Siria



A proposito della Siria: nell'intervista a questo prete che ho incontrato un mese fa ci sono interessanti spunti e una posizione equilibrata che mi pare condivisibile.
Nel linguaggio prudente dell'uomo di chiesa non può sfuggire l'allusione alle ingerenze di Arabia e USA nei problemi siriani
Contatti che ho ancora con giovani a Damasco mi confermano che nella capitale non è accaduto mai nulla di particolare.
Una intervista interessante in audio è reperibile qua: http://www.radio.rai.it/podcast/A12843543.mp3
TC

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INTERVISTA di Geraldina Colotti
PAOLO DALL'OGLIO
Un cocciuto del dialogo nel deserto siriano
«I nonni comunisti e i padri islamisti si inchinano di fronte al coraggio dei giovani di internet che chiedono dignità e cittadinanza e pregano per la strada: la dimensione religiosa si combina con un'idea moderna di stato» Dalla comunità monastica di Deir Mar Musa, che ha fondato nel 1982, il sacerdote parla della richiesta di democrazia che si diffonde in Siria

 

Si definisce un «cocciuto del dialogo», padre Paolo Dall'Oglio, un gesuita che, come nella Bibbia, è «rimasto bloccato dal deserto»: in questo caso nel deserto siriano, a 80 chilometri a nord della capitale Damasco, dove - dopo un interminabile numero di scalini - si erge il monastero di San Mosè, Deir Mar Musa in arabo. E lì Dall'Oglio ha deciso di fermarsi, ancor prima d'essere ordinato prete in rito siriano, negli anni '80: «sono arrivato al monastero per un ritiro di preghiera di dieci giorni e ci sono rimasto - racconta adesso al manifesto - allora, nella Siria del 1982, mi ponevo una serie di questioni molto serie e molto gravi».
Molto seria e grave è anche la situazione attuale in Siria: rivolte popolari, repressione. Qual è il suo giudizio su quanto sta accadendo?
Quel che si può e si cerca di fare, quel che si può e si cerca di dire a proposito della Siria deve prima di tutto tener conto della sensibilità antioccidentale, anti-Nato, dovuta evidentemente al fatto che una parte del territorio nazionale è ancora occupato dallo stato di Israele, alleato dell'occidente capitalista. Questo è un dato importante del consenso nazionale siriano, insieme alla solidarietà con il popolo palestinese. Alla base di questa situazione, certo, c'è la crisi economica, ma io non sono un marxista nel senso letterale del termine, vedo meglio quindi i risvolti culturali, spirituali. Oggi siamo di fronte a una mutazione culturale determinata dai nuovi mezzi di comunicazione, innanzitutto le tv satellitari che hanno molto rivoluzionato i sistemi di indottrinamento nazionale, hanno mostrato quel che succede altrove, lasciato intravvedere un pluralismo dell'informazione e questo, insieme alla presenza delle organizzazioni non governative, ha creato le condizioni per una richiesta di democrazia. I popoli vogliono accedere a una vita degna, c'è anche un'evoluzione della religione. Ho scritto in un piccolo articolo: i nonni comunisti e i padri islamisti si inchinano di fronte al coraggio dei giovani di internet che chiedono dignità cittadinanza diritti dell'uomo e pregano per la strada: la dimensione cristiana e musulmana si combinano con una idea moderna dello stato e della società.
Da mesi, ogni venerdì parte su Facebook un nuovo appello alla protesta contro il presidente Bashar al-Assad. Sulla rete, gli attivisti danno conto del numero di vittime, in aumento. Che scenario si prospetta?
I numeri delle rivolte non indicano però ancora un cambiamento radicale irreversibile, e anche la repressione ha una sua fissità. Siamo in una situazione di stallo. Difficile avere il polso concreto di quel che accade in ogni parte del paese, molte notizie non sono verificabili. Ad Aleppo, dove sono appena stato, la situazione sembra normalissima. La popolazione si comporta con grande maturità civile, mostra di volere una mutazione ma nella pace e non nella violenza. I siriani sono persone responsabili, si rendono conto che non possono paralizzare l'economia, quindi fanno le manifestazioni pacifiche venerdì, seppelliscono i morti sabato e poi tornano a lavorare il giorno dopo.
Il presidente al-Assad denuncia ingerenze esterne, Telesur e altri media indipendenti parlano di cecchini, di contractors pagati dall'estero per uccidere i civili e provocare tensioni. Lei cosa ha visto?
Io non faccio l'osservatore Onu, i miei occhi si fermano dove arriva il mio sguardo. In mancanza di pluralismo dell'informazione e di apertura all'informazione, è difficile farsi un'idea oggettiva degli avvenimenti. Certo, la Siria ha dei vicini difficili, in Giordania i Fratelli musulmani sono molto forti e attraverso questo anche il peso di un certo sunnismo militante, anche saudita, può farsi sentire. Il Libano si presta a ogni permeabilità nei due sensi, la lunga frontiera irachena non è di facile gestione. Visti i dati regionali, sarebbe strano e ingenuo pensare che non ci siano infiltrazioni esterne, ma naturalmente non si può escludere che ci sia anche una manipolazione interna. L'ha detto anche il presidente al- Assad in due importanti discorsi in parlamento: siamo in ritardo, le tempeste regionali che hanno sconvolto la Siria hanno prodotto un grande ritardo che abbiamo accumulato e che stiamo cercando di recuperare: ritardo di dialogo e di comprensione reciproca. Gli arabi non sono mica allergici alla democrazia. Quando la democrazia non è imposta con le bombe, quando è una democrazia matura e rappresentativa, è un buon modulo per la gestione e la soluzione pacifica dei conflitti sociali, e quindi anche gli arabi la desiderano come la desidera la stragrande maggioranza dei popoli di questo mondo.
A cosa è dovuto il ritardo?
I fattori sono molti: l'eredità della Guerra fredda e lo schieramento assunto dalla Siria allora, una certa rigidità legata all'aggressione e all'occupazione da parte di Israele, l'involuzione della struttura di fondo del potere che ora è in crisi e reagisce con la repressione. La situazione culturale del mondo arabo oggi consente però di pensare che è possibile per la Siria approdare a una mutazione verso la democrazia matura: senza guerra civile e senza perdere l'unità nazionale - i due grandi rischi per il paese in questo momento - e senza finire in un bagno di sangue. Ma per questo occorrono delle mediazioni: non basta e non è giusto contare sulla pressione della Nato, meglio sarebbe cercare la mediazione dei paesi emergenti come il Brasile, oppure di qualche paese musulmano amico come l'Indonesia, o ancora si potrebbe favorire una presenza più importante della Russia. Non si può mettere all'angolo qualcuno che, comunque sia, è convinto di aver servito il paese per decenni, senza offrire una via d'uscita che cerchi di salvaguardare la dignità delle persone. Ora il modello non funziona più, d'accordo, ma in che modo sostituirlo? Il mondo multipolare e le possibilità che offre, ci interessa, la democrazia imposta dal modello occidentale invece ci spaventa: abbiamo di fronte l'esperienza tragica dei nostri vicini iracheni, per non parlare degli afghani. Le buone intenzioni dell'occidente, se così si può dire, portano alla guerra civile e questo per noi cristiani orientali è stato un macello: perché quando si perde la sicurezza della strada, le minoranze vengono schiacciate, stritolate tra i corpi più imponenti in conflitto.
Nel suo ultimo libro, «Innamorato dell'islam credente in Gesù», appena pubblicato da Jaca Book, vi è un concetto centrale, quello di buon vicinato.Una pratica difficile per i cristiani, oggi, in oriente.
In occidente, la relazione fra islam e cristianesimo si è modulata solo nel conflitto, eccetto nella Sicilia di Federico II e nell'Andalusia. L'occidente pensa alla relazione con l'islam come a una relazione conflittuale, mentre in oriente le cose sono state molto diverse. Di fatto, molto presto sotto la cupola del potere musulmano si è realizzata una società multiculturale, multireligiosa, dove la pratica del buon vicinato, che è una virtù musulmana - oltreché una virtù biblica e in un certo senso evangelica -, è diventata teologia pratica. La struttura simbolica di questa società è una società per l'armonia, una società dove l'ideale è l'armonia non il monopolio, ma non è stata sufficientemente tematizzata, elaborata teologicamente; invece oggi deve esserlo per produrre anticorpi di fronte all'islamofobia o alla cristianofobia, di fronte alle fobie identitarie e agli istinti di branco. La situazione dei cristiani in Iraq è fonte per noi di grande angoscia, abbiamo ricevuto centinaia di migliaia di profughi dall'Iraq, stritolati dalla logica della guerra civile, questo provoca un'angoscia diffusa tra i cristiani siriani che quindi preferiscono rinunciare al cambiamento, anche se auspicabile, per non finire all'inferno. Invece, chiudersi in un istinto identitario può solo portare all'autoesclusione per i cristiani locali, che possono e debbono essere uno spazio di dialogo tra le realtà in conflitto in questo paese, devono essere fonte e luogo di elaborazione di concetti capaci di produrre soluzione del conflitto: da adesso, non da domani.
I conflitti si esasperano quando le religioni invadono la sfera politica.
Contro un certo populismo postdemocratico che crea derive identitarie usando l'islamofobia (penso alla Lega che porta i maiali a pascolare sui terreni in cui deve nascere una moschea), contro tutti i meccanismi di aggregazione manipolata, occorre uno sforzo di vera democrazia non giocata sul plagio ma sulla promozione della partecipazione responsabile, adulta, matura. Un nuovo cittadino partecipe o è concepito in modo globale, oppure viene umiliato a livello locale. Purtroppo, l'istinto di esclusione fa ancora parte dei nostri istinti da curva da stadio, e questo si riflette anche nel contesto religioso simbolico. Bisogna tornare al messaggio di Gesù di Nazareth, che rifiuta ogni appartenenza dogmatica ideologica e abbraccia la relazione personale: non devo dimostrare niente a nessuno, sono interessato a fare con te delle scoperte, il fatto di camminare assieme è già una scoperta che ci modifica entrambi.
Una volta, i preti di frontiera, figli come lei della Teologia della liberazione, stavano a fianco dei popoli per una società comunista, oggi a fianco di chi marciano?
Avevo 17 anni quando ho partecipato al convegno dei Cristiani per il socialismo di Bologna, vengo dai Cristiani per il socialismo, la mia matrice è quella della Teologia della liberazione; ma da un certo momento in poi mi sono reso conto che l'interpretazione marxista dei fatti sociali se non prende in conto il valore e il ruolo delle grandi unità di significato rappresentate spesso dalle comunità religiose, si illude nell'interpretazione dei fatti sociali. Quindi ho dedicato la mia vita al dialogo islamo-cristiano, e vivo nella scomoda terra di mezzo in cui si rischia di prendere pesci in faccia da tutte le parti.