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Ilva -Taranto: la storia di Fabio, un dipendente tra i più "discriminati"

a cura di Lisa Biasci

A Taranto, la siderurgia, vuol dire prima di tutto Ilva, l'ex Italsider privatizzata e poi ceduta alla famiglia Riva. Tra il gruppo lombardo e i tarantini non corre buon sangue, sebbene lo stabilimento per la produzione d'acciaio e laminati dia lavoro a circa 12.500 persone.

I rischi per la salute degli operai hanno raggiunto nel tempo proporzioni sempre maggiori, ben oltre i cancelli della fabbrica. Non stiamo parlando solo delle malattie derivanti dalle polveri di distillazione del coke, che contengono gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), altamente cancerogeni.

Stiamo parlando dei casi di "mobbing", malattia "endemica" tra le più pericolose soprattutto quando nel più grande polo siderurgico italiano anche le condizioni di sicurezza sul lavoro vengono meno.

Tra quelli che ci sono stati segnalati, quello di Fabio, un operaio assunto con contratto di formazione lavoro nel 2002, poi "mobbizzato" e ad oggi, licenziato.

La sua storia professionale è l'ultimo caso di mobbing denunciato all'Ilva di Taranto. Nel 1998, sette ex dipendenti fra i più sindacalizzati erano stati "confinati" e "demansionati" nella palazzina Laf del Siderurgico. La Procura aveva poi sequestrato la palazzina e il processo di primo grado avviato subito dopo, si concluse con la condanna di alcuni dirigenti e il riconoscimento della malattia professionale da mobbing da parte dell'Inail per i dipendenti.

La storia di Fabio all'Ilva segue, per clamore ed enfasi, questi precedenti apparendo da subito come un'altra storia complicata di mobbing all'italiana. Una storia di denuncia e soprattutto di umiliazioni, di violenza verbale, e di demansionamento, cioè di operatività con mansioni inferiori a quelle attribuite e in alcuni passaggi, di sottrazione di strumenti di lavoro.

Ma non solo. La fotografia è quella di una situazione lavorativa in cui più volte Fabio è stato invitato a dare le dimissioni, obbligato a turni feroci di sedici ore consecutive, a rientri al sabato mattina, con altrettante accuse di incapacità e con la chiara percezione di essere stato isolato come caso "difficile" e "scomodo" da gestire.

Un melting-pot da "manuale", un iter simile a molti altri casi di mobbing nelle fabbriche italiane.
Ma veniamo al racconto della sua storia, così come lui ce l'ha presentata.

Fabio, diplomato come analista programmatore, viene assunto nel gennaio 2002 con un contratto di formazione lavoro della durata di ventiquattro mesi e con l'obbligo di essere "formato" per l'acquisizione di una professionalità medio-alta. Per Legge, questo tipo di contratto presuppone, un progetto formativo, un adeguato inquadramento professionale, con specificità di mansioni, orari di lavoro e orario di formazione (dalle 80 alle 130 ore da effettuarsi in orario di lavoro).

Fabio viene da subito destinato ai controlli dell'altoforno come Secondo addetto, un ruolo che presupponeva la risalita di un impianto di oltre 120 metri con scale di tipo elicoidali, assai pericolose per un giovane come lui che non si era mai misurato con simili altitudini. La posizione prevedeva poi un successivo addestramento come Caricatore, cioè responsabile delle cariche e del buon andamento dell'altoforno. Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, tanto che si era persino candidato per eventuali stage siderurgici all'estero.

Certo non mancavano le lacune, anzi "certe cose"non andavano affatto. Ad esempio le pratiche operative, cioè quelle di sicurezza gli venivano impartite durante la notte da un operaio di terzo livello e non da un "tutor"qualificato come vuole invece la Legge in materia di CFL.

Quando,con un cambio improvviso, di colpo gli viene imposto per la seconda volta, un nuovo reparto e collocazione, per "un suo evidente problema di vertigini che lo rendono inadatto a ricoprire quel ruolo"dichiarerà il suo caporeparto.

Ma il ruolo a cui era stato assegnato, quello di Caricatore, presupponeva un'altezza di non più di tre metri, in una sorta di palazzina ufficio. Quali erano allora le vere ragioni? Fabio viene quindi assegnato al terzo incarico, quello di Colatore, in un reparto in cui, non certo per leggenda metropolitana, si capisce che si è giunti in una sorta di "purgatorio", ossia di zona punitiva prima degli "inferi", il reparto delle pulizie industriali.

I turni si fanno massacranti, anche di 16 ore consecutivi, e alcuni infortuni sul lavoro, come le ustioni gravissime accorse ad un giovane operaio in un grave incidente, rendono il clima teso e insostenibile. Il caporeparto poi è il vero problema: utilizza metodi di organizzazione del lavoro intimidatori e punitivi "in quanto necessari "a suo dire. Il messaggio è sempre lo stesso"nessuna malattia, nessuno sciopero, esecuzione degli ordini, nessuna ribellione, pena la non conferma del contratto da formazione lavoro a tempo indeterminato".

Ma Fabio è un giovane che domanda, e chiede, e se può si ribella e per questo traccia il suo destino con le sue mani. Viene destinato al quarto trasferimento: pulizie industriali,gli inferi. Cinquanta persone che lavorano in un ambito al limite delle condizioni igienico-sanitarie e di quelle di sicurezza. I macchinari sono molto pericolosi in quest'area e i nastri che trasportano i minerali sono molto polverosi. E' la zona "calda" del polo siderurgico e i sindacati lo sanno.

E per Fabio peggiorano ulteriormente le condizioni di lavoro. I sabati d'impiego aumentano, le pressioni si fanno più insistenti, i rischi sempre maggiori e la sua condizione psicologica ne resta inevitabilmente compromessa. All'ennesima richiesta di trasferimento da parte di Fabio, prontamente rifiutata e condita con le minacce dal suo caporeparto, segue il trasporto d'urgenza in infermeria "per evidente stato iper-confusionale".

Ormai anche la direzione del Personale è al corrente del caso di Fabio, del suo andare avanti e indietro con l'infermeria, della sua richiesta di trasferimento. E le sue preghiere sembrano essere accolte quando arriva la proposta di trasferimento al reparto parchi minerari, lontano da quel caporeparto e da quel clima vessatorio e ostile. Ma salta anche quest'occasione. Fabio viene ricollocato nel vecchio reparto per "non comprovate note di demerito professionale" dichiara l'ufficio del personale.

Fabio si ribella e non molla la presa e si rivolge al direttore del personale, ottenendo un sesto trasferimento. Mansione colatore, che però mal si adattava alla condizione del suo occhio destro che non poteva sopportare la presenza di un impatto di calore, oltre i 1500° come quelli in cui avrebbe dovuto operare. Fabio rischia, ma non gli viene neanche consegnata la mascherina protettrice per gli occhi e si ammala, prostrato dai postumi della ferita e dallo stato d'ansia in cui ormai non poteva porre rimedio.

Le sue condizioni di salute vengono di nuovo sottovalutate e viene rispedito al reparto. Fabio non demorde e ottiene il settimo e non ultimo trasferimento. Ritorna d'accapo, come secondo addetto, come all'inizio della sua storia professionale e conclude il suo primo anno di lavoro presso l'Ilva. Da lì in poi ci saranno un ottavo e un nono passaggio di reparto e poi, infine, il licenziamento, il 02 gennaio 2004. Fabio adesso è in causa contro il gruppo Riva e richiede il reintegro nel suo posto di lavoro, con tutte le mensilità pregresse e il danno esistenziale, morale e fisiologico a conclusione di questa incredibile storia umana e professionale. Il rammarico a fine chiacchierata,mi dice Fabio, è quello di non poter dire tutto,vista la causa ancora in ballo. Intanto però,a Taranto si aspetta e si chiede giustizia. E su questo caso la magistratura dovrà esprimersi al più presto.

Lisa Biasci