guerra, Taranto a rischio? Articolo Gazzetta del Mezzogiorno



Questo articolo è stato scritto per la Gazzetta del Mezzogiorno.
A.M.

---

Per essere sicuri a Taranto non occorre fare la guerra a Kabul

Taranto è a rischio? Se lo stanno chiedendo diversi giornali dopo gli atti di terrorismo negli Stati Uniti e, ancor di più, dopo l'ingresso dell'Italia in guerra. Le navi della flotta basata a Taranto sono uscite dal mar Piccolo per posizionarsi altrove, per ragioni logistiche e di sicurezza. Il ruolo che possono giocare i mezzi di informazione in questa situazione può essere quello del semplice allarmismo, pur di smuovere gli indifferenti e vendere qualche copia in più; oppure può essere quello di fare una radiografia della sicurezza di questa città verificando se i piani di prevenzione e protezione civile sono semplici pezzi di carta o strumenti veramente idonei ed efficacemente messi in pratica, a cominciare dal piano di emergenza in caso di incidente a natanti con propulsione nucleare. In sostanza la guerra può portarci a riconsiderare vecchie pigrizie, facili approssimazioni e ad abbandonare la massima del "tiriamo a campare tanto non succederà niente". La situazione di guerra chiede a tutti noi cittadini la massima vigilanza e partecipazione. La lotta al terrorismo può essere vincente non appoggiando una diminuzione dei nostri diritti ma operando per un aumento della partecipazione democratica e della fiducia dei cittadini nelle istituzioni preposte a garantire la sicurezza collettiva. Saremo più sicuri se aiuteremo lo Stato democratico ad aiutarci. Del resto negli anni di piombo il terrorismo fu sconfitto così, rifiutando una logica di guerra (proposta da Almirante) che avrebbe portato solo confusione e ritorsioni grossolane anche su chi terrorista non era e scegliendo invece di rimanere sul terreno della democrazia e della giustizia perseguita con mezzi civili e mirati. Se "l'uso della forza non è un tabù", come ha detto D'Alema, la stessa cosa non si può dire della forza brutale e grossolana che per colpirne uno ne ammazza dieci: quella "forza" deve rimanere un tabù, una vergogna, una barbarie. Di quella forza noi non abbiamo bisogno, di quella forza ha invece bisogno Bin Laden per diventare predicatore della vendetta, e noi non possiamo fargli questo regalo. Di altra forza abbiamo bisogno, in primo luogo la forza della ragione, una forza di autodifesa e di controllo capillare della nostra sicurezza quotidiana. La proposta? Trasformiamoci tutti in agenti volontari della sicurezza e controlliamo il territorio. Un po' come sta facendo Oliviero Beha in questi giorni sul primo canale radiofonico della Rai; Beha è riuscito a scoprire, grazie alle segnalazioni a lui pervenute, che chiunque in questo momento potrebbe avvelenare l'acquedotto di Roma per assenza di opportuni controlli, causando centinaia di migliaia di morti. Sarebbe importante se si istituissero dei numeri verdi, città per città, invitando i cittadini a segnalare i "buchi" nel sistema di sicurezza e di prevenzione dei disastri. Non suoni strano se queste cose le dice un pacifista: di fronte al terrorismo noi pacifisti fautori della nonviolenza siamo in prima linea e forniremo il massimo di collaborazione alle istituzioni perché la città sia sicura. Occorre convincersi che per essere sicuri a Taranto non occorre fare la guerra a Kabul. L'attacco in Afghanistan è un'operazione "finta" dal punto di vista della sicurezza: non serve a colpire il terrorismo ma ad occupare una zona geopoliticamente importante per i rifornimenti energetici. Questa guerra serve a distogliere l'attenzione dal fatto che un atto terroristico - pur provenendo magari dall'estero - viene comunque preparato per mesi o anni qui da noi, dove viviamo. Se questo è vero allora la guerra in Afghanistan appare come la lotta ai marziani per esorcizzare le nostre paure di terrestri. Solo che i marziani che facciamo esplodere sotto le bombe GBU-28 da 2,2 tonnellate non sono finzioni video ma sono al 90% povere persone che non possono sfuggire perché sono rimaste in trappola in una nazione dalle frontiere sigillate. Noi pacifisti siamo pienamente contrari all'uso di bombardamenti indiscriminati; e che siano indiscriminati lo dimostra il fatto che è stata persino colpita la sede dell'agenzia dell'Onu per lo sminamento in Afghanistan, che tra l'altro avevamo finanziato con una raccolta fondi della Campagna antimine; le bombe hanno ucciso il personale stipendiato dalla Nazioni Unite e al posto delle scuse o del riconoscimento dell'errore vi è stata una sorprendente rivendicazione del governo di Bush. Questa guerra probabilmente colpirà Bin Laden non per primo ma per ultimo o forse mai come è successo per Saddam. Di fronte ad una campagna che è prevista fino all'estate, al ritmo medio di 30-40 morti al giorno, occorre opporsi anche se non si è pacifisti. I genitori di Greg Rodriguez, una delle vittime delle Torri Gemelle, hanno scritto a Bush: "La invitiamo a pensare a come potrebbe il nostro Governo trovare soluzioni pacifiche e razionali al terrorismo, soluzioni che non ci facciano sprofondare allo stesso disumano livello dei terroristi". Infatti in sei milioni di profughi afghani ammassati come bestie morenti coverà una rabbia e un odio immenso; chi avrà perso tutto farà presto a perdere anche il lume della ragione e ad essere assoldato nel terrorismo. A questa follia occorre opporre la ragione. E' perciò necessario comprendere che la nostra sicurezza non nasce dalla guerra in posti lontani ma dal controllo delle nostre città. Scopriremo che prevenire disastri in tempo di guerra servirà anche a prevenire disastri in tempo di pace, e impareremo a fare protezione civile, un'arte in cui non abbiamo mai brillato.

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink