[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 117



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 117 del 27 aprile 2023

In questo numero:
1. Pasquale Pugliese: La liberazione si chiama disarmo, la resistenza si chiama nonviolenza. Oggi più che mai
2. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa?
3. Giobbe Santabarbara: Breve una lettera alle persone amiche - e ad altre ancora - per chiedere loro una cosa
4. Amnesty International: Urge clemency for native american activist
5. Scriviamo all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere che cessino persecuzioni ed uccisioni
6. Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane
7. Alcuni riferimenti utili
8. Tre tesi
9. Ripetiamo ancora una volta...
10. Francesco Moratelli: Bodil Katharine Biorn
11. "Gariwo": Anna Hedvig Buell
12. "Gariwo": Karen Jeppe

1. L'ORA. PASQUALE PUGLIESE: LA LIBERAZIONE SI CHIAMA DISARMO, LA RESISTENZA SI cHIAMA NONVIOLENZA. OGGI PIU' CHE MAI
[Riceviamo e diffondiamo il seguente articolo del 24 aprile 2023 apparso anche nel sito ilfattoquotidiano.it]

Sono passati dieci anni da quando, in un articolo per il 25 aprile, scrivevo che oggi la liberazione si chiama disarmo e la resistenza si chiama nonviolenza - formula che il 25 aprile dell'anno successivo sarebbe diventata lo slogan della grande manifestazione pacifista nazionale all'Arena di Verona, dalla quale fu lanciata la campagna Un'altra difesa e' possibile - eppure in un decennio c'e' stata una tale precipitazione delle cose che quell'auspicio di allora diventa urgenza improrogabile di oggi.
Nel 2013 il rapporto annuale del SIPRI, l'autorevole istituto di ricerca internazionale di Stoccolma, segnalava una gia' preoccupante crescita delle spese militari globali ad oltre 1.700 miliardi di dollari; secondo il rapporto reso noto oggi, con un salto di oltre 500 miliardi in soli dieci anni e di 127 rispetto all'anno precedente (+ 3,7%), nel 2022 sono giunte alla nuova cifra record di 2.240 miliardi di dollari. In Italia allora si spendevano in armamenti 24 miliardi di euro, oggi l'Osservatorio sulle spese militari italiane documenta che sfioriamo i 27 miliardi di euro, che nel giro di alcuni anni diventeranno quasi 40 con l'aumento al 2% del PIL, come voluto dalla Nato e votato un anno fa dal Parlamento italiano. Risorse nazionali e globali sottratte agli investimenti civili, sociali ed ambientali, necessari a fare fronte alla crisi sistemica globale che genera quei conflitti che, invece, proprio le armi trasformano in guerre.
Dieci anni dopo, una nuova guerra fratricida divampa in Europa, esplosa fin dal 2014 nel Donbass ucraino e internazionalizzata nel 2022, con l'invasione russa da un lato e il sostegno armato della Nato all'Ucraina dall'altro, in un processo di escalation che non prevede alcuna possibilita' di "cessate il fuoco", ma una irresponsabile retorica della impossibile "vittoria" da entrambe le parti. Anziche' una ricerca della mediazione e della pace, giusta e sostenibile per tutti, che preservi il popolo ucraino, in primis, e il resto dell'Europa successivamente da un catastrofico esito nucleare. Pure, incredibilmente, piu' volte minacciato.
Inoltre, un governo di estrema destra ha preso il potere in Italia e - dopo alcuni mesi di martellante controriforma culturale del Paese - la seconda carica dello stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, in un'intervista rilasciata a Repubblica a pochi giorni della Festa della Liberazione, ha dichiarato che "nella Costituzione non c'e' alcun riferimento all'antifascismo". Senza comprendere - ma non e' l'unico e non solo a destra - che al di la' della XII Norma transitoria e finale, che vieta la ricostruzione del partito fascista, sono i "Principi fondamentali" che fondano (appunto) l'antifascismo della Costituzione. A cominciare proprio dall'Articolo 11 che, con il "ripudio della guerra" rigetta - con schifo e disonore - il bellicismo e il militarismo, ossia gli elementi identitari primari del fascismo. Operando cosi' una rivoluzione culturale e politica che inaugura una antitetica weltanschauung, visione del mondo, rispetto a quella fascista e delle relative relazioni interne e internazionali. Cosa non ancora sufficientemente messa a fuoco nelle sue conseguenze, come del resto ricordava anche Aldo Capitini, il filosofo italiano della nonviolenza, nel 1968: "il rifiuto della guerra e della sua preparazione e' la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso".
Infine, da quest'anno, grazie al Centro studi Sereno Regis di Torino e all'editore Sonda, e' possibile leggere in italiano l'esito dell'importante ricerca della politologa statunitense Erica Chenoweth (Come risolvere i conflitti. Senza armi e senza odio con la resistenza civile), condotta insieme a Maria Stephan, che dimostra come negli ultimi 120 anni di campagne di lotta - violente e nonviolente - in giro per il mondo, piu' del 50% delle resistenze civili e nonviolente abbiano avuto successo contro solo il 26% di quelle che hanno fatto ricorso alla violenza. Si tratta di una documentazione analitica del fatto che la resistenza civile e nonviolenta, spiega Chenoweth, "e' un'alternativa realistica e piu' efficace alla resistenza violenta nella maggior parte dei contesti. La resistenza civile non ha nulla a che fare con l'essere gentili o educati, ma fa riferimento alla resistenza radicata nell'azione comunitaria. Significa ribellarsi e costruire alternative nuove attraverso l'utilizzo di metodi che siano piu' inclusivi ed efficaci della violenza".
Per tutte queste ragioni e' necessario ribadire ancora, piu' che mai, che oggi la liberazione si chiama disarmo e la resistenza si chiama nonviolenza. Ne va ormai della sopravvivenza di tutti.

2. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA?

Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
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Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
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E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

3. REPETITA IUVANT. GIOBBE SANTABARBARA: BREVE UNA LETTERA ALLE PERSONE AMICHE - E AD ALTRE ANCORA - PER CHIEDERE LORO UNA COSA

Dico subito la cosa che vorrei chiedere a tutte e tutti voi: un nuovo o rinnovato impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
Sono un vecchio militante che ricorda vividamente - ero allora assai giovane - l'occupazione di Alcatraz sul finire degli anni Sessanta, il "Sentiero dei trattati infranti" culminato nell'occupazione del Bureau of Indian Affairs nel 1972, e soprattutto l'occupazione e l'assedio di Wounded Knee del 1973. E' da allora che anch'io sento il dovere di sostenere la lotta delle popolazioni native nordamericane contro il genocidio, l'etnocidio e l'ecocidio di cui sono vittima (e con loro l'umanita' intera e l'intero mondo vivente) da parte del potere razzista, stragista, rapinatore e devastatore bianco. Lungo oltre mezzo secolo non ho saputo fare granche', se non impegnarmi qui in Italia in iniziative che credo siano state almeno coerenti con quella lotta, nella convinzione che tutto si tiene, che tutto e' collegato, o per dirla con una luminosa espressione Lakota: "Mitakuye Oyasin".
Sono stato un lettore di "Akwesasne Notes", la bella, indimenticabile rivista che negli anni '70-'90 fu primario strumento d'informazione su quelle lotte, su quelle esperienze di pensiero e azione. E credo sia stato attraverso "Akwesasne Notes" che conobbi la vicenda di Leonard Peltier. Successivamente, come molte altre persone, lessi il libro di Edda Scozza, quello di Peter Matthiessen e la sua autobiografia.
Da un paio d'anni il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo si sta particolarmente impegnando nella mobilitazione nonviolenta internazionale per la liberazione di Leonard Peltier, ed io con esso.
Leonard Peltier e' detenuto innocente ormai da 47 anni, e la sua salute e' gravemente deteriorata. Dal carcere ha continuato a lottare con gli strumenti della testimonianza e della parola, della poesia e dell'arte, per i diritti dei popoli oppressi, per i diritti umani di tutti gli esseri umani, per la Madre Terra.
Come e' noto la sua liberazione e' stata chiesta nel corso degli anni da personalita' illustri come Nelson Mandela e madre Teresa di Calcutta, come papa Francesco e il Dalai Lama, da istituzioni come il Parlamento Europeo, da associazioni umanitarie come Amnesty International, da milioni (si', milioni) di persone di tutto il mondo.
E come e' altrettanto noto la sua liberazione dipende unicamente dalla concessione della grazia presidenziale da parte del Presidente degli Stati Uniti d'America, a cui quotidianamente pervengono richieste a tal fine (tra le piu' recenti: quella della Commissione giuridica ad hoc dell'Onu; quella unanime del Comitato nazionale del Partito Democratico degli Stati Uniti - il partito cui lo stesso Presidente Biden appartiene).
Dalla provincia italiana non si puo' fare molto, ma quel poco che si puo' fare va fatto.
Cosa chiedo dunque in concreto alle persone amiche - ed alle altre ancora - cui indirizzo questa lettera? Tre cose.
La prima, far conoscere la vicenda di Leonard Peltier e diffondere l'appello per la sua liberazione.
La seconda, scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America per chiedergli di concedere la grazia che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.
La terza, scrivere a Leonard Peltier e al comitato internazionale che lo sostiene, l'International Leonard Peltier Defense Committee, per esprimere loro il proprio sostegno.
Tutto qui.
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Per scrivere al Presidente degli Stati Uniti d'America: nel sito della Casa Bianca aprire la pagina attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Per scrivere a Leonard Peltier l'indirizzo e': Leonard Peltier, #89637-132, USP Coleman I, P.O. Box 1033, Coleman, FL 33521; trattandosi di un carcere di massima sicurezza possono essere inviate solo lettere postali, e nessun oggetto.
Per scrivere all'International Leonard Peltier Defense Committee: e-mail: contact at whoisleonardpeltier.info
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Grazie per l'attenzione, e un cordiale saluto da
Giobbe Santabarbara

4. INIZIATIVE. AMNESTY INTERNATIONAL: URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
[Dal sito www.amnesty.org riprendiamo e diffondiamo questo appello del 3 aprile 2023]

3 April 2023
URGENT ACTION
URGE CLEMENCY FOR NATIVE AMERICAN ACTIVIST
Native American activist Leonard Peltier has been imprisoned in the USA for over 46 years, some of which was spent in solitary confinement, serving two life sentences for murder despite concerns over the fairness of his trial. He has always maintained his innocence. Now 78 years old, he contracted COVID-19 in 2022 and suffers from several chronic health ailments, including one that is potentially fatal. Not eligible for parole again until 2024, his lawyers submitted a new petition for clemency in 2021. President Biden must grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
TAKE ACTION: WRITE AN APPEAL IN YOUR OWN WORDS OR USE THIS MODEL LETTER
President Joseph Biden
The White House
1600 Pennsylvania Ave NW
Washington, DC 20500
USA
White House Comment line: (202) 456-1111
Webform*: https://www.whitehouse.gov/contact/
* A US-based address is needed for the White House webform.
International action takers, please use AI USA's address when filling out:
Amnesty International USA
311 West 43rd St. 7th Floor,
New York, NY 10036 USA
Dear President Biden,
Leonard Peltier is a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. In 1975, during a confrontation involving AIM members, two FBI agents were killed. Leonard Peltier was convicted of their murders but has always denied killing the agents.
There are serious concerns about the fairness of proceedings leading to his trial and conviction, including for example the prosecution's withholding of evidence that might have assisted Leonard Peltier's defence.
In light of these concerns, the former US Attorney who supervised the prosecution team post-trial, James Reynolds, has since called for clemency.
Leonard Peltier is now 78 years old, has spent more than 46 years in US prisons, and has been repeatedly denied parole. There are serious concerns about Leonard Peltier's deteriorating health, including potential re-exposure to COVID-19. His lawyers submitted a new petition for clemency in 2021.
I urge you to grant Leonard Peltier clemency on humanitarian grounds and as a matter of justice.
Yours sincerely,
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ADDITIONAL INFORMATION
Leonard Peltier, an Anishinaabe-Lakota Native American, was a member of the American Indian Movement (AIM), which promotes Native American rights. On 26 June 1975, during a confrontation involving AIM members on the Pine Ridge Indian reservation in South Dakota, FBI agents Ronald Williams and Jack Coler were shot dead. Leonard Peltier was convicted of their murders in 1977 and sentenced to two consecutive life sentences. Leonard Peltier has always denied killing the agents.
A key alleged eyewitness to the shootings was Myrtle Poor Bear, a Lakota Native woman who lived at Pine Ridge. Based on her statement that she saw Leonard Peltier kill both FBI agents, Leonard Peltier was extradited from Canada, where he had fled following the shootings. However, Myrtle Poor Bear later retracted her testimony. Although not called as a prosecution witness at trial, the trial judge refused to allow Leonard Peltier's attorneys to call Myrtle Poor Bear as a defense witness on the grounds that her testimony "could be highly prejudicial to the government". In 2000, Myrtle Poor Bear issued a public statement to say that her original testimony was a result of months of threats and harassment from FBI agents.
In 1980 documents were released to Leonard Peltier's lawyers as a result of a lawsuit under the Freedom of Information Act. The documents contained ballistics evidence which might have assisted Leonard Peltier's case, but which had been withheld by the prosecution at trial. However, in 1986, the U.S. Court of Appeal for the Eighth Circuit denied Leonard Peltier a retrial, stating that: "We recognize that there is some evidence in this record of improper conduct on the part of some FBI agents, but we are reluctant to impute even further improprieties to them."
The U.S. Parole Commission has always denied parole to Leonard Peltier on the grounds that he did not accept criminal responsibility for the murders of the two FBI agents. This is even though, after one such hearing, the Commission acknowledged that, "the prosecution has conceded the lack of any direct evidence that you personally participated in the executions of two FBI agents". Leonard Peltier would not be eligible for another parole hearing until 2024. Furthermore, James H. Reynolds, the US Attorney whose office handled the criminal case prosecution and appeal of Leonard Peltier, wrote that he supported clemency "in the best interest of Justice in considering the totality of all matters involved."
Leonard Peltier suffers from a variety of ailments, including kidney disease, Type 2 diabetes, high blood pressure, a heart condition, a degenerative joint disease, and constant shortness of breath and dizziness. A stroke in 1986 left him virtually blind in one eye. In January 2016, doctors diagnosed him with a life-threatening condition: a large and potentially fatal abdominal aortic aneurysm that could rupture at any time and would result in his death. He currently uses a walker due to limited mobility and contracted COVID-19 in 2022. He continues to be at risk of re-infection while in detention.
In 2015, several Nobel Peace Prize winners—including Archbishop Desmond Tutu—called for Leonard Peltier's release. The Standing Rock Sioux Tribe and the National Congress of American Indians have also called for his release. Leonard Peltier's attorney applied for clemency to President Biden in July 2021. President Biden committed to granting clemency on a rolling basis during his administration.
However, as of February 2023, no decision has been made on his application. He has previously sought clemency, most recently from President Obama in 2016, but his petition has been denied each time.
Due to the numerous issues at trial, the exhaustion of all his legal avenues for appeal, the amount of time he has already served, his continued maintenance of innocence along with his chronic health issues, Amnesty International supports calls for clemency for Leonard Peltier.
PREFERRED LANGUAGE TO ADDRESS TARGET: English
You can also write in your own language.
PLEASE TAKE ACTION AS SOON AS POSSIBLE UNTIL: 29 May 2023
Please check with the Amnesty office in your country if you wish to send appeals after the deadline.
NAME AND PRONOUN: Leonard Peltier - He/Him
LINK TO PREVIOUS UA: https://www.amnesty.org/en/documents/amr51/5208/2022/en/

5. REPETITA IUVANT. SCRIVIAMO ALL'AMBASCIATA DELL'IRAN IN ITALIA PER CHIEDERE CHE CESSINO PERSECUZIONI ED UCCISIONI

Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo di scrivere all'ambasciata dell'Iran in Italia per chiedere al governo di quel paese che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
Gli indirizzi di posta elettronica cui inviare le lettere sono i seguenti: iranemb.rom at mfa.gov.ir, iranconsulate.rom at mfa.gov.ir, rom.media at mfa.gov.ir
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Vi proponiamo un possibile testo essenziale:
Egregio ambasciatore,
le chiediamo di trasmettere al governo del suo Paese questa nostra richiesta che cessino le persecuzioni e le uccisioni.
E' dovere di ogni persona, di ogni societa', di ogni ordinamento giuridico rispettare la vita, la dignita' e i diritti di tutte le donne e di tutti gli uomini.
Tutti gli esseri umani sono eguali in dignita' e diritti, tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita e alla liberta'.
Siamo solidali con le donne iraniane - e con gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Nome e cognome, luogo e data, recapito di chi scrive.
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Carissime e carissimi, gentilissime e gentilissimi,
vi proponiamo anche di far circolare questa proposta.
Adoperiamoci affinche' tante persone, tante associazioni, tante istituzioni di tutto il mondo chiedano al governo iraniano che cessino persecuzioni e uccisioni.
Sosteniamo le donne iraniane - e gli uomini che si sono posti al loro ascolto e alla loro sequela - nell'impegno nonviolento per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Grazie di cuore per quanto vorrete fare.

6. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO IL COORDINAMENTO ITALIANO DI SOSTEGNO ALLE DONNE AFGHANE

Sosteniamo il Coordinamento Italiano di Sostegno alle Donne Afghane (CISDA).
Per contatti: e-mail: cisdaonlus at gmail.com, sito: www.cisda.it

7. PER SAPERE E PER AGIRE. ALCUNI RIFERIMENTI UTILI

Segnaliamo il sito della "Casa delle donne" di Milano: www.casadonnemilano.it
Segnaliamo il sito della "Casa internazionale delle donne" di Roma: www.casainternazionaledelledonne.org
Segnaliamo il sito delle "Donne in rete contro la violenza": www.direcontrolaviolenza.it
Segnaliamo il sito de "Il paese delle donne on line": www.womenews.net
Segnaliamo il sito della "Libreria delle donne di Milano": www.libreriadelledonne.it
Segnaliamo il sito della "Libera universita' delle donne" di Milano: www.universitadelledonne.it
Segnaliamo il sito di "Noi donne": www.noidonne.org
Segnaliamo il sito di "Non una di meno": www.nonunadimeno.wordpress.com

8. REPETITA IUVANT. TRE TESI

La guerra e il fascismo sono la stessa cosa. Solo la lotta di liberazione delle donne puo' difendere e liberare l'umanita'.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

9. REPETITA IUVANT. RIPETIAMO ANCORA UNA VOLTA...

... ripetiamo ancora una volta che occorre un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu' necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre. Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera. Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi. Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune liberazione e la salvezza del'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.

10. TESTIMONI. FRANCESCO MORATELLI: BODIL KATHARINE BIORN
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]

Bodil Katharine Biorn (1871-1960) l'infermiera che ha documentato il genocidio armeno.
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Bodil Katharine Biorn nasce nel 1871 nella citta' norvegese di Kragero. Suo padre Heinrich Bolmann Biorn e' un armatore e spedizioniere marittimo ed e' l'uomo piu' ricco della regione. Compie gli studi superiori a Kristiania (oggi Oslo) grazie all'intercessione di suo zio che e' preside della scuola. Prosegue studiando musica a Berlino per diventare una cantante da concerto, finche' a 25 anni si sente chiamata da Dio per mettersi al servizio del prossimo sviluppando una profonda fede cristiana che l'accompagnera' per il resto dalla sua vita.
Inizia subito a formarsi come infermiera ginecologica e levatrice presso la scuola diaconale di Kristiania. Legge dei massacri hamidiani del 1894-1897 nei giornali norvegesi e ne rimane profondamente addolorata. Nel 1903 inizia a partecipare ad incontri tenuti da missionari scandinavi e tedeschi riguardo alle sofferenze del popolo armeno. Nel 1904 si trasferisce a Copenaghen per unirsi all'organizzazione "Donne Missionarie" (Kvindelige Missions Arbejdere, KMA), fondata due anni prima dalla missionaria danese Emsy Collet. Dopo aver seguito un corso di formazione di 9 mesi, nel 1905 raggiunge Costantinopoli e Smirne, nell'Impero Ottomano. L'organizzazione Women Missionary Workers (WMO) [Lavoratrici Missionarie] la invia inizialmente nella citta' di Mezereh e due anni dopo, nel 1907 a Mush, dove continua l'opera iniziata da missionari tedeschi principalmente in favore di vedove e orfani. Oltre a lavorare come infermiera e levatrice per pazienti armeni, curdi e turchi, con i fondi forniti dal WMO amplia l'ambulatorio dell'ospedale di dieci posti letto, apre un orfanotrofio per ragazzi e ragazze e una scuola e assume lavoratori locali. Impara l'armeno ed il turco in aggiunta al tedesco e all'inglese. Diventa inoltre responsabile della missione e, aiutata dalla missionaria svedese Alma Johansson, insegna a giovani ragazze nubili e sposate a leggere, scrivere e contare.
Bodil diventa testimone del genocidio armeno verso la meta' di luglio del 1915, quando i soldati ottomani arrivano a Mush per deportare i circa 10.000 armeni che costituiscono un terzo della popolazione della citta'. Il mutasarrif di Mush ordina a Bodil di lasciare la citta', ma lei si rifiuta e documenta fotograficamente e nel suo diario gli incendi ed i massacri che nei tre giorni successivi distruggono interamente il distretto armeno della citta'. Pochi giorni dopo i soldati ottomani danno fuoco anche all'orfanotrofio dove era missionaria. Mentre cio' accade Bodil e' distesa a letto malata di tifo, si salva, ma annota nel suo diario il turbamento psicologico procuratole dalle urla dei suoi orfani chiusi nella stalla in fiamme e dall'essere riuscita a salvare solo tre insegnanti e tre bambini. Dopo cinque mesi trascorsi a Kharberd [Harput] senza mai perdere la speranza, riesce a tornare a Mush dove aiuta ad ospitare, sfamare e curare i sopravvissuti ai massacri e agli incendi.
Nel 1917 adotta un orfano armeno di due anni, Rafael Sefarian, che porta con se' in Norvegia dove viene ribattezzato con il nome di Fridtjof in omaggio al suo connazionale Fridtjof Nansen che ha salvato migliaia di armeni rilasciando passaporti speciali. Bodil non si sposera' mai e Fridtjof sara' il suo unico figlio. Mentre e' in Norvegia raccoglie fondi per le sue opere missionarie. Nel 1921 riparte per Costantinopoli dove fonda un orfanotrofio. Dopo aver saputo che molti armeni sopravvissuti sono emigrati nella neo-fondata Repubblica d'Armenia, lascia suo figlio Fridtjof alla Scuola Francese di Beirut e nel 1922 parte per Alexandrapol (oggi Gyumri), dove istituisce, con le donazioni raccolte in Norvegia, l'orfanatrofio Lusaghbyur [Fonte di Luce] i cui 33 orfani la chiamano "Madre Katherine". Nel 1924 i bolscevichi chiudono Lusaghbyur e trasferiscono gli orfani presso altri orfanotrofi di Amercom espellendo lei e tutte le organizzazioni missionarie cristiane dall'Unione Sovietica. Dopo un breve periodo a Costantinopoli nel 1926 si reca ad Aleppo, in Siria, per fondare un altro orfanotrofio per prendersi cura dei sopravvissuti alle stragi in Siria ed in Libano. Resta in Siria fino al 1934-35 quando, a 64 anni, torna definitivamente in Norvegia. Anche dal paese natio continua il suo impegno umanitario mettendo in atto raccolte di fondi, scrivendo articoli sui giornali e tenendo conferenze per aiutare i rifugiati armeni e gli orfani sopravvissuti al genocidio.
Bodil Biorn vive il resto della sua vita in Norvegia con il figlio ed il nipote Jussi Flemming Biorn e muore ad Oslo nel 1960 all'eta' di 90 anni, lasciando un ricordo indelebile nel cuore degli armeni che ha aiutato, tanto che nel 2007 la comunita' armena di Aleppo le dedica un memoriale in pietra all'esterno della sua casa natale a Kragero. Oltre ad aver salvato centinaia di armeni, Bodil ha sempre documentato con la macchina fotografica cio' a cui ha assistito, tenendo un diario dettagliato e raccogliendo le testimonianze, le esperienze e le storie degli armeni sopravvissuti. Il fondo Bodil Katharine Biorn oggi conservato presso l'Archivio di Stato Norvegese rappresenta una fonte di risorse preziose per la documentazione del genocidio armeno. Il 22 luglio 2008 si e' svolta a Yerevan, presso il Museo del Genocidio sulla Dzidzernagapert, la cerimonia di posa della lapide contenente terra della tomba di Bodil Katharine Biorn nel Muro della Memoria dedicato ai "Giusti per gli armeni".
Bibliografia Essenziale
Bjornlund, Matthias. "Scandinavia and the Armenian Genocide", in The Armenian Weekly. Watertown, Hairenik Association, 26 aprile 2008.
Kolbjornsen, Mia. Med Guds blikk i Armenia. [Online] 2 agosto 2009.
Svante Lundgren & al: Folkmord, flyktingar och fortlevnad. Tre skandinaviska kvinnors arbete for armeniska kvinnor och barn. Skelleftea, Artos & Norma Bokforlag, 2020.
Okkenhaug, Inger Marie. En norsk filantrop. Bodil Biorn og armenerne 1905-1934. Kristiansand, Portal, 2016.
Giardini che onorano Bodil Katharine Biorn: Bodil Katharine Biorn e' onorata nel Giardino di Yerevan.

11. TESTIMONI. "GARIWO": ANNA HEDVIG BUELL
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]

Anna Hedvig Bull (1887-1981) missionaria estone che ha dedicato oltre 40 anni della sua vita agli armeni salvando le vite di oltre 2000 tra donne e bambini.
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Anna Hedvig Buell (all'anagrafe Anna Hedwig Buehl) nasce nel 1887 a Haapsalu, una citta' portuale di circa 3000 abitanti in Estonia, all'epoca parte dell'Impero russo. La sua famiglia e' luterana e particolarmente devota, suo padre Ernst Gottlieb Theodor e' un ricco uomo d'affari proprietario di un centro di cure termali, sua madre e' Alma Louise Wilhelmine Stuermer ed Anna Hedvig e' la sesta di otto fratelli e sorelle. Buell frequenta la scuola pubblica in Estonia fino ai 15 anni d'eta' per poi continuare i suoi studi a San Pietroburgo presso la scuola tedesca evangelica luterana della chiesa di Sant'Anna per tre anni.
Nell'estate del 1903, racconta nelle sue memorie, mentre e' in visita dalla famiglia a Haapsalu assiste ad un ciclo di lezioni tenute dal famoso evangelista Johann Kargel presso la casa paterna e cio' che sente la porta alla decisione di dedicare la sua vita al servizio di Dio tramite il lavoro missionario umanitario. Piu' tardi lo stesso anno rientra a San Pietroburgo per ottenere il diploma e perde il padre. Con il permesso della madre si reca quindi a Bad Freienwalde in Germania presso la Casa Missionaria Malche per seguire dei corsi di perfezionamento ed e' li' che viene a conoscenza delle condizioni in cui versano gli armeni nell'impero ottomano. Il desiderio di aiutare questo popolo la spinge a continuare i suoi studi presso la scuola evangelica del "Deutscher Hilfsbund fur christliches Liebeswerk im Orient" [Associazione d'aiuto tedesca per le opere caritatevoli cristiane in Oriente] a Francoforte sul Meno. Riceve in seguito da parte dell'Associazione l'invito a recarsi presso il Centro Missionario a Marash in Turchia, ma, per via della sua giovane eta', viene dapprima inviata in un villaggio tedesco per lavorare con donne e bambini e successivamente a San Pietroburgo per alcuni mesi per prendersi cura dei poveri.
Nel 1909 la partenza di Hedvig per la Cilicia viene posposta in seguito al massacro degli armeni ad Adana e per i due anni successivi, su consiglio del comitato missionario, completa il suo apprendistato come insegnante missionaria. Nel 1911 Hedvig puo' finalmente partire per Marash dove insegnera' all'orfanotrofio "Bethel" fino al 1916 insieme all'amica Nurzia Marie Levonyan, collaborando anche con la missionaria svizzera Beatrice Rohner da cui resta particolarmente colpita. In questo periodo, in aggiunta ad estone, tedesco, russo, francese ed inglese impara anche l'armeno ed il turco. Nel 1915 e' testimone del genocidio armeno in Cilicia ed il suo ruolo e' determinante per salvare le vite di circa 2.000 bambini e donne quando Marash viene trasformata nella "Citta' degli Orfani". Nel 1916 viene trasferita all'orfanotrofio tedesco di Harunie (Vilayet Adana), a sud di Marash, appartenente alla stessa missione. Grazie ai suoi sforzi, nel 1918, e' in grado di salvare gli studenti dell'orfanotrofio. Hedvig e' scossa non solo dagli eventi del genocidio, ma anche dalla rivoluzione bolscevica in Russia, perche' da un anno non ha notizie dei suoi cari in Estonia.
Nel 1919, a causa della situazione politica in Cilicia, decide di lasciare temporaneamente la Turchia per andare a visitare la sua famiglia in Estonia. Durante il viaggio per Costantinopoli apprende della morte della madre e ulteriori circostanze fanno si' che si fermi a Graz per assistere una zia malata fino al 1921, quando riuscira' finalmente a tornare in Estonia. In procinto di ripartire per Marash, Hedvig si ammala e solamente verso la fine del 1921 puo' riprendere il viaggio a est per recarsi ad Aleppo presso la missione dell'Action Chretienne en Orient [Azione Cristiana in Oriente], dove oltre 160.000 profughi armeni hanno trovato riparo in baracche costruite nei sobborghi di Sulaymaniyah e Ramatani ("Campo Armeno"). Hedvig organizza anche aiuto medicale per le vittime delle pandemie e su sua iniziativa vengono costruiti due ospedali nei quali operano anche i famosi medici armeno-siriani Avetis Chepechyan e Filip Hovnanyan. Per risollevare i rifugiati dalle condizioni di poverta' e miseria in cui versano, Buell istituisce, grazie all'aiuto di conoscenti di Marash, anche laboratori per la produzione di prodotti artigianali e specialmente per la tessitura di tappeti. I prodotti vengono venduti in vari Paesi europei ed il ricavato serve da salario per le circa 500 donne armene che vi lavorano. Fonda una scuola armena e borse di studio per oltre 250 bambini armeni di varie scuole di Aleppo. Organizza anche un sistema di adozione a distanza degli orfani armeni da parte di benevole famiglie europee che si impegnano ad inviare una quota ogni mese. Insieme all'alsaziana Anne-Marie Tartar fa si' che le case missionarie di Elim e Sichar diventino un importante centro evangelico per gli arabi ed i cristiani della regione.
Nel 1947 agli armeni della diaspora viene garantito il permesso di immigrare in Unione Sovietica. Nel 1951 la maggior parte dei rifugiati di cui Hedvig si e' presa cura ad Aleppo e' ormai emigrata; il sogno di Hedvig e' di raggiungerli nella Repubblica Sovietica d'Armenia, ma le viene rifiutato il visto dalle autorita' sovietiche e le viene negato anche il permesso di ritornare alla sua nativa Estonia, anch'essa parte dell'Unione Sovietica. Non avendo famiglia ed essendo divenuta ella stessa una rifugiata, Anna Hedwig si trasferisce in Europa, continuando le sue opere di carita' in favore degli armeni da Francia, Svizzera e Germania e mantenendo una corrispondenza con gli armeni da lei aiutati e sparsi per il mondo che spesso si rivolgono a lei come "Mayrig Buell". In una lettera ad un suo studente scrive "Il mio cuore e' armeno". Pubblica un libro di memorie riguardanti la vita della sua amica missionaria Nurzia Marie Levonian. Nel 1965, a 78 anni, Hedvig torna in Siria ed in Libano per prendere parte agli eventi per il cinquantesimo anniversario del genocidio armeno.
Anna Hedvig Buell trascorre gli ultimi anni della sua vita in una casa di cura per missionarie a Waldwimmersbach vicino ad Heidelberg in Germania dove muore il 3 ottobre 1981 a 94 anni di eta' dopo aver trascorso piu' di 40 anni della sua vita a migliorare le vite dei profughi armeni. Nel 1989 la societa' culturale armeno-estone le dedica una targa nella sua casa natale a Haapsalu e nel 2003 il suo nome insieme ad un po' di terra sepolcrale e' stato inserito anche nel muro memoriale del Museo del Genocidio Armeno di Yerevan a Dzidzernagapert.
Bibliografia essenziale:
Aslanjan, Aleksander. Anna-Hedwig Buell. Katked elulookirjeldusest koos kommentaaridega. [= Anna-Hedwig Buell. Estratti della biografia com commenti] Laanemaa Muuseumi toimetised XIII, Laanemaa Muuseum, 2010.
Bagdikian, Ben H. Double Vision: Reflections on My Heritage, Life, and Profession. Boston, Beacon Press, 1995.
Grigorjan, Vardan R. Hedvig Bjul - estonskij drug armjanskogo naroda: dejatel'nost' Hedvig Bjul v Kilikii i Sirii vo vremja genocida arma v Turcii i posledujuscie gody. [Hedvig Buell - un'amica estone del popolo armeno: attivita' di Hedvig Buell in Cilicia ed in Siria durante il genocidio armeno in Turchia e negli anni seguenti] Erevan, Nairi, 2007.
Heili, Reinart. "Haapsalust parit Hedwig Buell paastis tuhandeid lapsi genotsiidist, kuid jai elu lopul kodumaatuks" [= Hedwig Buell di Haapsalu salvo' migliaia di bambini dal genocidio, ma rimase apolide per il resto della sua vita] In Sobranna Postimees, 18 giugno 2019. [Online]
"Ode Hedwig Buell" [= Suor Hedwig Buell] in Le Levant, n. 4, febbraio-marzo 1931. [Online]
Pajula, Ene. "Haapsalu tudrukust armeenia emaks" [= Da ragazza di Haapsalu a madre armena] In Opetajate Leht, 11 maggio 2007. [Online]

12. TESTIMONI. "GARIWO": KAREN JEPPE
[Dal sito it.gariwo.net riprendiamo e diffondiamo]

Karen Jeppe (1876-1935) ha salvato i perseguitati armeni nascondendoli, distribuendo acqua per le carovane e vestendo con abiti curdi e arabi i deportati.
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Karen Jeppe nasce nel 1876 a Gylling, in Danimarca.
Il padre, professore, che ha studiato in Inghilterra, progetta lo stesso iter di formazione per la figlia Karen che all'eta' di 13 anni è inviata dai parenti ad Als per apprendere la lingua tedesca e nel 1893, a 17 anni, iscritta all'Ordrup Grammar School. Qui incontra H.C. Frederiksen, del quale diviene una sorta di figlia adottiva. Suo padre desidera che Karen segua gli studi di medicina, ma Karen ama la matematica, uno studio che si rivelera' essere troppo duro per lei facendola ammalare per due anni. Diventa cosi' insegnante nella scuola di Friser.
Nel 1902 Friser legge un resoconto sulle persecuzioni degli armeni scritto da Aage Meyer Benedictsen. Benedictsen era stato uno dei primi campioni dei Diritti Umani, un uomo di pace, un filologo che aveva studiato anche l'armeno, anticolonialista. Aveva visitato l'orfanatrofio della "German Orient Mission" di Urfa diretto da Johannes Lepsius, dove erano ospitati gli scampati ai massacri hamidiani del 1894-96. Al ritorno in Danimarca Benedictsen aveva fondato l'"Associazione Amici Danesi degli Armeni". Karen Jeppe continua a pensare agli orfani abbandonati nelle strade e nel 1903 contatta Benedictsen, da cui viene a sapere che Lepsius sta cercando un insegnante per il suo orfanotrofio. Questa notizia la spinge a partire subito da Berlino, insieme al diacono svizzero Jakob Kunster, via Italia, Istanbul, Alessandretta (Iskenderun) per arrivare a Mersin e proseguire con il treno fino ad Adana. Da qui, in sella ad un asino, protetti da soldati, arrivano a Urfa (50.000 abitanti) dove sono accolti da una folla di centinaia di persone. Prima di iniziare a lavorare Karen studia per un anno intero l'armeno, l'arabo e il turco. Introduce un nuovo metodo di studio con suoni e immagini, che consente agli allievi di imparare le lingue nel giro di un anno, poi copiato dagli altri insegnanti. Aveva imparato questo metodo da Pristine Frederiksen, sua insegnante alla Ordrup Grammar School. Karen ha un formidabile talento organizzativo, pensa che per educare bisogna lavorare e cosi' organizza centri di lavoro (seta, uncinetto, maglia) con produzione di ricami armeni, divenuti poi famosi nel mondo. Nel 1908 la Jeppe ritorna in Danimarca per diffondere cio' che si faceva in Armenia. Nello stesso anno ritorna per comperare un pezzo di terra in montagna dove da' lavoro ai contadini armeni impiantando vitigni. Abita in tenda, lontano dalla missione, e diventa amica dei curdi e degli arabi locali. Adotta un bambino, Missak, un orfano che l'aiuta nel suo lavoro, e un'orfana, Lucia, che piu' tardi sposera' Missak. Tutto sembra andare per il meglio, l'agricoltura fiorisce, ma i giorni felici finiscono con la prima guerra mondiale, quando comincia il genocidio. La Jeppe nasconde gli scampati in cantina, organizza la distribuzione di acqua per le carovane, veste con abiti curdi e arabi i deportati. Resta a Urfa per tutto il tempo della guerra, fino al 1918, quando si ammala "di nervi" e ritorna in Danimarca, dove si ferma tre anni senza riuscire a recuperare le forze. "Qualcosa e' morto in me", dice.
Nel 1921 ritorna ad Aleppo a vedere il "suo popolo". Missak e Lucia l'accolgono e Karen diventa "la ragazza di Urfa". Ad Aleppo costruisce un ambulatorio, una casa dei fanciulli, una fabbrica di vestiti per i sopravvissuti. Invia in Danimarca i pezzi ricamati e ne ricava denaro per le sue attivita'. Nel 1922 una nuova ondata di rifugiati dalla Cilicia, abbandonata dai francesi, rende la situazione ancora piu' drammatica. Henni Forchhammer, la delegata danese del "Comitato per la liberazione delle donne e degli orfani armeni" della Lega delle Nazioni, chiede a Karen, che conosce le lingue del luogo, di far parte della Commissione. Quando la Lega delle Nazioni invia i fondi necessari per liberare i giovani schiavi cristiani e le fanciulle armene degli harem, la Jeppe inizia a lavorare anche su questo fronte e si lamenta del poco denaro a disposizione. Nel 1923 crea delle "stazioni di ricerca" e delle "stazioni di soccorso", riuscendo a salvare con la sua organizzazione ben duemila tra donne e bambini e a riunire l'80% delle famiglie, le cui donne erano state deportate e, alle volte, comperate ed inviate ad Aleppo. Nel 1925 riceve il sostegno di due danesi, Jensen e Bjerre. Venuta in contatto con uno sceicco beduino, Hadjim Pasha, del quale diventa buona amica, prende in affitto parte della sua terra e vi insedia una piccola colonia armena di contadini, dove costruisce anche una piccola casa per se'. Fonda sei piccoli villaggi fuori Aleppo, come Tel Armen e Tel Samen. Nel 1926 riceve la visita di Henni Forchhammer dalla Danimarca. La sua salute peggiora e Karen si reca per l'ultima volta in Danimarca nel 1933. Nel 1935 si rifugia nella sua casa bianca all'interno della colonia, dove muore per un attacco di malaria il 7 luglio 1935, all'eta' di 59 anni. Viene sepolta ad Aleppo nel cimitero armeno.
Gli armeni la considerano il loro angelo custode.
Pur lavorando nella Missione Tedesca, non ha mai fatto proselitismo: sapeva che gli armeni non avevano bisogno di convertirsi, ma di aiuto. Ha cercato di stabilire buone relazioni fra beduini e contadini armeni; e' stata una "filosofa della liberazione", impegnata con tutte le sue forze per creare delle possibilita' di sopravvivenza a un popolo senza patria. La sua terra tombale e' stata tumulata a Yerevan nel Muro della Memoria di Dzidzernagapert il 29 aprile 2007.
Giardini che onorano Karen Jeppe: Karen Jeppe e' onorata nei Giardini di Roma - parco di Villa Pamphilj e Yerevan.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 117 del 27 aprile 2023
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che oltre trent'anni fa ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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