Re: [reg-piemonte] I libici sono soli



Allego interessante intervista. Interessante non significa indiscutibile.
Chi cerca di lavorare per la pace è contrario ad ogni ingerenza militare e
ad ogni colonialismo passato o presente.
Non mi pare giusta l'indifferenza, mentre i popoli lottano per essere liberi
e giusti.
La solidarietà umana e politica è giusta. Aiutiamoci per trovare i modi
giusti.
Saluti cordiali.
Enrico Peyretti, Torino



----- Original Message ----- 
From: <hisao.fujitayashima at unito.it>
To: <e.pey at libero.it>
Cc: Sent: Monday, March 07, 2011 6:57 PM
Subject: Re: [reg-piemonte] I libici sono soli


> Egr. Sig. Peyretti,
> Egr. Sig. Sullo,
>    Io vivo in Algeria. Vi prego di rimanere indifferenti,
> cioe' vi prego di non cercare ingerenze. Vista la grave
> situazione in Libia, la notra preoccupazione principale
> e' l'eventualita' dell'ingerenza militare degli Stati Uniti
> e della NATO. Mi sembra che voi non abbiate alcuna
> sensibilita' dei popoli che subito secoli di dominazione
> cololiale. Allora sarebbe miglio che voi non diciate nulla,
> i problemi dei paesi arabi devono essere risolti solo
> dalla popolazione araba e non da voi "democratici
> del paese ex-colinizzatore".
>    Coprdiali saluti.
>
> >
> > ------------------ Messaggio originale -------------------
> > Oggetto: [reg-piemonte] I libici sono soli
> > Da:      "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
> > Data:    Lun, 7 Marzo 2011, 4:44 pm
> > A:       "lista Peacelink Pace" <pace at peacelink.it>
> >          "lista pax christi gr discussione"
> > <paxchristi at yahoogroups.com>
> >          "lista nonviolenti"
> > <nonviolenti at liste.retelilliput.org>
> >          "lista Mir dibattito"
> > <mir-riconciliazione at yahoogroups.com>
> >          "Lista Menapace" <lista123lm at gmail.com>
> >          "LISTA LILLIPUT PIEMONTE"
> > <reg-piemonte at liste.retelilliput.org>
> >          "lista eco-fem-nv"
> > <eco-fem-nonviolenta at lists.unbit.it>
> >          "lista donne in nero"
> > <donneinnero-owner at listas.nodo50.org>
> >          "lista BCP" <ml-beati at beati.org>
> >          "lista angelo casati 01"
> > <sullasoglia at yahoogroups.com>
> >          "lista alteracultura" <info at alteracultura.org>
> > ----------------------------------------------------------
> >
> > Care e cari, scusate la molestia ma sentivo la necessità
> > urgente di far qualcosa: quel che so fare (forse) è
> > scrivere, quindi ho scritto, e messo nel sito di
> > Democrazia chilometro zero (www.democraziakmzero.org), un
> > mio testo sull'indifferenza sostanziale con cui sinistre,
> > movimenti, pacifisti, ecc. - e i loro mezzi di
> > comunicazione - guardano ai ribelli libici e al massacro
> > che Gheddafi sta compiendo. Trovo tutto questo scandaloso.
> > Ditemi, se avrete la pazienza di leggere, cosa ne pensate
> > e, se siete d'accordo, fate girare il testo in tutte le
> > liste cui siete iscritti. Lo stesso farò io. Vi allego
> > l'articolo e lo metto anche qui nel messaggio.
> > Grazie
> > Pierluigi Sullo
> >
> >
> >
> > I libici sono soli
> >
> >
> > di Pierluigi Sullo
> >
> > In questi giorni mi domando con crescente angoscia: perché
> > sinistre, movimenti, sindacati, centri sociali, pacifisti
> > e società civile variamente attiva sembrano più che altro
> > indifferenti a quel che sta avvenendo in Libia? Nel paese
> > nostro dirimpettaio, sul Mediterraneo, un dittatore al
> > potere da più di quaranta anni sta macellando il suo
> > popolo e qui nessuno o quasi sembra turbato.
> >
> > Non dico convocare una manifestazione di sostegno ai
> > rivoluzionari libici (così loro chiedono di essere
> > chiamati, proprio come i tunisini e gli egiziani) e per
> > fermare il massacro, ma un appello, una indignazione
> > diffusa, articoli di fuoco su giornali e siti di sinistra
> > o dei vari movimenti. Io stesso ho partecipato al primo
> > sit in davanti all'ambasciata di Gheddafi a Roma, intorno
> > al 20 di febbraio: c'era qualche libico che vive qui,
> > qualcuno dei centri sociali, di Rifondazione e della Fiom.
> > Una parte del discorso di Nichi Vendola, nel meeting di
> > qualche domenica fa, era dedicata alla ribellione e al
> > dittatore libico, citato come tale. Poi, quasi più nulla.
> > E quando, domenica 6 marzo, nel Tg3 serale, ho visto
> > Walter Veltroni invocare un mobilitazione a favore del
> > popolo libico, per la prima volta in molti anni ho pensato
> > «ha ragione».
> >
> > Frequento, un po' per professione e un po' per vizio,
> > molti «mezzi di comunicazione» di sinistra o di movimenti
> > vari, e sono stupefatto della sostanziale assenza di
> > reazione. Certo, il manifesto pubblica ogni giorno
> > reportage e commenti, ha anche un inviato (sebbene
> > «embedded» come lui stesso si definisce) a Tripoli. Ma il
> > giornale che sta a cuore a tutti noi e che continua a
> > influenzare l'opinione di sinistra, o almeno a
> > rappresentarne una parte rilevante, sembra finito in una
> > «no fly zone», in una terra morta tra la rievocazione un
> > po' disperata di quel che fu, ossia delle rivoluzioni
> > militar-progressiste e socialiste nei paesi arabi, e
> > l'allarme per il possibile intervento militare degli
> > occidentali e degli Stati uniti. La vecchia logica per la
> > quale chi è amico del mio nemico è mio nemico sembra
> > irresistibile.
> >
> >
> > Nel sito di «Mémoires des luttes», la rivista francese che
> > fa capo a Ignacio Ramonet e a Bernard Cassen, che non si
> > può dire non guardino con simpatia ai governi
> > «progressisti» latinoamericani, e a quello di Chavez in
> > particolare, si può trovare un articolo di Bernard Perrin,
> > pubblicato in origine sul sito del quotidiano indipendente
> > svizzero Le Courrier, che giudica uno «stupefacente e
> > inquietante parallelismo» quello tra l'inquietudine di
> > molti governi europei di fronte alla possibilità che
> > Gheddafi venga rovesciato dal suo popolo, e la paura, che
> > si è impadronita dei governi di sinistra dell'America
> > latina, di veder cadere «un compagno rivoluzionario».
> > Infatti, aggiungo io, Chavez ha proposto una mediazione
> > che è piaciuta solo a uno degli agenti in gioco: Gheddafi.
> > Ma anche il governo del boliviano Evo Morales non scherza.
> > Quel che vedono, questi governanti, è solo il tentativo
> > occidentale di accaparrarsi il petrolio libico.
> >
> > «Finché la sinistra disprezzerà la questione del rispetto
> > dei diritti dell'uomo, considererà che la realpolitik
> > possa giustificare tutto e confonderà la lotta
> > anti-imperialista con la lotta a morte delle élites
> > burocratiche - scrive Perrin citando Hervé do Alto,
> > politologo francese legato all'edizione boliviana di Le
> > Monde diplomatique - non ci potremo aspettare niente di
> > buono da essa». E, sempre citato da Perrin, aggiunge Raul
> > Zibechi, giornalista e scrittore uruguayano: «Bisogna
> > guardare l'orrore in faccia: talvolta la sinistra non ha
> > voluto vedere né sentire né capire le sofferenze della
> > gente in basso, sacrificata sull'altare della rivoluzione.
> > Ma questa volta non potremo dire che non sapevamo».
> >
> > Sconcertato dall'atteggiamento del manifesto, sono andato
> > allora a vedere cosa ne scrive Liberazione, il quotidiano
> > di Rifondazione. Nel cui sito si trovano poche e scarne
> > notizie, quasi tutte di carattere
> > diplomatico-internazionale. Potrei sbagliare - non vedo
> > con continuità il giornale diretto da Dino Greco - ma se
> > avessero promosso un appello, una chiamata alla
> > solidarietà con i libici, questo sul sito ci sarebbe
> > certamente.
> >
> > E allora Global Project, il sito dei centri sociali del
> > nord est: molto ben fatto e pronto a reagire, in genere.
> > Ci trovo solo un articolo, scritto da Giampaolo Calchi
> > Novati per il manifesto, in cui si parla di «impropria
> > alleanza tra giovani ed eserciti», in Tunisia ed Egitto, e
> > ci si preoccupa soprattutto - di nuovo - che gli Stati
> > uniti possano mettere le mani sul petrolio libico. Degli
> > insorti, i ragazzi, gli artigiani, le persone comuni che
> > si stanno difendendo dai mercenari e dai fedeli di
> > Gheddafi, nemmeno una parola. Ma nel sito di Global si
> > trovano anche testi e discorsi video di un seminario in
> > più puntate sul «tumulto», sulla rivolta cioè, che si
> > tiene a Roma. Datato 28 febbraio, c'è un testo di Alberto
> > Do, per altri versi interessante, in cui si parla
> > diffusamente di Tunisia ed Egitto: sulla Libia nemmeno una
> > parola, benché la rivolta sia iniziata il 17 febbraio.
> >
> >
> > La mia impressione è che la rivoluzione dipende. Se le vie
> > di Tunisi o Piazza Tahrir al Cairo si riempiono di gente
> > che vuole abbattere tiranni esplicitamente amici
> > dell'Occidente, come Ben Ali e Mubarak, allora si inneggia
> > alla ribellione (e Valentino Parlato, per stabilire la
> > differenza tra un dittatore e un altro, scrive che
> > l'«amicizia» tra Gheddafi e Berlusconi è stata «un errore»
> > del dittatore libico); se invece il tiranno è percepito
> > come un avversario degli occidentali, allora la ribellione
> > diventa dubbia. E siccome a tutte le evidenze dubbia non
> > è, anzi è autenticamente popolare, come testimoniano tutti
> > i giornalisti che hanno potuto incontrarne i protagonisti,
> > e sicuramente non è una manovra di Al Qaeda (come strilla
> > il tragico clown di Tripoli), e non è neppure una longa
> > manus dell'imperialismo statunitense, allora i ribelli di
> > Bengasi e compagni cadono in un limbo: non si può
> > sostenerli né parlarne male, quindi si preferisce evitare
> > il tema e ci si rifugia in considerazioni geopolitiche,
> > geostrategiche, geoqualcosaltro. Come dice Zibechi, le
> > sofferenze della gente reale spariscono. E d'altra parte i
> > libici resistono con le armi - quelle che hanno recuperato
> > grazie alle diserzioni nell'esercito - quindi anche i
> > pacifisti, evidentemente, non provano simpatia, anche se
> > la non violenza non consiste semplicemente nel lasciarsi
> > fucilare dai tiranni.
> >
> >
> > E sì che le rivoluzioni arabe, non solo del Maghreb ma
> > della penisola arabica e dell'Iraq, avrebbero molto da
> > insegnarci. Ignacio Ramonet ha indicato quelle che secondo
> > lui sono le diverse cause di una esplosione imprevista e
> > intimamente democratica. Ci sono cause storiche, scrive
> > Ramonet, ossia la degenerazione di regimi nati come
> > «laici» o addirittura «socialisti» (quello algerino, ad
> > esempio). Ci sono cause politiche, come il fatto che le
> > dittature sono state sostenute dall'occidente in nome
> > della lotta al «terrorismo islamico» e della diga
> > all'invasione di migranti (come Gheddafi, che faceva il
> > lavoro sporco per l'Italia e ora agita la minaccia una
> > «invasione»). C'è la crisi economica globale, che lì
> > colpisce più che altrove. C'è - a sorpresa, per una
> > visione di sinistra - una causa ambientale: la siccità
> > provocata dalla crisi climatica che due anni fa ha ridotto
> > di un terzo la produzione di grano in Russia, la
> > conseguente chiusura delle esportazioni e l'impennata del
> > prezzo degli alimenti di base sui mercati internazionali,
> > che - avverte in questi giorni anche la Fao - sta
> > scuotendo tutte le società del Sud del mondo. E c'è,
> > infine, una causa sociale: il contrasto durissimo tra
> > livelli di scolarizzazione molto alti e livelli di
> > occupazione bassissimi e di bassa qualità, in paesi molto
> > giovani.
> >
> > Di questo varrebbe la pena discutere. Guardando a quel che
> > succede dall'altra parte del Mediterraneo come a una
> > speranza. Le finte democrazie egiziana e tunisina (e noi
> > italiani di finta democrazia ne abbiamo in abbondanza) non
> > avrebbero consentito cambi sostanziali del modo di vita e
> > della partecipazione democratica. Non parliamo della
> > dittatura «verde» di Gheddafi. Quindi quelle società sono
> > esplose. Hanno mostrato come si possa - in modo pacifico,
> > fin quando non si incontra un tiranno omicida - cambiare
> > le cose. Perciò dovremmo in ogni modo possibile sostenere
> > le persone che l'aviazione di Gheddafi bombarda e i suoi
> > sicari ammazzano per le strade. Perciò mi chiedo, io che
> > insieme a tanti altri reggevo lo striscione della
> > manifestazione contro la guerra in Iraq, il 13 febbraio
> > del 2003, dietro al quale si erano radunate tre milioni di
> > persone, che fine abbia fatto quella aspirazione alla pace
> > e alla democrazia. Per tutti. Libici compresi.
> >
> >
> > In ogni modo, per quel che serve, allego il link alla
> > pagina di Twitter che i rivoluzionari libici hanno aperto
> > per far circolare anche le loro informazioni:
> > http://twitter.com/LibyanTNC
> >
>
Allegato Rimosso