Vendetta preventiva e processo politico



Come spiega bene in questo articolo Lorenzo Guadagnucci, io non voglio che
per le eventuali condanne per la macelleria messicana della Diaz e le
torture di Bolzaneto, debbano "pagare" 25 manifestanti scelti a caso, con
decenni di galera.
Grazie, no.
Anche perché i 25 manifestanti, in caso di condanna, gli anni di galera se
li faranno davvero mentre gli eventuali condannati per Diaz e Bolzaneto non
ne faranno neppure un giorno.
Non è stato per ottenere questo "risultato" che da anni ci battiamo per
avere verità e giustizia,
Enrica Bartesaghi
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da altreconomia.it

di Lorenzo Guadagnucci,
comitato Verità e giustizia per Genova

Accolgo l'invito del dottor Andrea Canciani a chiamare le cose con il loro
nome e dico subito che la sua richiesta di pene fra i 6 e i 16 anni per i
25 imputati a Genova somiglia a una vendetta preventiva. E' anche contraria
allo spirito della costituzione e quindi pericolosa. Cerco di spiegare
queste valutazioni, che forse trascendono le stesse intenzioni del dottor
Canciani e della dottoressa Anna Canepa, dei quali peraltro ho un ricordo
positivo: furono loro a interrogarmi, come indagato per resistenza e
associazione a delinquere, il 23 luglio 2001, all'ospedale Galliera dov'ero
detenuto dopo il blitz alla Diaz.
Il loro interrogatorio fu correttissimo e dal mio punto di vista
rincuorante: intuii che credevano al mio racconto dei fatti e non alla
versione falsa e vile fornita dalla polizia di stato.

Detto questo, credo che la richiesta di pene cosi' alte sia pericolosa
sotto il profilo delle garanzie democratiche, perche' il reato di
devastazione e saccheggio, con le enormi sanzioni che prevede (da 8 a 15
anni, salvo riduzioni o aumenti dovuti a attenuanti e aggravanti), e una
volta applicato a manifestazioni politiche o sindacali, diventa uno
strumento adatto a logiche autoritarie di appianamento del dissenso.
Oltretutto e' una figura di reato sfuggente e assai opinabile. Chi puo'
infatti fissare con certezza il confine fra il 'semplice' danneggiamento,
punito con pene ragionevoli, e la devastazione e saccheggio? Si tratta di
una norma civetta, celata nell'ordinamento democratico, ma puo' essere
impugnata secondo una logica che democratica non e'.

Che ne siano consapevoli o meno, i pm Canepa e Canciani hanno avallato una
concezione autoritaria della pena e del processo. Oltretutto, non possiamo
ignorare che i pochi arresti avvenuti sul campo, mentre i reati venivano
commessi, ad esempio in via Tolemaide, sono stati motivati con la
resistenza a pubblico ufficiale. I 25 sono stati individuati a molti mesi
di distanza, tramite foto e filmati, e si e' loro contestato un reato che
nessuno ricordava piu' nelle aule di giustizia, visto che negli ultimi
decenni e' stato utilizzato solo in rari casi riguardanti azioni
teppistiche di gruppi di tifosi e mai per manifestazioni di piazza. E'
stata una pietanza servita a freddo.

Qui si arriva alla 'vendetta preventiva'. Abbiamo detto di chiamare le cose
con il loro nome e allora diciamo senz'altro che i processi genovesi sono
processi politici. Lo sono perche' il G8 del 2001 e' stato un punto di
svolta nella storia recente d'Italia e perche' chiamano in causa i massimi
vertici delle forze dell'ordine e il potere politico per palesi e reiterate
violazioni dell'ordinamento costituzionale. Ebbene, fra i giudici e gli
avvocati da tempo corre una voce: si dice che per arrivare a condanne
contro gli oltre 70 agenti imputati per Diaz e Bolzaneto, condanne in
qualche caso inevitabili, e' necessaria - prima - una 'sentenza esemplare'
contro i 25.
Solo a questa condizione per il potere politico e giudiziario e'
'accettabile' la condanna, sia pure solo in primo grado, degli alti
funzionari e dirigenti di polizia imputati (i quali, e' bene ricordarlo,
saranno comunque salvati dalla prescrizione). Se questa e' la logica, siamo
all'aberrazione. Non si puo' giocare cosi' con la vita di 25 persone, che
rischiano di passare anni in carcere per episodi di gran lunga meno gravi
dei fatti contestati agli agenti imputati.

Voglio fare un esempio. Non prendero' il peggior caso possibile, bensi' il
mio, giusto perche' lo conosco meglio di tutti gli altri. La notte del 21
luglio 2001 dentro la scuola Diaz mi hanno pestato selvaggiamente a colpi
di tonfa usato a rovescio. Per proteggere la testa ho opposto le braccia,
procurandomi squarci fino all'osso. Qualcuno sa dirmi che cosa mi sarebbe
accaduto se per qualsiasi ragione - ad esempio debolezza fisica - non fossi
riuscito a coprire la testa? Non ci voglio nemmeno pensare, ma ho ben
presente quel che ha detto il dottor Michelangelo Forunier, uno degli
imputati, al processo in corso a Genova:il tonfa, specie se usato in un
certo modo, e' un'arma a tutti gli effetti. Sono parole di uno che se
intende. Aggiungo che sono stato arrestato con accuse gravissime (le stesse
contestate ai 25, con l'aggravante dell'associazione a delinquere) sulla
base di prove costruite dalla stessa polizia.

Allora, ha senso che per arrivare a un'eventuale condanna a cinque, massimo
sette anni con le aggravanti, per i capi dei picchiatori della Diaz (questi
ultimi, com'e' noto, non sono fra gli imputati e non hanno subito nemmeno
conseguenze disciplinari per la loro impresa), si debba passare per 25
condanne a complessivi 225 anni? Si dira' che la tesi della 'vendetta
preventiva' e' solo una suggestione. Puo' darsi, ma la domanda diventa
un'altra e non e' meno inquietante. Eccola: ha senso che un ragazzo ripreso
da una telecamera in via Tolemaide mentre lancia un sasso che non colpira'
nessuno - e lo lancia dopo una carica sbagliata e ingiustificata dei
carabinieri - si prenda sei anni di galera e finisca davvero in prigione,
mentre i funzionari e dirigenti imputati per la Diaz rischiano pene minori,
sono certi di non andare mai in galera e nel frattempo hanno ottenuto
gratifiche e promozioni, grazie a supremi dirigenti di polizia e ministri
compiacenti? Come dobbiamo chiamare questa incontestabile verita'?

Arrivo all'ultimo punto, che e' poi la mia riposta a questa domanda. Tutto
quanto sta avvenendo in tribunale a Genova e, sul piano politico, intorno
ai fatti i Genova, e' un palese tradimento della lettera e dello spirito
della Costituzione. A Genova per piu' giorni furono soppresse le garanzie
costituzionali, fu abiurato lo stato di diritto. Se la Costituzione fosse
cosa viva, animatrice giorno per giorno della nostra vita pubblica, il dopo
Genova sarebbe stato un cataclisma giudiziario e politico. Avremmo visto
ministri e presidenti del consiglio chiedere scusa alla cittadinanza e alle
vittime di tutte le violazioni - per strada, alla Diaz, a Bolzaneto, al
Forte San Giuliano - compiute dalle forze dell'ordine. Tutti gli operatori
coinvolti nelle operazioni sarebbero stati sospesi, i massimi dirigenti
allontanati. Qualcuno sarebbe stato anche licenziato. Il parlamento avrebbe
avviato un'inchiesta e progettato leggi di riforma delle forze dell'ordine.
Il tema delle liberta' civili e del diritto al dissenso sarebbe stato
percepito come un'autentica emergenza democratica. Come ben sappiamo,
niente di tutto questo e' avvenuto e anzi tiene banco la requisitoria dei
pm Canepa e Canciani.

La verita' - temo - e' che la nostra Costituzione e' come morta. Non anima
piu' la vita istituzionale, non e' il il faro che illumina il parlamento, i
tribunali, la vita di tutti i giorni. C'e' ancora tempo per rimediare,
anche nell'ambito del processo ai 25. Ma dobbiamo davvero chiamare le cose
con il loro nome ed essre tutti consapevoli di qual e' la posta in gioco:
il futuro, se non il presente, delle garanzie costituzionali.