Disabili: «Ecco tutto ciò che non fanno per noi»



Disabili: «Ecco tutto ciò che non fanno per noi»

di antonella Mariani

Francesco oggi ha 17 anni e mezzo, non vede bene, non tiene su la testa, cammina a stento e sorreggendosi a qualcuno e non sopporta i rumori forti; la diagnosi per lui è "tetraparesi spastica associata a epilessia generalizzata". La prossima udienza del processo di appello della causa legale intentata dai genitori per accertare se ci sono state negligenze durante e dopo la nascita è stata fissata per il 2011. Francesco allora avrà quasi 22 anni, i genitori avranno superato i 50 e dovranno, allora come ogni giorno dalla sua nascita, assisterlo 24 ore al giorno. La famiglia ruota intorno a Francesco, ai suoi bisogni, alle sue necessità di essere stimolato di continuo di giorno e sorvegliato anche di notte, per cogliere il segno di eventuali crisi respiratorie.

Una "normale" storia di famiglia con un figlio gravemente disabile, di quelle che Dario Petri, fondatore e presidente dell’Associazione Bambini Cerebrolesi, ha raccolto negli ultimi 15 anni tra le centinaia di famiglie che da ogni parte d’Italia si uniscono ai suoi sforzi per ottenere attenzione dallo Stato. La storia di Francesco è comune a tutti i bambini dell’Abc e dei loro genitori: terapie motorie efficaci ma costosissime inseguite all’estero e parzialmente rimborsate dal Sistema sanitario nazionale solo a prezzo di una durissima battaglia legale. Finanziamenti per progetti personalizzati di riabilitazione promessi dalle Regioni e mai arrivati a destinazione. Pensione di invalidità che non basterebbero neppure a pagare un fisioterapista poche ore alla settimana (540 euro al mese, 700 alla maggiore età).

E poi un tempo di cura "concesso" dal lavoro del tutto inadeguato, due anni di congedo parentale alla nascita e i permessi orari, mentre l’anticipo dell’età pensionabile è al momento allo stato di proposta di legge, come riferiamo in questa pagina. Rivendicazioni esposte con tono pacato ma fermo in un documento dell’Abc intitolato "Cosa non fanno per noi Stato, Regioni, Asl, Comuni....", con una lista impressionante di inadempienze, dalle spese mediche non riconosciute e quindi né deducibili dall’imponibile né rimborsabili dalle Asl, a una integrazione scolastica deficitaria, fino a un "dopo di noi" che garantisce, quando va bene, «un posto ogni mille fruitori».
Dario Petri e gli altri responsabili lottano per ciascuna famiglia che si è unita nell’Associazione Bambini Cerebrolesi, fondata, 15 anni fa, quando, insieme ad altri genitori, si trovava alle prese con la riabilitazione di suo figlio Davide e dovette intraprendere un durissimo contenzioso con il Sistema sanitario nazionale per vedersi riconosciute le spese di un programma effettuato a Philadelphia, negli Stati Uniti. «È un metodo intensivo, faticosissimo – spiega Dario Petri, che vive a Bassano del Grappa, scartabellando i dossier che raccolgono la corrispondenza avuta in quegli anni con la Regione Veneto –, ma che metteva al centro il rapporto tra il bambino e la famiglia, che veniva coinvolta totalmente nel processo di riabilitazione del figlio. Nel 1999, dopo anni di battaglie a livello politico e decine di ricorsi ai Tar, abbiamo ottenuto nella Regione Veneto una legge specifica (la 6 del 1999) che riconosce alle famiglie che intraprendono questo percorso un rimborso parziale ma significativo».

Oggi Abc ha sette sedi in Italia, un migliaio di famiglie associate, è membro del Forum delle associazioni familiari ed è in prima linea per affermare il diritto della famiglia dei bambini disabili a instaurare un rapporto di collaborazione alla pari con le istituzioni. Il che vuol dire, ad esempio, scegliere i percorsi riabilitativi di comune accordo tra genitori e servizi socio-sanitari. «Ai nostri figli – racconta Petri – vengono proposte un paio d’ore di riabilitazione alla settimana. Ma non domiciliare: dovremmo portarli noi in un centro in giorni e ore prestabiliti. E questo, nelle condizioni in cui si trovano, è molto difficile. Oltre a ciò, spesso gli operatori non sono in grado di valutare la capacità e le potenzialità del bambino. le attività proposte sono del tuto inutili, se non dannose. No, l’unico modo per aiutare davvero i disabili gravissimi come i nostri figli è valorizzare la famiglia». È quanto stabilisce la legge 162 del 1998, che prevede finanziamenti per progetti individuali: ma la scarsità dei fondi a disposizione, la dispersione in mille rivoli e le lungaggini burocratiche spesso vanificano gli sforzi profusi dalle famiglie. È quanto accaduto allo stesso Petri: «. Due anni fa avevamo presentato un progetto per Davide, che comprendeva l’utilizzo di ausili per la visione, musicoterapia e altro. Dopo diversi incontri avevamo ricevuto il via libera dalla Regione Veneto, che ci assicurò un finanziamento di 5 mila euro. Abbiamo avuto un colloquio con la Asl, poi passarono sei mesi e poi un altro colloquio con lo specialista che avrebbe dovuto effettuare l’intervento con Davide. Poi più nulla. Ci siamo sentiti presi in giro. Ora chiediamo: che fine hanno fatto i soldi che erano stati assegnati a Davide? Dove sono stati dirottati? Ce li ha ancora la Asl?».

Dario Petri e gli altri associati dell’Abc non sono abituati a rassegnarsi e continuano a denunciare queste situazioni. Ecco perché, in un’altra lettera aperta, l’Abc definisce quello per i propri figli disabili «un amore impegnativo». Impegnativo non solo in termini economici, ma soprattutto di fatica, di isolamento, di sensazione di impotenza e di abbandono. In tre parole: un lavoro usurante.