rimesso al centro le ragioni dell’internazionalismo contro grandi e
piccole patrie.
Tanti – anche tra quelli venuti lì con coccarde e bandiere - hanno
plaudito, letto con interesse i volantini, fatto domande, fermandosi a
lungo. Interessanti crepe in una giornata all’insegna di una becera
retorica nazionalista che si è per qualche momento incrinata.
Poi i senzapatria si sono messi in cammino, attraverso una via Po
pedonalizzata per la festa. La gente osservava, qualcuno applaudiva, altri
scotevano la testa, nessuno era ostile. In piazza Castello, altra sosta
per interventi, performance e samba. Dopo quasi tre ore di libero
scorazzare per il centro la polizia si è accorta del fuori programma,
schierando tardivamente la celere. Ma la giornata ormai volgeva al
termine. Un ultimo giro per la piazza e poi via.

Qui trovi qualche foto della giornata:
http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157626296436006/show/

Di seguito il volantino distribuito ai passanti.
Senzapatria senza frontiere
I tricolori addobbano a festa Torino per i 150 anni di unità d’Italia.
Forse non tutti sanno che in nome di questa bandiera le truppe savoiarde
consumarono un’atroce repressione nei confronti dei contadini ribelli del
sud. Tanti di loro avevano accolto speranzosi quella bandiera caricandola
di significati quali libertà e giustizia sociale per poi scoprirne
l’inganno. La loro rivolta contro tasse, coscrizione obbligatoria  e
razzismo venne repressa in un bagno di sangue, i morti furono diverse
migliaia. Il retaggio di quell’epoca pesa ancora sulle spalle di un sud
che oggi è diventato pattumiera d’Europa.
I nazionalisti di ogni dove fanno festa con divise e vessilli: cambiano
fogge e colori, ma la musica è sempre la stessa. Quella delle marcette che
accompagnano gli assassini di professione. I soldati fanno le guerre,
ammazzano, incendiano, distruggono, stuprano. Le bandiere fanno sembrare
belli e sacri i massacri.
Quanti uomini, donne e bambini sono morti per spostare un confine, per
piazzare un po’ più in là una bandiera, perché uno Stato diventasse più
grande?
La nazione, la patria, la bandiera sono le favole tristi che gli Stati
raccontano quando mandano qualcuno ad ammazzare e a morire. Magari per la
pace. O l’umanità.
Sono passati 100 anni dalla conquista della Libia: negli anni Trenta le
truppe italiane massacrarono centomila libici (su ottocentomila abitanti)
in nome della grandezza e dell’impero. Oggi si fa la guerra e la si chiama
pace. Come in Somalia, Bosnia, Serbia, Kosovo, Iraq e Afganistan, dove un
paio di settimane fa i militari hanno ammazzato dei bambini colpevoli di
raccogliere della legna.

Seicentomila contadini ed operai del nord e del sud morirono per spostare
più ad est i confini del regno nella Grande Guerra, ma questo non ha
cambiato la condizione di sfruttati e sfruttatori. Cosa ne hanno
guadagnato i poveracci di Trento, Trieste, Gorizia? Forse i padroni sono
diventati meno padroni, c’è stata distribuzione delle ricchezze, giustizia
sociale? Nulla cambia ogni volta che si sposta una frontiera. Ma i
tricolori garriscono spavaldi sulle tombe di chi è morto senza un perché.

L’Italia si è fatta – e si continua a fare – con il sangue degli
“italiani”. Con il sangue della povera gente. La povera gente ha la stessa
faccia in ogni dove, perché ovunque – qualunque sia la bandiera, i padroni
lucrano sulle nostre vite, rubandocele pezzo a pezzo. Chi vuole un mondo
diverso, senza sfruttati né sfruttatori, non vuole frontiere, stati,
bandiere, eserciti.

La piccola patria leghista non è diversa dalla grande patria tricolore. Il
nazionalismo è sempre razzista, oggi come ieri, nega le differenze,
inventa identità fittizie ed erige barriere tra “noi” e gli “altri”. È
attraversando le barriere della Fortezza Europa che i poveri di tutto il
mondo diventano clandestini, senza dignità né libertà, da rinchiudere nei
moderni lager della democrazia: i C.I.E. -centri di identificazione ed
espulsione-.
A 150 anni dalla conquista sabauda del sud il tricolore sventola sui
C.I.E, che portano una firma: Giorgio Napolitano.

Briganti senza frontiere