SUPPORTOLEGALE.ORG - COMUNICATO STAMPA





IN OGNI CASO NESSUN RIMORSO

La sentenza del processo contro 25 manifestanti per gli scontri avvenuti
durante le proteste contro il g8 a Genova, ha deciso qual è il prezzo che
si deve pagare per esprimere le proprie idee e per opporsi allo stato di
cose presenti: 110 anni di carcere. Il tribunale del presidente Devoto e
dei giudici a latere Gatti e Realini, non ha avuto il coraggio di opporsi
alla feroce ricostruzione della storia collettiva ad uso del potere che i
pm Andrea Canciani e Anna Canepa gli ha richiesto di avvallare.
Anzi, ha fatto di peggio. Ha scelto di sentenziare che c'è un modo buono
per esprimere il proprio dissenso e un modo cattivo, che ci sono forme
compatibili di protesta e forme che vanno punite alla stregua di un reato
di guerra.
Per completare l'opera ha anche fornito una consolazione a fine processo
per i difensori e gli "onesti cittadini", chiedendo la trasmissione degli
atti per le false testimonianze di due carabinieri e due poliziotti, un
contentino con cui non si allevia il peso della sentenza e il cui senso di
carità a noi non interessa.

Il tribunale di Genova ha scelto di assecondare tutte quelle forze
politiche, tutti quei benpensanti, tutti quegli avvocati, che -
coscientemente - speravano che pochi, ancora meno dei 25 imputati, fossero
condannati per poter tirare un sospiro di sollievo, per poter sapere dove
puntare il proprio dito grondante morale e coscienza sporca. L'uso del
reato di devastazione e saccheggio per condannare fatti avvenuti durante
una manifestazione politica apre la strada a un'operazione pericolosa, che
vorrebbe vedere le persone supine alle scelte di chi governa, inermi di
fronte ai soprusi quotidiani di un sistema in piena emergenza democratica,
prima ancora che economica. Nessuno di coloro che era a Genova nel 2001 e
che ha costruito carriere sulle parole d'ordine di Genova, salvo poi
tradirle con ogni voto e mezzo necessario, ha voluto schierarsi contro
questa operazione assurda e strumentale: nessuno, o quasi, in tutto l'arco
del centro sinistra al governo ha saputo dire che a Gen
 ova, tra coloro i quali oggi sono stati condannati ad anni di galera,
avrebbe dovuto esserci tutti quanti hanno partecipato a quelle giornate.

La stessa cosa è stata portata avanti anche da molti dei movimenti, e molte
delle persone che hanno cercato di sabotare i contenuti della
manifestazione che solo tre settimane fa, il 17 novembre, ha riempito le
strade di Genova: hanno voluto annebbiare le persone su chi fossero coloro
che si battevano per un modello di vita e di società diverso, e chi
difendeva il modello che viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni; hanno
voluto confondere le acque, forse perché anche la loro dignità è confusa. E
allora decine di comunicati sulle possibili Commissioni Parlamentari, sulla
Verità e sulla Giustizia, e troppe poche parole su 25 persone che stavano
avviandosi a diventare capri espiatori di un potere che ha avuto paura.
Genova però non si cancella con il revisionismo a mezzo procura, né con le
pelose scelte di comodo e gli scheletri nascosti negli armadi. Le 80.000
persone che lo scorso 17 novembre hanno sfilato per le vie di Genova, non
chiedevano una Commissione Parlamentare, bensì che 25 persone non
diventassero il paravento dietro cui seppellire un passaggio storico
scomodo, che ha messo in discussione l'attuale sistema di vita e di
società. Siamo convinti che quelle 80.000 persone ci ascoltano e non
permetteranno a un'aula di tribunale di espropriare la propria memoria e
devastare le vite di 24 persone.
A maggior ragione oggi, con una sentenza che cerca di schiacciarci e farci
vergognare di quello che siamo stati e quello che abbiamo vissuto, di
dipingere quei momenti di rivolta a tinte fosche anziché con la luce e la
dignità che meriterebbero i momenti più genuini che esprimono la volontà
popolare, noi diciamo che non ripudieremo nulla, che non chiederemo scusa
di nulla, perché non c'è nulla di cui ci pentiamo o di cui sentiamo di
dover parlare in termini diversi che del momento più alto della nostra vita
politica.

Noi pensiamo che tutti coloro che erano a Genova dovrebbero gridare: in
ogni caso nessun rimorso. Nessun rimorso per le strade occupate dalla
rivolta, nessun rimorso per il terrore dei grandi asserragliati nella zona
rossa, nessun rimorso per le barricate, per le vetrine spaccate, per le
protezioni di gommapiuma, per gli scudi di plexiglas, per i vestiti neri,
per le mani bianche, per le danze pink, nessun rimorso per la
determinazione con cui abbiamo messo in discussione il potere per alcuni
giorni.
Lo abbiamo detto il giorno dopo Genova, e in tutti questi anni: la memoria
è un ingranaggio collettivo che non può essere sabotato. E per tutto quello
che Genova è stata e ha significato noi non proveremo nessun rimorso. Oggi,
come ieri e domani, ripeteremo ancora che la Storia siamo Noi. Oggi, come
ieri e domani, diremo di nuovo: in ogni caso nessun rimorso.

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