Un anno al Senato



 

Ritrasmetto volentieri la segnalazione di questo libro, perchè, pur fuori ma attento alla politica istituzionale, ho cercato di seguire e ho generalmente apprezzato molto l'attività di Lidia Menapace, esempio di impegno congiunto, in modo proprio e non confuso, nei movimenti e nella presenza parlamentare, purtroppo breve.

Questa articolazione non è sempre ben compresa. I movimenti - mi sembra - devono coltivare la visione e la volontà chiara dell'orizzonte di valori, la politica deve cercare i passi possibili sulla via accidentata, con un gradualismo concreto ben orientato. A me pare che pochi come Lidia abbiano tentato bene questo insieme di azioni.

Enrico Peyretti, Torino (Mir e Movimento Nonviolento)


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Lidia Menapace

Un anno al Senato

lucido diario di fine legislatura 

a cura di Luciano Martocchia

Tracce Edizioni  Pescara

Pagg 298  € 14

298 pagine di riflessioni, indignazione, proposte.

 

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Il testo comprende anche un’ introduzione dell’autrice,  la prefazione del critico letterario e giornalista Giacomo D’Angelo , e la postfazione di Michele Meomartino, attivista pacifista.

 

Info e prenotazioni: Editrice Tracce, Pescara, Via Ravasco 085 76658

www.tracce.org  
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Lidia Menapace,
una delle 'madri' della nostra Costituzione e decana del femminismo e della
nonviolenza italiana, arrivata in Senato a ottant'anni suonati, novarese di nascita e trentina di adozione, racconta in questo libro un anno di esperienza da senatrice attraverso oltre cento lettere inviate in Internet ad una serie di liste del variegato mondo pacifista.

Ne emerge uno spaccato della difficile e complessa macchina istituzionale, ma anche un prezioso compendio per chi, fuori e dentro i movimenti sociali, vuole comprendere e conoscere cosa si muove effettivamente in quel 'Palazzo' spesso evocato come luogo lontano e asettico del potere.

 

Le lettere inviate da Lidia agli amici raccolte  in questo volume riguardano soprattutto nell’ultima parte “l’omicidio politico” perpetrato ai danni della sinistra italiana nelle ultime elezioni politiche dell’Aprile 2008. Dopo la cocente sconfitta che non ha precedenti nella storia della Repubblica, mentre lo scoramento e la rassegnazione affiorano in tanti militanti di sinistra, ancora una volta la nostra Lidia si fa promotrice di un’ennesima iniziativa con l’intento di ricreare nuovi luoghi e metodi di partecipazione politica.

Ironicamente il libro prosegue, dopo la sconfitta elettorale della Sinistra, con il capitolo “Lettere dalle catacombe”

 

Nel racconto emergono il senso di partecipazione, lo spessore dell’impegno, la fantasia e il rigore dell’intellettuale che per una vita ha pensato la politica, il brio giovanile con cui la Menapace affronta il suo servizio civile senza attenuare i nefasti che incontra e senza edulcorare una realtà spesso dissacrante.

 

 " Mi riprometto di inviare via e-mail ogni due settimane un racconto di quello che succede al Senato perchè credo che invece di 'curare il collegio' bisogna attivare strumenti per rendere possibile la famosa democrazia partecipata che abbiamo scritto nel programma di voler fare, - prometteva Lidia Menapace appena eletta. - Se dovessi occuparmi -a titolo di esempio- di riconversione di fabbriche d'armi per avviare una economia di pace, chi
fa parte delle associazioni pacifiste e antimilitariste sarà interessato/a a che scriviamo una legge, una interrogazione, costruiamo una manifestazione, insomma facciamo una o più azioni politiche coordinate: ciò darà forza alle scelte politiche e ci consentirà di pesare anche oltre le nostre materiali presenze ".

" Mi interessa molto cercar di mutare le forme e il linguaggio della politica perchè una certa rigidità delle espressioni non solo rende meno comunicativo ciò che diciamo, ma influisce sulle nostre sinapsi cerebrali. Avere avviato anni fa una campagna per il disinquinamento del linguaggio politico dal simbolico militare, giova: se invece che di strategie - tattiche
- schieramenti parlassimo- come si usa nel femminismo- di buone pratiche e di relazioni più o meno conflittuali ci sentiremmo meno gradi sul berretto e ci faremmo capire da tutti/e.
Le umane attività sono molte e usare solo il linguaggio della guerra fa sì che la politica si rappresenti come una attività che si prolunga nella guerra (la guerra è la politica continuata con altri mezzi, come sosteneva von Clausewitz) invece che volta a costruire attraverso la gestione nonviolenta dei conflitti una terra abitabile e ospitale".

E' un pezzo davvero interessante di storia personale restituita alla collettività, un bell'esempio di resistenza all'oblio che può aiutare tutte e tutti a non perdere fiducia nelle istituzioni, se incarnate nelle persone giuste.
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