poliziotti che picchiano, poliziotti che difendono



EDITORIALE DI PEACELINK

Poliziotti che ci picchiano
Poliziotti che ci difendono

Ho due amici: Gianni che è difeso dai poliziotti, Salvatore che è stato picchiato. Il primo fa parte di Libera e ha promosso coraggiose iniziative per la confisca dei beni ai mafiosi: ora passa la volante sotto casa sua per proteggerlo. Il secondo - uno psicologo gentile che organizza corsi per educare alla democrazia e al dialogo - fa parte di Attac. Lui un anno fa era a Napoli, alla manifestazione antiglobalizzazione del marzo 2001. Lì venne ripetutamente colpito al capo mentre cercava di spiegare (invano) ai poliziotti che accanto a sé aveva un disabile. Ma perché stavano lì, se le stavano cercando le mazzate? La verità è che non potevano fuggire, erano state bloccate dalla polizia tutte le vie di fuga e i manifestanti si aspettavano solo di ricevere delle botte che sono puntualmente arrivate con un'insolita violenza. Questo mio amico - colpito a sangue mentre copriva con il suo corpo il disabile - ha rischiato di finire sulla sedia a rotelle. Non tutti i manifestanti erano pacifici, ma Salvatore lo era di sicuro. Allora non c'era la "polizia cilena" di cui ha parlato D'Alema dopo il G8: c'era il centrosinistra al governo. La notizia del poliziotti arrestati a Napoli per le violenze compiute in quella giornata napoletana ci obbliga pertanto ad un riesame più generale dei sistemi di addestramento dei poliziotti che non sembrano essere variati con il variare dei governi e del loro orientamento politico. L'arresto dei poliziotti può scandalizzare chi non sa o fa finta di non sapere cosa è avvenuto un anno fa a Napoli. La solidarietà manifestata dai quei poliziotti che si sono platealmente ammanettati e hanno inveito contro la magistratura non fa che avvelenare gli animi. Noi nonviolenti che ruolo possiamo svolgere in questa circostanza? Dobbiamo saper compiere la paziente opera di chi vuole e sa distinguere, in una impopolare ma benefica azione di dialogo. Non possiamo "mettere insieme" chi ha picchiato Salvatore chi ora protegge Gianni. Dobbiamo distinguere il poliziotto che picchia e il poliziotto che difende, il poliziotto che scredita lo Stato democratico e il poliziotto che lo incarna. Noi sappiamo quanto è importante l'azione delle forze dell'ordine in città a forte penetrazione mafiosa. La presenza e l'efficace azione di contrasto degli uomini in divisa è premessa di legalità, è la base stessa per parlare di partecipazione democratica e di rottura delle logiche dell'omertà. Ecco perché smarrire il dialogo significa smarrire la prospettiva stessa di vittoria comune contro i poteri mafiosi. Ma proprio perché abbiamo a cuore la legalità non possiamo non tacere sull'addestramento dei poliziotti, un addestramento che sembra sottrarsi - almeno per alcuni aspetti essenziali concernenti l'uso della forza - al controllo democratico.
Faccio un esempio.
Un breve ma interessante filmato di Alberto Angela del 13 aprile scorso ci ha fatto scoprire le analogie di addestramento fra le legioni romane e le squadre di polizia nella gestione degli "scontri di piazza". Come spiegava il barbuto figlio di Piero Angela, i legionari romani dovevano avanzare contro i barbari battendo sullo scudo ritmicamente la spada e cercando di incutere paura al nemico; il filmato riprendeva gli istruttori di polizia nel fare lo stesso. "Dobbiamo incutere paura", diceva l'istruttore in tuta nera nel cortile di addestramento, mentre in aula, lì dove si fa la "teoria", un altro poliziotto istruttore sorridente spiegava con chiarezza: "Chi ci sta di fronte deve pensare che siamo bestie. Ma noi dobbiamo sapere che siamo bestie addestrate". Il filmato era relativo all'addestramento della polizia francese e sarebbe interessante sapere se in Italia vengono applicati gli stessi principi con cui i legionari romani si addestravano per ricacciare indietro i barbari. Così come per i programmi scolastici anche per i programmi di addestramento dei poliziotti occorre un controllo popolare, una supervisione e un'approvazione che in ultima istanza deve toccare chi ha ricevuto un mandato democratico. A noi personalmente non è dato conoscere questi programmi di addestramento, ed è grave. I manifestanti non sono barbari da ricacciare indietro e la funzione dei poliziotti deve essere quella di proteggere le persone e non di "punirle". Qualunque sia la manifestazione a cui partecipano, giuste o sbagliate che siano le loro idee (ma chi può giudicare le idee?), le persone che i poliziotti hanno di fronte sono cittadini da proteggere e da rispettare. E' qui la differenza fra un'azione di guerra (come quella che conducevano i legionari romani) e un'azione di polizia. L'azione di guerra ha come fine la sconfitta del nemico e la sua capitolazione. L'azione di polizia ha l'obiettivo di difendere i cittadini, la loro sicurezza e i loro beni. L'azione di guerra aumenta la violenza fino a piegare l'avversario, l'azione di polizia riduce la violenza usando la forza come mezzo di protezione della società; l'esercito obbedisce ad una logica violenta, la polizia deve obbedire ad una logica nonviolenta. Ecco perché Gandhi nella nuova India indipendente non voleva l'esercito ma voleva la polizia. Oggi, di fronte al clamore degli arresti, dobbiamo saper uscire dalla logica della contrapposizione per chiedere - assieme ai poliziotti più sensibili e democratici - che l'addestramento venga riformato e comprenda anche quei principi di formazione nonviolenta che mirano a proteggere i cittadini e non a "ricacciare indietro i barbari".

Alessandro Marescotti 27/4/02
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