Il terrorismo e la morte di Dio, di TAHAR BEN JELLOUN



da La Repubblica - 05-11-2007

Il terrorismo e la morte di Dio
di TAHAR BEN JELLOUN

[ intellettuale tunisino, oggi vive in Francia ]

La giustizia degli uomini, anche quando è resa nel massimo equilibrio e
volontà di riparazione, sarà sempre imperfetta, per quanto moltiplichi a
migliaia gli anni di detenzione.
Per gli uni e per gli altri comporterà sempre elementi obiettivi di
frustrazione. E un senso di fallimento, dato che nulla può mettere fine al
dolore di una madre, o alleviare il suo lutto.
Penso alle centinaia di famiglie vittime degli attentati dellZ11 marzo 2004
a Madrid, così come a quelle di Londra o di Casablanca.
Il terrorismo, nella sua spirale incontrollabile e imprevedibile, rimane il
flagello che incombe sulle democrazie e su alcuni paesi emergenti.
Si muore in guerra da quando è apparso lZuomo.
Combattere per la propria terra usurpata, per la propria casa distrutta è
legittimo, quale che sia il contesto ideologico.
Ma trovare la morte su un tram, su un autobus, in un caffè, senza essere né
un soldato né un belligerante, è una novità di fronte alla quale il mondo
moderno, la mente razionale sono impotenti.
La grande svolta del rapporto tra la vita e la morte è avvenuta il giorno
in cui un vecchio cadente è riuscito a convincere dei giovani a sostituire
allZistinto di vita lZistinto di morte - e non di una morte qualunque, ma
causando con la propria quella del maggior numero di vittime, colpevoli
solo di trovarsi lì nel momento in cui avviene il passaggio da un istinto
allZaltro, in una sorta di trance - o meglio ancora nella serenità del
dovere compiuto.
Il fatto di non avere più la stessa percezione del corpo che respira, vive
e spera, ha scompaginato i dati della nuova guerra, che non dice il suo
nome e agisce di sorpresa, nellZinvisibile. Che colpisce persone innocenti
e in questo trova motivo di grande fierezza.
Se si offre una vita nellZintento di eliminarne centinaia di altre, è
perché sentimenti universali quali la paura, lZistinto di lotta per vivere,
per conservare intatto il corpo e sana la mente, hanno cambiato registro,
passando dalla normalità a un sanguinario spirito di sacrificio.
Si può anche vederlo come una strana patologia; ma questo non ci porta avanti.
È una rivoluzione che lZOccidente non aveva previsto, contro la quale non
sa lottare efficacemente.
Si è tentato in tutti i modi di spiegare il gesto di quei giovani che si
trasformano in «bombe umane» e seminano sciagure.
Si è data la colpa alle bidonville, alle condizioni di vita miserabili.
Ma poi si è visto che a gettarsi nella folla imbottiti di esplosivo erano
spesso giovani provenienti da famiglie agiate, che avevano fatto studi
scientifici e non soffrivano di particolari frustrazioni.
Si è cercata una spiegazione nel bisogno di lavare le umiliazioni subite
dal mondo islamico.
E i primi a essere presi di mira sono stati i musulmani nelle moschee.
Si è parlato di vendetta contro Israele, che occupa i territori palestinesi
e calpesta i simboli dellZIslam.
Ma poi i palestinesi di Hamas hanno usato gli stessi metodi - le «bombe
umane» - per uccidere altri palestinesi.
Che fare allora? Cosa pensare? Per quanto si analizzi il fenomeno dal punto
di vista politico, religioso, psicologico, non si troverà mai una risposta
soddisfacente.
Vorrei però fermarmi sulla nozione di transfert: lZistinto di morte
soppianta lZistinto di vita e diventa motore di vita - che però non è più
quella delle persone cosiddette «normali».
La vita perde la nettezza dei suoi contorni nella mente del futuro
kamikaze, che ne trarrà un godimento solo virtuale, vivendo per
anticipazione in tutto il tempo della sua preparazione
allZomicidio-suicidio.
La vivrà intensamente, e ne farà una ragione per lasciare questo mondo
aureolato dal maggior numero possibile di vittime; tanto più che queste
ultime non saranno scelte, ma elette dal caso, nellZanonimato.
In questo sta il piacere.
Andando in giro per la città, visitando i luoghi del suo prossimo delitto,
il futuro omicida-suicida si crederà Dio: colui che decide di togliere la
vita agli uni o agli altri, di devastare la vita di un passante
strappandogli un braccio o una gamba, facendone un orfano o votandolo a una
morte lenta per le ferite.
E una posizione che ha del magico.
Il registro di questZomicida non è più quello della vendetta o della rapina
commessa per procurarsi da vivere: è entrato nelle sfere del divino, che
fanno di lui un essere straordinario, conferendogli uno status dZeccezione
cui nessun generale dZarmata ha mai potuto aspirare - tranne Hitler e i
suoi sodali, che pianificavano a freddo lZesecuzione di milioni di esseri
umani colpevoli solo di essere nati ebrei o zingari.
LZomicida-suicida godrà di questo stato fino al momento in cui sarà
trasportato altrove - dove né voi né io abbiamo fretta di andare.
Quando scompare la paura della morte è come la morte di Dio: allora tutto è
possibile, e a volte questo possibile si ammanta di riferimenti
pseudoreligiosi che confondono le piste degli inquirenti e dei politici.
Ma per fortuna, non sempre tutto è perfetto.
Può esistere anche il fiasco, il granello di sabbia; o la vigilanza della
popolazione - come in questi ultimi anni in Marocco, dove alcuni candidati
al massacro sono stati individuati da passanti o da poliziotti attenti.
Allora il famoso transfert cessa di funzionare.
LZistinto di vita riprende i suoi diritti, e la «bomba umana» ridiventa un
essere qualunque, banale, che ha paura, che ha fame, che vuol parlare con
suoi e giura di non farlo più, ecc.
È rivisitato dalla vita, o anche dal rimorso e dal senso morale.
La sentenza di Madrid, pronunciata il 31 ottobre, non scoraggerà nessuno.
Quelli che ora si preparano a missioni suicide, ma soprattutto sanguinarie,
sono al di là di tutto ciò che è stato detto in quellZaula di tribunale.
Al limite, non riconoscono neppure quei condannati come loro fratelli nella
lotta.
Una volta catturati, sono semplici criminali: hanno perso il loro prezioso
istinto di morte e sono tornati a essere gente «normale».
Come dimostra il fatto che nessuno di loro si è ucciso in carcere; e se
qualcuno ha versato lacrime, lo ha fatto perché non riusciva a capire cosa
mai gli era successo.
LZistinto di morte non sopporta la sconfitta, il dubbio, il fallimento.
È riservato a uomini superiori, non a un qualsiasi malvivente.
Bisogna meritarselo, andare fino in fondo in questa logica infernale che
consuma tutto ciò che tocca.
CZè tuttavia un paradosso: per diventare «uomini superiori» bisogna essere
stati abbastanza deboli (e quindi manipolabili).
Non è questa peraltro lZunica contraddizione.  Ma la logica del massacro
continua.  E ciascuno di noi deve saperlo, e vigilare.

(Traduzione di Elisabetta Horvat)