[Disarmo] Biden toglie il veto dagli F-16. New York Times: "Così la guerra durerà anni se non decenni"



Stando a quanto emerso dalle fonti vicine alla Casa bianca, gli Usa non forniranno direttamente aerei all'Ucraina, ma hanno di fatto tolto il loro veto all'invio di questi aerei da parte degli alleati. Gli F-16, infatti, sono prodotti dagli Stati Uniti, e come si è visto anche con i Leopard di fabbricazione tedesca, spetta al Paese produttore autorizzare la consegna di armi e attrezzature al di fuori dello Stato a cui sono state vendute. Questo cavillo contrattuale ha permesso a Biden di bloccare l'invio degli aerei Usa a Kiev fin dall'inizio del conflitto. Per il capo della Casa bianca, tali mezzi, decisamente più performanti degli aerei di fabbricazione sovietica in dotazione all'esercito ucraino, avrebbero aumentato la possibilità che Kiev lanciasse attacchi sul suolo russo. Provocando così un'escalation di una guerra che Washington (e non solo) vuole rimanga entro i confini ucraini.  

Di diverso avviso il Regno Unito, che pur non avendo F-16, ha fatto pressioni in questi mesi sulla Casa bianca per togliere il proprio veto. Londra ha trovato nell'Olanda, ma anche nella Danimarca e nel Belgio, dei validi alleati in questa richiesta. Del resto, a differenza del Regno Unito, i tre Paesi dell'Ue posseggono decine di F-16, buona parte dei quali sono destinati a non essere più operativi perché sostituiti progressivamente dai più potenti (e anche più costosi) F-35, sempre prodotti dall'americana Lockheed Martin.


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Da Bakhmut caduta agli F16, così in Ucraina torna lo scenario di una guerra destinata a durare anni, o decenni (lo “stallo coreano”)

Le conseguenze della conquista russa di Bakhmut. In questo quadro come si situa la vicenda degli F-16, il cui raggio d’azione aumenta la capacità di deterrenza di Kiev? Una firma autorevole del Nyt risponde così: «Fornire questi jet è un modo di pensare alla difesa dell’Ucraina nel lungo termine. Washington crede che l’Ucraina sopravviverà, ma che un certo livello di conflitto durerà per anni»

La caduta di Bakhmut, la città che i vertici militari ucraini ammettono ora di aver perso, è un rovescio di importanza simbolica per Kiev. Per i suoi alleati, America in testa, ha due conseguenze immediate. La prima è di smorzare le aspettative forse troppo ottimiste su un esito trionfale della controffensiva ucraina. La seconda, conseguente, è che si rafforza una corrente di pensiero già ben radicata da mesi al Pentagono, e che abbiamo l’abitudine di definire “lo scenario coreano”. È l’idea che questo conflitto potrebbe avere non tanto una soluzione pacifica e sostenibile, quanto un congelamento di lunga durata come la guerra tra le due Coree, che smise di essere “guerreggiata” nel 1953 ma permane tuttora allo stato latente, potenziale, con occasionali fiammate di alta tensione come i lanci missilistici di Pyongyang.

È in questo clima che si situa il dossier degli aerei F-16, la cui funzione strategica sembra particolarmente adatta allo “scenario coreano”: sono utili nell’immediato per rendere un po’ meno permeabile lo spazio aereo sull’Ucraina, ma ancor più nell’ipotesi che questa nazione debba essere aiutata a sostenere un assedio di lunga durata, un periodo in cui la Russia si riarmerebbe in vista di future offensive (tra l’invasione della Crimea nel 2014 e quella dell’Ucraina passarono otto anni). 

Sui cacciabombardieri F-16 all’Ucraina abbiamo visto un copione che è diventato ormai familiare. Kiev per continuare a resistere contro l’invasione chiede nuovi tipi di armi che la Nato – America in testa – le nega con argomenti più o meno pretestuosi. Il presidente Vladimir Zelensky continua a insistere e alla fine la spunta, la Nato o alcuni dei suoi Stati membri ci ripensano. Di solito in questo copione è la Polonia a fare da apripista, con l’appoggio dei Paesi Baltici e del Regno Unito. Sui caccia F-16 c’è voluto solo un po’ di tempo in più, visto che Zelensky cominciò a chiederli poco dopo l’invasione. Per la precisione, la prima richiesta ufficiale dall’Ucraina per questi aerei risale a 15 mesi fa. 

Il copione non fu molto diverso per molti altri tipi di armamenti. Ricordiamo la saga dei carri armati, Leopard e Abrams, negati per molti mesi e infine concessi, anche se tra l’annuncio della fornitura e l’effettivo arrivo in Ucraina il ritardo è sempre lungo e le quantità spesso deludenti. Il caso più emblematico è quello delle batterie anti-missili Patriot. Il 10 marzo 2022 (a malapena un mese dopo l’attacco di Putin) arriva la prima richiesta ucraina per questo dispositivo – un’arma prettamente difensiva, visto che deve intercettare e abbattere i missili in arrivo – e viene respinta dagli Stati Uniti con l’argomento che poteva “provocare la Russia”. Otto mesi dopo, nel novembre 2022 è arrivato dal Pentagono il primo segnale di un riesame sul dossier Patriot. Il 21 dicembre l’annuncio che Washington avrebbe fornito queste batterie. 

Da allora i Patriot si sono rivelati abbastanza efficaci, hanno contribuito ad abbattere molti missili russi in arrivo sulle città ucraine, e non hanno “provocato” la Russia rendendola più aggressiva di quanto non fosse già, né hanno scatenato la terza guerra mondiale. Però di batterie Patriot l’Ucraina finora ne ha ricevute solo due, e una è stata danneggiata da un attacco russo. Il capo dei consiglieri strategici della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha spiegato così il “copione” seguito per gli F-16 come su tanti altri dossier precedenti, dai Patriot ai tank agli Himars. Parlando al G7 di Hiroshima, il National Security Adviser ha dichiarato: «In fatto di escalation, naturalmente il governo degli Stati Uniti è un organismo capace di apprendere. Questo conflitto ha avuto una sua dinamica. Si è sviluppato con il passare del tempo». 

In questo periodo di accesa attenzione sull’intelligenza artificiale è parso scontato il paragone tra la Casa Bianca è le macchine capaci di apprendere. Una media di 15-18 mesi di ritardo nell’accedere alle richieste ucraine di nuove armi può sembrare un ritardo insopportabile a coloro che si battono sul terreno e rischiano la vita per difendere la propria terra dall’invasore, e per ridurre le vittime civili. I bilanci a posteriori diranno se l’Occidente verrà accusato di aver trascinato i piedi, aiutando la Russia a evitare una disfatta: un’accusa diametralmente opposta a quella che di solito viene rivolta dalle “piazze pacifiste” d’Europa. Ma la dinamica politica di una democrazia ha i suoi vincoli. Il “copione” seguito sui Patriot, sui tank, sugli F-16 – prima il diniego (con scuse che si riveleranno infondate) poi il rovesciamento di decisione con molti mesi di ritardo – ha una logica precisa per Joe Biden. Dal primo giorno dell’invasione il 22 febbraio 2022 il presidente americano ha spiegato alla sua opinione pubblica che non avrebbe mai coinvolto gli Stati Uniti in una guerra diretta contro la Russia, che sarebbe l’inizio la terza guerra mondiale. Niente “scarponi” americani sul terreno, quindi. Ma anche nessun gesto che possa indurre Putin a risposte folli come l’uso dell’arma nucleare. 

Inoltre, nella “capacità di apprendimento” di cui ha parlato Sullivan, un ruolo importante lo ha avuto il protagonismo ucraino: sia nei risultati ottenuti dalle forze armate di Kiev sul terreno, sia nel talento diplomatico dispiegato da Zelensky per difendere la propria causa all’estero (da ultimo al G7 di Hiroshima dove ha avuto un incontro importante anche col premier indiano Narendra Modi, «il più grande dei neutrali»). Infine per spiegare il “copione” che prevede un anno e mezzo di ritardo prima di accedere alle richieste ucraine, c’è un altro imperativo per Biden: tenere unita la Nato, quindi lavorare di mediazione, usando dialogo e convincimento, per portare tutti gli Stati membri a condividere le nuove posizioni. Germania e Francia di solito sono i più recalcitranti. Biden non può permettersi di perdere per strada due partner di questo calibro. 

Il Pentagono che ha un ruolo più tecnico può giustificare i suoi cambiamenti di posizione – sui tank, sui Patriot, su tanti altri tipi di armi – guardando anzitutto all’evoluzione del conflitto sul terreno, al tipo di offensiva e di ordigni usati dai russi, alle carenze di volta in volta emerse negli arsenali ucraini. Un secondo livello di attenzione riguarda la tolleranza russa. Un conto è il vociferìo della propaganda, con personaggi come Dmitri Medvedev che in una certa fase minacciavano l’uso dell’arma nucleare a ritmo bisettimanale. Altra cosa è capire le intenzioni effettive di Putin. 

Sul nucleare è stato notato un certo silenzio recente da Mosca, che alcuni attribuiscono alla pressione di Xi Jinping. Per la Cina non è una lieta conseguenza di questa guerra e del suo appoggio a Putin, la notizia che il Giappone potrebbe costruirsi il suo arsenale nucleare in cinque anni. In questo quadro come si situa la vicenda degli aerei F-16, un aereo il cui raggio d’azione aumenta la capacità di deterrenza di Kiev? Anche in questo caso una delle scuse addotte da Biden per il rifiuto iniziale, cioè l’estrema difficoltà e i tempi lunghi per addestrare i piloti ucraini a pilotare questi jet, si è rivelata una balla. Ora si scopre che certi piloti ucraini passano il test dopo settimane, non mesi. Ma in diplomazia mentire non è mai stato considerato un peccato mortale. 

Dunque, perché gli F-16 oggi e non ieri? Una firma autorevole sulle questioni di strategia, David Sanger del New York Times, risponde così: «Fornire questi jet è un modo di pensare alla difesa dell’Ucraina nel lungo termine, dopo la fine della fase attuale della guerra. (…) L’Amministrazione Biden e gli alleati ora credono che quand’anche ci fosse una fine negoziata del conflitto – magari un armistizio del tipo coreano – l’Ucraina avrà bisogno di una capacità di lungo termine di tenere a bada una Russia arrabbiata e sanzionata. La decisione sugli F-16 può essere la prova migliore che l’Amministrazione crede che l’Ucraina sopravviverà, ma che un certo livello di conflitto durerà per anni, se non decenni».


Fonte: corriere.it