Re: Eluana, il Consiglio superiore di Sanità: «È eutanasia».



Finalmente una spiegazione onesta da una persona onesta, che fa onore al codice deontologico, e in particolare all'art. 5, della categoria a cui appartiene. La dichiarazione del Prof. Cuccurullo restituisce un pò di dignità alla medicina che ultimamente, anche grazie a numerosi esempi di conflitti d'interesse soprattutto in campo di sanità ambientale (valgano per tutte le scandalose afferemazioni di Veronesi in contrasto con ogni principio di precauzione, ma in linea con i suoi finanziatori e con le aziende di sua proprietà o di suo azionariato).

Grazie, Professore, a nome di tutti noi che ancora crediamo alla necessità di restaurare un'etica diversa da quella dettata dall'avidità di denaro e di potere a costo anche della vita, di tante vite, in ogni campo. Grazie per pronunciato un suo no ad immolare un'altra vittima sull'ara del demone prestigio.

Saverio

Il giorno 20 novembre 2008 19.30, Scienza per l'Uomo <scienzaperluomo at yahoo.it> ha scritto:
«Morirà per eutanasia Non della sua malattia»
 Cuccurullo: siamo di fronte a una pericolosa deriva


 DA MILANO
ENRICO NEGROTTI
 « E
luana non muore della patologia da cui è affetta, muore di fame e di se­te. Anzi viene fatta morire, quindi si tratta di eutanasia». Il professor Franco Cuccu­rullo, rettore dell'Università di Chieti e presi­dente del Consiglio superiore di sanità, è do­cente di Medicina interna e non condivide af­fatto – pur rispettandola – la serie di decisioni della magistratura che stanno portando Eluana a morire. «Parlando da medico, mi resta grande perplessità e rammarico – aggiunge –. Penso che si apra una deriva pericolosa per le persone in­capaci ».
 Professor Cuccurullo, lei ha dichiarato che l'a­dempimento delle sentenze della magistratu­ra nel caso di Eluana Englaro configurerebbe un caso di eutanasia. Perché?

 Si tratta di eutanasia perché la morte di Eluana sarebbe causata dalla sospensione di idratazio­ne e alimentazione, non dalla patologia di base dalla quale è affetta. Vede, io faccio due esem­pi: un paziente cui si interrompe un trattamen­to terapeutico o quello cui si toglie il sostegno alle funzioni vitali. Il primo caso è per esempio una persona affetta da una malattia tumorale al­lo stadio terminale. Io posso interrompere una chemioterapia che sottopone il paziente a ulte­riori sofferenze senza migliorarne le condizio­ni. In questo caso la morte che sopraggiunge è una conseguenza diretta della malattia da cui è affetto il paziente. Viceversa – è il secondo caso – se a un paziente io sospendo l'idratazione e l'a­limentazione non muore per la sua malattia, ma muore di sete e di fame. Non è la malattia che lo fa morire, il de­cesso
non è conse­guenza diretta della patologia che lo af­fligge. Muore per di­sidratazione.
 Ma qualcuno so­stiene che essendo atti medici sono a­naloghi. Non è vero?

 Torniamo al primo caso. Se sospendo un trattamento che­mioterapico a un paziente terminale di cancro che può dare solo disturbi, poi in presenza del­la
comparsa di dolori, cercherò di alleviare le sofferenze, userò farmaci antidolorifici. In altre parole, metterò in atto un trattamento palliati­vo che non risolve la patologia ma lenisce il sin­tomo. Ma se a quello stesso paziente, alleviato il dolore, tolgo l'acqua, subirà la sofferenza da disidratazione. E se per risolvere il sintomo do­lore, io somministravo un antidolorifico, per ri­solvere i disturbi da disidratazione, la soluzio­ne non è l'antidolorifico. Proviamo a immagi­nare una persona dispersa nel deserto, che vie­ne ritrovato disidratato: per lenirgli le sofferen­ze gli somministriamo antidolorifici? No, gli diamo acqua.
 Viene anche sostenuto che è ormai opportuno far riprendere il suo corso alla malattia, che è stata come bloccata dai medici quasi 17 anni fa. Non è così?

 Non è così. Eluana Englaro non morirebbe del­la sua malattia, che è in uno stato stabile. C'è u­na forte spinta vitale in quell'organismo: per fer­marla occorre sospendere idratazione e ali­mentazione. Cosa c'è di diverso dall'eutanasia, o dall'omicidio? Ruotiamo intorno a questi con­cetti, è difficile discriminare. Diverso era il caso di Piergiorgio Welby. La ventilazione meccani­ca era la terapia indispensabile alla sostenerlo nella sua malattia, che colpendo i muscoli ren­deva impossibile anche la respirazione. La so­spensione del funzionamento della macchina portava il paziente a morire della sua malattia.

 Qualcuno sostiene anche che Eluana non sof­frirebbe, perché la corteccia è totalmente com­promessa. Però nel decreto della Corte d'Ap­pello di Milano si prevede un accompagna­mento alla morte che fa uso di sedativi e an­tiepilettici. Che cosa significa?

 Siamo di fronte a grandi contraddizioni: pove­ra figlia, non è una vita che si spegne, ma che vie­ne spenta. Io non conosco le condizioni clini­che specifiche, e quindi non mi posso pronun­ciare oltre un certo limite. Posso dire che esi­stono test specifici per stabilire se un paziente avverte il dolore. In questo caso credo che la morte sopravvenga per una insufficienza rena­le legata alla disidratazione progressiva. E fino­ra questa non è la sua patologia. Ho grande per­plessità e rammarico di fronte a queste senten­ze: penso che si apra una deriva pericolosa per le persone incapaci.

 «Se a un malato di cancro che sta morendo tolgo la chemioterapia, offro comunque un trattamento palliativo, e non penso certo di smettere l'idratazione»