30 giorni x 30 articoli: articolo 19-24




Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione,  incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, riceve e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.

Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“Il precedente articolo 18 proclama il diritto alla libertà di pensiero quale diritto per così dire propedeutico alla possibilità di formarsi un’opinione disponendo delle necessarie informazioni. L’articolo 18 proclama che il diritto è anche ad esprimere e diffondere pubblicamente le proprie idee e opinioni. Come dire: niente bavagli! Il corrispondente obbligo è: non molestare.
Nel Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’articolo omologo porta lo stesso numero 19,  è però più specifico per quanto attiene all’articolazione operativa del diritto: “1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. 2. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione: tale diritto comprende la libertà di cercare, riceve e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.
“Idee di ogni genere”, con diritto alla libertà di esprimerle in tante forme: in un libro, in una trasmissione televisiva, durante una lezione a scuola, in una composizione musicale, in una commedia teatrale. L’”Inno alla gioia” contenuto nella Nona sinfonia di Beethoven esprime idee di fraternità e di pace ed è assunto a simbolo di unità sia dal Consiglio d’Europa sia dall’Unione Europea. Idee e opinioni si esprimono anche in forma umoristica. Ci sono idee e opinioni che arricchiscono il patrimonio culturale, la loro comunicazione fa star bene. Altre idee sono come proiettili. Ci sono idee e informazioni che vengono diffuse allo scopo di coltivare ‘omologazione’, cioè appiattimento di menti e inquinamento di coscienze. Taluni grandi mass media, non propriamente indipendenti, comunicano idee e diffondono informazioni di forte impatto sull’opinione pubblica. I dittatori sono ottimi comunicatori di idee. I capi dei fondamentalismi sono anche essi ottimi comunicatori. La concentrazione dei mezzi di comunicazione in capo ad uno stesso proprietario può preludere a forme, più o meno striscianti, di autoritarismo.
Nel 1980, la Conferenza generale dell’Unesco varò un importante documento per la costruzione di un Nuovo Ordine Internazionale dell’Informazione e della Comunicazione (partendo dal famoso Rapporto McBride) nell’intento di rompere il nefasto oligarchismo delle multinazionali dell’informazione. Fu questa una delle ragioni che indussero l’Amministrazione degli Stati Uniti, seguita dal Governo inglese, a uscire dall’Unesco (vi sono rientrati dopo un decennio di assenza).
Idee e informazioni, sempre e comunque, in libera uscita? Il vigente Diritto internazionale dei diritti umani pone esso stesso dei paletti. Il terzo comma dell’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici stabilisce che “l’esercizio della libertà previste al paragrafo 2 comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto del diritto o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubblica”.
Le legislazioni interne agli stati disciplinano minuziosamente la materia. Ci sono anche codici deontologici per i professionisti dell’informazione.
Si pensi in particolare ai danni che la diffusione di certe idee e di certe informazioni può provocare nella mente dei bambini. Al riguardo, l’articolo 17 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia dispone perentoriamente:
“Gli Stati Parti riconoscono l’importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati Parti:
a) incoraggiano i mass-media a divulgare informazioni e materiali che hanno una utilità sociale e culturale per il fanciullo e corrispondono allo spirito dell’art. 29;
b) incoraggiano la cooperazione internazionale in vista di produrre, di scambiare e di divulgare informazioni e materiali di questo tipo provenienti da varie fonti culturali, nazionali ed internazionali;
c) incoraggiano la produzione e la diffusione di libri per l’infanzia;
d) incoraggiano i mass-media a tenere conto in particolar modo delle esigenze linguistiche dei fanciulli autoctoni o appartenenti ad un gruppo minoritario;
e) favoriscono l’elaborazione di princìpi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18”.

Ancora, non è soltanto questione di cattivo gusto o di malintesa laicità la diffusione di idee, siano esse ‘serie’ o ‘umoristiche’, che offendono il sentimento religioso delle persone. C’è anche la violazione del diritto fondamentale alla libertà di credere e professare una religione o un credo. Bisogna sempre ricordarsi che ridicolizzando o mettendo alla berlina Gesù Cristo, la Madonna o Maometto o Budda, si viola la dignità umana, cioè si intacca il fondamento stesso di tutta la costruzione del Diritto universale dei diritti umani. Certamente, la sanzione alla violazione di questo valore non sarà la condanna a morte o la lapidazione o il rogo. La sanzione dovrà consistere primariamente nella riprovazione morale della comunità. Parimenti, non è dato ai credenti offendere la libertà-dignità dei non credenti o di chi professa l’ateismo.
A conclusione di questa sintetica riflessione, è spontaneo richiamare ancora una volta la Dichiarazione delle Nazioni Unite (1998) “sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali internazionalmente riconosciuti”. Cito alcuni articoli di questa Magna Charta dei difensori dei diritti umani che hanno più diretta attinenza al contenuto dell’articolo 19 della Dichiarazione universale.
Articolo 6: “Tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri: a) di conoscere, ricercare, ottenere, ricevere e detenere informazioni riguardo a tutti i diritti umani e le libertà fondamentali, incluso l’accesso alle informazioni sul modo in cui si dia effetto a tali diritti e libertà nei sistemi legislativi, giuridici o amministrativi interni; b) in conformità con quanto previsto  negli strumenti internazionali sui diritti umani, di pubblicare liberamente, comunicare o distribuire ad altri opinioni, informazioni e conoscenze su titti i diritti umani e le libertà fondamentali; c) di studiare, discutere, formulare ed esprimere opinioni sull’osservanza, sia nella legge che nella pratica, di tutti i diritti umani e, attraverso questi ed altri mezzi appropriati, di attirare la pubblica attenzione su questa materia”.
Articolo 7: “Tutti hanno diritto, individualmente ed in associazione con altri, di sviluppare e discutere nuove idee e principi sui diritti umani e di promuovere la loro accettazione”.

Avevamo sottolineato prima che ci sono idee cattive (sì, cattive), micidiali per la mente e la coscienza, illegali per espressa disposizione del Diritto internazionale dei diritti umani. Quelle cui si riferisce la Magna Charta dei difensori dei diritti umani sono idee ottime, la cui diffusione è garantita e incentivata dallo stesso Diritto internazionale. Possiamo sperare – anche spes contra spem - che se ne accorgano i gestori delle reti televisive, illuminati dal 60° della Dichiarazione universale?”

Antonio Papisca
Cattedra UNESCO “Diritti umani, democrazia e pace” presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova (antonino.papisca at unipd.it).



Articolo 24 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

“Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite”

 
Segue il commento del prof. Antonio Papisca.

“L’Articolo 7 (lettera d) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è più esplicito nel dire che gli stati sono obbligati a garantire una remunerazione del lavoro “che assicuri a tutti i lavoratori, come minimo … il riposo, gli svaghi, una ragionevole limitazione delle ore di lavoro, e le ferie periodiche retribuite, nonché la remunerazione per i giorni festivi”.
A sua volta, l’Articolo 37 della Costituzione Italiana stabilisce che “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunciarvi”.
Siamo in presenza di disposizioni di perentoria precettività, i cui termini applicativi sono fissati, e costantemente aggiornati, dal legislatore nazionale all’interno del dialogo sociale tra governo, sindacati dei lavoratori, associazioni padronali.
La persona umana non è una macchina (anche questa però è soggetta ad usura …) e deve avere la possibilità reale di sviluppare tutte le sue potenzialità in adeguati periodi di riposo e di fertile ricreazione. Anche il lavoro è, deve essere occasione di sviluppo della persona secondo dignità. E’ per questo che la legislazione internazionale in materia disciplina minuziosamente le condizioni di lavoro, che devono essere idonee a garantire la salute dei lavoratori. In concreto, è interpellata la responsabilità personale del datore di lavoro insieme con quella di sopraordinati organismi di sorveglianza.
La civiltà dei diritti umani insieme con la civiltà del lavoro ha portato a stabilire che c’è l’obbligo di rispettare il diritto alle ferie e allo svago anche del detenuto-lavoratore. Una sentenza della Corte Costituzionale del 2001 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, sedicesimo comma, della legge del 26 luglio 1975 n.354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti la propria attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione carceraria. La Corte motiva che il diritto al riposo annuale integra una di quelle ‘posizioni soggettive’ che non possono essere in alcun modo negate a chi presti attività lavorativa in stato di detenzione.
L’Articolo 24 della Dichiarazione parla anche di “svago” per il lavoratore, cioè di fruizione di momenti ludici e di ricreazione culturale e artistica. Il lavoratore deve avere la possibilità di prendere parte liberamente alla vita culturale, come dispone l’Articolo 27 della Dichiarazione. Questo ci porta a considerare le ferie come un periodo che, come dicevano i nostri avi, ritempra il corpo e lo spirito. Insomma, una salubre parentesi nella routine lavorativa tanto più necessaria quanto usurante è il tipo di lavoro. Il diritto allo svago ha un significato e una portata non circoscrivibili alla logica dell’una tantum. Ha a che fare con la coltivazione di umanesimo negli stessi luoghi di lavoro. Sono dunque interpellati architetti, artisti visivi, musicisti per arricchire di bello gli uffici, le fabbriche, i cantieri.
Questi pensieri sembrano appartenere al mondo dei sogni o delle fatuità nel tempo che viviamo, disturbati come siamo da tante insicurezze. La realtà del precariato e della disoccupazione insieme con l’ambigua proposta della flexicurity ha come risultato quello di bruciare o comunque di rendere superfluo l’umanesimo del e nel lavoro. L’assenza o l’intermittenza del lavoro, lo stesso lavoro in settori dell’economia informale, costituiscono di per sè “ferie”, ma ferie stressanti e drammatiche, per così dire a tempo indeterminato, segnate non dalla possibilità di ritemprarsi e svagarsi più del solito, ma dall’ansia, dalla frustrazione, dal risentimento nei confronti di sistemi di governo che sono sudditi del mercato e della speculazione finanziaria, che considerano le politiche per la “piena occupazione”, prescritte dalle norme internazionali, non un obbligo ma un optional. Si pensi ancora a chi, per mantenere sé e la propria famiglia, ha doppio o triplo lavoro, magari anche con lavoro notturno continuativo… . Si pensi al lavoro in regime di ‘caporalato’ o a quello degli immigrati ‘irregolari’.
Che senso ha per queste masse di umanità precaria l’Articolo 24 della Dichiarazione?
C’è disagio nel tentare di trovare la risposta ad un interrogativo che interpella la coscienza e la responsabilità di tutti. Ma non si può restare inerti nella tristezza e nell’arrendersi ai determinismi. La cultura, anzi il sapere dei diritti umani, ci dice: sforzati di tradurre i diritti umani in una organica e coerente Agenda politica.”