Maurizio Blondet: quel video del Pentagono



Maurizio Blondet  17/05/2006
 
Il Pentagono dopo il crollo del muro esterno
 
 
Diversi lettori mi chiedono cosa penso del nuovo video rilasciato dal Pentagono
su quegli attimi dell’11 settembre.
Rovescerei la domanda: cari lettori, vi ha convinto il nuovo video?
Cosa avete visto?
C’è lì un Boeing che si avventa contro il muro del ministero?
Io non ho visto nulla.
Cerchiamo di visualizzare: un Boeing che fosse semplicemente posato sul prato, con il muso toccherebbe già il secondo piano.
Invece la cosa dell’11 settembre aprì un foro tondo a pianterreno.
La cosa stupefacente è che il video, presentato come nuovo, non è nuovo affatto.
Si tratta di un paio di fotogrammi in più della solita telecamera di sorveglianza della vicina stazione di benzina.
Numerosi altri nastri, di numerose altre telecamere, fra cui quelli di un vicino albergo, furono immediatamente sequestrati dall’FBI e mai rivelati. 
Perché il rilascio dei fotogrammi nuovi quattro anni dopo?
La scusa ufficiale: si è aspettato che finisse il processo a Zacharias Moussaoui, il «ventesimo pilota», è ridicola.

Moussaoui non partecipò all’attentato perché era detenuto in USA da agosto.
Non c’è nulla in quelle immagini che potesse influenzare il processso.
D’altra parte, se ora è finito il processo, perchè non rilasciare gli altri video più chiari?
Le riprese delle Twin Tower colpite dagli aerei le abbiamo viste decine di volte.
Quelle del Pentagono, mai.
Le stesse immagini dalla pompa di benzina furono rilasciate solo dopo che era uscito il libro di Thierry Meyssan, «L’effroyable imposture», allo scopo evidente di smentirlo.
Fu il Pentagono a rilasciarle: erano immagini di pessima qualità, estremamente compresse, come per far sparire la maggior parte dei dettagli.
Le nuove immagini sono ugualmente di pessima qualità.
Il «nuovo» video è stato emesso da Fox News e immediatamente ripreso da tutte le TV ufficiose del mondo, come accade per una operazione concertata ed organizzata.
La fonte primaria, notoriamente uno strumento dei neocon, fa subito sospettare una manipolazione. La fiducia di questi signori è riposta nella stupidità e nella memoria corta dei più: ora gli stupidi diranno che «hanno visto» il nuovo video, e non avranno dubbi.
O forse, è solo l’inizio di un’operazione psicologica intesa a suscitare un dibattito sul nulla, per poi screditare le ipotesi serie sull’11 settembre, magari rendendo pubbliche nuove immagini.

In questo senso, la fissazione esclusiva e complottista sul «mistero del Pentagono», dovuta a Thierry Meyssan, rischia per lo meno di far perdere di vista il quadro completo degli eventi. Inutile discutere se sul Pentagono si è abbattuto un enorme Boeing (di cui non c’è traccia sul prato) oppure un missile, o un drone.
Inutile, finchè gli indizi e le prove sono tutti in mano alla parte che ha interesse a disinformare, ed a confermare la versione ufficiale. Altre domande questa parte lascia senza risposta.
Ad esempio, ci sono video dei telegiornali che mostrano Donald Rumsfeld, in maniche di camicia, che dà una mano a trasportare barelle di feriti: bella immagine per la pubblicità.
Ma come mai il ministro era così sicuro che non ci sarebbero stati altri attacchi?
Dopotutto, c’era ancora in volo un quarto aereo, quello finito in Pennsylvania.
Rumsfeld non doveva essere sul prato, ma al sicuro in qualche bunker sotterraneo.
Era già stato abbastanza fortunato, per così dire, visto che il suo ufficio, guarda caso, si trova dalla parte esattamente opposta a quella colpita.
Non stava sfidando un po’ troppo la fortuna?
Perché era così tranquillo circa la propria incolumità?
Altra domanda.

Il settimanale Newsweek scrisse nel 2002, citando «un’alta fonte della marina militare», che almeno tre dei presunti dirottatori erano stati addestrati nella Naval Air Station di Pensacola, la base della US Navy dove si addestrano i piloti delle portaerei (1).
I dirottatori avevano infatti patenti di guida e registrazioni delle auto che davano come indirizzo la base di Pensacola.
Un quarto dirottatore risulta aver seguito i corsi di strategie e tattica dell’Air War College di Montgomery, Alabama.
Un quinto, aveva seguito un corso d’inglese alla Lackland Air Force Base di San Antonio, Texas. Tutti piloti militari sauditi, secondo la fonte.
Su questa notizia non è mai stata fatta chiarezza.
Alla fine, l’FBI ha detto di non poter essere sicura di quelle identità, né delle identità di tutti gli altri.

Maurizio Blondet