Re: [pace] allegati



07 06 16 Vicenza Invece della base nucleare


                           VASTI
                   Che cos'è umano?

  Scuola di ricerca e critica delle antropologie



SEMINARIO NAZIONALE DI STUDIO


Il futuro della convivenza, Vicenza e la guerra annunciata


INVECE DELLA BASE NUCLEARE


di Raniero La Valle



Vicenza, sabato 16 giugno 2007



ULTIME NOTIZIE – Raniero La Valle


Questa volta è inusuale la sede in cui teniamo questo Seminario – tutti gli
altri si sono svolti a Roma – ed è anche inusuale il rapporto tra le “Ultime
notizie”, che sempre inaugurano i nostri incontri, e il contenuto del
Seminario.

Inusuale la sede: siamo venuti infatti a Vicenza, e lo abbiamo fatto per
stare nel luogo dove il dramma accade, perché nessuno possa dirci domani: e
voi dove eravate?

Vicenza è oggi il crocevia delle contraddizioni che scuotono il nostro
tempo. Ed è in qualche modo l’emblema conclusivo del nostro tema di quest’
anno, nel quale ci siamo interrogati sulla crisi della convivenza. Abbiamo
sviluppato il tema della convivenza – nella politica, nella famiglia, nella
scuola, nel rapporto di coppia, nella Chiesa – perché abbiamo avuto la
percezione che oggi non solo la convivenza sia in crisi, perché non si
riesce a vivere come pur si vorrebbe, ma addirittura che essa abbia cessato
di essere un valore, una naturale prospettiva di vita, e sia diventata
invece un ingombro, un ostacolo, l’oggetto di un rifiuto. Perfino nelle fasi
più acute della guerra fredda, sempre in procinto di esplodere nella guerra
nucleare, l’ideale della coesistenza era fuori discussione: si voleva
coesistere, nel presupposto che tutti avessero diritto ad esistere. Oggi
invece si vuole esistere, ma non coesistere; oggi c’è solo la propria
esistenza vissuta come incompatibile con l’esistenza degli altri.

Allora la decisione di costruire la nuova base militare a Vicenza ha
incrociato la nostra riflessione, che non è mai una riflessione astratta,
accademica, perché per noi la cultura è sempre innestata nella realtà. In
tale decisione abbiamo visto un caso limite di rottura e di rifiuto della
convivenza; ed è per questo che siamo qui a discutere della convivenza nel
luogo dove oggi questo tema si riveste di tutta la sua pregnanza storica. Ed
è per questo che il tema di queste “Ultime notizie”, solitamente ricavato da
una sollecitazione che viene dalla cronaca, anche se non pertinente col tema
del seminario, si identifica oggi col tema stesso di questo seminario.



Tre rotture della convivenza


In tre modi la decisione di costruire la nuova base militare americana,
nonché il modo in cui questa decisione è stata presa e resa nota, rompono la
convivenza.

Prima di tutto rompono la convivenza interna della comunità cittadina. La
passione con cui già oggi si discutono le due opposte prospettive che sono
di fronte alla città, mostra che sempre più è destinato a radicalizzarsi e a
imbarbarirsi il conflitto tra favorevoli e contrari alla base, finché la
città stessa, rotta la pace sociale, si troverà irrimediabilmente divisa in
due.

In secondo luogo si rompe la convivenza internazionale, per la sostituzione
della guerra alla politica come modalità di rapporto tra i popoli.

Non siamo sicuri che a livello nazionale ciò sia stato percepito, che sia
stata colta la portata politica generale del sacrificio di Vicenza; non
crediamo che sia stato percepito  in che modo la nuova destinazione d’uso
della città di Vicenza diventi una grande questione nazionale, né è stata
percepita la novità nella quale viene a trovarsi la situazione
internazionale e mondiale per effetto di questo riarmo nucleare che qui
viene avviato della piattaforma territoriale italiana.

Il cuore del discorso sta infatti qui: non si tratta di un ampliamento e
neanche di un raddoppio di una base preesistente, non si tratta di un
accasermamento di altri duemila uomini di truppe aviotrasportate in modo che
siano più vicini agli scenari di guerra. Si tratta di una base per azioni di
deterrenza e ritorsione nucleare previste nel quadro di una pianificazione
militare chiamata “Punta di diamante”. Lo ha detto l’ex presidente Cossiga
con quell’aria un po’ beffarda con cui egli è solito rivelare delle verità
che gli altri tengono nascoste. Nella sua dichiarazione di voto al Senato
del 28 febbraio scorso, come si può leggere nel resoconto stenografico della
seduta, egli si è rallegrato - “americano e guerrafondaio come sono” ha
detto con autoironia - della conferma della concessione “al Pentagono” della
base  militare di Vicenza, dalla quale opererà “ il 173° reggimento d’
attacco “Airborne”, strumento del piano di dissuasione e di ritorsione anche
nucleare denominato “Punta di diamante” ”. Dunque ciò di cui si discute non
è una caserma, ma una base per la guerra nucleare, ed una prospettiva
politica secondo la quale il governo del mondo e delle sue risorse nei
prossimi decenni sarà affidato non alla politica, ma alla guerra.

La terza rottura che in tal modo si è prodotta è quella tra la comunità e il
governo. La domanda è perché il governo non ne ha voluto neanche parlare.
Come se si trattasse di materia non disponibile, di “affari riservati”
secondo una nomenclatura in uso in altri ordinamenti. Questo è un Paese in
cui si discute di tutto, e questo è un governo che ha discusso su tutto. Per
mesi si è fatta e rifatta la finanziaria con trattative con tutte le lobbies
possibili e le parti sociali. Si è discusso e poi si è cambiato il tracciato
della TAV. Si discutono i piani di settore con artigiani, professionisti,
piccole imprese; si sono discusse le liberalizzazioni di Bersani con
benzinai, farmacisti, notai; si è rinunziato ad abolire il PRA sotto la
spinta dei suoi difensori. Si fermano i camion prima che arrivino alle
discariche per non forzare la mano alle popolazioni locali. Perché solo
sulla base militare di Vicenza non si può, non dico transigere, ma nemmeno
discutere? La ragione è evidente: perché il governo ritiene la cosa fuori
della portata delle nostre decisioni. Esso dà atto che l’Italia non ha la
disponibilità non tanto della propria sovranità, ma di se stessa, del suo
ruolo e del suo destino. Ma come non discutere della decisione di installare
in Italia la prima base nucleare offensiva dopo la fine della guerra fredda,
la rimozione del muro di Berlino e la scomparsa della contrapposizione tra i
blocchi?



La politica come occultamento


Il segreto mantenuto dal governo Berlusconi si capisce. Berlusconi crede che
il Paese sia suo, si è impadronito del suolo di questo Paese – da Milano 2
alla tenuta di Arcore alle coste della Sardegna al palazzo di via del
Plebiscito a Roma – e anche dell’etere, paga 45 milioni di euro di tasse
allo Stato e crede di esserselo comprato, quindi prende del suo e lo dà all’
amico americano.

Ma il governo Prodi? Aveva tutto il diritto di discuterne. Perché la
cessione di una parte della città di Vicenza agli Stati Uniti (e qui vale
come non mai che “la parte è per il tutto”) era avvenuta senza alcuna
deliberazione del governo e senza alcun dibattito parlamentare, solo in
virtù di una lettera del 12 dicembre 2005 dell’allora capo di stato maggiore
della Difesa ammiraglio Di Paola al suo collega americano, dopo un parere
tecnico del Genio Dife; si poteva impugnare da parte del governo successivo.
Invece la decisione è stata fatta passare per una “non decisione”: “per l’
ampliamento di una base militare – ha detto Prodi – non si pone certo un
problema politico”. Qui si apre una grande questione: la politica come
occultamento. È una novità: prima a occultare erano i Servizi deviati, non a
caso detti segreti; oggi è la politica che si fa alla luce del sole che
occulta la verità. È un occultamento della realtà dire che Vicenza non è un
problema politico. È il massimo dei problemi politici, perché riguarda la
scelta di come stare al mondo nei prossimi decenni; se vogliamo stabilire
una data diciamo fino al 2050, data entro cui secondo gli scienziati
dovremmo trovarci un altro pianeta perché questo sarà esaurito.

Il mondo è davanti a un’alternativa molto precisa: o la convivenza, la
decisione politica che tutti dobbiamo vivere, anche se giungeremo ad essere
dieci miliardi, oppure il rifiuto della convivenza, la rottura dell’unità
umana, e la guerra dei diversi aggregati umani – che già viene chiamata
guerra di civiltà – per spartirsi l’ultima eredità della terra.

Gli Stati Uniti hanno fatto quest’ultima scelta, con la lunga premeditazione
concepita dalla Nuova Destra americana e il suo progetto di instaurare “il
nuovo secolo americano”, con la presidenza Bush W., con l’invasione dell’
Iraq e dell’Afghanistan, con lo scudo spaziale, con lo spostamento delle
frontiere militari e politiche del proprio Impero sempre più ad Oriente. Non
sappiamo se dopo gli evidenti fallimenti di questa linea essa sarà
confermata dalla prossima presidenza americana. In ogni caso Vicenza
appartiene a questa scelta, a questa ipotesi di guerra continua per i
prossimi decenni; una guerra a cui è chiamato tutto l’Occidente, e in cui
gli atei devoti vorrebbero coinvolgere anche la Chiesa. I nemici non sono
ancora dichiarati, ma già si profilano: l’Iran, la Russia, la Cina. Vecchi
esperti del Pentagono hanno dichiarato ufficialmente che stanno preparando
la guerra con la Cina, che ci sarà tra 20 anni, e che si svolgerà “nei cieli
e sott’acqua” (la terra cinese è infatti troppo grande, meglio evitarla,
visto come è andata nelle terre invase finora).

E allora ecco perché è così importante la base, da non potersene discutere
neppure. È una base di intervento rapido nucleare, la casa madre dell’unica
unità aviotrasportata del Comando europeo degli Stati Uniti la cui area di
responsabilità abbraccia l’Europa, gran parte dell’Africa e del Medio
Oriente. Essa dipende dal comando SETAF, il cui quartiere generale è anch’
esso a Vicenza, e che è stato trasformato da comando di appoggio logistico
in comando di teatro, responsabile – come viene spiegato – “del ricevimento,
della preparazione al combattimento e del movimento avanzato delle forze che
entrano nella regione meridionale per una guerra”. E ciò in collegamento con
le basi aeree di Aviano e Sigonella e con quella logistica di Camp Darby,
che insieme  vengono così a formare il triangolo della piattaforma italiana
per la guerra nucleare annunciata.

La domanda è: può l’Italia opporsi a tutto questo? Non può, il governo, da
solo. Può darsi, a voler guardare le cose con realismo, che per il governo
questa decisione fosse obbligata, perché quella contraria, come ha detto D’
Alema, sarebbe apparsa “un atto di ostilità verso gli Stati Uniti”. E non è
possibile una ostilità con gli Stati Uniti perché il Paese non è ostile, non
ci sarebbe affatto una base di opinione pubblica in Italia per alcuna
ostilità agli Stati Uniti, che è un Paese amico; e nemmeno ce lo potremmo
permettere, perché siamo entrati in un tempo in cui lo squilibrio delle
forze nel mondo è tale per cui nessuno può sopravvivere all’ostilità degli
Stati Uniti; in Italia, come si ricorderà, gli anni di Moro furono dominati
dalla paura di una “sindrome cilena” per mano americana: perciò i missili
vennero installati a Comiso anche allora senza alcuna obiezione ufficiale
(ma con grandi lotte popolari) .

Però queste ragioni dovevano essere discusse, anche col movimento della
pace. Il non farlo è un’offesa per il Paese, ma soprattutto è un atto di
rottura del governo con i cittadini, con una parte rilevante della sua base
elettorale, politica e perfino religiosa.

La resistenza alla base, quale si è così vigorosamente attivata qui a
Vicenza, non può ora servire da sola a rovesciare con la forza, con una
spallata, la decisione già presa. Ci vuole la politica. Perciò non crediamo
e anzi riteniamo un grave errore il ricorso a mezzi di lotta che non siano
non violenti. Crediamo alla politica. E la resistenza serve appunto a
rendere di nuovo possibile la politica, serve a impedire che sia chiuso o
dichiarato come non esistente il problema politico, serve a rivendicare alla
politica (ma anche alla cultura e alla fede) il compito di esprimere e
realizzare una alternativa allo strumento della guerra con cui l’Occidente
si sta preparando ad affrontare le future sfide mondiali. Il Paese–comunità,
non il governo da solo, può farcela. Insieme all’Europa, può farcela. Non
contro gli Stati Uniti, ma anche “per” gli Stati Uniti, perché siano
distolti dal correre verso la rovina trascinandosi tutto il mondo con sé.

Ma per fare questo non si può occultare la vera natura della scelta. Bisogna
parlare col movimento della pace, con l’elettorato, con i giovani, con le
donne, e anche con quella piccola Italia della provincia italiana che viene
cavalcata dalla destra e dalla Lega, nel presupposto che l’interesse in
gioco è lo stesso per tutti, e allo scopo di riaprire tutti insieme il
problema politico, per vedere in che modo attraverso la politica, come
diceva don Milani, “se ne può uscire”.



I frutti del rifiuto della convivenza: la questione palestinese


Proprio in questi giorni vediamo a quali tragedie portino delle politiche
che esplicitamente si pongono contro la convivenza.

Non era mai accaduto quello che ora sta avvenendo in Palestina: una lotta di
liberazione straordinaria condotta dal popolo palestinese per quarant’anni,
dal 1967, viene fatta a pezzi, distrutta, rottamata, gettata nel crogiuolo
di una guerra civile tra palestinesi, tra istituzioni palestinesi.

 Chi in tutti questi anni ha congiurato per la cancellazione del popolo
palestinese è riuscito ad ottenere ora che il popolo palestinese cambiasse
il proprio nemico, e si facesse nemico di se stesso.

Questo risultato è stato perseguito fin dagli accordi di Oslo, che avevano
aperto una via politica alla costituzione di uno Stato palestinese, di cui l
’Autorità Nazionale Palestinese doveva essere solo l’anticipazione.

Ma Israele non ha mai accettato questa prospettiva, non ha mai ammesso che
accanto a sé, su quella che considera la terra d’Israele, nascesse un vero
Stato palestinese. Rabin fu ucciso per questo, e da allora lo scopo della
politica israeliana, sostenuta dagli Stati Uniti, è stato quello di
rovesciare Oslo e di impedire che un’altra Oslo fosse mai possibile. Sharon
dichiarò che gli accordi di Oslo erano stati il più tragico errore
strategico di Israele, e avviò una strategia che chiudesse per sempre quella
strada. Non doveva esserci nessuna “road map” di questa strada. Ciò doveva
passare attraverso la liquidazione di Arafat, che rappresentava appunto l’
ala politica e negoziale, laica e statuale, nella dignità, del movimento
palestinese. Per Israele e per gli Stati Uniti la gestione di un conflitto
con un movimento laico di liberazione nazionale era diventata troppo
difficile, era in difetto di egemonia. Bisognava riuscire a togliere il
conflitto palestinese dalla sua singolarità e riportarlo nella lotta
generale contro il terrorismo, e in particolare contro l’Islam, che fin dal
1991 nei nuovi “Modelli di difesa” occidentali elaborati dopo la fine della
guerra fredda, era stato individuato come il nuovo nemico dell’Occidente.
Nel Nuovo Modello di Difesa italiano nel 1991 – subito dopo la prima guerra
del Golfo – il conflitto israelo-palestinese veniva indicato come “il
paradigma” del futuro conflitto tra Islam e Occidente.

Occorreva che la resistenza palestinese fosse trasformata in estremismo
islamico. Ciò è avvenuto non lasciando ai palestinesi altra strada che
quella di Hamas. Ed è qui che il problema palestinese cessa di essere un
conflitto di indipendenza di un popolo i cui territori, pur ridotti al
minimo, sono occupati, e diventa un capitolo della grande sfida dell’
Occidente contro i suoi nemici: oggi l’Islam, sia arabo che iraniano, domani
di nuovo la Russia, tra vent’anni forse la Cina e l’India.

La guerra mondiale, guerra di eredità tra i figli per aggiudicarsi le ultime
risorse del pianeta che si stanno esaurendo (tra queste risorse c’è anche la
democrazia), è già cominciata. È a questa guerra che serve la base nucleare
di Vicenza.

 A noi tocca pensare  e propugnare un altro futuro.



Raniero La Valle





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From: <marino222 at virgilio.it>
To: <pace at peacelink.it>
Sent: Thursday, June 21, 2007 1:18 PM
Subject: [pace] allegati


> io non cancello un bel niente
> gli allegati vengono tecnicamente rimossi
> automaticamente
> sia per risparmiare sulle spese telefoniche
> che per
> evitarVi pericoli di virus
>
> bye, Marino (moderatore pck-pace)
>
>
> ----
> Messaggio originale----
> Da: conques at alice.it
> Data: 20-giu-2007 4.49 PM
>
> l'allegato non c'è. il moderatore li cancella tutti (secondo
> regolamento: discutibile, ma da rispettare..)
>
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