Leadership del Movimento



Leadership del Movimento

Premessa: questo scritto non si rivolge direttamente a leader come Piero Bernocchi o Luca Casarini (che non conosco); si rifà però a situazioni ed eventi nei quali, come negli ultimi anni, hanno svolto – fra gli altri - la loro parte da protagonisti. La mia tesi è che oggi come oggi, in questo sistema, tali tipi di figure sono incredibili; in due parole, a mio avviso, sono da collocare in polarità che vanno dal doppiogioco ai limiti personali.

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In Italia, dicono gli studiosi, la cosa certa è che la storia cambia per davvero solo quando si allea il meglio delle due aree: (per intenderci) quella di ispirazione comunista e quella di ispirazione cattolica. Questa è l’alleanza che fa paura al sistema e che anche i leader del Movimento hanno finito giorno dopo giorno col danneggiare.

Per cominciare, 3.000.000 di persone in corteo per la Pace. Ci si rende conto di cosa vuol dire?
Vuol dire, ad esempio, che ogni italiano ha un parente o un amico in manifestazione, che si possono avvicinare e mettere tante pulci nelle orecchie dei nostri soldati da fargliele grattare per mesi interi. Che ci sono ancora altrettante persone pronte a scendere in piazza ma che per un motivo o per l’altro non sono riuscite. Vuol dire che tremilioni è una cosa successa per la prima volta nella storia d’Italia; rappresentarne la potenza assoluta.

Oggi, si potrebbe lavorare a favore di boicottaggi contro Berlusconi qui da noi e contro Usa-Israele nel mondo. Sfruttare ad esempio capacità, inventiva, cultura e fascino di Umberto Eco e quindi dar seguito alla sua proposta di tempo fa su ‘la Repubblica’, al fine di avviare delle iniziative vs B. 
Mobilitare le realtà per una pace giusta, coinvolgendo di più i gruppi attivi di riferimento religioso o laico: attribuirgli spazio e riconoscergli senso. I boicottaggi fanno parte della cultura sia cattolica che comunista e coinvolgono potenzialmente chiunque lo vuole, dovunque.

Si potrebbe aprire una campagna per la redistribuzione dei luoghi di culto alle differenti religioni, sulla base delle percentuali di persone attualmente presenti e praticanti nelle diverse zone delle città. 

Lanciare una campagna per l’abolizione dell’art. 11 della Costituzione che dal 1999 rappresenta un lasciapassare per qualsiasi nefandezza italiana politico-militare nel mondo. 

Metter su nel Movimento gruppi di lavoro a livello nazionale e locale (per problematiche organizzative, ambientali, legislative, internazionali, ecc.).  

Le bandiere della pace: la simbologia, l’immaginazione e insieme la concretezza della finestra della propria stanza che dichiara e coinvolge. Eppure, è sembrato quasi che quelle bandiere fossero come qualcosa di cui il Movimento dovesse vergognarsi, di cui non parlare, invece che da esportare a tutte le affacciate del mondo. 
Che ci piacessero oppure no, le bandiere erano l’unico simbolo in comune, da valorizzare.

Invece, ha preso piede tutto ciò che fa da seguito ai vessilli dei Compagni con la ‘C’ maiuscola; questo, come primo risultato, ha fatto scappare chiunque pensasse altrimenti. A quel punto, è stato gioco facile che le idee dei Compagni venissero freccettate da tutti media come orsi da luna park nonché fossero a disposizione della classe politica come gioia e pasto quotidiano. 

Attenzione, qui non dico che leader come quelli in premessa avessero mai dovuto trasformarsi in francescani e domenicani. Dico solo che c’era uno spazio enorme e condivisibile da tutti; da coltivare! 
Uno spazio tale, da poter portare avanti sia le sacrosante idee del proprio gruppo originario che quelle dell’intero Movimento. Le due provenienze - cattolica e comunista - dovevano fare un po’ come fidanzati: ognuno custodire per sé e nel contempo presentare agli altri la propria identità ma in primo luogo lavorare su una nuova, apposita area in comune; quella che rende la coppia felice. Un terreno più ampio possibile nel quale ogni persona spendesse parte del proprio tempo e cervello. Un immaginario tavolo dove squadernare le idee e portarle avanti. 
Il ‘problema’ centrale non è ovviamente in sé per sé quello di essere Compagni; è invece ‘il come e il quando’ si è presenti o assenti strategicamente; è se si fanno cose dandogli seguito. E’ che ruolo si ricopre: quello giusto oppure no. 
Qui non intendo neanche prospettare un Movimento con minore radicalità. Tutt’altro, si prova a ragionare su come incidere concretamente individuando obiettivi e studiando strategie. Alla fine, avremmo potuto raggiungere quel punto di rottura in cui il grosso della società civile e finanche gli apparati dello Stato meno invischiati non avrebbero più ostacolato un altro mondo possibile. Forse sarò un idealista, ma ritengo che un mondo come quello in cui viviamo, in fondo in fondo, piaccia davvero a pochi; molti lo subiscono e lo sopportano.         
       
Tenuto conto che viviamo in un sistema nel quale ad esempio - come si legge su ‘il manifesto’ dell’8/8/07 – “una quarantina di persone sono state denunciate per manifestazione non autorizzata per aver occupato la strada che immette alla Prefettura di Vicenza...”, adesso mi domando e chiedo: 

“leader antagonisti sulla breccia da anni possono esser lasciati scorrazzare per l’Italia oppure è più verosimile che vengano – volenti o nolenti – fatti fuori dal gioco in qualunque modo, a meno che siano considerati nelle loro attività principalmente innocui verso il potere e/o dannosi nei confronti della società civile?”. 
 
Richiamo quindi tre casi concreti. 
Settembre 2004, a Roma c’è una due giorni di riunione nazionale dei rappresentanti dei Social forum e delle realtà dei territori. Inizio lavori con sala stracolma tanto da non riuscire a respirare; si finisce in trenta persone di cui venticinque che fanno parte di un fantomatico ‘Gruppo di continuità’, che decidono cosa fare del Movimento. Alla fine, la soluzione già prevista è stata quella di accucciarci ai piedi di Berlusconi tramite l’intermediazione preavvenuta di Bertinotti. L’obiettivo era quello di non disturbare il ministro Frattini o chi altri perché ‘forse poteva darsi che altrimenti poi’ si disturbava il lavorio per la liberazione di Simona e Simona. Qualsiasi altro obiettivo venne destinato a mai. L’unico antagonista presente nella due giorni era un ragazzo disobbediente – di quelli all’epoca conosciuti – che provava a far scrivere nel comunicato finale una parola in più anziché una in meno.

Luglio 2005, a Bari i rappresentanti di 13 Regioni italiane firmano un documento per la chiusura dei Centri di permanenza temporanea. Il Movimento a livello nazionale non ha detto una parola; come se quell’evento fosse avvenuto su Marte; nessun seguito a quelle 13 firme; nessuna ricaduta da presentare ormai semplicemente all’incasso. Dopo la firma dei rappresentanti istituzionali, bisognava andare sotto i Cpt con le fotocopie del documento in mano, catene e lucchetti.

25 ottobre 2005, a Roma oltre 100.000 studenti sfilano per il centro storico (contro la Riforma universitaria). All’improvviso, vengono superati i quattro carabinieri che presidiano un vicoletto e si arriva dritti dritti davanti al Senato, riunito in apposita seduta legislativa. 
Noi lì a far casino è una sorpresa assoluta. 
La notizia in un attimo fa il giro d’Italia e d’Europa. Una cosa che infatti non si ripeterà mai più. 
Noi, eccitati per esser dentro a un evento simile; la gente, inneggia dalle finestre dei palazzi e ci distribuisce bottigliette d’acqua. Siamo come acclamati vincitori contro la banda Berlusconi. 
Cosa fanno lì Paolo Cento e Piero Bernocchi? Organizzano la resistenza per la notte in piazza Monte Citorio? No, arrivano, si mettono dalla parte delle transenne dove ci sono le forze dell’ordine, si fanno intervistare e se ne vanno (così come aveva fatto l’on. Gustavo Selva di An). 
Poi, nella piazza gremita, a turno arrivano dei ragazzotti dall’aria sfrantumata, ognuno in compagnia di un amico e di un bel megafono tutto per loro, a dire di andar via da lì perché bisogna accompagnare tutti a prendere il treno altrimenti diventa pericoloso restare e si fa buio; annunciano,  per chi dovesse rimanere a Roma, che l’indomani si terrà una ‘grande assemblea nazionale’ alla Sapienza e quindi se ne vanno col megafono. In tutto tre/quattro sfrantumati in sequenza; ognuno coll’amico e il proprio megafono a ripetere le stesse identiche cose e poi se ne vanno. Con la piazza ormai così svuotata per sfinimento, dopo poco arriva la notizia che la polizia aveva caricato chi era lungo la strada per andar via e più tardi quella che il Senato aveva approvato la riforma Moratti. 
Il 25 ottobre 2005 rimarrà nella memoria di tutti perché in piazza Monte Citorio 100.000 studenti provenienti da tutta Italia hanno fatto scomodare Paolo Cento, cioè colui il quale verrà poi nominato sottosegretario-cane da guardia di Tommaso Padoa Schioppa.               

Ho richiamato tre casi concreti in cui il Movimento c’era tutto ma i suoi leader sono stati  dannosamente assenti.  

E allora, invece che far riferimento a un improbabile e lontano Messico...mettiamoci al lavoro e prendiamo in esame come è stato affrontato il problema della leadership in Spagna e Francia!  

In merito a internet, il Movimento è a tutt’oggi in Età della pietra. Visto che giornali e tv sono quello che sono, sfruttiamo bene la rete finché Giuliano Amato ce lo consente. Cominciamo a creare e a dare il comune riconoscimento a mailing list con indirizzari di gruppi, di singole persone, e per eventi sul territorio: è un lavoro elementare, della durata di una mezza giornata. 

Ancora, si può chiedere ai partiti della cosiddetta sinistra radicale di commissionare un sondaggio d’opinione su pace e guerra. Si organizzano invece grandi manifestazioni per il 20 ottobre 2007 o addirittura si creano nuovi soggetti politici ma senza dire una parola sulla guerra. Su quella si vola, oh oh; si canta, oh oh oh; nel blu dipinto di blu; felici di stare lassù. 
 
Evitiamo di renderci protagonisti di iniziative fuori da ogni logica comune - come ad esempio, affidarci alla mediazione di Berlusconi o presentare un candidato disobbe alle primarie dell’Ulivo – perché son cose che ci fanno danni enormi. Nel contempo, evitiamo di indire assemblee nazionali della durata effettiva di quattro ore; fatte in orari romani, a favore di romani, per ascoltare dei romani. Assemblee con la metà della gente che si mette lì in fondo a vociare o, meglio, a boicottare l’intervento di chi non ci piace sentire.

E se invece cominciassimo a organizzarci per fare pressione - quando è il momento buono - sul sistema dei trasporti e sul mercato azionario? Due anelli deboli della catena.

L’agire del nostro pensiero non l’abbiamo più; è perso e non ritrovato. Alla fine sono rimasti quelli che fanno politica da sempre: se possono, come possono e sanno fare. Sono persone – fra cui Bernocchi e Casarini – alle quali non solo va dato atto, ma anche il merito di aver portato 150.000 manifestanti in corteo ancora in data 9 giugno 2007 contro Bush e Prodi.

La nostra grande narrazione fatta di idee, valori e passioni, si dimena nelle viscere della globalizzazione; del predominio dell’interesse privato a danno dell’utilità collettiva. 
Adda passa’ a nuttata.

16/8/7 – Leopoldo BRUNO