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Di suguito un altro triste segnale dei tempi, un caro saluto, Nando


L’Army Experience Center (AEC): addestrare ragazzini a uccidere.
Di David Swanson per Global Research http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=15734

“È troppo bello! È troppo bello” ripeteva un tredicenne mentre scaricava colpi da un vero M-16, abbattendo “combattenti nemici” in un videogioco stando appollaiato in cima ad un vero Humvee dell’Esercito. “Ero andato al Centro commerciale solamente per fare un po’ di skateboard, ma tutti dicevano che è proprio bello. Ho solo dovuto provarlo ed è fantastico!”
La persona che ha riferito di questo entusiasmo giovanile è Pat Elder, il quale è impegnato nel Comitato Direttivo della Rete Nazionale Contro la Militarizzazione della Gioventù. Elder ha descritto pure giovani adolescenti congratularsi a vicenda per aver “ucciso straccioni col turbante” ed “annientato islamici”.
Tutto questo divertimento va in scena all’Army Experience Center (AEC), una “struttura educativa virtuale” di 14.500 piedi quadrati nel Centro commerciale Franklin Mills alla periferia di Philadelphia, in Pennsylvania. L’Esercito statunitense ha inaugurato il centro nell’agosto 2008 e stabilito di portarlo avanti per due anni come progetto pilota. Se il centro fosse stato in grado di reclutare tanti nuovi soldati quanto cinque punti ordinari di arruolamento, l’Esercito avrebbe progettato di allestirlo su scala nazionale. L’AEC costa più di 12 milioni di dollari fra progetto e costruzione, ma certamente l’esercito spende diversi miliardi all’anno per l’arruolamento ( http://byebyeunclesam.wordpress.com/2010/03/01/pochi-ragazzi-in-gamba/ ) .

Pacifisti e cittadini preoccupati della zona circostante e da tutta la Costa Orientale hanno rapidamente avviato una campagna battezzata “Chiudere l’AEC” ( http://shutdowntheaec.net/ ) . Attraverso una serie di proteste ed iniziative non violente, alcune delle quali culminate in arresti, i manifestanti hanno suscitato preoccupazione e generato un’ondata di attenzione negativa da parte dei media riguardo l’ultimissimo strumento di arruolamento dell’Esercito. Come conseguenza, il Pentagono ha interpellato Donna Miles, una giornalista dell’American Services Press Service, il braccio propagandistico del Pentagono. La Miles aveva già pubblicato articoli distensivi in seguito agli scandali di Abu Ghraib, Walter Reed e vari incidenti che coinvolgevano vittime civili. Come rileva Elder, “O la Miles è incredibilmente prolifica, essendole stati attribuiti già 229 articoli quest’anno, oppure è uno pseudonimo per alcune persone al servizio del Pentagono”.

La Miles ha scritto riguardo l’AEC in questi termini: “Il tredicenne Sean Yaffee, ad esempio, non si vede nei panni del militare. Però sta diventando un assiduo frequentatore del centro, ove può cimentarsi con gli stessi videogiochi che ha a casa, ma in compagnia dei suoi amici. Yaffee ha detto di aver imparato un sacco di cose sull’Esercito al centro. “Ti spiega semplicemente l’esperienza dell’Esercito, ma non ti fa pressioni” ha affermato “Io sono qui solamente per divertirmi”.”
Simpatico, ma l’opinione pubblica non se l’è bevuta e le proteste sono proseguite. Il 12 settembre 2009, un gruppo di 250 attivisti ha sfilato verso l’AEC per opporsi all’uso di denaro pubblico per insegnare ai bambini – in uno spazio semipubblico – che uccidere può essere divertente e nel frattempo reclutare diciottenni da impegnare in un contesto reale. In questa circostanza la polizia ha arrestato sei manifestanti ed una giornalista. Quest’ultima, Cheryl Biren, non era assieme ai manifestanti ma è stata prelevata dalla folla, apparentemente a causa della sua telecamera professionale.

Giorni prima di questa manifestazione da lungo tempo progettata ed annunciata pubblicamente, l’Esercito aveva dichiarato preventivamente che avrebbe verosimilmente chiuso l’AEC e non ne avrebbe aperto nessun altro in centri commerciali, come era stato progettato. La ragione? Siete pronti a sentirla?
Per sua stessa ammissione, l’Esercito non ha bisogno di nessun’altra recluta poiché la crisi economica ha significativamente incrementato gli arruolamenti.
Ora, la verità è che l’economia è pessima, la disoccupazione sta crescendo ed i militari hanno ridotto le altre spese per l’arruolamento, per la nota ragione che c’è un aumento degli arruolamenti derivante dalla pessima situazione economica.
(…)

Traduzione di L. Salimbeni

Fonte: http://byebyeunclesam.wordpress.com
Link: http://byebyeunclesam.wordpress.com/2010/03/13/la-militarizzazione-della-gioventu-americana/
13.03.2010

----Messaggio originale----
Da: e.pey at libero.it
Data: 18/03/2010 19.46
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RESISTENZA E PACE

 

Chi tira pietre

Chi tira i fili

 

Eccola qui, la “collera dei poveri” di cui parlava Paolo VI nella sua enciclica “Populorum Progressio”. “Giornata della collera” hanno chiamato i palestinesi quella indetta per protestare contro la costruzione di 1600 nuove case e una sinagoga dentro le mura della vecchia Gerusalemme, quel piccolo lembo di città che è rimasto come simbolo (ma ormai solo come simbolo) della Palestina araba. Ma come per la collera di Paolo VI, anche questa non è una collera dei poveri contro la loro povertà e contro un imperscrutabile destino, ma è la collera contro gli oppressori, cioè contro coloro che fanno di questa povertà la causa della loro ricchezza e di questa oppressione il prezzo del loro dominio. E poiché poveri, essi non hanno le armi dei ricchi, hanno pietre e parole, e con quelle in un mondo come questo non riescono a liberarsi. Per questo nel futuro non si vedono che armi in mano a nuovi protagonisti, e il Medio Oriente, dall’Iran a Israele, dalla Siria all’Arabia si fa sempre più zeppo di armi, la maggior parte fornite da noi, e un giorno esploderà.

Di nuovo c’è che si è aperta una crisi tra America e Israele. L’ostentata decisione del governo israeliano di aprire 1600 nuovi cantieri per gli insediamenti in terra palestinese è stata gettata tra i piedi di Obama, e usata come provocazione proprio nel momento del viaggio del vice-presidente americano Joe Biden in Israele. Tutto si può dire tranne che l’incidente sia avvenuto per caso, o che si debba attribuire a un sonno o a una distrazione della diplomazia. Per questo Obama si è così arrabbiato, e la segretaria di Stato Hillary Clinton ha usato verso l’alleato ebraico inconsuete parole di fuoco.

L’atto ostile di Israele non è stato però contro l’America, ciò che equivarrebbe a un suicidio, ma è stato contro l’attuale presidenza americana, contro il discorso di Obama al Cairo, contro il progetto politico universalistico per il quale Barack Obama ha avuto quel Premio Nobel per la pace che a tutti i costi si deve evitare che sia onorato non più nelle parole, ma nei fatti.

L’azione di Israele preannuncia (ma tutti gli annunci si avverano?) la sconfitta di Obama, non sulla riforma sanitaria, dove negli Stati Uniti lo aspettano al varco, ma sulla pace interetnica, internazionale e interreligiosa che egli vorrebbe assumere come nuovo compito storico del suo Paese.

È del tutto evidente che in questo progetto di un mondo riconciliato, che per la prima volta è perseguito da un profeta non disarmato che però non lo vuole realizzare con le armi, Israele non può essere come l’Israele di prima, come l’Israele di oggi, ma deve convertire se stesso e cambiare l’ideologia della propria sicurezza.

In un mondo riunito nella pace, Israele non può restare lo Stato che ancora crede nella guerra, che non vuole vedere “mutilata” la vittoria del 1967 da cui ha avuto la conquista dell’intera Palestina, non può essere il Paese che uccide i suoi nemici prima che possano nuocergli, anche “extra proelia”, nella sua perenne guerra a bassa intensità; questo Israele non è adatto a quel mondo, ma senza Israele quel mondo non può esistere. Per stare nel mondo sognato da Obama e da miliardi di uomini e donne di tutto il mondo, e per rendere questo mondo possibile, Israele dovrebbe essere quell’Israele che noi aspettiamo e che amiamo, e che del resto come “luce delle genti” è promesso da secoli.

Questa è la vera scommessa storica di questo passaggio d’epoca. Non si gioca solo una presidenza americana, ma tutto. Ma per uscirne vittoriosi, occorre che Israele, e tutti noi, ci liberiamo della condanna dello Shoà, non ci facciamo determinare da essa, facciamo di quella memoria di un male assoluto ma non definitivo, non un ricatto che ci paralizza nel pensiero, nella politica e nella vita, ma una memoria liberatrice. Altrimenti saranno ancora loro, i giustiziati di Norimberga, a tirare i fili della nostra storia.

                                                                                Raniero La Valle

 

----- Original Message -----
From: Raniero La Valle
To: rocca
Cc: roccatip
Sent: Thursday, March 18, 2010 4:11 PM
Subject: chi tira le pietre chi tira i fili.doc

accludo l'articolo per il prossimo n. 7 di Rocca.
Con cordiali saluti ed auguri
  Raniero La Valle