Re: [pace] La vera lezione di Auschwitz



L'olocausto va riletto insieme alla II Guerra Mondiale: introduco in modo sintetico alcuni elementi di riflessione:
1) L'ascesa di Hitler è stata finanziata da capitali americani,
2) L'organizzazione dell'esercito nazista, del Ministero della difesa, delle SS è avvenuta con il supporto indispensabile della multinazionale americana IBM.
3) La stessa IBM ha organizzato con i suoi calcolatori elettromeccanici gestiti in loco da funzionari della stessa IBM, la classificazione degli ebrei, la retata e la gestione dei campi di concentramento;
4) La Ford ed altre multinazionali americane hanno costruito in loco mezzi militari per l'esercito tedesco;
5) Durante lo svolgimento della guerra vi sono episodi di aiuto materiale degli Usa all'esercito nazista; ad esempio rifornimento diretto di sommergibili nazisti.
6) La stessa Ford si è avvalsa dei prigionieri ebrei dei campi di concentramento; a fine guerra ha chiesto il risarcimento al governo per bombardamenti subiti;
7) Gli Stati Uniti e l'Inghilterra hanno evitato accuratamente di bombardare o intralciare il flusso degli ebrei nei campi di concentramento:
8) Vi erano posizioni diverse ed opposte tra gli ebrei in Europa sulla opportunità e sacralità della ricostituzione di uno stato in Palestina o altrove e sulla ricostituzione del tempio. La maggioranza degli ebrei, perfettamente integrata nei singoli stati, anzi cittadini di pieno diritto, erano contrari alla ricostituzione di uno stato in Palestina;
9) Una minoranza, finanziata dagli Usa ha preso il sopravvento all'interno del movimento sionista e ha lavorato per la costituzione di questo stato in accordo con USA e Gran Bretagna; e contro la volontà della maggioranza degli ebrei europei;
10) Elementi di spicco del movimento sionista (Ben Gurion ed altri) hanno mantenuto stretti contatti con specifici dirigenti nazisti che si occupavano della persecuzione degli ebrei;
11) La persecuzione contro gli ebrei ha portato alle seguenti conseguenze: emigrazione qualificata di intelligence verso gli Stati Uniti e conseguente depauperazione dell'Europa, popolamento forzato della palestina da parte degli ebrei, altrimenti impossibile in condizioni di pace; eliminazione di fatto di quella parte di popolazione ebraica che si opponeva alla ricostituzione dello stato di Israele;
12) Indebolimento generalizzato degli stati capitalisti europei come conseguenza della guerra scatenata da Hitler e affermazione degli Usa e delle sue multinazionali come primaria potenza economica mondiale: Hitler come Saddam antelitteram;
13) Nascita dello stato di Israele come braccio armato americano per il controllo del Medio Oriente e del suo petrolio;
14) I campi di contramento intesi come strumento repressivo contro intere popolazioni sono stati utilizzati dagli USA per lo stermino degli indiani nativi d'America: il loro olocausto è molto simile a quello degli ebrei;
15) I campi di concentramento sono stati organizzati come un laboratorio su come piegare e gestire la volontà di soggetti ad alto livello intellettuale e condurli fino all'annientamento. I metodi sperimentati nei campi sono largamente utilizzati nella società contemporanea; simili operazioni-laboratorio in larga scala contro popolazioni intere sono state organizzate dagli USA in Guatemala, Argentina, Cile,...
16) Deve essere rivista la politica di Stalin, se non dalla sua presa del potere, almeno dal  dal 1936 (sterminio finale di milioni di bolscevichi, sistematico accordo con i nazisti prima e con gli USA poi per lo sterminio delle avanguardie rivoluzionarie in Spagna, Polonia, Grecia ed Italia (Gramsci);
17) eccetera, eccetera:
Per questi motivi la schoà non appartiene solo al popolo di religione ebraica ma è parte integrante del "nostro sangue e dei nostri nervi" ed i sei milioni di ebrei sterminati, come i 4000 delle trorri gemelle. devono essere ricordati  insieme agli altri ottanta milioni di esseri umani sterminati nel resto del mondo a cui vanno aggiunti altre decine di milioni sterminati dalla fine della guerra fino ad oggi in un olocausto permanente del sistema capitalista, immolati sull'altare del profitto e della produttività, come gli arsi vivi della Thyssen o i quotidiani morti sul lavoro (ma Prodi non aveva detto mai più??)!
----- Messaggio originale -----
Da: tiziano cardosi <tcardosi at indire.it>
A: "pace at peacelink.it" <pace at peacelink.it>
Inviato: Lunedì 28 gennaio 2008, 15:55:22
Oggetto: [pace] La vera lezione di Auschwitz

Scusate l'invadenza, ma mi pare un buon articolo
TC

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La vera lezione di Auschwitz

di Tony Judt

in “Il Sole-24 Ore” del 27 gennaio 2008

Negli ultimi anni il rapporto tra Israele e l'Olocausto è mutato. All'inizio l'identità di Israele fu costruita sul rifiuto del passato, trattando l'Olocausto come una prova di debolezza, una debolezza che era compito di Israele superare dando vita a un nuovo tipo di ebreo. Oggi, quando Israele è esposto al biasimo internazionale per il modo di gestire i rapporti con i palestinesi e per l'occupazione del territorio conquistato nel 1967, i suoi difensori tendono a chiamare in causa la memoria dell'Olocausto. Attenti, dicono, se criticate Israele con troppa veemenza, sveglierete i demoni dell'antisemitismo. Anzi, il messaggio è che un atteggiamento fortemente critico nei confronti di Israele non si limita a risvegliare l'antisemitismo: è di per sé antisemitismo. E con l'antisemitismo si apre la strada che porta - o ritorna - al 1938, alla "notte dei cristalli" e di là a Treblinka e ad Auschwitz. Se volete sapere dove va a finire, dicono costoro, non avete che da visitare Yad Vashem a Gerusalemme, l'Holocaust Museum a Washington o i monumenti commemorativi e i musei sparsi in tutta Europa. Comprendo i sentimenti che dettano queste affermazioni. Ma queste affermazioni in sé sono molto pericolose. Quando a me e ad altri, con la scusa che non vanno risvegliati gli spettri del pregiudizio, viene rimproverato il dissenso nei confronti di Israele, rispondo che il problema va posto al contrario. E proprio un tabù del genere che può stimolare l'antisemitismo. Da qualche anno visito università e scuole superiori, negli Stati Uniti e altrove, per tenere conferenze sulla storia europea del dopoguerra e la memoria della Shoah. Sono gli argomenti che tratto anche nell'università dove insegno. E posso dire quali conclusioni ne ho derivate. Oggi non c'è bisogno di ricordare agli studenti il genocidio degli ebrei, le conseguenze storiche dell'antisemitismo e il problema del male. Tutti conoscono queste cose, con

un'ampiezza ignota ai loro genitori. Ed è così che dev'essere. Ma mi ha colpito recentemente la frequenza con cui affiorano nuove domande: «Perché ci fissiamo sull'Olocausto?», «Perché (in certi Paesi) è illegale negare l'Olocausto ma non altri genocidi?», «Non si sta esagerando la minaccia dell'antisemitismo?». E ancora, sempre più spesso: «Non è che Israele sta usando l'Olocausto come scusa?».

Due sono i miei timori: che sottolineando l'eccezionalità storica dell'Olocausto e al contempo invocandolo costantemente in riferimento alle vicende contemporanee, abbiamo creato confusione nei giovani; e che gridando all'antisemitismo ogni volta che qualcuno attacca Israele o difende i palestinesi stiamo allevando una generazione di cinici. Perché la verità è che oggi l'esistenza di Israele non è in pericolo. E oggi, qui in Occidente, gli ebrei non si trovano ad affrontare minacce e pregiudizi neppure lontanamente paragonabili a quelli del passato, né paragonabili ai pregiudizi attualmente nutriti nei confronti di altre minoranze. Facciamo un piccolo esercizio. Vi sentireste al sicuro, accettati e benvenuti, negli Stati Uniti, oggi, se foste un musulmano o un immigrato clandestino? E se foste un "Paki" in certe zone dell'Inghilterra? O un marocchino in Olanda? Un "beur" in Francia? Un nero in Svizzera? Uno "straniero" in Danimarca? Un rumeno in Italia? Uno zingaro ovunque in Europa? E non vi sentireste più al sicuro, più integrati, più accettati come ebrei? Credo che siamo tutti in grado di rispondere.

In molti di quei Paesi - Olanda, Francia, Stati Uniti, per non parlare della Germania -la minoranza ebrea locale è fortemente rappresentata nel mondo degli affari, dei media e delle arti. In nessuno di quei Paesi gli ebrei sono stigmatizzati, minacciati o emarginati.

Il pericolo di cui gli ebrei - e non solo loro - dovrebbero preoccuparsi, se c'è, viene da un'altra direzione. Abbiamo agganciato la memoria dell'Olocausto così saldamente alla difesa di un unico Paese - Israele - che rischiamo di provincializzarne il significato morale.

È vero, il problema del male nel secolo scorso, per citare Hannah Arendt, ha preso la forma del tentativo tedesco di sterminare gli ebrei. Ma non si tratta solo dei tedeschi e non si tratta solo degli ebrei. Non si tratta neppure solo dell'Europa, anche se è là che quel tentativo è avvenuto. Il problema

del male - del male totalitario, del male del genocidio - è un problema universale. Ma se lo si manipola per trarne un vantaggio locale, ciò che accadrà (e io credo stia già accadendo) è questo: coloro che vivono in contesti lontani da quel crimine - o perché non sono europei o perché sono troppo giovani perché per loro il ricordo di quell'evento abbia rilevanza - non capirannoche rapporto abbia con loro la memoria che ne viene coltivata e smetteranno di ascoltare quando cercheremo di spiegarglielo.

In altre parole: l'Olocausto perderà la sua risonanza universale. Dobbiamo sperare che ciò non avvenga e dobbiamo trovare il modo per mantenere intatta la lezione centrale che davvero può venirci dalla Shoah: e cioè la facilità con cui le persone - un popolo intero-possono essere diffamate, deumanizzate e annientate. Ma non approderemo a nulla, se non riconosciamo che questa lezione potrà anche essere messa in dubbio e dimenticata. Se non mi credete, andate a chiedere, fuori dai Paesi sviluppati dell'Occidente, qual è la lezione di Auschwitz. Avrete risposte ben poco rassicuranti.

Non c'è una soluzione facile a questo problema. Ciò che pare chiaro agli europei dell'Europa occidentale è ancora oscuro per gli europei dell'Est, come era oscuro agli stessi europei dell'Ovest quarant'anni fa. Il monito morale di Auschwitz, che campeggia a caratteri cubitali sullo schermo della memoria europea, è quasi invisibile per africani e asiatici. E ancora- e forse soprattutto - ciò che sembra lampante alle persone della mia generazione avrà sempre meno senso per i nostri figli e i nostri nipoti. Possiamo preservare un passato europeo che da memoria sta sfumando in storia? Non siamo condannati a perderlo, anche solo in parte?

Forse tutti i nostri musei, i nostri monumenti commemorativi, le nostre gite scolastiche obbligatorie non sono il segno che oggi siamo pronti a ricordare, ma indicano invece che riteniamo di esserci lavati la coscienza e di poter cominciare a mollare e a dimenticare, delegando alle pietre il compito di ricordare al posto nostro. Non so: l'ultima volta che sono stato al Monumento agli ebrei d'Europa assassinati, a Berlino, annoiati ragazzini in gita scolastica giocavano a rimpiattino tra le steli. Quello che so per certo è che se la storia deve svolgere il compito che le compete, e conservare per sempre traccia dei crimini passati e di tutto il resto, è meglio lasciarla stare. Quando andiamo a

saccheggiare il passato per profitto politico - scegliendone i pezzi che fanno al caso nostro e reclutando la storia a insegnare opportunistiche lezioni morali - ne caviamo cattiva morale e anche cattiva storia. Nel frattempo, forse dovremmo, tutti quanti, fare attenzione quando parliamo del problema del male. Perché di banalità ce n'è più di un tipo. C'è la notoria banalità di cui parlava Hannah Arendt: l'inquietante, normale, familiare, quotidiano male dentro gli esseri umani. Ma c'è anche un'altra banalità, quella dell'abuso: l'effetto di appiattimento e desensibilizzazione del vedere o dire o pensare la stessa cosa troppe volte, fino a stordire chi ci ascolta e a renderlo immune al male che descriviamo. Questa è la banalità- la banalizzazione - che rischiamo oggi.

Dopo il 1945 la generazione dei nostri genitori accantonò il problema del male perché -per loro - aveva troppo significato. La generazione che verrà dopo di noi corre il pericolo di accantonare il problema perché ora contiene troppo poco significato. Come si può impedire che ciò avvenga? In altre parole, come si può fare in modo che il problema del male resti la questione fondamentale della vita intellettuale, e non solo in Europa? Non ho una risposta ma sono sicuro che questa è la domanda giusta. È la domanda che Hannah Arendt ha posto sessant'anni fa. E sono certo che la porrebbe ancora oggi.

Testo tratto dal discorso tenuto dall'autore a Brema, in occasione del ricevimento del premio Hannah Arendt, traduzione di Paola Mazzarelli. Di Tony Judt è in libreria

«Dopoguerra», Mondadori, pagg. 1.076, €32,00.






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