Re: [pace] verso il 20 ottobre..



Questi due articoli sono due splendidi esempi di come la sinistra radicale conciona bene, ma razzola male e quando si tratta di continuare a prendere soldi non gliene frega niente: vota e fa passare l'esatto contrario di quello che dice: mi aiutate a trovare un aggettivo che sintetizzi questo comportamento?

----- Messaggio originale -----
Da: Conques <conques at alice.it>
A: Pace - Peacelinkgroop <pace at peacelink.it>
Inviato: Mercoledì 8 agosto 2007, 16:17:40
Oggetto: [pace] verso il 20 ottobre..

Manifesto - 8.8.07
 
Questioni cruciali per il 20 ottobre - Salvatore Palidda*
Due le questioni cruciali dimenticate nell'appello del Manifesto e Liberazione del 20 ottobre. L'appello lanciato dai due quotidiani, comunque, è senz'altro condivisibile. Certe ambiguità e alcune vistose lacune, però, lasciano perplessi o forse sono rivelatrici della «cultura» politica di una sinistra della sinistra neoliberale (o neo-conservatrice) al governo. Innanzitutto, come si fa a dire che non deve essere contro il governo quando l'elenco delle scelte neo-liberiste, antidemocratiche e di asservimento al governo Bush e di fatto alle stragi continue di questo non sono da meno di quelle adottate dal governo Berlusconi? L'appello parla giustamente di lotta alla precarietà e per una cittadinanza piena di tutte e di tutti; di questioni del lavoro (precarietà, pensioni, sicurezza, ecc.); di questione sociale; di questione dei diritti civili e della laicità dello stato; di pienezza di diritti per i migranti («superamento» della Bossi-Fini, chiusura dei Cpt); di questione pace («taglio» delle spese militari, no alla base a Vicenza, via d'uscita dall'Afghanistan, no allo scudo stellare); di questione ambiente e no Tav in Val di Susa. Alcune «questioni» cruciali, però, sono stranamente dimenticate. 1. Il centro-sinistra sta governando gli affari militari forse peggio del governo Berlusconi non solo perché ne aumenta le spese e le missioni militari all'estero ma perché adotta un orientamento da pseudo-keynesismo militare che lo mette in sintonia con l'amministrazione Bush e sempre più profondamente opposto all'articolo 11 della Costituzione (si pensi agli accordi firmati da
Forcieri a Washington, alla base di Vicenza, ecc.). La sinistra non dovrebbe escludere assolutamente ogni scelta militare che prospetti una qualsivoglia proiezione armata all'estero? 2. In coerenza con tale gestione degli affari militari, il governo della «sicurezza interna» diventa ancor più segnato da un processo di ibridizzazione militaro-poliziesca sottratto a ogni ipotetico controllo democratico sia a livello locale, sia a livello nazionale: sempre più spese per i dispositivi di sicurezza (peraltro imposture ma anche occasione di abusi come la videosorveglianza e la proliferazione dei controlli); sempre più impunità per le pratiche violente di agenti delle polizie; promozione degli operatori delle polizie autori di reati (che fine farà la commissione di inchiesta sulle violenze poliziesche al G8 di Genova? E che dire delle centinaia di allarmi-bufale e montature in nome della guerra al terrorismo allegramente usate da servizi, Ros e Viminale per speculare sulla paura e aumentare il loro libero arbitrio? E che dire della nomina di De Gennaro a capo gabinetto del Viminale?). 3. L'ultima riforma dei servizi segreti configura una sorta di presidenzialismo in grado di possibili atti arbitrari assolutamente sottratti a ogni eventuale contropotere. Se si vuole ricostruire una capacità politica effettivamente di sinistra occorre anche coerenza soprattutto rispetto alle questioni fondamentali dell'organizzazione politica della società.
*professore di sociologia Università di Genova
 

Liberazione – 8.8.07

 

L'economia e i beni comuni rapinati dalla rendita - Alfonso Gianni
Nell'editoriale di ieri sul Corrierone Angelo Panebianco se la prende un po' con tutti - centro-sinistra, sinistra estrema e centro-destra - per non avere saputo né voluto opporsi allo "Stato predatore divoratore di capitali che trasforma in rendite politiche a fini di consenso". Beneficiari di questo consenso sarebbero naturalmente i ceti politici, anzi la "casta", come recita il titolo del fortunato libro sponsorizzato sulla stessa pagina del quotidiano che fa parte del medesimo gruppo editoriale. Non si tratta quindi di un argomento nuovo, in quel di via Solferino, ma fa parte di una vera e propria campagna, su diversi supporti, che mira a rilanciare le virtù del mercato contrapponendole ai pubblici vizi dello Stato e dei politici. In sostanza l'autore riproduce quella confusione sostanziale fra riformisti e conservatori, che proprio il giorno prima era stata efficacemente stigmatizzata da Giovanni Sartori sullo stesso quotidiano. Secondo Panebianco starebbe infatti prevalendo nel nostro paese una "coalizione ridistributiva" a scapito di quella produttiva, che inibirebbe lo sviluppo e si mangerebbe tutte le risorse. Confesso di non vedere alcuna simile ridistribuzione in atto. Se c'è un limite, e davvero grande, in questo governo e in questa maggioranza è proprio quello di non essere ancora riusciti, malgrado qualche timido accenno in materia fiscale, ad operare quel riequilibrio ridistributivo che potrebbe permettere di invertire una tendenza pluriennale che ha spostato quote ingenti della ricchezza prodotta dalle retribuzioni ai profitti e soprattutto alle rendite. Il precedente centrodestra si è particolarmente distinto in questa opera, evidenziando così il suo tratto socialmente conservatore, al di là di qualche venatura populista. Nè si può fare credere che lo spostamento di ricchezza sia avvenuto solo verso la burocrazia politica o statale, cioè la "casta". Da questa deriva sostanzialmente qualunquistica ci dissuadono i dati che indicano come nel nostro paese la forbice tra i redditi più alti e quelli più bassi sia la più ampia tra i paesi della vecchia Europa a quindici. Più che uno Stato predatore abbiamo conosciuto in questi anni una classe dirigente che ha trasformato lo Stato in uno strumento di articolazione su scala nazionale degli interessi del capitale finanziario che domina l'attuale processo di globalizzazione capitalistica. Lo Stato è diventato così una sorta di vestale della rendita finanziaria e la sua mutazione ha coinciso con lo sviluppo su scala mondiale della globalizzazione. Anche Panebianco individua lo spartiacque negli anni '70, ma per negare lo sostanza di classe dell'incremento del peso sociale della rendita, attribuendo la responsabilità e il vantaggio che se ne trae solo ai ceti politici e alla grande burocrazia statale. Con il che si opera una seconda confusione, quella tra mandanti e strumenti. La "tumultuosa crescita del dopoguerra", di cui parla anche l'editorialista del Corriere della Sera, è avvenuta in gran parte proprio grazie all'intervento diretto dello Stato in economia, e non solo in Italia. Da noi nazionalizzazioni e sistema delle partecipazioni statali ebbero un ruolo fondamentale nella crescita e nella modernizzazione economica dell'Italia. Nello stesso tempo non si può dire che la classe politica dominante di allora fosse particolarmente virtuosa. Certo una differenza fra la Democrazia Cristiana di Moro e Forza Italia di Berlusconi c'è ed è fin troppo evidente. Ma corruzioni, scandali, clamorose inefficenze cominciarono a prosperare proprio durante il lungo regime democristiano nelle sue diverse varianti. Dunque non è nel processo degenerativo della classe politica - che pure c'è stato - intercorso fra la "prima" e la "seconda" Repubblica, che va ricercata la ragione fondamentale del declino economico e industriale del nostro paese, ma nelle politiche economiche che hanno prevalso con la svolta neoliberista iniziata da Reagan e dalla Thatcher. Queste hanno smantellato l'intervento diretto dello Stato nell'economia, cancellando il suo ruolo nello sviluppo del paese. Se gli indici internazionali sono critici per quanto riguarda il tasso di libertà economica nel nostro paese (come ci ricorda Panebianco), ancora più impietosamente lo sono per quanto riguarda il tasso di produttività generale e di innovazione del nostro sistema. E' da qui che bisogna ripartire quando si parla di sviluppo, di un nuovo tipo di sviluppo, nel quale la difesa dell'ambiente e la soddisfazione dei nuovi bisogni delle popolazioni diventano fattori di propulsione decisivi. In questo quadro il ruolo dello Stato, dello Stato nazionale, ma anche degli organismi sovranazionali, vanno ripensati. La storia dell'Europa ci ha insegnato che lo Stato, grazie al conflitto sociale, è in grado di produrre valori d'uso che il libero mercato disdegna, perché privi di redditività immediata. La difesa dei beni comuni, dello spazio pubblico, della produzione di valori d'uso non mercificabili (quelli che Panebianco chiama "pasti gratis") che diventano diritti diffusi, sono la nuova frontiera nella lotta contro la rendita e il declino economico e civile.





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