La manifestazione per Gaza del 17: In piazza a Roma fra la gente



In piazza a Roma fra la gente
di Alessandro Bernardini
(da www.rivistaonline.com - foto Alessandro Serranò e David Scerrati)



Roma, sabato 17 gennaio. Non è successo niente. Questo è un dato. O meglio: nessuna bandiera israeliana è stata bruciata. Era questo che importava? Sembrava questo il punto. Le forme di protesta, il modo di scendere in piazza. L'analisi di ogni componente, di ogni sigla, di ogni persona, di ogni messaggio. C'erano però alcune svastiche affiancate alla stella di David. Sbagliato di certo. Sbagliato perché è sbagliato e perché si rischia di creare l'effetto macchia. La macchia sulla telecamera che durante un servizio al telegiornale focalizza l'attenzione dello spettatore sull'alone in basso a destra e ruba allo sguardo tutta la scena che si muove sullo sfondo. La scena sullo sfondo: gli oltre mille morti di Gaza uccisi dal "piombo fuso" follia della guerra. C'era tanta gente a Roma per dire no all'operazione israeliana nella Striscia. E' strano trovarsi inondati da migliaia di bandiere della frammentata sinistra, confondersi nei cori in arabo che inneggiano al grande Allah, perdersi sulle note dell'Internazionale, girarsi ed essere coperti dalle bandiere della pace. Soffocare fra le braccia e le gambe della gente che si muove come un enorme essere umano. E' strano fermarsi davanti al Colosseo e restare in silenzio mentre centinaia di persone s'inginocchiano verso la Mecca. Mi chiedo se sia strano che migliaia di musulmani che vivono in Italia inneggino ad Allah camminando accanto ai più oltranzisti comunisti senza dio carichi di falci e di martelli. E' una parte della società italiana, può piacere o no. Ma anche accanto alle femministe, alle associazioni pacifiste italiane, statunitensi. E' strano vedere ebrei che sfilano a dieci metri dai simpatizzanti di Hamas, Fronte Popolare, Fatah? Forse no. Direi proprio di no. E' la gente che sabato è scesa unita in piazza con i propri i linguaggi e la retorica che segna ogni manifestazione dalla sagra di paese all'indignazione contro la guerra. E' strano anche che siano scese in piazza 150mila persone, 100mila, 50mila non si sa, per difendere il diritto del popolo palestinese ad esistere. Mi chiedo perché. Perché la manifestazione è stata organizzata bene o perché c'era una bella giornata di sole e una passeggiata si può anche fare? No. Perché questa volta non si poteva restare inerti. Le manifestazioni non cambiano niente. Questo lo dice chi non le fa. Chi non ci vuole andare. Chi se ne frega. Parlare non costa nulla, discutere. Chiedersi il perché delle cose. La gente è scesa in piazza perché non sapeva come reagire alle immagini terribili di Gaza. Non è una questione di equidistanza (parola abusata e torturata in questi giorni), ma una questione di coscienza. La gente è scesa in piazza anche per pulirsela la coscienza. Che male c'è?

Ma chi c'era? Chi erano questi filopalestinesi? Ho corso in lungo e il largo per tutto il corteo cercando di vederne la testa. Mi sono girato e ho corso controcorrente per arrivare nel non luogo che si forma fra gli ultimi manifestanti e le forze dell'ordine. Una volta arrivato lì, ho iniziato a parlare con la gente con l'idea di risalire fino alla testa.
Ho incontrato Hazem Harb, un artista di Gaza che vive da tre anni in Italia e frequenta una scuola di design, che mi dice: "La manifestazione di oggi è una cosa grandiosa, non ho mai visto tanta energia". Gli chiedo se sia riuscito a parlare con la sua famiglia e lui mi risponde: "Sono riuscito a sentirli poco. Non sanno dove andare e ogni giorno cambiano posto per dormire. Non sanno se vivranno domani". Hazem non aspetta neanche che gli faccia le domande. Mi parla dei media italiani: "Non sono contento di come hanno trattato la cosa. La Rai soprattutto non è stata in grado di fare informazione, è uno scandalo".
Sirio Conte dell'Associazione per la Pace di Napoli si esprime sulla questione delle manifestazioni di Roma e Assisi: "Abbiamo scritto agli organizzatori affinché si evitassero due manifestazioni, e che non ci fossero divisioni. Io spero che in futuro il movimento per la pace e contro la guerra sia unito, perché non ci si può dividere quando muoiono i bambini".
All'altezza di piazza Esquilino mi sposto velocemente tra i cori che accusano lo stato di Israele di essere uno stato assassino, ragazzi con i megafoni in mano che urlano "Palestina terra mia, Israele via via", passo sotto un grande striscione che raffigura una donna che viene strozzata da due mani: una è Israele e l'altra gli Stati Uniti. Mi avvicino allo spezzone delle Donne in Nero e parlo con Mariarosaria, che mi dicono essere la portavoce di Napoli. Mi dice con una voce cupa: "Bisogna raccontare la verità su questa tragedia". Le chiedo sulle due manifestazioni: "Non so rispondere, non voglio rispondere. C'è un filo sottile che vuole dividere i cattivi dai buoni. I cattivi sono qui e i buoni ad Assisi. Se Francesco fosse vivo (il santo ndr) oggi sarebbe qui con noi". Mi saluta con le lacrime agli occhi e dice: "Io sono molto triste, ma bisogna resistere, ciao".
Luciana Castellina, giornalista, scrittrice, esponente del PCI, parla di una manifestazione "Grande, partecipata, degna di nota, anche con tanti italiani. Era una cosa assolutamente necessaria", dice. Le chiedo chi può porre fine alla crisi di Gaza, ci pensa su e mi risponde:"Noi".
Corro verso lo striscione firmato US Citizens for Peace and Justice, perché voglio assolutamente sentire che cosa hanno da dire, ma m'imbatto in una signora che sbraita sulla soglia di un bar. Le chiedo che succede e mi rendo conto che inveisce contro un gruppo di arabi che inneggia ad Allah. "Non è possibile! Non si possono sentire questi cori!" Le chiedo se anche loro non hanno il diritto di manifestare e lei: "Certo ma devono farlo rispettando le regole", le dico che l'unica regola è non far male a nessuno. Mi spiazza dicendo: "Fanno male a me!". Scappo via e raggiungo lo spezzone dei cittadini statunitensi che vivono qui in Italia e che sono scesi in piazza. Stefanie Westbrook mi spiega che parte delle armi usate a Gaza vengono finanziate dalle tasse dei cittadini americani: "Noi cittadini americani dobbiamo porre fine agli aiuti militare ad Israele". Domanda d'obbligo: "Cambierà qualcosa con l'avvento di Obama?", "Io credo che tocchi a noi. Molti americani pensano che Israele avrebbe dovuto tentare la soluzione diplomatica. C'è stato anche qualche crack nei media che ha raccontato veramente quello che succede a Gaza. Dobbiamo mobilitarci per fare pressione su Obama. Lui segue la volontà della gente".
Barbara Antonelli, assistente della vice presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, mi dice: "E' importante essere qui per dimostrare il proprio dissenso, come cittadini italiani, verso questo massacro che sta avvenendo da oltre 18 giorni. E' importante perché oggi c'è qui la comunità palestinese. Non dobbiamo lasciare soli i palestinesi che vivono in Italia".
Fatima, una ragazza palestinese che porta in mano un cartello con la scritta: "Dove sono le organizzazioni per i diritti umani?", mi dice "Non credo che arriverà mai la pace" e poi scappa via perdendosi fra un foltissimo gruppo di donne.
Matteo, di Action For Peace Milano sottolinea: "Ci sono tantissime organizzazioni come gli Ebrei contro l'occupazione di cui non si parla, nessuno qua mette in discussione l'ebraismo o lo Stato d'Israele. Non è questo il problema, il problema è politico, le risorse del territorio, gli interessi economici e politici che tra l'altro fanno gola anche ai Paesi arabi. Non dimentichiamo che la responsabilità di questa situazione non è solo di Israele, ma anche dei Paesi arabi che non hanno fatto niente, per esempio, per regolarizzare i profughi del '48".

Ci sono molti bambini, alcuni portano le foto dei loro coetanei massacrati a Gaza. I gruppi palestinesi e delle comunità musulmane non smettono un secondo di lanciare cori. Si fa buio e un paio di petardi molto forti fanno venire un po' di brividi. Vedo un gruppo nutrito di ragazzi (italiani in maggioranza) che si sposta correndo sul lato destro del corteo. Di solito questo non è buon segno. La gente si chiede che succede. Il gruppo si era spostato in massa per andare a scrivere tra un bar e un'agenzia immobiliare: "Mille morti, migliaia di feriti. Chi è l'assassino?". Tiriamo un sospiro di sollievo. Non si scrive sui muri, si sa, ma… Si arriva a Porta San Paolo e la gente si siede dove può. Comincia la sarabanda degli interventi. Striscioni a terra, ultimi cori strampalati. "Siamo 200mila! Ma ne parleranno?!", grida un voce da lontano. Se si riuscisse a pulire quella macchia lì, sì proprio quella lì, quella in basso a destra.

Alessandro Bernardini


Per saperne di più:
Il collasso umanitario della Striscia di Gaza
Livewire, Amnesty International's Blog, Gaza-Israel
Firma l'appello di Amnesty International per fermare l'uccisione di civili innocenti