articolo su referendum



Liberazione 17 giugno 2005

Il sacro e la piazza

                                               (di Imma Barbarossa)


Sarà difficile per le forze politiche di sinistra mettere tra parentesi il
risultato del recente referendum. Non solo per le ricadute grezzamente
politiche sulla coalizione di centrosinistra, con lo sconquasso della
Margherita, la posizione di Rutelli arruolato tra i laici clericali e i
teocons, lo sconcerto tra i prodiani e le inevitabili ricadute sulla
posizione dei DS, etc. etc. Sarà difficile soprattutto non riconoscere la
vittoria politica, anche se pragmaticamente politica, del duo
Ruini-Ratzinger e delle gerarchie vaticane che sono riuscite a compattare
le associazioni cattoliche più importanti CISL compresa.
Infatti, se è vero - come sostengono alcuni commentatori illuminati - che
la vittoria della Chiesa cattolica è una vittoria "temporale" di una Chiesa
secolarizzata che, superato il crollo della DC come partito dei cattolici,
si presenta essa medesima come il partito dei cattolici senza mediazioni, è
anche vero che essa si è presa l'appalto di valori etici e di norme di
comportamento (gliel'abbiamo concesso?). Un vero centro di potere la cui
forza 'sovrapolitica' unificante delle coscienze è stata preparata dalla
potenza massmediatica di Giovanni Paolo II e dalla messa in scena della sua
lunga e dolorosa agonia, assorbita in diretta da masse in preghiera, e ha
trovato il suo culmine nella elezione di un Papa davvero occidentale.
Il sacro si è immediatamente tradotto nel credo cattolico,
spettacolarizzato e presentato come valore unico e intoccabile, cemento
superiore di una umanità confusa e atomizzata, bisognosa di forme grandiose
di autoidentificazione. Il sacro non è in ciascuno di noi, il sacro è in
piazza. Il sacro è la piazza. In una piazza così fatta trionfa il pensiero
unico, dove la differenza diventa dissenso, la laicità viene stigmatizzata
come laicismo di cui vergognarsi, elemento di antiquariato che deve
lasciare il passo ad uno spirito laico compatibile, anzi riconoscente verso
il magistero cattolico che ci dà valori. Il sacro non si presenta con il
suo vero volto di proiezione dell'ansia di eternizzazione di un patriarcato
che tende ad inglobare la differenza politica femminile in una
femminilizzazione 'disponibile'; anzi il sacro a volte si presenta
camuffato da antiliberismo, da antimodernizzazione e da difesa della
femminilità, quella vera. La Chiesa cattolica oggi opera a due livelli, da
una parte come una sorta di sindacato (richiesta di tutela degli insegnati
di religione cattolica, leggi regionali sulla famiglia e sui sacerdoti
negli ospedali, soldi per le scuole private e per gli oratorî annessi alle
parrocchie etc.), dall'altra parte si presenta come forza di coesione
sociale superparte.
Che fare?
Occorre lucidamente evitare di considerare l'esito refendario un incidente
di percorso sulla strada vittoriosa del centrosinistra alle prossime
elezioni politiche. Il referendum, a mio avviso, ci costringe a
riparametrare l'analisi della società italiana, in particolare di un
Mezzogiorno che abbiamo forse un po' troppo mitizzato. Il Sud - dice Nichi
Vendola (Manifesto del 15 giugno) - ha percepito il dibattito sul
referendum come "il riverbero di una contesa tra gli stati maggiori degli
schieramenti politici, interna al ceto del palazzo". Forse è vero, ma
quello che dobbiamo chiederci è perché noi antiliberisti/e ma laici/laiche
(credenti o no) non ci poniamo il problema di concorrere a costruire un
progetto di etica civile che faccia delle nostre comunità o organizzazioni
politiche non stati maggiori ma - arendtianamente - spazi pubblici di
confronto, luoghi della politica? Non sarebbe questo un progetto di "vita
activa" (ancora H. Arendt)?
Il successo della "vigliacca" campagna astensionista di Ruini, in
particolare nel Sud, non è forse la spia dello stigma dell'antipolitica,
per cui - come dice Rina Gagliardi (Liberazione del 15 giugno) - "la
società italiana (io aggiungo, in particolare il Sud) può virare a
sinistra, nel voto politico, nel desiderio di liberarsi di Berlusconi, ma
in troppi suoi luoghi si è "desertificata" in quanto a valori e presenza
della sinistra"? Io penso di si, come pure penso che, se è vero (io spero)
che le recenti elezioni regionali hanno segnato la fine del berlusconismo,
è anche vero che questo referendum, per come si sono collocate le forze
"avversarie", getta una luce ambigua sui limiti di un cambiamento che non è
trasformazione sociale e culturale, dunque politica. Una politica che,
appunto, senza etica (un'altra etica possibile) non vive, diventa
politicismo, alternanza di ceti politici, gestione dell'esistente, infine
delega.
Che c'è, insomma, tra la piazza entusiasta e commossa e il suo, i suoi
leader? Ci può andar bene una sorta di affidamento salvifico? Una
partecipazione vissuta come delega liberatoria? Quanto siamo riusciti nel
Sud, noi Rifondazione, a vivere i movimenti come soggettività in movimento
piuttosto che come masse in movimento? Quanto nei movimenti meridionali
siamo riusciti a costruire una idea complessiva di alternatività, uno
spazio pubblico di confronto, un'etica civile laica e antiliberista che si
faccia parte attiva anche nell'affermazione dell'autodeterminazione delle
donne fuori dalla cappa della sacralità degli embrioni e dell'onnipotenza
della biogenetica?
Giacché di questo si è trattato, almeno per come molte di noi hanno
condotto la campagna referendaria, nella quale sin dall'inizio abbiamo
messo in evidenza la libertà femminile come autodeterminazione e insieme
responsabilità, fuori dai rischi apocalittici di quello scientismo di cui
parlano con preoccupazione Marcello Cini (Manifesto del 15 giugno) e
Claudio Magris (Corsera del 15 giugno).
Abbiamo sempre lucidamente temuto i rischi della invasività della scienza o
dell'affidamento all'"ultima scoperta", ma abbiamo fiducia nelle scelte
responsabili delle donne piuttosto che nei divieti del patriarcato vaticano
e di maggioranze parlamentari compiacenti.
A un'autorità religiosa che chiede potere sulle anime attraverso leggi
dello stato non possiamo appaltare il sacro. Questo tipo di sacro sarebbe
onnivoro, punta a prenderci l'anima, come Mefistofele con Faust. Ma noi,
che non vogliamo l'eterna giovinezza come Faust, noi che abbiamo il senso
del limite, possiamo dire di no a Mefistofele. Diciamolo da subito. Da ora.





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