La NATO compie sessant’anni e flirta con la UE



La NATO compie sessant’anni e flirta con la UE

di Antonio Mazzeo
 
È divisa un po’ su tutto: sui tempi e le modalità di una sua ulteriore espansione ad est; sull’atteggiamento da assumere nei confronti di Russia, Cina ed Iran; sul programma di escalation militare dell’amministrazione Obama in Afghanistan e Pakistan; sui futuri piani di ammodernamento dei sistemi militari, ritenuti fortemente pregiudiziali per le industrie europee. Ma quando poi si decide d’intervenire e bombardare - così com’è stato nei Balcani o in Medio oriente - o d’intraprendere nuove avventure nucleari e spaziali, le frizioni interne scompaiono e si confermano unità d’intenti e di azione tra i paesi membri. Si presenta così la NATO alla vigilia del suo sessantesimo compleanno: con qualche ruga di troppo ma comunque entusiasta di affrontare le nuove sfide del XXI secolo, forte del ritorno del figliol prodigo francese e delle solide partnership con Giappone, Corea del Sud e Australia e con i paesi-prigione stile Colombia ed Israele.
Abbattute le barriere ideologiche che dalla sua fondazione avevano relegato l’azione alla mera “difesa” della regione nord-atlantica, la NATO  ha fatto dell’intervento “out-of-area” l’asse strategico su cui re-inventare operazioni, esercitazioni, logistica, sistemi d’arma, centri di comando, controllo e comunicazioni. Dopo i massacri di civili in Kosovo, Serbia e Montenegro e la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan, la NATO aspira a penetrare in Pakistan e a seguire le avventure nel continente africano del nuovo comando delle forze armate USA “Africom”. In Africa, del resto, l’alleanza militare due piedi ce li ha messi già: unità militari NATO operano a sostegno dell’ambigua missione dell’Unione Africana in Darfur o nel pattugliamento delle coste somale in funzione anti-pirati.
Ma tutto questo non basta, i governi che contano chiedono sempre di più. “La NATO ha bisogno di adeguare le sue strategie alle nuove sfide”, ha dichiarato la prima ministra tedesca Angela Markel. “Dobbiamo sviluppare un nuovo concetto strategico a partire dal summit che si terrà il 3 e 4 aprile 2009, per dare risposta alle odierne e future minacce. In quest’ottica la NATO ha bisogno di definire e rafforzare le sue relazioni con le organizzazioni partner, come le Nazioni Unite, l’Unione Africana e le organizzazioni non governative, e di cooperare più strettamente con l’Unione europea”. Una NATO che sia sempre più “organismo politico” oltre che militare e che “proietti stabilità” in aree di crisi, “favorisca il dialogo, promuova la democrazia e contribuisca alla ricostruzione e al consolidamento istituzionale”, come aggiungono i massimi vertici dell’alleanza da Bruxelles. Un’organizzazione dunque estremamente flessibile e capace di affrontare qualsivoglia minaccia che possa minare la “sicurezza” dei paesi membri e dei liberi mercati.
Le sfide che saranno affrontate dalla “nuova” NATO sono elencate dal Segretario generale, Jaap de Hoop Scheffer: all’antico ritornello sul terrorismo internazionale, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e gli stati “canaglia”, si aggiungono adesso le guerre cibernetiche, il crimine organizzato, le carenze di fonti energetiche, il degrado ambientale, le calamità naturali, gli attacchi bio-terroristici e le pandemie.
L’Hague Centre for Strategic Studies, centro ultraconservatore olandese di studi strategici, prevede “sfide” ancora più complesse per la NATO. “I paesi dell’Alleanza dovranno riconciliare il loro ruolo tradizionale con le necessità strategiche rappresentate dalle crisi economiche, dalla competizione per le risorse dell’Artico e dal risorgere di Russia e Cina”, scrive in un rapporto presentato il 27 marzo a Bruxelles nel corso di un incontro con oltre 300 ricercatori e studiosi sui temi della “sicurezza transatlantica”. “Una possibile dissoluzione della zona euro, un grande evento speculativo nei circoli finanziari, potrebbero avere un impatto significativo sulla sicurezza e la difesa europea”. Fronteggiare queste minacce “globali” richiederà partenariati di vasta portata ed una forte sinergia tra la NATO e l’Unione Europea, conclude il centro di studi olandese. E la posta in gioco non permetterà né tentennamenti né astensioni di sorta. Per questo a Bruxelles si lavora per emendare la Carta costitutiva dell’Alleanza Atlantica che ha consentito sino ad oggi agli stati membri di dissociarsi dal partecipare alle guerre con cui si è in disaccordo.
La decisione di festeggiare il sessantesimo anniversario dell’organizzazione militare proprio a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, punta a simbolizzare la conclusione del primo atto del processo di condivisione di programmi, strategie ed interventi in campo politico e militare della NATO e dell’Unione europea. Quello che è stato sino ad oggi un fidanzamento, il 4 aprile 2009 si trasformerà in vero e proprio matrimonio, ospiti d’onore gli alti comandi di Washington e Bruxelles e buona parte dei capi di stato dei 27 paesi dell’Unione, 21 dei quali fanno già parte della NATO, mentre cinque dei sei che ne restano fuori (Austria, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia) sono membri del programma “Partneriato per la Pace” dell’Alleanza Atlantica.
Per il secondo atto del connubio NATO-UE è già pronta una sceneggiatura. “La NATO e l’Unione europea dovrebbero focalizzarsi sul rafforzamento delle loro capacità fondamentali, sull’incremento dell’interoperabilità e sul coordinamento di dottrina, pianificazione, tecnologie, equipaggiamento e addestramento”, scrive su Nato Review, Adrian Pop, decente della National School for Political Studies di Bucarest, Romania. Per il professore Pop la cooperazione NATO-UE deve divenire “la spina dorsale di una forte comunità euro-atlantica”, per “combattere il crimine organizzato, il traffico di droga, delle armi leggere e di piccolo calibro, come pure quello di esseri umani”.
I Balcani possono essere il teatro dove sperimentare nuove pratiche interattive. Del resto è questa la regione dove è più antica la partnership NATO-UE. Nel febbraio 2001, al culmine del conflitto scoppiato nella ex repubblica jugoslava di Macedonia tra la comunità albanese e le forze di sicurezza interne, furono proprio la NATO e l’Unione a coordinare i negoziati tra le parti che sei mesi più tardi sfociarono nell’accordo di Ohrid. Contemporaneamente la NATO avviò una vasta operazione per disarmare gli insorti albanesi che si protrasse sino al marzo 2003, quando le truppe dell’alleanza militare furono sostituite da una task force battente bandiera UE (“Operazione Concordia”). A Skopje continuò ad operare un piccolo quartier generale della NATO per assistere le autorità macedoni e i militari dell’Unione.
Nel dicembre 2004, un passaggio di consegne similare si è verificato nella vicina Bosnia Erzegovina: dopo nove anni di presenza IFOR-SFOR, la NATO passò il testimone all’Unione europea, che immediatamente dette avvio all’operazione Althea, forte di 6.000 uomini. Lo stesso sta accadendo in questi ultimi mesi nel Kosovo tutt’altro che pacificato: la Kosovo Force (KFOR), la sola autorizzata dalle Nazioni Unite con la risoluzione 1244 del 1999, sta trasferendo il comando delle fallimentari operazioni di controllo del territorio alla missione europea denominata EULEX. Altra area geografica dove NATO ed UE fanno coppia fissa e si scambiano le flotte armate è il Golfo di Aden, nell’ambito della crociata mondiale contro i pirati che minacciano mercantili e petroliere (per la task force “EUNAVFOR Atalanta”, si tratta del primo intervento “out-of-area” dell’Unione).
“Anche l’Afghanistan rappresenta un’opportunità per un’accresciuta cooperazione NATO-UE”, scrive ancora il rumeno Adrian Pop. “Il paese ha disperatamente bisogno di più polizia, giudici, ingegneri, operatori umanitari, consulenti per lo sviluppo ed amministratori. L’Unione europea dispone di tutte queste risorse, non altrettanto avviene per i soldati della pace della NATO”. Nel novembre 2006 la Commissione europea ha approvato 10,6 milioni di euro per favorire la distribuzione in Afghanistan di “servizi e una migliorata governabilità attraverso i Gruppi di ricostruzione provinciale (PRT), guidati dalla NATO”. Analoghe forme collaborative starebbero per essere avviate in Iraq, paese dove la NATO è l’attore principale nella gestione dei “programmi di formazione” delle nuove forze armate locali, avvalendosi in particolare del “Defence College” di Roma.
Il 12 giugno 2008, l’ex ministro della difesa britannico e Segretario generale della NATO dal 1999 al 2004, George Robertson, e l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina dal 2002 al 2006 ed oggi braccio destro di Javier Solana alle Politiche estere e di difesa dell’Unione Europea, Paddy Ashdown, dalle colonne del Times hanno chiesto un colpo di acceleratore in vista della formazione di “gruppi di combattimento” e di pronto intervento UE, che siano “compatibili con la forza di risposta rapida della NATO” e facciano da base “di una nuova struttura europea di contro-guerriglia capace di operare negli Stati in dissoluzione ed in teatri post-bellici”. La NATO Response Force (NRF) - con più di 25.000 uomini appartenenti alle forze terrestri, di mare e aree dell’Alleanza - è stata attivata per la prima volta a fine 2005 per intervenire “umanitariamente” in Pakistan dopo un violento terremoto. Nell’estate 2006, d’avanti agli osservatori di mezzo mondo, la NRF ha realizzato la prima grande esercitazione di dispiegamento a Capo Verde (Africa occidentale).

Oggi uno dei suoi maggiori centri operativi funziona da Solbiate Olona (Varese).
A Bruxelles si lavora adesso per rendere il più possibile complementari l’organizzazione e le azioni delle due grandi forze di pronto intervento e “first strike”. Il primo passo sarà quello di standardizzare tecnologie e apparati di guerra di NATO e UE, tema all’ordine del giorno del summit di Strasburgo che però potrebbe generare causare nuove tensioni tra gli Stati partner. Una insanabile frattura si è consumata in ambito NATO solo qualche mese fa con la scelta d’insediare nella base siciliana di Sigonella  il centro di comando AGS (Alliance Ground Surveillance), il nuovo sistema di sorveglianza terrestre alleato che per imposizione di Washington vedrà l’utilizzo di aerei senza pilota Global Hawk di esclusiva produzione USA.